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Perché la Francia sta diventando sempre più brutta?

di Antoine Béllion

 

La Francia sta diventando via via più brutta. È una constatazione sempre più evidente anche a chi non vuole ammetterla. Non è da sciovinista ricordare che per decenni, se non secoli, il nostro Paese è stato uno dei più belli della terra, ragion per cui è la prima meta turistica del mondo.

La Francia si identifica per le sue cattedrali gotiche che svettano sulle grandi città, le modeste chiese romaniche che abbelliscono i villaggi, le fortezze del Medioevo, i castelli del Rinascimento e quelli del Grand Siècle; per la Place Stanislas di Nancy, la Place du Capitole di Tolosa e il boulevard Haussmann di Parigi. Anche per il Mont-Saint-Michel, la città fortificata di Carcassonne, le case a graticcio dell’Alsazia e gli incantevoli villaggi della Provenza, per i suoi giardini classici, i campanili del Nord e le casette di paglia della Normandia. Pochi Paesi al mondo hanno una tale ricchezza architettonica. Purtroppo, dal secolo scorso, un brutto destino sembra essersi abbattuto su una terra da fiabe.

Non solo si è smesso di costruire le meraviglie ancora oggi ammirate in tutto il mondo, ma spuntano dappertutto zone industriali e commerciali informi, uffici orribilmente anonimi, rotonde che sembrano verruche e blocchi di cemento che inghiottiscono le incantevoli case di un tempo. Le valli e le coste sono deturpate da vere colonie di pale eoliche e da casermoni di nuova costruzione che seguono un modello unico tristemente funzionale, del tutto indifferente agli stili architettonici di ogni provincia.

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Rivoluzione architettonica e indifferenza funzionalista

Sulle colonne di Le Figaro, Tristan Claret-Trentelivres, insegnante, si interroga su quello che definisce il nostro consenso estetico reazionario, che riassume nella frase spesso pronunciata di fronte a un edificio del passato: “Ha il fascino dell’antico”, constatando che questa nostalgia è una “peculiarità del nostro tempo”.

Alla fine del XIX secolo, un edificio nuovo di zecca del barone Haussmann[1] non sarebbe stato considerato inferiore agli edifici più vecchi. Anzi. Tuttavia, osserva giustamente Claret-Trentelivres, è molto improbabile che gli edifici in cemento armato del 1960 siano in auge entro la fine di questo secolo. Non è quindi solo l’età a conferire agli edifici un valore estetico attraverso il semplice trascorrere del tempo.

Secondo il docente, l’architettura contemporanea è segnata da una rottura estetica che la rende diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta e spiega l’avversione che suscita: l’indifferenza funzionalista. “Non è il cattivo gusto a rendere i nostri edifici brutti e le nostre nuove strade sgradevoli da percorrere, ma l’indifferenza della loro progettazione per la bellezza e il dettaglio”, insiste Claret-Trentelivres.

Il grande punto di svolta, secondo lui, accadde poco meno di un secolo fa, negli anni Trenta del secolo scorso. Da quel decennio in poi, il contenimento dei costi è stato posto al di sopra di ogni altra considerazione, mentre, paradossalmente, la ricchezza continuava a crescere. “Tre quarti di secolo dopo questa rivoluzione estetica, ci siamo talmente abituati a fare della funzionalità l’alfa e l’omega del nuovo, che un architetto che osi lavorare minuziosamente sui dettagli in nome della bellezza probabilmente si sentirà a disagio se deve giustificare ciò che verrebbe visto come un mero capriccio”, lamenta il docente.

 

Cospirazione contro la bellezza

“Non si capisce assolutamente nulla della civiltà moderna se prima non si ammette che c’è una cospirazione universale contro ogni tipo di vita interiore”, scrisse Georges Bernanos. Potremmo aggiungere, senza tradire l’autore di queste parole, che questa cospirazione è diretta anche contro qualsiasi tipo di bellezza. In effetti, non è solo in architettura che il funzionalismo trionfa a scapito dell’estetica. Moda, arredamento, letteratura, gastronomia, pittura, musica: ovunque sembra prevalere la bruttezza, come se la bellezza fosse diventata non solo superflua, ma anche controproducente e quindi sgradita.

Le accoglienti locande del passato lasciano il posto ai fast-food, gli abiti eleganti ai leggings e ai bermuda, l’incanto della musica cosiddetta classica alle melodie stordenti del rap, e lo splendore della Messa in latino al rito riformato da Papa Paolo VI. Anche il modo di essere verso sé stessi e verso gli altri è contaminato da questa tendenza.

Contrariamente a quanto troppo spesso si crede, l’eleganza, che è il nome dato all’estetica nell’ordine del vestire, non è mai stata un privilegio esclusivo delle élite, anche se esse, in questo ambito come in altri, hanno contribuito in modo decisivo alla raffinatezza dei gusti. Ma basta guardare l’abito di Bernadette Soubirous, un’umile contadina analfabeta del XIX secolo, per capire che la grazia è una disposizione dell’anima ben prima di essere la conseguenza di una situazione sociale, e ancor meno di un patrimonio materiale.

 

Decadenza estetica e crisi metafasica

Secondo l’intellettuale e militante cattolico laico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, la decadenza del mondo occidentale - di cui l’architettura è testimone implacabile - ha origine nel processo di rifiuto di un ordine variegato e armoniosamente diseguale riflettente in terra qualcosa del Paradiso. Questo processo - che Corrêa de Oliveira chiama “Rivoluzione” - iniziò alla fine del Medioevo. Spinto da una parte dall’orgoglio, che gli fa detestare qualsiasi forma di gerarchia, soprattutto quella che regola il rapporto tra il Creatore e le sue creature, e dall’altra parte dalla sensualità, che gli fa rifuggire qualsiasi tipo di sacrificio, indispensabile per giungere alla salvezza, l’uomo occidentale si allontana progressivamente da Dio per costruire una società che si oppone in tutto e per tutto al cristianesimo.

Questa apostasia si manifesta nelle idee e nei grandi eventi della storia. Viene spontaneo pensare alla Riforma protestante, alla filosofia dell’Illuminismo, alla Rivoluzione del 1789 o all’avvento del marxismo e della Rivoluzione sovietica del 1917. Tuttavia, Plinio Corrêa de Oliveira dimostra nella sua opera magistrale Rivoluzione e Contro-Rivoluzione che questo sconvolgimento si origina anche, e persino principalmente, nelle tendenze, cioè nei costumi, nelle usanze e negli stili artistici.

La bellezza, in tutte le sue manifestazioni, è insopportabile per lo spirito rivoluzionario, ateo e intriso di egualitarismo, da un lato perché è un attributo di Dio, dall’altro perché il suo riconoscimento presuppone un giudizio estetico e quindi una gerarchia tra ciò che possiede maggiormente questa qualità e ciò che ne è meno dotato, o addirittura totalmente privo.

Costruendo un santuario come Mont-Saint-Michel, l’uomo medievale voleva importare in questo mondo qualcosa della bellezza della Gerusalemme celeste, anche se in modo imperfetto. Sebbene in misura minore, anche gli edifici civili medievali - come i castelli o le università - erano dotati di quella sacralità e di quel pulchrum che faceva alzare lo sguardo verso il Paradiso.

Gli edifici moderni invece non sono progettati per meravigliare, ma, al contrario, per mantenere coloro che li frequentano appiattiti sull’esistenza immediata, con gli occhi puntati sulla sola soddisfazione dei loro bisogni materiali. Non a caso alcuni dei nostri contemporanei si riferiscono alla vita urbana come a un inferno: la mancanza di bellezza, armonia e spiritualità è il segno distintivo di un mondo in cui Dio è assente. Dietro la bruttezza del nostro bel Paese, c’è una crisi metafisica e spirituale.

[1] Georges Eugène Haussmann, noto urbanista che rinnovò l’architettura di Parigi all’epoca di Napoleone III.

 

Fonte: https://avenirdelaculture.info/articles/pourquoi-la-france-senlaidit?utm_source=ActiveCampaign&utm_medium=email&utm_content=Pourquoi+la+France+s+enlaidit+%3F&utm_campaign=Lettre+d+information+du+samedi+22+octobre+2022&vgo_ee=uKHFr5k33MyQ15gjVFEYbnwFoqDlMHNmyq65fGLdufk%3D