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A trent’anni dalla 194, il dovere di coscienza

 

 

di Julio Loredo

Sulla legge 194 del 22 maggio 1978 — detta "per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza", ma che in realtà dovrebbe chiamarsi "in sostegno dell’aborto" — c’è veramente poco da aggiungere agli autorevoli commenti apparsi in diversi organi di stampa in queste ultime settimane, in occasione del 30° anniversario di questa iniqua disposizione che ha aperto la porta alla strage degli innocenti in Italia.

Ormai è scientificamente dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la congiunzione dei gameti maschile e femminile produce un nuovo essere umano, distinto sia dal padre che dalla madre, con un patrimonio genetico proprio, unico e irrepetibile e, dunque, con tutto un progetto di vita. La vita esiste sin dal concepimento e va perciò tutelata. Sopprimerla tramite l’aborto è criminale, tanto più che si tratta di un essere perfettamente innocente. È un "crimine abominevole", come lo ha qualificato Giovanni Paolo II, aggiungendo che "costituisce un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio".

I cattolici e la 194

Se sulla legge in sé c’e poco da aggiungere, ci sarebbe invece molto da riflettere sul dovere di coscienza che una tale congiuntura impone ai cattolici. Ci sono contingenze in cui l’indifferenza implica un grave peccato di omissione. La polemica sull’aborto ne è tipico esempio. Quando viene negato il diritto alla vita del nascituro, fondamento di tutti gli altri diritti sui quali si fonda la nostra civiltà, viene toccata la nostra Fede in qualcosa di molto intimo, e cioè la consapevolezza che la vita, e con essa ogni bene di cui godiamo, proviene da Dio. E questo, in sana coscienza, un cattolico non lo può accettare.

Dalla percezione che è in atto un assalto contro la vita innocente, componente di un più ampio assalto contro le radici stesse della nostra civiltà, scaturisce un ineluttabile dovere di difendere queste radici in opposizione alle tendenze deleterie. È chiaro che non tutti possiamo impegnarci a tempo pieno nella battaglia per la vita. Però possiamo difenderla nel nostro ambiente, per esempio diffondendo i diversi documenti pontifici in merito. Possiamo, nella misura delle nostre possibilità, collaborare con tante valide iniziative per la vita. Possiamo, infine, rifiutare il voto a chi si schiera con forze politiche che accettano l’aborto.

La responsabilità dei politici

Questo dovere morale raggiunge il suo culmine quando pesa sulle coscienze di uomini che, nella vita pubblica, possono far pendere l’ago della bilancia da una o dall’altra parte. Ci riferiamo chiaramente ai politici, ai quali sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno rivolto diversi appelli affinché "siano consapevoli della loro grave responsabilità (di) sostenere valori fondamentali come il rispetto e la difesa della vita umana".

Proprio in questo campo l’Italia registra un’anomalia forse unica al mondo.

La 194 è l’unica legge abortista al mondo che reca in calce esclusivamente firme di uomini politici cattolici. Mentre in altri Paesi l’aborto è stato opera della sinistra, in Italia esso è stato consentito dalla Democrazia Cristiana. "Una prima avvisaglia del tradimento dello Scudo crociato — scrive Mario Palmaro — si era già avuto il 26 febbraio 1976, quando il gruppo Dc alla Camera votò insieme al Pci contro l’eccezione di incostituzionalità alla legge abortista. Nell’estate del 1976 sarà sempre un governo a guida democristiana (l’Andreotti Terzo) ad autorizzare in via straordinaria aborti eugenetici per le donne colpite dalla nube tossica di diossina a Seveso, nei pressi di Milano".

Durante il dibattito in Parlamento, dove pure esisteva una maggioranza antiabortista, la DC rifiutò ostinatamente i voti del MSI, respingendo anche ogni forma di ostruzionismo. Giunta alla votazione del 21 gennaio del 1977, la legge passò con 310 voti a favore e 296 contro. L’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti scrisse quel giorno nel suo Diario. "Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge (...) Ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi appena dopo aver appena cominciato a turare le falle ma (...) la DC perderebbe anche la presidenza e sarebbe davvero più grave".

In altre parole, la perdita della presidenza di un Governo veniva considerata più grave della responsabilità morale di sottoscrivere una legge che, decretando la sentenza di morte per l’innocente, calpestava gravemente la legge divina.

Quando viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 maggio 1978, la legge portava in calce la firma di cinque politici della DC, a cominciare dallo stesso Andreotti. Il Capo dello Stato, anch’esso democristiano, Giovanni Leone, avrebbe potuto rimandare la legge 194 alle Camere per sospetta incostituzionalità. Invece la firmò dopo solo quattro giorni. In seguito, il governo Andreotti giunse ad assumere ufficialmente la responsabilità di difendere la legge abortista di fronte alla Corte Costituzionale, dove era stata sollevata l’eccezione.

Il tranello della "194 buona ma..."

Il cedimento della DC non è che un sintomo della corrosione che affetta larghi settori del mondo cattolico i quali, all’insegna di tendenze ed idee esplose negli anni ‘60, avevano ormai perso quella fibra che aveva consentito l’eclatante vittoria contro il comunismo nel 1948. Una corrosione che è andata peggiorando al punto che oggi, trent’anni dopo, vediamo molti cattolici che addirittura sostengono la 194.

Secondo questi, la 194 conterrebbe anche aspetti positivi che, però, non sono stati mai attuati. In altre parole, sarebbe una legge buona applicata male. Invece di chiederne l’abolizione, dovremmo batterci per la sua applicazione integrale. Questo è un tranello che bisogna dissipare.

Nella normativa legale precedente alla 194, l’aborto in Italia non era consentito, e anzi veniva sanzionato dalle norme contenute nel titolo X del libro II del Codice penale, che prevedeva la reclusione da due a cinque anni a chiunque cagionasse l’aborto di una donna consenziente. Nel caso di donna non consenziente, la pena saliva da sette a quindici anni. Tuttavia, alla luce dell’articolo 54 dello stesso Codice, venivano contemplate alcune eccezioni, quale per esempio ‘salvare la vita della gestante’.

La 194 capovolge questa concezione giuridica, ritenendo l'aborto un atto di per sé legale, salvo poi applicare qualche restrizione. La 194 suddivide in modo del tutto arbitrario la vita intrauterina in tre periodi, fissando per ciascuno di essi una differente disciplina e avendo come esclusivo criterio di riferimento i rischi per la salute della donna, senza il benché minimo accenno ai diritti del nascituro, al quale viene pertanto negata la condizione di persona. Ecco l'intrinseca malvagità di questa legge.

Secondo la morale cattolica, nell'impossibilità di ottenere il bene perfetto, è lecito scegliere un male minore, purché — ed ecco la sfumatura fondamentale — si indichi chiaramente trattarsi d'una scelta non perfetta in attesa di tempi migliori. Applicato al caso sarebbe dunque moralmente lecito affermare: "Come primo paso, vediamo pure di migliorare la 194, applicandola bene, fermo restando che noi, come cattolici, puntiamo alla sua abolizione e ci batteremo in questo senso". È quest'ultima affermazione — essenziale per la moralità dell'atto — che manca in molti cattolici "moderati" o "adulti". E allora la scelta diventa immorale: non si può assolutamente accettare tout court la 194 come buona.

Esiste in Italia il clima per un'opposizione decisa alla 194? Tutto indica che i tempi stiano cambiando. Dal forte impegno per la vita di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, alle buone notizie che ci giungono dagli Stati Uniti, dove i pro-lifers si stanno imponendo, all'evidente risveglio del mondo cattolico in Europa, dimostrato dai Family Day di Roma e di Madrid, la reazione in difesa della vita si fa sempre più forte. Se ne farà eco la nuova classe politica giunta al potere recentemene? O continuerà a cedere davanti alle lobby abortiste, minoritarie ma ben organizzate? È una domanda cruciale per la legislatura da poco inaugurata.

 

Fonte: Rivista Tradizione Famiglia Proprietà, Giugno 20008.

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