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La scoperta e la colonizzazione europea del Nuovo Mondo si basano sul diritto di conquista

 

I Vescovi canadesi pretendono forse di riscrivere la storia dell’ultimo mezzo millennio per sintonizzarsi con la Teologia della Liberazione e con una recente dichiarazione dell’ONU?

di Raymond Drake

Di recente si sono riuniti in Assemblea Plenaria i vescovi cattolici canadesi, che si impegnano a “continuare a dialogare con il Vaticano sulle questioni identificate quest’anno dai delegati e dai rappresentanti indigeni. A tal fine - affermano - abbiamo avviato conversazioni sul desiderio di molti popoli indigeni di sentire la Chiesa affrontare le politiche e i principi storici spesso denominati Dottrina della Scoperta e stiamo lavorando attivamente con il Vaticano con l’obiettivo di rilasciare una nuova dichiarazione. I vescovi canadesi continuano a rifiutare e a resistere alle idee associate alla Dottrina della Scoperta nel modo più energico possibile”.1

La scoperta e la colonizzazione nel Nuovo Mondo da parte delle potenze europee fu in parte motivata dal desiderio di diffondere la fede cattolica. Tuttavia, dato lo spirito neopagano rinascimentale dell’epoca, fu anche plasmata dall’espansionismo fondato sul diritto di conquista e sulle leggi di guerra.

Per i re della penisola iberica, lo zelo per la diffusione del Vangelo aveva un peso considerevole e ci tenevano a far benedire il loro diritto di conquista dal Vicario di Cristo. Sovrani meno fedeli di altre terre non se ne preoccupavano. Così, Francesco I di Francia incoraggiò le spedizioni di Verazzano (1523-1524) e di Cartier (1534-1536) per scopi imperiali. L’Inghilterra protestante aveva come motivo il guadagno mercantilistico. Una mentalità simile ha plasmato le navigazioni e gli sforzi di colonizzazione dei protestanti olandesi, svedesi, tedeschi e francesi.

L’esercizio del diritto di conquista nell’età delle scoperte rispecchia una costante della storia. Alessandro Magno e Gengis Khan, Romani e Unni, Sassoni e Visigoti, Mongoli e Aztechi, Normanni e Tedeschi, Irochesi e Lakota hanno tutti esercitato il diritto di conquista. Il cristianesimo ha mitigato e civilizzato un po’ l’uso di questo diritto.

Così, a beneficio del re del Portogallo, il 18 giugno 1452 papa Niccolò V dichiarò nella bolla Dum diversas: “Vi concediamo... il pieno e libero potere, attraverso l’autorità apostolica, con il presente editto, di invadere, conquistare, combattere, sottomettere i saraceni e i pagani, e altri infedeli e altri nemici di Cristo, ovunque siano stabiliti...”2

Tre anni dopo, lo stesso papa affermava nella bolla Romanus pontifex: “Noi, motu proprio, ... per autorità apostolica, decretiamo e manifestiamo che il diritto di conquista che nel corso di queste lettere dichiariamo essere esteso [alle terre acquisite dagli infedeli o dai pagani] ... è appartenuto e appartiene, per sempre, al detto re Alfonso [del Portogallo], ai suoi successori e all’infante [principe Enrico il Navigatore], e non ad altri”3.

Con la riscoperta del continente americano da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, Papa Alessandro VI arbitrò tra i diritti di conquista dei vari sovrani della penisola iberica con la bolla Inter Caetera del 1493, che fissava una linea di demarcazione a cento leghe a ovest delle Isole di Capo Verde.4  Il Portogallo non rimase soddisfatto di questa linea di demarcazione e si formalizzò una nuova divisione tra i regni iberici con il Trattato di Tordesillas del 7 giugno 1494. Tale trattato stabiliva la linea di demarcazione a 370 leghe a ovest delle Isole di Capo Verde. Su richiesta del re Manuele I del Portogallo, il Trattato di Tordesillas fu poi sancito da Papa Giulio II con la bolla Ea quae pro bono pacis del 24 gennaio 1506.

Indipendentemente dalla benedizione o dalla sanzione papale, tuttavia, ciò che prevalse nelle terre del Nuovo Mondo fu il diritto di conquista. Così, con alterne fortune, le potenze inglesi, francesi, tedesche, russe, svedesi, olandesi, danesi e polacco-lituane si ritagliarono propri domini nel Nuovo Mondo, a spese dei diritti portoghesi e spagnoli.

Con l’indipendenza, gli Stati Uniti hanno ereditato i diritti della corona britannica. In Canada, i diritti della Corona sono esercitati attraverso il governo nazionale.

Stando così le cose dal 1492 nel Nuovo Mondo, perché i vescovi canadesi in dialogo con la Santa Sede si sforzano di revocare la Dottrina della Scoperta?

In parte, queste autorità ecclesiastiche sembrano motivate dalla Teologia della Liberazione. Sono anche in sintonia con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. Entrambe le motivazioni sono gravemente sbagliate e devono essere contrastate per il bene comune delle nazioni americane e canadesi.

Per i seguaci della Teologia della Liberazione, e in particolare della sua branca indigenista, il cristianesimo e l’insediamento europeo nel Nuovo Mondo sono stati un disastro calamitoso. Lo rifiutano in toto. L’Occidente cristiano deve imparare dagli indiani, non predicare loro o cercare di assimilarli al progresso, allo sviluppo e alla civiltà. Per questo errato pensiero eretico, essere incatenati nello stato di primitivismo è una benedizione, non una maledizione.

“Gli indios”, afferma il sacerdote cileno Pablo Richard, “avevano religioni antiche in cui c’era fede molto prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo e dei suoi uomini... Erano religioni molto profonde e pure. C’era una santità e una profondità spirituale impressionanti”5.

“Le comunità indigene devono essere accolte come evangelizzatrici, un modello per la nostra società che ha molto da imparare da loro”, affermava l’allora arcivescovo di Goiania, Brasile, mons. Fernando Gomes.6

Padre Richard aggiunge: “A volte vado in montagna con la mia Bibbia e non so dove metterla. Mi vergogno. Come posso parlare di San Paolo e di Mosè a persone che hanno duemila anni di tradizione... Dobbiamo aprire la strada a una nuova evangelizzazione liberatrice a partire dalle antiche religioni dei nostri popoli indigeni”.7

Mons. Tomás Balduino, vescovo emerito di Goiás, Brasile, in occasione di una conferenza tenutasi a Roma nel 2009, dichiarava: “La convinzione profonda dei missionari di oggi è che questi popoli indigeni sono i veri evangelizzatori del mondo. Non dobbiamo andare da loro come chi porta una dottrina o un vangelo dato e affidatoci da Cristo. Dobbiamo andare dagli indios sapendo che Cristo ci ha anticipato in mezzo a loro e che i semi della Parola sono lì. Abbiamo la convinzione che gli indios vivono già le beatitudini. Siamo noi che dobbiamo convertirci alle loro culture.”8

E aggiunge padre Richard: “Dio ha scritto due libri. Il primo libro di Dio è il cosmo, la cultura, la religione indigena. Questo è il libro fondamentale di Dio. Dio ha scritto anche un altro libro, la Bibbia, ma solo per aiutarci a capire il primo.”9

Per la Teologia della Liberazione, il panteismo è la verità ultima. L’ex frate francescano Leonardo Boff scrive: “La Terra non è solo un pianeta su cui esiste la vita. È viva. È un superorganismo vivente che gli andini chiamavano “Pacha Mama” e che oggi gli uomini chiamano “Gaia”, il nome greco della Terra vivente.”10

Inutile dire che gli adepti della Teologia della liberazione rifiutano il gran mandato evangelico: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28,19). Di conseguenza, per i suoi adepti, la cancellazione della Dottrina della Scoperta è un’esigenza urgente di giustizia sociale e razziale.

La seconda motivazione dei vescovi è la promozione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni.

Il 29 settembre 2022, al termine della loro Assemblea plenaria, i vescovi canadesi si sono impegnati a “continuare ad abbracciare la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (UNDRIP) e a individuare le opportunità di usare la nostra voce per accompagnare i popoli indigeni nella ricerca della giustizia, della guarigione e della riconciliazione”.

L’articolo 26 di detta Dichiarazione recita:

      1. I popoli indigeni hanno diritto alle terre, ai territori e alle risorse che hanno tradizionalmente posseduto, occupato o altrimenti utilizzato o acquisito.

      2. I popoli indigeni hanno il diritto di possedere, utilizzare, sviluppare e controllare le terre, i territori e le risorse che possiedono in virtù della proprietà tradizionale o di altre occupazioni o usi tradizionali, così come quelle che hanno acquisito in altro modo.

      3. Gli Stati daranno riconoscimento legale e protezione a queste terre, territori e risorse. Tale riconoscimento sarà effettuato nel rispetto dei costumi, delle tradizioni e dei sistemi di proprietà fondiaria dei popoli indigeni interessati.

È vero che nel 1945 gli Stati firmatari della Carta delle Nazioni Unite hanno deciso di astenersi dall’esercitare il diritto di conquista. L’art. 2, n. 4, recita: “Tutti i membri si asterranno nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, o in qualsiasi altro modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite”. Ciò significa astenersi dall’uso del diritto di conquista.

Indubbiamente, però, nessuno Stato intese allora tale clausola come retroattiva. Invece, la UNDRIP non potrebbe essere più contraria al diritto di conquista esercitato dalle potenze europee durante l’Età delle Scoperte. Si propone forse di riscrivere la storia dell’ultimo mezzo millennio e di trasferire ampie zone del Paese al controllo e al governo degli indigeni?

È questo il desiderio dei presuli canadesi? E i diritti acquisiti? La giustizia non li rispetta e non li onora più?

note

  1. “Bishops of Canada Deepen Their Commitments to Walk Together With Indigenous Partners on the Healing and Reconciliation Journey”, CCCB.ca, 29 settembre 2022, //www.cccb.ca/media-release/bishops-of-canada-deepen-their-commitments-to-walk-together-with-indigenous-partners-on-the-healing-and-reconciliation-journey/.
  2. Niccolò V, bolla Dum Diversas (18 giugno 1452), consultata il 9 ottobre 2022, //unamsanctamcatholicam.blogspot.com/2011/02/dum-diversas-english-translation.html.
  3. Niccolò V, bolla Romanus Pontifex (8 gennaio 1455), consultata il 9 ottobre 2022, //caid.ca/Bull_Romanus_Pontifex_1455.pdf.
  4. Vedere Alessandro VI, bolla Inter Caetera (4 maggio 1493), consultata il 9 ottobre 2022, //www.papalencyclicals.net/Alex06/alex06inter.htm.
  5. Julio Loredo, “Teología indígena”, Covadonga Informa 15, n. 162 (Marzo 1992), 5.
  6. “Iniciado curso sobre a integração dos índios”, O Popular (Goiânia), 13 luglio 1976.
  7. Loredo, “Teología indígena,” 5.
  8. “Mons. Romero, Martin Luther King, Don Diana: Quando la parola diventa microfono dei senza voce”, Adista Notizie, n. 40, 11 aprile 2009.
  9. Loredo, “Teología indígena”, 6.
  10. Leonardo Boff, “A terra não é um planeta em que há vida, ela é um organismo vivo”, O Tempo, 4 aprile 2014.