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Note sul concetto di Cristianità

Carattere spirituale e sacrale della società temporale e sua «ministerialità»

 

 

[Dattiloscritto di un saggio che Plinio Corrêa de Oliveira stava preparando nei primi anni 1950 e mai portato a termine, quindi mai edito. Pubblicato post-mortem in Italia, nel 1998, per le Edizioni Thule di Palermo, si sottolinea il carattere di semplice abbozzo, senza revisione. Traduzione di Giovanni Cantoni.]

 

«La Pensée Catholique», nel numero 26 del 1953, ha pubblicato due studi molto illuminanti sul problema, oggi tanto dibattuto fra scrittori cattolici, dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato: il discorso di S. Em. il cardinale Ot­ta­viani (1916-1979) all’Ateneo Lateranense e l’articolo di don Luc Lefèvre su État et Église.

Dall’uno e dall’altro lavoro riesce evidente in modo palese che l’argo­mento è stato ormai da molto tempo chiarito dalla Chiesa e che, per dissi­pare i dubbi sorti ai nostri giorni a questo proposito, basta richiamare i do­cumenti ufficiali dei Papi e l’insegnamento tradizionale dei Dottori e della teo­lo­gia.

In questo senso, tali due lavori hanno ormai detto l’essenziale. Tuttavia, a titolo puramente sussidiario, abbiamo pensato non essere forse inutile ana­lizzare alcuni aspetti di una delle tesi fondamentali della Chiesa relati­va­mente al problema dei rapporti fra lo spirituale e il temporale, quella della «ministerialità» di quest’ultimo in relazione a quello.

Ci sembra che l’ambiente dei nostri giorni inculchi in tal modo una con­ce­zione materialistica e puramente economica della vita temporale da eser­ci­tare un’influenza sensibile sulla formazione spirituale, sulle abitudini mentali e sulle tendenze nel campo delle idee di persone che, almeno in tesi, si pre­sume siano fedeli alle grandi linee del pensiero cattolico e perfino tomista. Persone co­me queste avrebbero meno difficoltà ad accettare la posizione della Chiesa sulla ministerialità del temporale se ricordassero molto pre­ci­samente tutto il contenuto umano della sfera temporale.

 


- I -


A che questo contenuto non appaia così chiaramente agli occhi di tutti hanno contribuito scrittori eccellenti; involontariamente, è chiaro, e per ra­gioni spiegabili.

Gli autori, che sostengono la dottrina secondo cui la società umana non e­siste in conseguenza di un patto arbitrario stipulato da un certo numero di uomini in età che si perdono nella notte dei tempi, ma è una conseguenza spontanea, legittima e ineluttabile dell’ordine naturale stesso, espongono dettagliatamente, e con ogni cura, gli argomenti forniti alla loro tesi dal­l’os­servazione della vita quotidiana: necessità della specializzazione e della collaborazione per garantire la sopravvivenza materiale e il progresso; ne­cessità di un’autorità per dirigere la collaborazione e così via. E, quindi, necessità naturale di una società con tutte le sue caratteristiche essen­ziali.

Fondata su questa base, la dimostrazione, oltreché irreprensibile, è al­ta­mente pedagogica, perché prende in considerazione fatti chiari, semplici, tangibili, che si situano nell’ambito dell’osservazione diretta e personale di qualunque lettore.

Si capisce come un autore, pressato dall’ossessione di riassumere, che gl’impone l’attuale corri corri, tratti superficialmente altri argomenti, op­pu­re li taccia anche. Questo accade non raramente con l’argomento tratto dal fatto che l’uomo è sociale per la natura della sua stessa anima, prescinden­do da qualsiasi necessità del corpo. In non poche opere di ogni specie, ge­ne­re e dimensione, che mettono alla portata del pubblico le linee maestre del di­ritto naturale, questo argomento non è esaminato in tutta la sua ricchezza.

Ne deriva, nella formazione della mentalità del lettore, una conseguenza importante. Un gran numero di studiosi si abitua a vedere nella società u­mana qualcosa che esiste unicamente, o almeno principalmente, per pren­der­si cura delle necessità fisiche dell’uomo. Questo convincimento non de­riva da un’affermazione esplicita di questo o di quel trattatista, ma si forma nel subconscio come impressione generale che, se non è logica, è almeno spie­gabile. Infatti, se gli argomenti ricordati con maggiore insistenza, svolti con maggiore ampiezza, sono quelli che si fondano sulle necessità ma­te­ria­li, economiche, pratiche, non deve sorprendere che si formi la no­zione se­condo cui la società esiste soprattutto per prendersi cura di queste neces­si­tà e che a poco a poco i fini della società, relativi al­l’a­ni­ma umana, passino dal secondo piano a una completa dimenticanza.

Come abbiamo detto l’atmosfera contemporanea è tale da favorire po­ten­temente questo fenomeno. Viviamo in un ambiente saturo di mate­ria­lismo, nel quale in ogni momento sentiamo opinioni che sarebbero vere..., assi­stia­mo ad azioni che sarebbero legittime..., siamo posti di fronte a istituzioni e a co­stumi che sarebbero ragionevoli... solamente se l’anima umana non esi­stes­se. Il materialismo è immanente e sottinteso in quasi tut­to quanto accade at­tor­no a noi.

Quindi non ci si può meravigliare che, tante e tante volte, si veda questo o quel cattolico — che ha studiato onestamente le linee generali della fi­lo­so­fia morale e ha letto in san Tommaso che la società temporale ha il fine di porre rimedio all’insufficienza non solo fisica ma anche intellettuale del­l’uomo a vivere solo — assumere di fronte ai problemi politici, sociali ed economici con cui si confronta un atteggiamento pratico che dif­ferisce per poco dalla posizione del materialista o dell’agnostico.

 

- II -


Poiché l’uomo è costituito da due princìpi distinti, corpo e anima, è chiaro che di tutto quanto lo riguarda sarà molto più importante ciò che concerne l’anima di quello che concerne il corpo; quindi ciò che è spirituale e im­pe­rituro ha più valore di quanto è materiale e mortale.

Tutta la sociologia che procede da questa verità deve dare il meglio della sua sollecitudine e della sua attenzione a quanto dice relazione all’anima u­mana, al suo equilibrio, al suo benessere, al suo sviluppo. Per quanto in­te­ressanti e rispettabili siano i problemi materiali, per quanto grandi siano il talento, la diligenza, la forza che si devono usare nel risolverli, non bisogna mai dimenticare questa verità fondamentale.

Evidentemente non si tratta di dedicare alla vita materiale meno di quanto meriti, dal momento che l’uomo è uomo e non un puro spirito angelico. Ma, anche quando si dia alla materia ampiamente quanto a essa si deve, è necessario non violare la gerarchia dei valori e non concepire i problemi materiali dissociandoli dalla realtà umana piena e totale, cioè dal fatto che abbiamo anche un’anima e che essa vale di più, incomparabilmente di più, del nostro corpo.Il mondo moderno ha misconosciuto questi princìpi, ha elevato il corpo all’altezza di un idolo e ha negato il primato dell’anima, quando non la sua stessa esistenza. Tutto è stato organizzato come se l’uomo avesse soltanto un corpo.

Il risultato è davanti a noi: le nevrosi, le psicosi, le perversioni sessuali mostruose, l’esistenzialismo, la cacofonia della grande confusione dei no­stri giorni. L’opera di Alexis Carrel (1873-1944) — sulla quale, per altro, si do­vreb­bero avanzare riserve — sta già diventando vecchia, ma può essere riletta con van­tag­gio da quanti desiderano informarsi su ciò che sta costando all’uomo la sot­tovalutazione o la negazione dell’anima nel progresso tecnico-ma­te­riale del nostro secolo.

Quindi si tratta — e molti lo riconoscono — di ristabilire il primato dello spirituale. Ma perché questa intenzione non resti soltanto nel mondo delle af­fer­ma­zioni verbali e si trasformi in un’azione tangibile, dai fini definiti, bisogna indagare in che consista, con la massima esattezza, la parte dello spirituale nella vita condotta dall’uomo in società.

 

- III -


Considerata l’anima umana nella sua natura, nelle sue potenze, nella sua attività, in che senso può avere una vita sociale?Poiché un campo della vita sociale comprende relazioni puramente spi­ri­tuali da uomo a uomo, può sembrare che si situi a un’altezza così ele­vata da non poter dire a suo proposito nulla di definito e di utile. Questa im­pres­sio­ne si dissolverà nel caso facciamo ricorso a quanto la Chiesa c’insegna su­gli angeli. L’angelo è un essere puramente spirituale, creato per conoscere, amare, lodare e servire Dio. Poiché questa è la sua unica ragion d’essere, a questo fine si ordinano tutte le sue potenze, tutte le sue inclinazioni naturali. A questo fine la grazia lo illumina e lo esalta, quando lo eleva al­l’or­di­ne so­prannaturale, dandogli la visione beatifica e l’amore sopran­na­turale.

Quindi l’angelo ha necessità di una società: quella di Dio. E non potrebbe vivere nell’ignoranza del Creatore. Ma questa società gli basta per due mo­tivi. In primo luogo perché Dio è la perfezione stessa e chi Lo possiede non necessita di niente di più. In secondo luogo perché la natura dell’an­ge­lo si ordina a Dio e solo a Lui.

A rigore, la natura di un puro spirito è tale che Dio potrebbe aver creato solo lui oppure aver disposto che lui non conoscesse altro essere se non Dio stesso. Ma il Creatore ha costituito in altro modo la creazione angelica. Ha voluto che gli angeli si conoscessero gli uni gli altri, istituendo quindi fra loro una vita sociale che, evidentemente, è tutta spirituale.

Però questa vita sociale ha Dio come oggetto ultimo. Quindi nelle cono­scenze che gli angeli comunicano gli uni agli altri, trasmettono solamente quanto ciascuno può annunciare di Dio. Così ogni angelo ha tutte le ope­ra­zioni delle sue potenze applicate a Dio in due modi, uno diretto, nella mi­su­ra in cui ha commercio immediato con Lui, e un altro mediato, in quanto comunica con Lui attraverso altri angeli.

Così stavano le cose prima della creazione del nostro universo. Quando questo è stato creato, la sua conoscenza è stata palesata agli angeli. E, sic­come il nostro universo annuncia anche, a suo modo, le grandezze di Dio, gli angeli hanno acquisito in ogni essere materiale creato oggetti immediati di conoscenza, che li portano attraverso le loro vie specifiche a Dio, og­get­to unico, costante, di tutte le operazioni angeliche.

L’angelo sa per che via l’osservazione del sole, della pioggerella o del tuono elevava a Dio il salmista; o per che via un fiore o un passero e­le­vava a Dio san Fran­cesco d’Assisi; oppure per che via le meraviglie dell’atomo possono elevare a Dio l’uomo moderno... e se ne serve come via verso Dio. Chi potrà mai, in questa vita terrena — se non la Vergine Santissima —, cogliere quanto costituisce la meditazione e l’amore di un angelo che co­no­sce tutto il nostro universo fin nel più piccolo dei suoi segreti? Vede con un solo colpo d’occhio il pulsare simultaneo della vita in tutti gli esseri e il mo­vi­mento incessante e misterioso della materia negli spazi incom­men­su­rabil­mente grandi nei quali si muovono gli astri; negli spazi incom­men­su­rabil­mente piccoli in cui ruotano gli universi e le costellazioni degli atomi, e in tutto discerne la Sapienza Eterna, il Potere assoluto e irremovibile, la per­fezione dell’Amore «[...] che move il sole e l’altre stelle»?

Abbiamo parlato più specificamente della conoscenza e dell’amore. Una parola sulla lode e sul servizio di Dio.

Fatto per lodare, l’essere angelico è di una natura per così dire «escla­ma­ti­va». La conoscenza e l’amore non si perdono senza risonanza nelle auguste profondità del suo stesso essere. Trasmette, comunica, esprime quanto gli accade internamente, senza dubbio per un dovere di giustizia e di amore verso Dio, ma anche, indubbiamente, per un impulso della sua stessa natura. Da ciò l’in­ces­sante lode angelica, la cui magnificenza la Scrittura ci manifesta tante vol­te con parole e simboli così diversi.

Fatto per servire, l’angelo non è solamente contemplativo, ma more suo ha una natura attiva. Comunica agli altri quanto conosce di Dio: svolge un servizio docente. È l’agente della volontà di Dio nella direzione del­l’u­niverso, perché Dio governa la creazione visibile per mezzo degli an­geli. E questa funzione esecutiva comporta un aspetto militante, perché è il guer­riero di Dio, che prima dei secoli ha abbattuto Satana e i ribelli, e oggi combatte l’inferno, protegge i fedeli e la Chiesa nella lotta contro il potere delle tenebre.

Ecco dunque quanto l’angelo fa di sua propria natura; quanto fa come membro della società angelica; quanto la società angelica fa nel suo in­sie­me, in quanto società, secondo l’impulso e il disegno di Dio.

 

- IV -


Queste nozioni relative alla socievolezza e alla vita sociale degli angeli sono applicabili all’anima umana, in quanto anche questa è in sé stessa completamente spirituale. Ma incorreremmo in gravi errori se, facendo la trasposizione di queste nozioni dal regno angelico alla società terrena, non prendessimo in considerazione che l’anima umana è stata creata per vivere legata a un corpo di carne, destinato a costituire con essa una sola persona, e che, quindi, tutta la natura spirituale dell’anima umana si ordina a tale consorzio con la materia, e che solamente in questo consorzio trova il suo modo di essere e di agire completamente nor­male. Questo consorzio è tanto in­timo che, nel periodo in cui l’anima vivrà dissociata dal corpo, in attesa della risurrezione, si troverà in uno stato anormale, per così dire di vio­len­za, certamente indolore perché godrà della felicità celeste, ma in ogni caso di violenza autentica, che verrà meno solo con la risurrezione. Quando la nostra anima assumerà di nuovo il nostro corpo non lo farà come chi ri­tor­na in un car­cere, ma come chi riacquista gioiosamente la pienezza di sé stessa.

Per prendere in esame la parte dello spirito e della materia nelle opera­zio­ni specificamente spirituali dell’uomo, e quindi nella socialità e nella vita sociale della sua anima, ricordiamo anzitutto che «non habemus hic ci­vi­tatem». Siamo stati creati per lo stesso fine per cui sono stati creati gli angeli, come loro siamo stati elevati all’ordine soprannaturale e, in quel­l’e­ternità davanti alla quale la vita terrena è un puro istante, dovremo par­te­ci­pare alla società spirituale degli angeli contemplando, amando, lodando e servendo Dio. Tale è l’affinità fra la natura e le operazioni della nostra ani­ma e quelle degli spiriti angelici. Il nostro corpo parteciperà certamente di queste operazioni; ma nello stato di corpo glorioso, cioè a tal punto im­be­vuto, per così dire, della spiritualità della nostra anima e della grazia di Dio, che il suo stesso modo d’essere e di operare sarà come esaltato oltre il livello proprio della pura natura umana e fissato nell’immortalità. Fatte queste riserve, vediamo che l’anima umana è tanto socievole da realizzare il proprio destino eterno in una vita sociale che avrà oggetto puramente spi­rituale.

Forse questo ci può aiutare a capire meglio come si realizzi la vita, e più particolarmente la vita sociale, delle anime nell’esistenza terrena. E come questa vita sociale autentica abbia come oggetto valori integralmente spiri­tuali.

Se il nostro fine proprio è conoscere, amare, lodare e servire Dio, la nostra natura, massimamente in quanto elevata all’ordine soprannaturale, deve tendere integralmente a questo fine. Ossia tutte le nostre attività mentali e fisiche devono dirigersi alla conoscenza della verità e alla pratica del be­ne.

Questa è reale relativamente alla nostra natura in Cielo, ma anche nella vita terrena, perché la nostra natura è già quanto dev’essere eternamente e, quindi, le sue tendenze di fondo sono già quelle che saranno eternamente. E come la vita terrena non può essere in contrasto con la nostra natura, es­sa è già in qualche modo, nella sua sostanza, in quanto ha di più interiore, di più essenziale e di più intimo, sul piano naturale come sul piano so­pran­naturale, la vita stessa di contemplazione, amore, lode e servizio di Dio che avremo in Cielo.

 

- V -


Se l’essenziale della nostra vita terrena consiste in questo, bisogna inoltre ricordare che il modo in cui realizziamo qui queste operazioni diverge pro­fondamente dal modo in cui le realizzeremo in Cielo.

Nell’eternità avremo la visione beatifica senza veli né ostacoli. Il nostro amore avrà raggiunto una pienezza definitiva. La nostra lode e il nostro ser­vizio saranno senza macchia né debolezza.

Al contrario, nella vita terrena siamo in condizione di prova. Abbiamo do­ni naturali e soprannaturali da conservare e da sviluppare. Le nostre azioni — anche le migliori — e, quindi, pure la nostra lode e il nostro servizio so­no infetti da imperfezioni. Il nostro normale modo d’essere ci rende molto più soggetti alla materia di quando i nostri corpi saranno stati trasfigurati dalla gloria. Nonostante tutto questo, è assolutamente vero che l’uomo, an­che il più distratto, contempla attivamente. Per rendercene conto basterà che chiariamo che cos’è concretamente, nella vita terrena, e sul piano na­tu­rale, una contemplazione.

Che cosa fa un uomo quando si ferma sul cammino per veder passare una sfilata militare o una processione religiosa, per guardare con attenzione un edificio o un pano­ra­ma, per osservare una scena particolarmente impor­tan­te o pittoresca della vita quotidiana, per assistere a uno spettacolo teatrale? Contempla, cioè fissa l’at­ten­zione su un determinato oggetto, prende cono­scenza di quanto in es­so vi è di vero o di falso, di buono o di cattivo, ac­cet­ta, consente, in qualche modo assimila nella sua stessa anima la verità e il bene; sperimenta una dis­so­nanza, rifiuta, opera una certa quale purifica­zio­ne in sé stesso di quan­to la cosa gli possa aver comunicato di cattivo.

A­vendo davanti agli occhi esseri relativi e contingenti, che hanno in sé il ri­flesso dell’Essere assoluto, l’uomo, attraverso i canali dei sensi, prende in consi­derazione negli esseri con­tin­genti qualcosa che esiste in modo asso­lu­to in Dio; in qualche modo si appropria di questo bene, nell’atto stesso in cui lo prende in considerazione; si configura a questo bene; insomma, com­pie un atto caratteristicamente con­templativo, benché segnato dalle condi­zioni in­separabili da questa vita terrena. Pur­troppo molti uomini, realiz­zan­do que­sti atti di contemplazione, non si elevano in nessun modo fino a Dio, e si fermano nella fruizione egoistica e circoscritta all’essere relativo che hanno davanti a loro.

Spesso la loro conoscenza è viziata e accoglie l’errore e non la verità; la contemplazione li porta ad assimilare il male e non il bene. Il fatto è che, e­videntemente, così come vi sono contemplazioni buone, vi sono anche con­templazioni cattive. Sono i trionfi del mondo, della carne e del diavolo [cfr. 1 Gv. 2, 16]. No­nostante tutto questo, l’azione che realizzano è essenzialmente contem­pla­ti­va, benché possa essere puramente naturale, ed è un’affermazione del fat­to che nell’uomo vi è una tendenza alla contemplazione che non può essere sopita.

Questa contemplazione porta con sé, necessariamente, come conseguenza la lode o la sua antitesi che è la bestemmia, perché in terra come in Cielo, come nell’inferno, l’uomo è, come abbiamo detto, «esclamativo», cioè pro­penso a comunicare quanto gli accade nell’anima. E porta al servizio, per­ché l’uomo serve naturalmente quanto ama, la Città di Dio o la Città del Demonio, la verità o l’errore, il bene o il male.In questo modo l’anima umana realizza da ora, su questa terra, per la pro­pria salvezza o per la propria condanna, le grandi operazioni che è portata a realizzare per tutta l’eternità. Chiaramente questa contemplazione, nella misura in cui è fatta alla luce della fede, è un’operazione animata dalla gra­zia.

 

- VI -


Da quanto è stato detto risulta l’evidente necessità per l’anima umana di entrare in contatto con oggetti esterni, sui quali possa esercitare la sua at­ti­vità. L’ipotetica carenza di tali oggetti lascerebbe le sue potenze nell’a­tro­fia e ridurrebbe la sua vita al semplice fatto di esistere.

Come il corpo umano si può alimentare a pane e acqua, ma si ammalerà passando lungo tempo soltanto con questi alimenti, così anche l’anima u­mana non si può alimentare con la semplice osservazione di un oggetto o di un numero molto piccolo di oggetti. In tal caso le sue operazioni oltrepas­se­reb­bero chiaramente le frontiere del semplice esistere, ma porte­reb­bero l’anima a un operare tanto difettoso che gliene deriverebbe uno squilibrio. È il caso di certi operai, costretti dalla loro professione a restare ore intere con l’attenzione rivolta a uno stesso fatto semplice, povero, quasi asfissian­te: per esempio un segnale luminoso, il cui accendersi o spegnersi più o meno irregolare si tratta di registrare minuto dopo minuto su un pezzo di carta, per dieci o dodici ore di lavoro quotidiano. Certe costituzioni mentali, eccezionalmente ben dotate, potrebbero forse riprendersi da questo lavoro con una distrazione dell’attenzione in ore di riposo. Ma altre morirebbero quasi come di anemia. La nostra anima è stata fatta per osservare l’uni­ver­so, tutto l’insieme degli esseri sui quali i nostri sensi tendono normalmente ad applicarsi.

Di questi esseri chi occupa il posto centrale sulla scena, chi domina gli al­tri, chi in un certo modo li compendia tutti in sé, è l’uomo stesso. L’anima umana, naturalmente creata per osservare l’uni­ver­so, è perciò stesso in­cli­nata con la maggior passione, dall’impulso più pro­fondo e più persistente di tutto il suo essere, alla contemplazione di quanto l’universo ha di più es­senziale: gli altri uomini. L’intero Eden, con le sue delizie, era ina­de­guato all’uomo prima della creazione della donna: «non era bene» che in esso l’uomo restasse solo. In questa propen­sio­ne essenziale dell’uomo a realiz­zare sulla terra quanto farà in Cielo è in­clu­sa la necessità di conoscere e di prendere contatto con altri uomini. E in que­sto sta, dal punto di vista del­l’a­nima — cioè dal più importante dei pun­ti di vista attinenti all’uomo — l’autentica necessità del­la vita sociale.

Quelli la cui a­ni­ma è la stessa immagine e somiglianza di Dio devono na­turalmente avere, nelle condizioni della vita terrena, co­me oggetto più co­stante, più ricco, più vivo, più diretto le funzioni di conoscere, amare, lo­da­re e servire Dio nello specchio della creazione.

 

- VII -


Come si realizzano queste operazioni? Conoscendo meglio il prossimo, che è la somiglianza di Dio, conosciamo meglio noi stessi e lo stesso Dio. Assimilando in noi le virtù del prossimo, arricchiamo la nostra anima con qualcosa che le è completamente connaturale e che riflette Dio con alto te­nore di realtà. Così, possiamo per certo avere qualche idea dell’amore os­servando la protezione che la chioccia dà ai suoi pulcini e con ciò pos­sia­mo crescere in virtù. Ma la nostra idea sarà molto maggiore, di norma mol­to più decisivo lo stimolo se osservia­mo una madre che protegge il proprio figlio. Questo, sia per farci un’idea dell’amore umano, sia principalmente dell’amore divino.

La contemplazione non è solo conoscenza, ma amore. Una delle espres­sioni più entusiastiche e più irresistibili della nostra socievolezza sta nella necessità di amare e di essere amato, inseparabile dalla natura di ogni uo­mo. Con qualche adattamento, il nostro amore si volge alle cose del regno minerale, del regno vege­ta­le, del regno animale. Possiamo amare un bel cristallo che troviamo a fior di terra durante una passeggiata; più adeguata­mente amiamo una pianta, per esempio una rosa; la parola amore diventa ricca di un senso maggiore quando ha come oggetto un animale, per esem­pio il cane, compagno fedele nei giorni buoni e cattivi; ma è propriamente amore soltanto quando ha per oggetto un essere della nostra specie. Que­st’ultimo amore, incomparabilmente maggiore degli altri ap­pena enumerati, ci dà un’idea dell’amore che dobbiamo a colui che è l’Es­sere assoluto, l’Essere per eccellenza, l’Essere che contiene in sé sostan­zialmente tutte le perfezioni.

La contemplazione non è pura conoscenza, né puro amore: essa è anche assimilazione. Infatti lo specifico dell’amore sta nel produrre l’assimi­la­zio­ne fra due esseri. Perciò si nota nell’uomo come uno dei tratti più essenziali della sua natura una profonda influenzabilità da parte di altri uomini, ma specialmente da parte di quanti ammira. Imitare è una tendenza propria a tutti, ed è lungi dall’essere in sé stessa cosa degradante o ridicola. Vi pos­sono essere imitazioni che hanno per oggetto persone indegne. Vi possono essere imitazioni che hanno per oggetto persone degne, le cui qualità par­ti­colari qualcuno cerchi di assimilare in modo eccessivamente preciso e, quin­di, in quanto è inconfondibile in una persona e non trasferibile in un’altra. Sono gli errori presenti nell’operazione d’imitare come in qual­sia­si altra operazione umana. Ma in sé stesso imitare, assimilare, è una fun­zione legittima, costante, della mente umana, è un soddisfacimento delle e­sigenze più profonde del nostro essere. Se assimiliamo quanto dobbiamo, se imi­tia­mo chi dobbiamo, ci perfezioniamo e aumentiamo la nostra somi­glian­za con Dio, riflesso nello specchio delle sue creature.

Imitare, servire da e­sempio, sono obblighi di ogni uomo, operazioni essenziali al perfe­zio­na­mento dell’anima, inerenti in profondità alla vita sociale delle anime. So­no modalità disposte dalla Provvidenza stessa e dotate da essa di rilevante efficacia per l’esercizio delle potenze dell’anima, per lo sviluppo dello spi­rito e per la conquista di quella perfezione che è abito nuziale con il quale ci prepa­riamo al perfetto banchetto spirituale costituito dalla perpetua con­templazione di Dio.

 

- VIII -


Come si svolge questo commercio fra le anime? In altri termini, come vi­vono la loro vita sociale?

Quando due persone sono in contatto fra loro, per quanto siano disuguali per intelligenza, per istruzione o per forza di persuasione, sono in grado di esercitare reciproca influenza l’una sull’altra. Il corpo umano è uno stru­mento meraviglioso per l’espressione dell’anima: tutte le nostre idee, anche le più astratte, tutte le nostre emozioni, anche le più sottili, sono suscettibili di un’espressione adeguata attraverso l’azione primordiale della parola in sé stessa, completata e arricchita dall’inflessione della voce, dal­l’e­spres­sio­ne dello sguardo, dai gesti, dall’atteggiamento del corpo, dal portamento e perfino dal modo di camminare. Virgilio  ci dice che, attraverso il semplice modo di camminare, Didone si rivelava una dea: «et incessu pa­tuit Dea...». L’uomo accentua la capacità espressiva del suo corpo con l’abito e con l’ornamento. Questa capacità giunge a essere tanto grande da passare ta­lo­ra, e per altro erroneamente, per irresistibile.

Quando questa traspa­ren­za del­l’a­ni­ma in tutto il modo di agire e di essere del corpo diventa limpida e, so­prat­tut­to, quando tale trasparenza rivela un’anima ferma, chiara, logica, si rico­no­sce di essere in presenza di quella che si chiama una personalità. Avere personalità, essere una personalità è avere un’anima sufficiente­men­te svi­luppata per dirigere, per influenzare, per brillare in tutto il corpo ma­te­riale. È realizzare, nel semplice campo naturale, una certa tra­sfi­gurazione della materia attraverso l’illuminazione interiore dell’a­ni­ma, che è una prefigurazione puramente naturale, ma in sé stessa splendida, della trasfigurazione soprannaturale, incomparabilmente più radiosa e più nobile, che i corpi gloriosi avranno in Cielo e di cui Nostro Signore sul Tabor, e anche alcuni santi, ci hanno dato una visione sensibile in questa terra d’esilio.

L’anima non si esprime soltanto attraverso il corpo. Le forme, i colori, i suoni, gli odori, i sapori hanno un’analogia non puramente conven­zionale con le disposizioni dell’anima umana. E perciò le parole che servono per designare stati dell’anima umana sono correntemente usate per designare per analogia qualità particolari di esseri animali, vegetali o minerali. Si può parlare del canto allegro di un passero, dell’aspetto ridente di un mazzo di fiori o semplicemente di un panorama, e questo nello stesso modo in cui si parla del riso allegro di una giovane o di un bambino. Si può parlare della maestà di un re come dell’aquila o del tuono. Gli esempi di ciò po­treb­bero essere moltiplicati quasi all’infinito.

Dato questo fatto, l’uomo può applicare la sua azione sugli esseri in­fe­rio­ri, comunicando loro una certa espressione. Così, sicuramente, le specie a­ni­m­a­li addomesticate dall’uomo ricevono da lui quasi una certa dolcezza di comportamento, una certa compostezza, che li distingue dai loro simili sel­vatici con differenze molto somiglianti a quelle che distinguono l’uomo ci­vile dal barbaro. Certi animali, per esempio gatti d’Angora o volpini di Po­me­ra­nia, acquistano una certa distinzione evidentemente affine agli am­bienti u­mani in cui vivono. Un’azione dello stesso genere può anche essere svolta dagli uo­mini su certe piante, nelle quali si distinguono le specie sel­vatiche e quelle coltivate, diremmo meglio quelle messe a coltura. L’uomo può comuni­care certe espressioni del­l’anima perfino a esseri perfettamente i­na­nimati: per esempio, quando fa un quadro con un’espressione assolu­ta­men­te non preesistente nella tela, nel pennello o nei colori.

E tale è l’anima umana che lo specifico dell’uomo sta nel comunicare una tal quale espressione a tutti gli oggetti di cui si circonda. Poiché siamo fatti di anima e di corpo, vogliamo che gli oggetti che servono al nostro corpo parlino anche all’anima. Un mobile comodo è quello che serve solo al cor­po: un mobile elegante è quello che serve anche all’anima. Un tessuto re­si­stente, gradevole al tatto, adatto al clima, soddisfa il corpo. Ma l’anima ha esigenze proprie e chiede che sia bello.

Queste osservazioni ci portano a una nozione essenziale, quella di «am­biente».

Quando, talora, entriamo in una sala, ci sembra di sentire la personalità di chi l’ha arredata. Diciamo che costituisce un ambiente. Che cosa vuol dire a questo proposito «ambiente»? È l’espressione dell’anima che, attraverso il gioco delle forme e dei colori, una persona è riuscita a comunicare a og­getti materiali. In questo, come in tutto, l’uomo imita Dio. Quando contem­pliamo certi panorami marini, quando di notte guardiamo il cielo, sen­tia­mo un’espressione dell’anima che si distacca da questo mondo: è l’ambien­te creato da Dio e attraverso il quale Egli si esprime ai nostri sensi.

Ci sarebbe ancora molto più facile esemplificare con i suoni, con i pro­fu­mi, con i sapori. San Paolo ha scritto che il vino, bevuto con moderazione, rallegra il cuore del giusto. La Chiesa si serve della musica per educa­re la nostra pietà. L’aroma austero dell’incenso le sembra adatto a essere respirato da noi nella preghiera. Invece i suoi moralisti ci hanno sempre messo in guar­dia contro i profumi voluttuosi e capaci di eccitare la mol­lez­za e la lussuria.

Ora esaminiamo l’ambiente in relazione al fine essenziale della contem­pla­zio­ne: portarci a Dio.Se gli stati dell’anima sono suscettibili di esprimersi così, è implicito che li sono anche le virtù e i vizi. Essi si manifestano fre­quen­te­mente sul volto umano, nell’inflessione della voce, nel gesto, nell’andatura. Essi sono su­scettibili di segnare con una loro nota specifica tutto quanto l’uomo fa o produce.

L’intemperanza o la temperanza di un autore non si nota solo nel fatto di sfruttare il nudo. Il ritmo di una musica può in sé stesso essere lascivo, come la combinazione di certi profumi o la mescolanza di certi sapori. La mancanza di senno non si esprime soltanto attraverso il senso delle pa­role, ma con la sgarbataggine della gestualità, la stravaganza delle linee o dei co­lo­ri di un abito, di un mobile, di un edificio.

Su questo punto come in altri l’uomo è soggetto all’errore e può giudi­ca­re come sensuali o dissennate cose che gli sembrano tali perché non vi è abi­tuato. Ciononostante una certa sensualità o stravaganza può trovarsi real­mente nella cosa prodotta o fabbricata da un uomo sensuale o stravagante. Quando ci si trova di fronte a un «ambiente», proprio perché esprime uno stato dell’anima, esso non può essere moralmente indifferente: o sarà buo­no e favorirà le anime nella considerazione e nell’assimilazione di Dio, o sarà cattivo e agirà in senso opposto.

Questo è quanto si potrà dire dell’onestà o della disonestà naturale degli ambienti. Sarà lecito fare un passo avanti e parlare di ambienti specifi­ca­mente cristiani? Ci sembra di sì. L’anima umana, toccata dalla grazia, acqui­sisce una perfezione soprannaturale che talora si rispecchia nel volto. L’a­giografia abbonda di testimonianze di ciò. Che cos’è stata la Tra­sfi­gu­ra­zio­ne se non questo? Ora, la pittura e la scultura possono esprimere qual­co­sa di ciò. E certi edifici in cui si trovano queste sculture e vetrate sono con es­se in una tale armonia da sembrar esprimere, a loro modo, la stessa ir­ra­dia­zione dell’anima umana misticamente incorporata a Nostro Signore Gesù Cristo. L’eroismo dei crociati fu tipicamente cristiano e, quindi, di­verso dall’eroismo puramente naturale di un legionario romano. È possibile os­servare l’ambiente formato in un paesaggio da un possente castello me­dioevale senza avere l’impressione che qualcosa di tipicamente cristiano ci toc­chi l’anima?.

 

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Quando in un determinato gruppo umano, per esempio in una famiglia o in una società, la vita sociale delle anime è re­golare e intensa, si costituisce in esso come un’anima collettiva, ossia un insieme di convinzioni, alcune del­le quali considerate come particolarmente importanti, di conseguenza una mentalità collettiva, uno stato di spirito comune ed esercitante un’in­flu­enza particolarmente forte su tutti i membri; il vocabolario si definisce at­tra­ver­so un uso più insistente di determinate parole o espressioni, che pren­dono talora perfino, all’interno del gruppo, una tonalità specifica. Non di rado fanno la loro comparsa perfino neologismi. D’altro lato il modo di ve­stirsi, di parlare, di comportarsi, tutte le preferenze personali tendono a ri­cevere il segno dei princìpi comunemente accettati e, soprattutto, di quelli dominanti. Infine, l’ambiente materiale si satura di questa influenza e a po­co a poco il quadro fisico — casa di famiglia, sede sociale e così via — viene tra­sfor­mato in modo da esprimere lo specifico spi­rito dominante.

Diverse società minori, che formano fra loro come una società di società — per esempio un insieme di famiglie in una città —, possono conservare un certo commercio spirituale comune, che costituisce un ambiente più ge­ne­ri­co, ma non meno significativo, della vita della città. La fioritura di un insieme di parole, di abiti, di abitudini locali, la produzione di opere d’arti­gianato segnate dallo stato di spirito locale e perfino da influenze artistiche chiaramente locali, tutto questo è il risultato di una società spirituale armo­nica, definita e attiva. Evidentemente potremmo risalire così dalla città alla regione, da questa al paese e da questo, a sua volta, alle grandi aree di cul­tu­ra e di civiltà.

Senza entrare nel dibattito inesauribile sul significato di «civiltà», di «cul­tura», di «stile» artistico, in questa sede chiamiamo «cultura» sociale lo stato dello spirito collettivo, l’«anima collettiva», almeno in quanto fecon­dato e ordinato dal lavoro intel­lettuale e in quanto esistente come nota ca­ratteristica che segna anche il la­voro intel­let­tuale; chiamiamo «civiltà» l’in­sieme delle istituzioni, delle leg­gi, dei co­stu­mi, infine tutto il modo d’es­se­re collettivo in quanto segnato dalla «cul­tura», e «stile» le mani­fe­stazioni artistiche, in quanto segnate dalla «cultu­ra» e, quindi, neces­sa­ria­mente af­fi­ni alla «civiltà».

Chiamiamo «ambiente» sociale l’impressione d’insieme e­sercitata sull’osservatore dal­l’azione ar­monica della civiltà, del­la cultura e dello stile, la trasparenza de­finita, forte, inequivoca, dello stato dell’anima e dei princìpi dottrinali che sono quanto quella società di anime ha di più intrinseco.

In questo senso possiamo e dobbiamo dire che l’ambiente, la cultura, lo stile, la civiltà, cioè i beni intrinsecamente più alti della società umana, so­no il prodotto della vita sociale in quanto società di anime. Questi beni so­no indispensabili al modo d’essere abituale delle anime e giustificano di per sé stessi, indipendentemente da altri argomenti — per altro tutti legit­ti­mi —, l’esistenza della società. Infatti nessuno può concepire una con­vi­ven­za umana che non tenda, attraverso il suo specifico dinamismo, a produrre questi beni. Né normali condizioni di vita per l’anima fuori da tutto quanto si possa chiamare ambiente, cultura, stile e civiltà.

Nello stesso senso dobbiamo anche dire che la funzione contemplativa dell’uomo su questa terra, apprendistato, prova e preannuncio della sua fun­zio­ne eterna in Cielo, di norma si esercita con il sostegno dell’ambiente, della cultura, dello stile e della civiltà. Perché l’uomo, con l’aiuto di tutto questo, vede meglio e as­si­mila in modo più adeguato o rifiuta i diversi a­spetti dell’ambiente che lo circonda.

Ancora in quest’ordine d’idee dobbiamo aggiungere che la formazione dell’ambiente, della cultura, dello stile, della civiltà costituisce, benché prodotti tipicamente spirituali, oggetto specifico della società temporale. Quindi quest’ultima nozione ci permetterà di proseguire nelle nostre ri­fles­sioni, giungendo a una prospettiva molto ampia dei rapporti fra la Chiesa e la società civile.

 

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Ma prima di arrivare a questo punto, consideriamo nelle loro mutue rela­zioni gli aspetti spirituali e materiali della vita temporale. In che maniera si relazionano fra loro le attività attinenti alla formazione del­l’ambiente, della cultura, dello stile, della civiltà con le al­tre attività, il cui intreccio forma la vita quotidiana degli uomini e delle so­cie­tà?

Consideriamo l’argomento nella sfera limitata di una famiglia. Per quanto costituisca un ambiente, per quanto la sua vita social-spiri­tua­le sia in­tensa, sarebbe erroneo immaginare che ciascuna delle sue attività sia diretta dalla preoccupazione completamente cosciente, definita, inten­zio­na­le, di formare uno stato di spirito e di definirlo. Molto di questo è fat­to con la na­turalezza e con la noncuranza con cui il corpo respira o il san­gue cir­cola nelle vene. Nel costruire un mobile, nel fare una tenda o nello sce­glie­re un quadro, le pre­occupazioni consapevoli di ordine assolutamente pra­ti­co, di carattere com­pletamente circostanziato, possono perfino avere u­n ruolo preponde­ran­te. Nonostante tutto ciò anche le forze più profonde del­l’anima colla­bo­re­ranno e lasceranno il loro segno sull’atto senza che, spes­so, lo perce­pi­sca la persona stessa che fa il mobile, che sceglie la tenda o il quadro. Affinità naturali, potenti, fra le varie cose acqui­sta­te succes­si­va­mente dalle diverse generazioni di una famiglia e che coe­si­stono in una stessa casa, e però tanto discrete che, talora, solo le persone estranee al ca­sa­to sono capaci di notare le caratteristiche, peraltro reali e palpitanti, del­l’at­mosfera dome­stica.

Questo spiega la formazione degli stili. Nessuno di essi è un prodotto a ta­volino, ma è opera di un’intera società. Gli artisti non sono propriamente i creatori dello stile in uso in una società, ma i suoi interpreti, i suoi pro­pul­sori nella linea in cui si va sviluppando la stessa mentalità sociale.Questo spiega anche il fatto che negli stili autenticamente prodotti da una società il pratico e il bello, gli elementi di utilità fisica e le caratteristiche di e­spres­sione mentale così si fondono armonicamente.

La vita specificamente mentale s’intesse in modo così intimo, s’imbeve così profondamente, si radica in modo così indissociabile nella vita ma­te­riale come l’anima nel corpo. In questa interpenetrazione sta la garanzia della sanità e dell’autenticità dell’una e dell’altra.

 

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Quale di queste attività è più importante nella vita temporale? In concreto, questo equivarrebbe a chiedere, quando in una famiglia si acqui­sta un og­getto — per esempio un armadio —, che cos’è più importante: che serva per custodire abiti o che, per il suo aspetto, accentui il potere e­spres­sivo del­l’ambiente materiale del casato? O se, in un paese, facendo il Pa­laz­zo di Giustizia, sia più importante la sua utilità pratica per il funzionamento degli organi di giudizio oppure la maestosità e la gravità di cui dev’essere permeato l’ambiente giudiziario e con cui deve esprimere la natura più intima della funzione del giudicare.

Quando un oggetto deve avere, per sua natura, due attributi, entrambi es­senziali, se gliene manca uno non vale nulla. Invece di scegliere fra l’ar­ma­dio materialmente utile e quello «spiritualmente» utile; invece di scegliere fra il Palazzo solo materialmente adeguato e il Palazzo solo spi­ri­tualmente adeguato, sarebbe il caso di cominciare rifiutando l’uno e l’altro.L’uomo ha il diritto e il dovere di essere sufficientemente esigente da non accontentarsi di un oggetto che presti cattivi servizi alla sua anima o al suo corpo.

Ma non vogliamo sfuggire alla domanda che poco prima avevamo for­mu­lato. Il fine immediato, peculiare, naturale di un armadio non consiste nel­l’essere una specie di condensato di dottrina o di mentalità. In questo senso è più importante che custodisca indumenti in modo conveniente. Ma, siccome il servizio prestato all’anima vale di più di quello prestato al corpo, in un cer­to senso è più importante la funzione educativa di un mobile del suo a­spet­to pratico.

Lo stesso si deve dire della società temporale considerata come un tutto. La sua condizione non può essere giudicata normale se non quando for­ni­sce condizioni di esistenza e di progresso soddisfacenti tanto per l’a­ni­ma quanto per il corpo. La reciproca influenza fra le due sfere porterà anche i progressi ottenuti in ciascuna ad avere ripercussioni favorevoli sul dina­mi­smo peculiare dell’altra. Qualitativamente, tuttavia, è certamente vero che i benefici dello spirito sono più importanti di quelli della materia. E perciò, benché pesi a certa mentalità moderna, è più importante per un pae­se avere una cultura propria, uno stile proprio, costumi, istituzioni, leggi in con­so­nanza con l’ambiente nazionale che una perfetta canalizzazione di acque e di fognature. L’Atene del tempo di Pericle brillerà per sempre nel fir­ma­mento della storia. L’Atene di oggi, incomparabilmente superiore all’al­tra quanto a comodità materiale di vita, che ricordo lascerà di sé nel fu­turo?

 

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Ora, si tratta di definire le relazioni fra le funzioni della società temporale, di cui abbiamo completato la descrizione, e la religione.

La Chiesa insegna che la vita terrena dev’essere paragonata a un no­vi­zia­to. Il novizio deve acquisire le conoscenze e le virtù che lo rendano atto alla vita religiosa. L’uomo deve acquisire nella vita terrena le conoscenze e le virtù che lo rendano atto al Cielo. Per virtù s’intende l’abito a operare se­condo la retta ragione. Il che suppone una conoscenza dei dettami della ret­ta ragione. Le operazioni a cui si riferiscono questi dettami non sono solo quelle esteriori, ma anche quelle interiori. Qualunque atto puramente in­te­riore dell’uomo, dal momento in cui ha il consenso della volontà, è su­scet­tibile di essere virtuoso o no, a seconda che sia in accordo o in disaccordo con la retta ragione. La società temporale-spirituale è dotata di un’azione potente sull’uomo per portarlo a porre atti interiori o esteriori conformi alla ra­gio­ne. Quindi essa può essere mezzo utile per salvare o per perdere.

Le manifestazioni più elevate della vita temporale s’inseriscono di loro propria natura nel cuore del problema della salvezza e non possono restarne in nessun modo estranee. Ma la società temporale può servire alla salvezza non solo con il concorso delle leggi con cui favorisce la vera Chiesa e re­prime l’errore. È attraverso le mille attività spirituali che co­sti­tuiscono quanto essa ha di meglio, cioè il fatto di essere una società di a­ni­me, senza di che non sarebbe neppure una società.

Quindi, nel caso della società temporale accade — mutatis mutandis — lo stesso che con la famiglia, società anch’essa naturale, temporale, ma desti­nata per quanto ha di più intrinseco ad attività coincidenti con quelle della Chiesa.

Posta tale profonda interpenetrazione di campi, voluta dalla Provvi­den­za, sarebbe assurdo supporre che Dio non volesse una collaborazione fra la società temporale e la Chiesa. E, di più, che in questa collaborazione fra due società intrinsecamente disuguali il temporale, naturale, perituro, non fosse in una posizione ministeriale in relazione allo spirituale, sopranna­tu­rale, eterno; il fine prossimo in relazione al fine ultimo.In queste considerazioni vi è base sufficiente per andare oltre, soste­nendo che la società temporale, soprattutto in quanto società di anime, giunge alla sua perfezione solo attraverso il magistero e la grazia, di cui la Chiesa è depositaria. Ma questo ci porterebbe lontano dal nostro tema.

 

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Quindi la società temporale deve esercitare, come la famiglia, ben­ché in un suo modo specifico, una funzione di apostolato nella propria sfera tem­porale, sotto l’ispirazione e il magistero della Chiesa.

Qual è l’importanza reale del suo contributo nell’opera della salvezza? Chiaramente si tratta di un contributo di carattere puramente naturale, per­ché solo la Chiesa è una società soprannaturale. Ciò posto, si può tut­ta­via sostenere che tale importanza è enorme. La Provvidenza ha voluto che l’ambiente di una famiglia, di una società culturale, professionale, ri­cre­a­ti­va o qualunque altra, l’ambiente di una città, di una provincia, di un paese, esercitassero sull’uomo un’influenza naturale profonda, dalla quale, per certo, egli si può liberare con l’aiuto della grazia, nel caso che tale in­fluen­za sia cattiva, ma che in ogni caso opera potentemente nella sua in­te­riorità. La prova di ciò sta nell’evidenza dei fatti. Dove le leggi, le istituzioni, i co­stumi, la cultura, lo stile, la civiltà costituiscono un ambiente pro­fon­da­men­te cattolico l’azione specifica della gerarchia ecclesiastica ottiene abi­tual­mente grandi frutti, e l’azione dei sacramenti, della predica­zione, l’ir­ra­dia­zione della santità dei ministri di Dio muove le moltitudini. Dove, per con­tro, tutto si oppone a essa, le difficoltà per l’azione della Gerar­chia di­ven­ta­no enormi. Sono certamente vincibili, perché a Dio niente è im­pos­si­bile. Ma operano di per sé stesse in modo sfavorevole.

Questo spiega come paesi interi siano caduti improvvisamente nell’eresia, come l’Inghilterra o le nazioni scandinave: tutto l’ambiente aveva una nota solo apparente di cattolicità. Veramente dominanti erano l’indifferenza, la tiepidezza.

In senso contrario, si potrebbe argomentare sulla base dell’espansione del­la Chiesa sotto le persecuzioni e il suo indebolimento dopo Costantino. L’argomento è intrinsecamente così debole da far sorridere. Chi può am­mettere che la Sposa Mistica di Cristo sia feconda solo quando trattata a colpi di frusta, che i suoi veri benefattori siano i Nerone, i Diocleziano e i suoi veri persecutori san Luigi, san Ferdinando o sant’Enrico?

 

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La società temporale, voluta da Dio, da Lui ordinata, realizzando in sé stessa un’opera di santificazione, è una società santa, che ha una funzione sacra. Società completamente naturale come la famiglia, ma come essa la­vo­rata in profondità dalla vita soprannaturale che germoglia nei suoi mem­bri. Società santa e sacra come la famiglia cristiana, alla quale conviene co­sì bene l’indicazione di santa che perfino il suo vincolo costitutivo è un sa­cramento istituito dallo stesso Gesù Cristo. Santo Impero, Santa Russia, Santa Francia erano anticamente indicazioni correnti e perfettamente legit­time. E nessuno si meravigliava che l’olio consacrato servisse come un sa­cramentale per ungere i re, che la loro investitura nel potere temporale su­premo avvenisse durante una Messa, in una funzione essenzialmente re­li­giosa, con la partecipazione del clero; che la croce di Cristo brillasse in alto sul simbolo del potere temporale che era la corona; o che il titolo più ono­revole del detentore sommo del potere temporale fosse un titolo re­li­gio­so: Sacra Majestas, Rex Apostolicus, Rex Christianissimus, Rex Catho­li­cus, Rex Fidelissimus, Defensor Fidei. Che i duchi di Lorena — i quali si ri­te­ne­va­no re di Gerusalemme — cingessero una corona il cui dia­de­ma era fat­to di spine o che il re di Lombardia avesse nella sua Co­rona Ferrea un Chiodo della Passione di Cristo. Tutti questi fatti attestavano la sa­cra­li­tà della società temporale e, pertanto, del potere temporale, benché questo fosse distinto dalla gerarchia ecclesiastica.

Giungiamo così alla nozione di società temporale ministra della Chiesa, che apre ampie prospettive per la nozione della società temporale sacrale. Ci sembra che, se tutti quanti s’interessano al problema dei rapporti fra la società temporale e la Chiesa avessero ben chiaro nello spirito che la parola «temporale» include a titolo principale enormi valori spirituali e quali essi siano, sarebbe loro più facile comprendere la «ministerialità» del tem­po­ra­le.