Brasile: harakiri della Destra populista?
di Julio Loredo
I giapponesi avranno pure inventato l’harakiri, ma pare che una certa Destra, quella detta populista, ne sia diventata specialista. Ecco l’ultimo suicido rituale, accaduto in Brasile.
Da anni, la sinistra brasiliana era fermamente intenta a stabilire una dittatura comunista tramite l’uso smodato e abusivo del Potere giudiziario e della Polizia federale. Di fronte a siffatto pericolo, dilagava invece una reazione conservatrice sempre più radicata ed estesa. Perciò, anche dopo la vittoria di Lula, le prospettive del centro-destra – all’opposizione, e col vento conservatore in poppa – erano francamente rosee. I misfatti di Brasilia hanno cambiato drasticamente la situazione.
Il pericolo di una dittatura comunista
Vediamo il primo punto: il pericolo di una dittatura comunista.
In quattordici anni al Governo, la sinistra brasiliana era riuscita a impadronirsi di alcuni settori dello Stato, a cominciare dal Potere giudiziario, utilizzandoli per i suoi scopi politici. Si è così proiettato al centro della politica nazionale il magistrato del Supremo Tribunal Federal (STF) Alexandre de Moraes, da sempre vicino alla sinistra. Una vignetta sul più importante quotidiano brasiliano lo ritrae nei panni di Luigi XIV con la dicitura “La démocratie c’est moi!”.
In una serie di decisioni monocratiche, de Moraes ha smantellato la rete propagandistica del centro-destra. Uno dopo l’altro, ha chiuso canali YouTube, stazioni radiofoniche, pagine Facebook, blog, siti internet, ecc., di area conservatrice. Molte persone sono finite in carcere. Molti account Twitter, Instagram, TikTok, ecc., sono stati parimenti sospesi. De Moraes è giunto perfino a chiudere le operazioni in Brasile della piattaforma messaggistica Telegram, la preferita dai conservatori. Recentemente, ha chiuso gli account Twitter di Pro Monarquia, portavoce della Famiglia Imperiale del Brasile.
Nel 2019 de Moraes emanò una decisione contro le “fake news”, che in realtà comprendeva qualsiasi critica alla sinistra. Iniziò quindi una caccia ai conservatori. Il magistrato ordinò alla Polizia Federale di invadere durante la notte i loro uffici e le loro abitazioni, confiscandone attrezzature elettroniche e sequestrandone gli archivi. Alcuni dovettero fuggire all’estero.
E guai a criticare de Moraes! Facendosi scudo della sua immunità, egli ritiene che qualsiasi critica alla sua attuazione costituisca un vilipendio al Potere giudiziario. Diversi politici sono finiti in carcere per aver osato accusarlo di favorire la sinistra[2]. Un gruppo di giovani che, di fronte a casa sua, gridavano “Via ministro comunista!”, sono stati allontanati dalla Polizia e condannati a venti giorni di prigione.
Finora de Moraes ha emesso più di cinquemila mandati di perquisizioni e/o arresto contro figure del mondo conservatore. Si è creata così una situazione quasi da dittatura militare: ci sono stati casi di oppositori prelevati per strada da agenti della Polizia e portati via in carceri speciali. Interpellato in una recente conferenza stampa su cosa intenda fare con gli oppositori, de Moraes ha passato l’indice destro sul suo collo alludendo alla ghigliottina!
Di più, de Moraes, un simpatizzante di Lula, si è addossato il diritto di bandire qualsiasi politico che, a suo personale giudizio, diffonda notizie non corrispondenti al vero, cioè non allineate al politically correct come egli stesso lo intende. Questo in barba alla Costituzione che garantisce la libera espressione delle idee e la separazione dei poteri.
La reazione conservatrice
Passiamo al secondo punto. Di fronte al reale pericolo di una dittatura comunista, è andata invece crescendo una reazione conservatrice sempre più radicata ed estesa.
I media italiani parlano di Bolsonaro. In realtà, l’ex presidente è appena la punta d’iceberg di una vasta e profonda reazione conservatrice che, già da qualche anno, si fa sentire sempre più forte in Brasile, e sulla quale abbiamo più volte scritto. Gli studiosi identificano le radici di questa reazione nel lavoro anticomunista pluridecennale svolto dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira e dall’associazione da lui fondata, la TFP.
A lungo latente, questo fenomeno – che mobilita il Brasile profondo in modi che la propaganda rivoluzionaria non sempre riesce a controllare – iniziò a prendere forma nelle manifestazioni contro il regime di Dilma Rousseff nel 2014. Dalla protesta contro alcuni provvedimenti del Governo, si passò alla contestazione dell’ideologia che ne era alla base: il socialismo. Iniziarono così le oceaniche manifestazioni popolari che, man mano, assunsero un carattere nettamente anticomunista. “Il Brasile non sarà mai rosso!”, era lo slogan che le animava. Il fenomeno – oggetto di numerosi studi accademici – eccede di molto l’ambito politico, costituendo in realtà un movimento di natura religiosa, morale, ideologica e culturale. D’altronde, ed ecco una grande sorpresa, attira soprattutto le generazioni più giovani.
Dando struttura e dinamismo a questa reazione, si è costituita una vasta rete propagandistica fatta da canali YouTube, blog, siti internet, stazioni radiofoniche, gruppi Facebook e via dicendo. Gli influencer brasiliani di linea anticomunista hanno decine di milioni di follower. Cresce anche il numero delle case editrici dedite alla pubblicazione di libri conservatori, e si moltiplicano convegni e gruppi di studio dello stesso orientamento. Non si tratta affatto di un fenomeno transitorio.
Le prospettive rosee
Ed eccoci arrivati al terzo punto: le prospettive rosee del centro-destra.
Questo immenso movimento, chiamato in modo riduttivo e assai fuorviante “bolsonarismo”, è vivo e vegeto. Anzi, è in forte espansione e ha dimostrato di poter tenere testa al mondo intero. L’aver perso le ultime elezioni per meno del 2%, contro tutto e contro tutti, gli ha dato ancor più vitalità. All’indomani della vittoria di Lula, c’era da aspettarsi che le masse socialiste invadessero le strade del Paese per celebrarne il successo. Le masse hanno, sì, invaso strade e piazze, ma indossavano magliette giallo-verdi, il colore di Bolsonaro. Pur sconfitto, l’ex presidente veniva osannato come il futuro del Brasile.
La delusione a sinistra è iniziata già al primo turno, con un Lula inchiodato al 47%: molto lontano dal 60% prospettato da alcuni sondaggi. Non solo. Il centro-destra ha stravinto a livello nazionale. Il Partito Liberale di Bolsonaro è riuscito a eleggere il 90% dei suoi candidati al Senato e il 75% alla Camera. La coalizione di centro-destra guidata dall’ex presidente può contare su una maggioranza nel Congresso.
Lo stesso si può dire delle elezioni regionali. Ricordiamo che il Brasile è una repubblica federale, come gli Stati Uniti. Le Regioni hanno un’ampia autonomia legislativa, finanziaria e anche militare. Ebbene, i partiti del centro-destra hanno vinto nel 75% delle Regioni, perfino strappando al PT alcuni roccaforti. Mai nella storia recente del Brasile si era configurato un quadro politico regionale più schierato a destra.
Di fronte a questo panorama, in un mio recente articolo affermavo: “A Lula vanno le grane del Governo Federale, ostacolato dal Congresso e da Regioni ostili. A Bolsonaro vanno le glorie dell’opposizione. Se il leader conservatore capirà che egli non è solo un capo politico, bensì il punto di convergenza di un movimento che ha la vocazione per diventare una vera e propria Contro-Rivoluzione, allora il Brasile potrà sperare. Se, invece, il “bolsonarismo” si arenerà nelle paludi della micro-politica e dei tradimenti tanto in voga nella vita pubblica, allora qualcun’altro prenderà lo scettro e porterà avanti la reazione”.
Le prime mosse del governo Lula l’hanno già mostrato in grande difficoltà. Quasi tutti i suoi ministri sono indagati per corruzione e peculato. Tanto per menzionarne uno: il ministro della Giustizia, il comunista Flávio Dino, ha a suo carico nientemeno che 277 cause penali e civili. Una vera manna per l’opposizione.
D’altronde, serpeggiano i malumori nelle Forze armate. Un esempio: il comandante della Marina militare, ammiraglio Almir Garnier Santos, ha scelto di non partecipare alla cerimonia di inaugurazione del nuovo Governo. E anche questo è una manna per l’opposizione, che può contare su notevoli appoggi nel mondo militare.
Complessivamente, dunque, le prospettive per il centro-destra erano francamente rosee.
Lo harakiri
Tutto questo rischia ora di andare in frantumi dopo i misfatti di Brasilia, sui quali bisogna subito chiarire che sono stati l’opera di una minoranza, molto probabilmente infiltrata. La stragrande maggioranza dei manifestanti, pacifica e generosa, è rimasta a più di trecento metri dagli avvenimenti violenti. In molti casi, come mostrano i video, hanno pure cercato di impedire l’assalto. Anche premettendo che le cose siano andate in modo assai diverso da quanto presentato dai media italiani, resta però il fatto che, in politica, ciò che conta non è tanto la verità quanto la percezione. E la percezione pubblica è cambiata profondamente.
Tanto per cominciare, l’accusa di essere dittatoriali, anti-democratici e truculenti, fino ad oggi giustamente affibbiata dalla destra alla sinistra, è stata ribaltata. Adesso sarà il centro-destra a dover difendersi da tale accusa. La propaganda sinistrorsa avrà gioco facile nel dipingere i conservatori come “il cancro del Paese”[3]. Un esempio tra mille: i facinorosi hanno devastato la Sala di rappresentanza del Palazzo presidenziale, dove erano custoditi molti oggetti d’arte, alcuni secolari. È pure sparito un orologio appartenente al Re Giovanni VI. Come giustificare tale atto agli occhi dell’opinione pubblica?
Anche se tutto porta a credere che Bolsonaro sia estraneo ai fatti (si trovava a Miami, e ha condannato la violenza via Twitter), sarà difficile toglierli l’etichetta di “golpista”. Se egli rientra in Patria, corre il rischio di essere incarcerato e processato per insubordinazione, perdendo quindi ogni diritto politico. La sua carriera come leader sembra arrivata al capolinea. E, volens nolens, ciò implica anche una brusca frenata per il movimento di reazione conservatrice, che, oltre a doversi difendere dalle accuse di terrorismo, dovrà trovarsi un altro leader.
Inoltre, l’assalto a Brasilia ha messo nelle mani della sinistra il pretesto perfetto per intensificare la persecuzione contro i conservatori. Adesso, il Governo ha una giustificazione per decapitare la reazione. Infatti, con la giustificazione di difendere la libertà e la democrazia, Lula ha già imprigionato 1,500 persone e schedatone altre diecimila. Con la motivazione che avrebbero appoggiato il fallito golpe, si parla di dimettere alcuni governatori di centro-destra appena eletti, sostituendoli con podestà federali. Da oggi in poi, ogni avversario, reale o presunto, di Lula potrà essere trattato come un potenziale terrorista. A tale fine sarà aperta una “Centrale di denuncie” presso il Ministero della giustizia, dove qualsiasi cittadino, anche in modo anonimo, potrà accusare chiunque di essere bolsonarista e, quindi, perseguibile penalmente.
Sull’onda del rigetto da parte dell’opinione pubblica delle violenze della scorsa domenica, è stata annunciata la costituzione di una CPI (Comissão Parlamentar de Inquérito), per scovare tutti i potenziali oppositori di Lula. Un vero e proprio Comité de Salut Public di giacobina memoria.
“È stata una zappa sui piedi, commenta il regista di sinistra Dodo Azevedo, l’estrema destra ha sabotato i progetti della stessa estrema destra”[4]. La pensa in modo simile Maddeleine Laksco, editorialista di UOL, la maggiore piattaforma informatica del Brasile: “Questo è stato il suicidio della destra in Brasile. La destra non potrà governare il nostro Paese almeno per due decenni”[5]. E anche all’estero si fa largo questa lettura. Sulla Nuova Bussola Quotidiana, Luca Volonté afferma che “l’assalto alle istituzioni serve a Lula per rafforzare il suo potere”.
Infatti, gli errori strategici commessi con l’assalto alle istituzioni sono tanti che più di un commentatore ha insinuato l’ipotesi che dietro ci fosse proprio il Partito dei lavoratori di Lula, il grande beneficiario dei misfatti di Brasilia. Il noto opinionista Fernão Lara Mesquita, per esempio, si domanda come mai, dopo aver depredato e sporcato tutto (perfino lasciando dappertutto feci), i manifestanti si siano ritirati spontaneamente invece di tenere la piazza conquistata. E come mai il Governo, pur sapendo dell’assalto giorni prima, non abbia fatto niente per impedirlo ma, anzi, lo abbia facilitato per esempio non proteggendo gli edifici pubblici[6].
Secondo Mesquita, con l’assalto a Brasilia, gli equilibri di potere si sono profondamente modificati. Fino a domenica, Lula era in gravi difficoltà, non potendo contare su una maggioranza nel Congresso né nelle Regioni. Sarebbe stato difficile, se non impossibile, portare avanti i suoi progetti dittatoriali. Egli stesso aveva dichiarato nel primo Consiglio dei Ministri: “La lotta sarà lunga e difficile”. Adesso, il presidente marxista ha il coltello dalla parte del manico, e può fare ciò che vuole.
Che enorme trasformazione! Che terribile harakiri!
Attribuzione immagine: Palácio do Planalto - Marcos Corrêa/PR, Flickr, CC BY 2.0.
Note
[1] Gabriel Sestrem, “Alexandre de Moraes atua como se fosse dono do país”, Gazeta do Povo, 23-08-2022.
[2] Cristian Klein, “Moraes: Fake news e milícias digitais contra eleições serão combatidas com a força da lei”, Valor, 20-4-2022.
[3] Ana Patricia Cardoso, Brasileiros reagem a assalto ao Congresso. O bolsonarismo é um cancro, Contacto, 9 gennaio 2023.
[4] Ibid.
[5] https://noticias.uol.com.br/politica/ultimas-noticias/2023/01/09/analise-golpistas-vivem-em-espirito-de-seita-ataque-e-ponta-do-iceberg.htm