San Pio X ringraziò delle critiche...
Fino a questo momento la curia di Santiago persiste nel non pubblicare nulla a proposito del manifesto della TFP cilena (L'autodemolizione della Chiesa, fattore capitale della demolizione del Cile). Il fatto è per me causa di una perplessità che sta crescendo con il passare dei giorni.
Infatti, non riesco a vedere un motivo valido per questo silenzio.
La materia di cui tratta il manifesto è di grandissima rilevanza, poiché riguarda il compimento, da parte dei Pastori, della missione di sottrarre i loro agnelli - e quindi tutto il paese - agli effetti della propaganda comunista.
Inoltre il manifesto ha ad abundantiam la portata intellettuale necessaria per attirare l'attenzione della Conferenza Episcopale Cilena. La dottrina in esso contenuta è irreprensibile, i fatti allegati sono basati su una ricca documentazione, la esposizione è ottimamente concatenata, e il linguaggio usato è chiaro ed elevato.
Oltre a questo, so che il manifesto è stato largamente divulgato da vari quotidiani cileni, da stazioni radio e da emittenti televisive, ecc. Almeno per deferenza verso l'immenso pubblico che ne ha preso conoscenza, il manifesto meriterebbe una confutazione.
Infine, la TFP cilena merita dai Pastori – soprattutto in questa epoca in cui la Chiesa non rifiuta il dialogo neppure con gli atei - la considerazione di una risposta. Infatti, la nostra consorella, che si è sempre messa in mostra per la serietà e la nobiltà dei suoi atteggiamenti, gode nel suo paese di una autentica celebrità. Essa ha veramente colpito il paese, dall'alto al basso, per la chiaroveggenza con cui, all'unisono con Fabio Vidigal Xavier da Silveira, ha smascherato “Frei, il Kerensky cileno”. Quella mossa, a cui i fatti avrebbero dovuto dare un drammatico rilievo tre anni dopo, è valsa alla TFP andina una autorità morale non comune su tutto quanto afferma a proposito di “Kerensky” non tonsurati... o tonsurati. La Gerarchia cilena non dovrebbe essere indifferente a questa situazione evidentissima.
Ritorno ad affermarlo: quanto più il tempo passa, tanto più mi sento perplesso, perché chi tace di fronte a una accusa con tutti i titoli per essere presa in considerazione e confutata, si mantiene in una posizione penosa. “Chi tace acconsente”, dice il vecchio proverbio...
Anche in queste condizioni, preferisco aspettare prima di emettere un giudizio. Comunque sia, la Gerarchia è madre. E a suo favore dobbiamo addurre amorosamente tutte le presunzioni, che ci rassegneremo ad abbandonare soltanto quando la forza della logica e dei fatti ci costringerà assolutamente a questo passo.
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Ma - dirà qualcuno - nel fatto stesso che la Gerarchia sia madre, si trova la scusa del suo silenzio. Ogni figlio che indica gli errori di sua madre le manca di rispetto, e lo zelo per la sua stessa autorità impedisce che ella risponda al figlio.
Non credo che qualche moralista sia disposto a fare sua una concezione a tal punto dispotica dell'autorità materna. È nella natura delle cose che la madre che perde l'affetto di suo figlio, perché questi ne riprende un atteggiamento, metta il massimo impegno nel difendersi, per conservarne la stima. Tutto questo, nel caso abbia buone ragioni da addurre. Nel caso non le abbia, è suo dovere riconoscere di fronte al figlio che si è comportata male, e chiedergli perdono per l'esempio non edificante che gli ha dato. L'unica cosa che non si capisce da parte della madre accusata è il silenzio!
Così, una autorità ecclesiastica che si giudichi ingiustamente accusata deve considerare grave dovere pastorale il difendersi. E se riconosce giusta l'accusa, ha il dovere forse ancora più grave di chiedere scusa.
Circa quest'ultimo punto, prendiamo in considerazione l'esempio che ci è stato dato dal più grande Papa del nostro secolo, che Pio XII ha elevato alla gloria degli altari: mi riferisco a san Pio X.
Il cardinal Ferrari, arcivescovo di Milano, aveva reagito con violenza contro giuste critiche fatte dal quotidiano cattolico L'Unità cattolica a una pubblicazione infetta da modernismo, appoggiata dal porporato. San Pio X accorse in difesa del giornale. Scrisse allora all'illustre prelato: “Mi meraviglio [...] che l'Eminenza Vostra riguardi le giuste osservazioni dell'Unità come un affronto a Lei diretto, quasi Ella fosse meno avveduto e meno devoto alla S. Sede. Che cosa dovrebbe dire in questo caso il Papa quando legge le santissime critiche fatte al Corriere d'Italia, all'Osservatore Romano e al Maestro dei Sacri Palazzi, che dà l'imprimatur a libri, che sono poi condannati dall'Indice? Il Papa ringrazia i censori, che lo aiutano a conoscere il male da lui inosservato” (1).
Il lettore capisce, senza dubbio, che san Pio X allude qui alle critiche allora mosse contro la Santa Sede, a proposito di pubblicazioni sull'organo ufficioso L'Osservatore Romano, e delle decisioni del Maestro dei Sacri Palazzi, alto dignitario vaticano, persona di fiducia del Papa. Con un gesto sublime, pieno di giustizia e mansuetudine, il grande santo non evita in questa occasione la responsabilità che gli tocca per l'accaduto. Anzi, accetta le critiche sagaci e giuste come una autentica collaborazione. E ringrazia.
Questo gesto di umiltà non ha per nulla disonorato il Papa che oggi è venerato come santo da tutto l'orbe cattolico.
Non pensa il lettore che, invece di mantenere uno sdegnoso silenzio, la Gerarchia cilena si comporterebbe molto meglio se seguisse il luminoso esempio del Pontefice santo?
Dunque, aspettiamo e riempiamo il tempo dell'attesa chiedendo a san Pio X che ispiri a seguire il suo esempio coloro che la TFP cilena indica come responsabili della demolizione del paese.
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Vi è stato chi, contro i miei precedenti articoli, ha sollevato la obiezione che, a favore della mia tesi, ho citato soltanto teologi anteriori alla definizione del dogma della infallibilità pontificia. L'omissione è dovuta all'amore per la brevità. Wernz e Vidal, che sono contemporanei, nel loro noto e autorevole Jus Canonicum sostengono la stessa dottrina (2).
A questo riguardo si può leggere anche l'autorevole Peinador (3). Più significativa ancora è la opinione di un conosciutissimo teologo svizzero, che Paolo VI ha elevato alla dignità di cardinale. Si tratta di mons. Journet che, nel suo trattato L'Eglise du Verbe Incarné, giunge ad attribuire diritto di cittadinanza alla dottrina, ammessa da diversi altri teologi, secondo la quale un Papa può perfino diventare scismatico (4). Da questo, naturalmente, deriva per i fedeli il diritto e perfino il dovere di resistere.
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Dopo avere tanto trattato e ritrattato l'argomento, non tornerò più su di esso. È più che provato che la TFP cilena aveva, in linea di principio, il diritto di fare quello che ha fatto. Quanto ai fatti, lasciamo passare ancora qualche tempo prima di concludere che il silenzio pubblico della Gerarchia cilena li avrà dati come provati.
Note:
(1) San Pio X, Lettera al cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, in Lettere, raccolte da Nello Vian, Gregoriana editrice, Padova 1958, 2° ed. riveduta, p. 360.
(2) Cfr. Wernz-Vidal, Jus Canonicum, Gregoriana, Roma 1943, tomo II, p. 520.
(3) Cfr. Antonio Peinador, Cursus Brevior Theologiae Moralis, Coculsa, Madrid 1950, tomo II, vol. I, p. 277.
(4) Cfr. Card. CHARLES JOURNET, L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Bruges 1962, vol. I, pp. 839 ss.
(*) Cfr. "Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico", PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA E TFP CILENA, Cristianità, Piacenza 1973, pp. 189-192.