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Chiesa cattolica verso le donne prete?

 

 

di Federico Catani

«I vescovi francesi sono pronti a un big bang della Chiesa». Questo il titolo dell’articolo pubblicato lo scorso 15 giugno su Le Figaro dal vaticanista Jean-Marie Guénois. L’episcopato francese ha trasmesso al Vaticano il documento di sintesi delle proposte raccolte dai fedeli (sono state consultate circa 150mila persone) in vista del Sinodo sulla sinodalità che si terrà a Roma a ottobre 2023. Le richieste che vengono dalla Francia si collocano sulla stessa lunghezza d’onda di quelle del Cammino sinodale tedesco e sono effettivamente esplosive. Il documento infatti propone di consentire alle donne di predicare durante la Messa, di essere ordinate diaconesse e di poter accedere al sacerdozio; di rendere opzionale il celibato sacerdotale; di incrementare le “celebrazioni della Parola”, permettendo così una «più ampia accoglienza a tutte le persone, indipendentemente dall’accesso al sacramento eucaristico» e offrendo «la possibilità ai laici – uomini e donne – di poter commentare la Scrittura». Come si può osservare, qualora venissero accettati, tali suggerimenti di fatto avvicinerebbero sempre più la Chiesa cattolica al variegato mondo protestante. Guénois è tornato sul tema anche il 17 giugno, specificando che non tutti i vescovi francesi concordano con le proposte del documento. Per questo motivo, la Conferenza episcopale è ricorsa ad un’escamotage: ha approvato all’unanimità non il contenuto del testo, bensì la decisione di inviarlo a Roma così com’è, senza alcun commento. Ad ogni modo, il contributo sinodale della Francia – afferma il vaticanista del Figaro – «sarà senza dubbio, con quello della Germania, uno dei più rivoluzionari» prima del Sinodo mondiale del 2023.

Al di là dei Pirenei si suona grosso modo la stessa musica. L’11 giugno anche i vescovi spagnoli hanno reso nota la sintesi dei lavori sinodali. La consultazione ha riguardato circa 215mila persone e i temi su cui si chiede di discutere spaziano sempre dal ruolo della donna nella Chiesa, all’approfondimento della questione relativa al celibato dei preti; dalla valorizzazione dei ministeri laicali al ripensamento dei linguaggi, dei riti e dell’omelia, sino all’attenzione ai divorziati risposati e alle persone con diverso orientamento sessuale. Forti critiche ha ricevuto il clericalismo e si è auspicato il superamento della visione di una Chiesa immobile ed autoritaria, favorendo piuttosto il passaggio ad una “Chiesa in uscita”.

Pure l’Irlanda si accoda. Il 17 giugno l’Irish Times ha rilevato che il 96% dei cattolici irlandesi consultati per il Sinodo è favorevole all’ordinazione diaconale e sacerdotale delle donne; l’85% esprime preoccupazione per l’esclusione delle persone della comunità Lgbt; quasi il 70% auspica un maggior coinvolgimento dei laici nelle decisioni della Chiesa.

Leggendo questa sorta di cahiers de doléances, vien da pensare ad una stessa regia. Le richieste di riforma radicale della Chiesa provengono da poche persone, principalmente – lo hanno ammesso i vescovi francesi – dalle generazioni più anziane, e rischiano di essere fatte passare per il comune sentire di tutti i cattolici, che quindi andrebbero esauditi. Non è un’idea temeraria. Lo stesso è avvenuto con l’approvazione, nel luglio 2021, del motu propro Traditionis custodes, con cui papa Francesco ha posto pesanti limiti alla celebrazione della cosiddetta messa tridentina. Per giustificare il drastico provvedimento, il Papa ha scritto di essersi basato sui suggerimenti dell’episcopato mondiale previamente consultato. Tuttavia, è ormai risaputo dagli addetti ai lavori che i giudizi negativi sulla “messa in latino” sono stati di gran lunga inferiori a quelli neutri o positivi. Una procedura similare è stata seguita nei due Sinodi sulla famiglia, tra il 2014 e il 2015: sin dall’inizio ne era stato deciso l’esito, ovvero aprire alla comunione per i divorziati risposati. Non è quindi fantascientifico immaginare che lo stesso possa avvenire con il Sinodo.

L’impressione è che, ormai al tramonto del suo pontificato, con i lavori sinodali Francesco voglia in qualche modo “blindare” il suo successore. E se a volte tende a frenare alcune derive, come nel caso del Sinodo in Germania, sembra lo faccia più che altro per evitare di correre troppo e male. L’importante, secondo papa Bergoglio, è avviare ed aprire processi. Lo ha sempre detto e lo ha ricordato anche nella lettera inviata ai cattolici tedeschi nel 2019: occorre «generare e mettere in atto processi che ci costruiscano come popolo di Dio, più che la ricerca di risultati immediati che generino conseguenze rapide e mediatiche, ma effimere per mancanza di maturazione». Insomma, la battaglia si gioca sul lungo periodo. Prima occorre preparare il terreno, rendendolo adatto al cambiamento. È il primato della prassi.

Nella conferenza stampa di chiusura dell’Assemblea generale dei vescovi italiani tenutasi a fine maggio a Roma, il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, ha dichiarato che il cammino sinodale «sarà una sorta di grandi “Stati generali” della Chiesa». L’intenzione è forse riprodurre nel Cattolicesimo quanto avvenuto in Francia a partire dal 1789?

Fonte: L’Identità, 29 giugno 2022.