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PRIMA PARTE

Celibato sacerdotale. Cosa dice la Sacra Scrittura

 

 

di Pietro da Verona

Al contrario di quanto si legge o si ascolta in giro, il celibato sacerdotale non è nato da una legge inventata novecento anni dopo la morte di Cristo. Ma è una legge evangelica voluta dal Signore Gesù. In Matteo Egli afferma (Mt 19,29): “... Chiunque abbia lasciato nel mio nome case o fratelli, sorelle, padre, madre, figli o campi, otterrà cento volte di più e la vita eterna”. Allo stesso modo l'Evangelista Marco scrive (Mc 10,29): “In verità, vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia che non riceva cento volte tanto...”. In modo più preciso (Lc 18, 29 ss): “In verità, io vi dico: chiunque abbia abbandonato per il Regno di Dio casa o moglie, fratelli, genitori o figli, riceverà già ora, in cambio molto di più”. Il Signore Gesù, infatti, vuole che chi prende parte alla sua missione adotti anche il suo stile di vita. 
Tuttavia San Paolo nella prima Lettera ai Corinzi (9,5) scrive: "Non sono libero? Non sono un apostolo? ... Non abbiamo il diritto di mangiare e bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, esattamente come gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Dovremmo essere solo io e Barnaba a dover rinunciare al diritto di non lavorare?". Queste domande e affermazioni sembrano dare per scontato che gli apostoli fossero accompagnati dalle rispettive mogli. Anzitutto le domande retoriche di San Paolo si riferiscono al diritto che possiede colui che intraprende la missione di annunciare il Vangelo. Ovvero il diritto di vivere a spese della comunità, e questo vale anche per chi lo accompagna. Ed è qui che sorge il problema, su chi sia questo accompagnatore. L'espressione "donna credente" è la traduzione greca di "adelphén gynaìka". Quest'espressione necessita di una spiegazione. 
"Adelphe" significa sorella. E qui per sorella nella fede si intende una cristiana, mentre "Gyne" indica una donna in modo generico, sia essa vergine, moglie o sposa. Insomma un essere di sesso femminile. Questo rende perciò impossibile dimostrare che gli apostoli fossero accompagnati dalle mogli. Perché, se così fosse, non si capisce come mai si parli di sorella cristiana invece che direttamente di moglie. Riguardo alla moglie di San Paolo, l'apostolo l'ha lasciata nel momento in cui divenne discepolo. Ancora San Paolo richiama al celibato o all'astinenza coniugale (1Cor. 7, 29 ss): "Perché io vi dico, fratelli: il tempo è breve. Per questo, chi ha una moglie deve in futuro comportarsi come se non ne avesse una...". E ancora: "Il celibe si preoccupa delle questioni del Signore; vuole piacere al Signore. L'ammogliato si preoccupa delle cose del mondo; vuole piacere a sua moglie. Così finisce per essere diviso in due". È palese che l'apostolo si riferisce ai vescovi, ai sacerdoti ma anche a sé stesso, per attenersi a questo ideale. 
 
Ci sono poi le lettere a Timoteo e Tito, che vengono utilizzate per dire che il celibato non era ancora conosciuto nella chiesa apostolica. Nella prima lettera a Timoteo (3,2) leggiamo che si parla di un "vescovo sposato" ed erroneamente viene inteso come un precetto. E così anche nella lettera a Tito si legge: "Un anziano (cioè un sacerdote, vescovo) deve essere integerrimo e sposato una volta sola...". Queste sono in realtà indicazioni per escludere la possibilità che venga ordinato sacerdote o vescovo chi, dopo la morte della moglie, si è risposato. Perché spesso un uomo così, non poteva dare alcuna garanzia di rispettare l'astinenza, alla quale i pastori dovevano votarsi. 
 
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