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Spagna: trionfo di Sancho Panza?

 

 

di Julio Loredo

Due settimane fa, in Spagna si sono tenute le elezioni politiche. Diversamente da quanto previsto dalla maggior parte dei sondaggi, non c’è stata una vittoria decisiva del centrodestra, rappresentato dal Partito Popolare (PP) e Vox. Anzi, in netto contrasto con le elezioni regionali dello scorso maggio, quando aveva ottenuto un brillante risultato, Vox ha perso ben 600.000 voti e ha visto quasi dimezzare il proprio gruppo parlamentare. Il Partito Popolare è cresciuto, ma meno del previsto, non raggiungendo l’agognata maggioranza. Il Partito Socialista, che la maggior parte dei sondaggi dava per spacciato, è riuscito a mantenere la sua posizione, perfino crescendo di due deputati. L’estrema sinistra, riunita nel neonato partito Sumar, erede di Podemos, ha raccolto un sorprendente 13%.

Mentre scrivo, non c’è una chiara maggioranza nelle Cortes. Tutto dipenderà dai gruppi regionali catalani e baschi che, finora, hanno mostrato un debole per la sinistra. Per quanto possa sembrare assurdo e contro ogni previsione, dunque, c’è la reale possibilità che il Partito Socialista guidato da Pedro Sánchez possa mantenere il potere, anche se indebolito.

Diversi i motivi proposti per spiegare questo risultato inaspettato:

Sfortuna. Il sistema elettorale spagnolo utilizza il metodo d’Hondt, che assegna i seggi parlamentari secondo una rappresentanza semiproporzionale, una volta superata la soglia del 3%. Questo sistema “punisce” i candidati meno votati, mentre “premia” quelli più votati, distorcendo di fatto le proporzioni. Un esiguo numero di suffragi può inclinare il risultato in una o nell’altra direzione. Chiamiamola pure sfortuna, ma in dozzine di seggi Vox non ce l’ha fatta per una manciata di voti. È stato calcolato che uno spostamento di soli 300.000 voti (su trenta milioni) avrebbe permesso a Vox di avere una rappresentanza più cospicua.

Confini naturali. Molti considerano le elezioni politiche del 2019 e quelle regionali del 2023 un po’ anomale per il centrodestra. Dicono che i recenti risultati abbiano riportato Vox ai suoi “confini naturali”, intorno al 13%. Il che, in ogni caso, ne fanno il terzo partito in Spagna. Qualsiasi cosa oltre questa soglia, dicono, sarebbe un mero sogno. Per inciso, il sottoscritto non crede a questi “confini naturali”. Da parte sua, il Partito Popolare avrebbe semplicemente ripreso la posizione di leader indiscusso nell’area del centrodestra (33%) che deteneva da decenni, nutrendosi degli elettori precedentemente emigrati a Vox, e che ora sarebbero tornati alla casa paterna.

Alleanze regionali. In diverse regioni, in assenza di una maggioranza, Vox era riuscito a stringere alleanze con il PP, in quella che doveva essere una valida alternativa alla sinistra. Nella maggior parte dei casi, queste alleanze non hanno funzionato bene a causa di differenze insormontabili tra le due parti. In Extremadura, il PP è arrivato perfino a imporre un veto a Vox. È ovvio che questo non è mai stato un matrimonio praticabile. Ciò ha senza dubbio pregiudicato il centrodestra.

La campagna anti-Vox del PP. Il leader di Vox, Santiago Abascal, punta il dito contro lo stesso Partito Popolare, che ha basato la sua campagna non tanto sull’attacco ai socialisti, quanto sul denigrare Vox, dipinto come estremista e dannoso. Il leader del PP, Alberto Núñez Feijóo, ha ripetutamente invitato gli spagnoli a “dare un voto utile”, invece di “buttarlo via” (cioè darlo al PP e non a Vox). “Feijóo sta confondendo gli alleati con gli avversari”, ha ammonito Abascal [1]. Secondo lui, questo approccio “ha in pratica smobilitato [il centrodestra] e ostacolato ogni reale alternativa alla sinistra” [2]. Ironia della sorte, questa tattica ha messo il PP nell’assurda situazione di dover cercare alleanze a sinistra invece che a destra. Di recente, Feijóo ha inviato una lettera al presidente Sánchez chiamandolo “Caro Pedro”. Giorni prima aveva avuto un incontro con Abascal, rimasto privato. In altre parole, mentre il PP non vede nulla di male nel mostrarsi amico dei socialisti, nasconde eventuali legami con Vox.

A mio parere, queste e altre ragioni presentate dagli analisti spiegano alcuni aspetti delle recenti elezioni politiche spagnole. Ma non toccano il nucleo. Il fatto fondamentale è che, purtroppo, queste elezioni hanno mostrato il lato peggiore della Spagna: la voglia di “moderazione”. Ancora una volta, è prevalso Sancho Panza. E questo non va bene per la Spagna.

Tutto ciò richiede una spiegazione.

La Divina Provvidenza ha voluto che, tra le nazioni cattoliche, la Spagna risplendesse imitando in modo speciale una delle tante virtù di Nostro Signore Gesù Cristo: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione» (Lc 2,34). Questa fu la Spagna della Riconquista contro i musulmani, la Spagna della Controriforma contro i protestanti e della battaglia di Lepanto contro i Turchi. Questa fu la Spagna che conquistò ed evangelizzò l’America, mentre piantava i suoi stendardi nel Nord Africa e conduceva le Filippine nel seno della Chiesa, la Spagna di tanti santi ed eroi, che seguirono il monito di san Giacomo: «Il vostro ‘sì’ sia sì, e il vostro ‘no’ no» (Gc 5,12).

Nel bene o nel male, lo spirito spagnolo non è mai stato tiepido. Negli anni Trenta, ad esempio, il Partito Comunista spagnolo era l’unico al mondo con una frangia estrema, i cosiddetti anarco-sindicalistas, più cospicua del corpo centrale. L’esatto contrario di ciò che accadeva ovunque. D’altra parte, però, la fede cattolica era forte e molto militante, dando origine a vasti movimenti controrivoluzionari, come la Comunión Tradicionalista, e i movimenti cattolici militanti come le Congregazioni Mariane.

Per spiegare questa realtà, gli storici adoperano la categoria delle “due Spagne”. L’idea di una Spagna divisa, in cui le due metà sono una antagonista dell’altra, risale al XIX secolo ed è continuata fino al XX secolo. Questa profonda divisione ha provocato diverse guerre civili, dalle guerre carliste fino alla Crociata Nazionale del 1936-1939, in cui il comunismo fu duramente sconfitto.

Tuttavia, dagli anni Settanta, e soprattutto dagli anni Ottanta del secolo scorso, la Spagna subì quella che gli analisti hanno definito una “psico-chirurgia”, cioè un intervento chirurgico non del corpo ma della mente. Questa “psico-chirurgia” mirava a sopprimere il senso di contraddizione, cancellando di fatto ogni dibattito dottrinale. “La passività indotta dalla propaganda nel corpo sociale conduce a uno stato di anestesia che permette la sua manipolazione e sopprime i riflessi e, ciò che è peggio, l’esercizio della sua intelligenza e della sua volontà”, ammoniva nel 1985 il filosofo Julián Marías [3].

Nel 1988, la TFP spagnola pubblicò un libro di quasi 600 pagine che analizzava in dettaglio questa “psico-chirurgia”, ammonendo che l’operazione stava spingendo la Spagna nelle mani dell’estrema sinistra, senza che nessuno reagisse. In particolare, l’opera analizzava il ruolo di certo clero nell’addormentare i cattolici mentre apriva le porte ai socialisti[4].

Con i conservatori, e specialmente i cattolici, tranquillamente addormentati (mentre la sinistra era viva e vegeta), il Partito socialista guidato da Felipe González riuscì ad attuare quella che divenne nota come “Rivoluzione tremenda”, con cui, per citare il leader socialista José Rodríguez de la Borbolla, “abbiamo rigirato la Spagna come si fa con un calzino”. Il vicepresidente Alfonso Guerra si vantava: “Abbiamo cambiato così tanto la Spagna che non la riconosce più nemmeno la madre che l’ha partorita” [5].

Tuttavia, già negli anni Novanta, gli eccessi socialisti iniziarono a suscitare qualche reazione, che portarono nel 1996 alla vittoria elettorale del Partito Popolare, con José María Aznar. Questo doveva essere un governo di centrodestra. Tuttavia, nonostante alcune dichiarazioni pubbliche, non fece nulla per smantellare la “Rivoluzione tremenda” messa in atto dai socialisti. Ciò alimentò un crescente malcontento tra gli elettori del PP, che desideravano un’opposizione molto più severa contro il socialismo e le sue conseguenze. Così si creò il terreno per l’emergere di Vox, nel 2013, che raccolse questo crescente malcontento. Definendo il PP una “piccola destra codarda” e presentandosi come la vera Destra, Santiago Abascal riuscì a portare il suo partito a diverse vittorie importanti, fino al brillante risultato delle elezioni politiche del 2019, quando ottenne 52 deputati (su 350). Al meno in parte, le “due Spagne” sembravano rinascere.

Le elezioni di due settimane fa, tuttavia, sembrano mostrare, se non un’inversione di tendenza, almeno una battuta d’arresto.

Sánchez si è dimostrato un politico astuto convocando le elezioni all’inizio delle vacanze estive, che per gli spagnoli sono assolutamente sacre. Egli ben sapeva che, in estate, le menti tendono ad assopirsi mentre i corpi si rilassano per godersi i molli piaceri della bella stagione. L’estate non è tempo per polemiche né per discorsi corposi.

Mentre Santiago Abascal sembrava non essersene accorto, conducendo la sua solita campagna dura ed incisiva, il PP ha fatto un’analisi psicologica forse più fine e si è appellata invece alla mentalità vacanziera, chiamando la propria campagna “Estate blu”. Ecco il piano, secondo il portavoce del PP Borja Sémper: “Vogliamo suscitare speranza e un sorriso. Metà degli spagnoli sarà in vacanza durante le elezioni. Noi adatteremo la nostra campagna all’estate. Chiederemo alla Spagna di cantare e di saltare di gioia, in modo che questa estate 2023 diventi un’estate blu che porti speranza” [6].

Questo tono “vacanziero” ha aiutato la svolta centrista del PP. “A noi popolari servono consensi al centro, e non a destra”, dichiarava Juan Moreno, presidente della giunta regionale d’Andalusia[7]. Il PP, infatti, si è presentato come un partito “moderno”, aperto alle “conquiste delle donne e delle minoranze lgbt”, “liberale” e favorevole all’agenda ambientalista.

Purtroppo, questa strategia sembra aver dato i suoi frutti. “La Spagna ha chiesto moderazione e ha sottratto 1,8 milioni di voti agli estremisti. Vox ha perso più di 6000.000 voti”, esultava il quotidiano ABC, portavoce del moderatismo conservatore.

Usando figure tratte dall’immaginario spagnolo, possiamo dire che Feijóo è riuscito a dipingere Abascal come un Don Quijote, mentre egli stesso si presentava come Sancho Panza, l’epitome del buon senso concreto, preoccupato più con la pancia che con la morale, rifuggendo da qualsiasi impegno idealistico. “Dobbiamo governare concretamente”, ripeteva. Il suo piano, però, ha avuto successo solo in parte, poiché non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta.

Molti chiedono nuove elezioni. Come elettore spagnolo, tendo a concordare. La strategia di Sancho Panza funzionerà di nuovo in circostanze normali? Ciò dipende, tra l’altro, da una questione cruciale: riuscirà Abascal a sfatare la raffigurazione di sé di un Don Quijote, e ad assumere invece il volto di un Cid Campeador? Ma forse questo è chiedere troppo, viste le evidenti lacune di Vox in campo culturale e, soprattutto, in quello religioso.

Attribuzione immagine: By Javier Perez Montes - Own work, CC BY-SA 4.0, Wikimedia.

 

Note

[1] “Abascal dice que la apelación al voto útil es ‘inútil’ y cree que Feijóo se equivoca ‘de aliados y de adversarios’, Europa Press, 13 luglio 2023.

[2] Ángel Carreño, “Abascal, tras perder 19 escaños en el Congreso: ‘El PP ha desmovilizado a la alternativa’”, El Independiente, 27 luglio 2023.

[3] Julián Marías, ABC, 10 marzo 1985.

[4] Sociedad Española de defensa de la Tradición Familia y Propiedad, España anestesiada sin percibirlo, amordazada sin quererlo, extraviada sin saberlo La obra del PSOE, Editorial Fernando III el Santo, Madrid, 1988.

[5] Cit. in idem.

[6] “El PP culpa a Buxadé del fracaso de los pactos con Vox en Extremadura: «Fue a romper el entendimiento»”, El Debate, 22 giugno 2023.

[7] “La campagna di Vox ha aiutato i socialisti. A noi popolari servono consensi al centro”, Corriere della Sera, 30 luglio 2023.

 

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