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Un autoritratto filosofico



di Plinio Corrêa de Oliveira

[Nel 1976, dietro richiesta del gesuita Stanislas Ladusans, che allora preparava una Enciclopedia del Pensiero Filosofico Brasiliano in vari volumi, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira scrisse una prima versione del suo autoritratto filosofico. Nel 1989, lo stesso sacerdote gli chiese di aggiornare il testo. A causa dei molteplici impegni, però, riuscì a farlo solo nel 1994, quando il sacerdote era ormai scomparso. Il testo fu finalmente pubblicato post mortem, nel 1997. I titoletti sono redazionali. Testo tratto da "Il Pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira", supplemento a Tradizione Famiglia Proprietà, Anno 3, No. 7, marzo 1997.]

 

Sono tomista convinto. L'aspetto della filosofia che più mi interessa è la filosofia della storia. In funzione di essa trovo il punto d'unione tra i due generi di attività ai quali mi sono dedicato durante la mia vita: lo studio e l'azione.

Quest'ultima l'ho esercitata in un campo ben definito: la propaganda dottrinale, realizzata tanto con carattere di dialogo come pure di polemica. Per quanto la nozione e la parola sembrino anacronistiche, mi sento pienamente a mio agio nel fare questa affermazione. Il saggio nel quale condenso l'essenziale del mio pensiero spiega anche il senso della mia azione ideologica. Si tratta del libro «Rivoluzione e Contro Rivoluzione».

Uno dei presupposti di questo saggio è che, al contrario di ciò che pretendono tanti filosofi e sociologi, il corso della storia non è tracciato esclusivamente o precipuamente dai fattori materiali. Essi influiscono, senza dubbio, sull'attività umana. Ma la direzione della storia appartiene all'uomo, dotato di un'anima razionale e libera. In altri termini, è lui che, operando alcune volte più profondamente ed altre meno sulle circostanze nelle quali si trova, e lasciandosene del pari influenzare, in modo variabile, modella il corso degli avvenimenti.

Orbene, l'azione dell'uomo si sviluppa, normalmente, in funzione delle sue concezioni sull'universo, su se stesso e sulla vita. Se ne può dedurre che le dottrine religiose e filosofiche dominano la storia, e che il nucleo più dinamico dei fattori che condizionano le grandi trasformazioni storiche si trova nelle attitudini dello spirito umano di fronte alla religione ed alla filosofia.

Civiltà cristiana: in completa consonanza con i princìpi basilari e perenni della Legge naturale e divina

Passo ad un altro presupposto di «Rivoluzione e Contro Rivoluzione». Una concezione cattolica della storia deve tener conto del fatto che la Legge Antica e la Legge Nuova contengono in sé non soltanto i precetti secondo i quali l'uomo deve modellare la sua anima per imitare Cristo, preparandosi in questo modo alla visione beatifica, ma anche le norme fondamentali della condotta umana in conformità con l'ordine naturale delle cose. 

Così, man mano che l'uomo si eleva nella vita della grazia, nel contempo va elaborando, con la pratica della virtù, una cultura, un ordine politico, economico e sociale, in completa consonanza con i princìpi basilari e perenni della Legge Naturale e della Legge di Dio. È ciò che si chiama Civiltà Cristiana.

È ovvio che la buona disposizione delle cose terrene non si limita a questi princìpi basilari e perenni, ma contiene anche molto di contingente, transitorio e libero. La civiltà cristiana abbraccia un'incalcolabile varietà di aspetti e sfumature. Ciò è tanto vero che, sotto un certo punto di vista, si può anche parlare di "civiltà cristiane" e non soltanto di civiltà cristiana. Tuttavia, data la comunanza dei princìpi fondamentali inerenti a ogni civiltà cristiana, la grande realtà che le riempie tutte è una potente unità, che merita il nome di Civiltà Cristiana per antonomasia. L'unità nella varietà e la varietà nell'unità sono elementi di perfezione. La civiltà cristiana continua ad essere una in tutte le varietà delle sue realizzazioni, dimodochè si può dire, nel significato più profondo della parola, che c'è una sola civiltà cristiana. Però è così prodigiosamente variegata nella sua unità che, facendo uso di una legittima libertà di espressione, si può affermare, da un certo punto di vista, l'esistenza di diverse civiltà cristiane.

Fatto questo chiarimento — che d'altronde vale in modo analogo per il concetto di cultura cattolica — preciso che impiegherò le espressioni civiltà cristiana e cultura cristiana nel loro significato maior, che è quello dell'unità.

Mi esimo dal comprovare le suddette affermazioni riportando le citazioni dai testi di San Tommaso o del Magistero della Chiesa, in quanto sono tanto numerose e così conosciute da coloro che studiano seriamente questi argomenti, che il lavoro risulterebbe allo stesso tempo fastidioso e superfluo. Questa osservazione vale ugualmente per altre considerazioni che appariranno in questa prima parte della presente esposizione.

In funzione dei citati presupposti, è facile definire il ruolo della Chiesa e della civiltà cristiana nella storia.

Le nazioni possono raggiungere la perfetta civiltà soltanto mediante la conformità alla grazia ed alla Fede

È vero che, benché l'uomo possa conoscere con salda certezza e senza errore ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla ragione umana, per effetto del peccato originale gli è impossibile praticare durevolmente la Legge di Dio [Denzinger-Schoenmetzer, 33ed, No. 3005]. Vi arriverà soltanto per mezzo della grazia. Anche così, per proteggere l'uomo contro la sua propria cattiveria e la sua propria debolezza, Gesù Cristo dotò la Chiesa di un Magistero infallibile che gli insegnasse, senza errore, non soltanto le verità religiose, ma anche le verità morali necessarie per la salvezza. 

L'adesione dell'uomo al Magistero della Chiesa è frutto della Fede. Senza di essa, l'uomo non può praticare durevolmente e integralmente i Comandamenti.

Ne deriva che le nazioni possono raggiungere la perfetta civiltà, che è la civiltà cristiana, soltanto mediante la conformità alla grazia ed alla Fede, il che include un fermo riconoscimento della Chiesa Cattolica come l'unica vera, e del Magistero ecclesiastico come infallibile.

Così, il punto chiave più profondo e centrale della storia consiste nel fatto che gli uomini conoscano, professino e pratichino la Fede cattolica.

Nel dire questo non nego, evidentemente, che siano esistite civiltà non cristiane di alto livello. Tuttavia, esse furono tutte deformate da questi o quei tratti che contrastavano in maniera aberrante con la elevatezza dimostrata in altri campi. Basti ricordare l'ampia diffusione della schiavitù nonché la condizione servile imposta alla donna prima di Gesù Cristo. Non vi fu alcuna civiltà che presentasse l'eccelsa perfezione propria della civiltà cristiana.

Allo stesso modo non contesto il fatto che, in paesi con popolazione a predominanza scismatica od eretica, la civiltà possa contenere importanti tratti di tradizione cristiana. Tuttavia, la pienezza della civiltà cristiana può fiorire soltanto con la Chiesa Cattolica e può conservarsi integralmente soltanto in popoli cattolici.

"Fu già un tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati..."

Ma qualcuno si chiederà: quando ci fu storicamente questa perfetta civiltà cristiana? È realizzabile la perfezione in questa vita? 

La risposta a queste domande indisporrà e irriterà molti lettori. Tuttavia, devo affermare che vi fu un tempo nel quale gran parte dell'Umanità conobbe questo ideale di perfezione e tese verso di esso con fervore e sincerità. A causa di questa tendenza nelle anime, i tratti basilari della civiltà divennero tanto cristiani quanto lo permettevano le circostanze di un mondo che stava sollevandosi dalla barbarie. Mi riferisco al Medioevo di cui, malgrado questa o quella pecca, Leone XIII scrisse eloquentemente: "Fu già un tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato; quando la religione di Gesù Cristo posta solidamente in quell'onorevole grado che le conveniva, traeva su fiorente all'ombra del favore dei Prìncipi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e l'Impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servizi. Ordinata in tal guisa la società recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare". [Leone XIII, enciclica «Immortale Dei», dell'1-11-1885, in ASS, vol. XVIII, p. 169.]

Questo giudizio sull'ampiezza dell'influenza della Chiesa nel Medioevo lo troviamo anche nel seguente testo di Paolo VI, riguardo il ruolo del Papato nell'Italia medievale: "Non dimentichiamo i secoli durante i quali il Papato ha vissuto la sua storia [d'Italia], difeso i suoi confini, custodito il suo patrimonio culturale e spirituale, educato a civiltà, a gentilezza, a virtù morale e sociale le sue generazioni, associato alla propria missione universale la sua coscienza romana ed i suoi migliori figli". [Allocuzione al Presidente della Repubblica Italiana, 11 gennaio 1964. «Insegnamenti di Paolo VI», Tipografia Poliglotta Vaticana, vol. II, p. 69.]

La civiltà cristiana non è quindi un'utopia. Essa è realizzabile, e difatti fiorì in un'epoca determinata, sussistendo in certa maniera ancora dopo il Medioevo, al punto che il papa San Pio X poté scrivere: "Non si deve inventare la civiltà, né si deve costruire la nuova società tra le nuvole. Essa è esistita ed esiste: è la Civiltà cristiana, è la società cattolica. Non si tratta che di instaurarla e restaurarla incessantemente nelle sue naturali e divine fondamenta, contro i rinascenti attacchi della malsana utopia, della rivolta e dell'empietà: "Omnia instaurare in Cristo". [S. Pio X, Lettera «Notre Charge Apostolique», 25 agosto 1910, in AAS, vol. II, pp. 615-619.]. Dunque, la civiltà cristiana possiede grandi vestigia, ancora vive ai nostri giorni.

Le crisi non nascono dalla mente di alcun pensatore, ma dalle passioni disordinate, istigate dal Potere delle tenebre

C'è chi immagina che tutte le crisi della cultura e della civiltà nascano necessariamente da qualche pensatore, dalla cui vigorosa mente scaturirebbe sempre la scintilla rischiaratrice — o distruttrice — destinata a propagarsi, in primo luogo, negli ambienti di alta cultura, conquistando poi tutto il corpo sociale. 

È chiaro che, a volte, le crisi nacquero in questo modo. Ma la storia non conferma che siano tutte nate così. E, in particolare, non fu così che nacque la crisi che fece declinare il Medioevo e che suscitò l'Umanesimo, il Rinascimento e la Pseudo-riforma protestante.

Proprio perché chiede all'uomo un'austerità di costumi faticosa per la natura umana decaduta, l'influenza della Chiesa sulle anime, sui popoli, sulle culture e sulle civiltà è continuamente minacciata. Le passioni disordinate, aizzate dall'azione preternaturale del Potere delle tenebre, attraggono continuamente gli uomini ed i popoli verso il male. La debolezza dell'intelligenza umana può essere sfruttata da queste tendenze. Facilmente l'uomo genera sofismi per giustificare le cattive azioni che desidera praticare, o che già pratica, così come i cattivi costumi che ha acquisito o che va acquisendo. Lo ha detto Paul Bourget: "Bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce col pensare come si è vissuto" [Paul Bourget, «Il demone meridiano», Salani Editori, Firenze 1956, p. 395.].

Orgoglio e sensualità: la loro capitale importanza nel processo di ribellione contro la Chiesa

Due sono le passioni che possono suscitare in special modo la ribellione dell'uomo contro la Morale e la Fede cristiana: l'orgoglio e la sensualità. 

L'orgoglio lo porta a respingere qualsiasi superiorità esistente in un'altra persona e genera in lui una voglia di preminenza e potere che giunge facilmente al parossismo, poiché il parossismo è il punto finale verso il quale tendono tutti i disordini. Nel suo stato parossistico, l'orgoglio assume tutti i risvolti metafisici: non si accontenta di scrollarsi di dosso questa o quella superiorità, questa o quella struttura gerarchica, ma desidera l'abolizione di ogni e qualunque superiorità in qualsiasi campo essa esista. L'uguaglianza completa e a tutti i costi gli si presenta come l'unica situazione sopportabile e, dunque, come la suprema regola di giustizia.

In questa maniera, l'orgoglio finisce col generare una propria morale. Al cuore di questa morale orgogliosa, troviamo un principio metafisico: l'ordine delle cose richiede l'uguaglianza, e tutto ciò che è disuguale è ontologicamente cattivo.

L'uguaglianza assoluta è, per colui che chiameremo "l'orgoglioso integrale", il supremo valore al quale tutto deve conformarsi.

La lussuria è l'altra passione disordinata di importanza cruciale nel processo di ribellione contro la Chiesa. Di suo, essa conduce al libertinaggio, incitando l'uomo a calpestare ogni legge ed a respingere come insopportabile ogni freno. I suoi effetti si sommano a quelli dell'orgoglio suscitando nella mente umana ogni specie di sofismi capaci di corrodere dall'interno il principio di autorità.

Perciò, la tendenza svegliata dall'orgoglio e dalla sensualità punta all'abolizione di ogni disuguaglianza, di ogni autorità e di ogni gerarchia.

Due processi: la Fede invita all'amore per la gerarchia; la corruzione, all'ugualitarismo anarchico

È chiaro che queste passioni disordinate, anche quando gli uomini capitolano davanti a esse, possono trovare in un'anima o nello spirito di un popolo contrappesi rappresentati da convinzioni, tradizioni, ecc. 

In questo caso, l'anima della persona o la mentalità del popolo rimane divisa in due poli opposti: da un lato la Fede, che invita all'austerità, all'umiltà, all'amore per tutte le gerarchie legittime; dall'altro lato la corruzione, che incita all'egualitarismo an-archico, nel significato etimologico della parola. Come si vedrà tra poco, la corruzione finisce per indurre al dubbio religioso ed alla negazione completa della Fede.

La maggior parte delle volte, l'opzione tra questi poli non avviene all'improvviso, ma a poco a poco. Mediante atti successivi d'amore verso la verità ed il bene, una persona o una nazione può progredire gradualmente nella virtù fino a convertirsi completamente. Fu ciò che successe all'Impero romano sotto l'influenza delle comunità cristiane, delle preghiere dei fedeli nelle catacombe e nei deserti, dell'eroismo che mostravano nell'arena e dei loro esempi di virtù nella vita quotidiana. È un processo ascensionale.

Ma il processo può anche essere di decadenza. L'ondata delle passioni disordinate mina le buone convinzioni, le buone tradizioni perdono la loro presa, i buoni costumi vengono sostituiti da costumi"piccanti", che degenerano in costumi francamente censurabili arrivando, alla fine, a costumi scandalosi.

Principali elementi dottrinali di «Rivoluzione e Contro Rivoluzione» 

Detto questo, possiamo riassumere i principali elementi dottrinali sui quali ho basato «Rivoluzione e Contro Rivoluzione»: 

a) la missione della Chiesa come l'Unica Maestra, Guida e Fonte di Vita dei popoli sulla via della perfetta civiltà;

b) la continua opposizione delle passione disordinate, particolarmente dell'orgoglio e della lussuria, all'influenza della Chiesa;

c) l'esistenza, nello spirito umano, di due poli opposti, verso uno dei quali ci si incammina necessariamente: da un lato la Fede cattolica, che invita all'amore, all'austerità e alla gerarchia; e dall'altro lato, le passioni disordinate, che incitano al libertinaggio, alla ribellione contro la legge, contro la gerarchia e contro qualsiasi forma di disuguaglianza e, alla fine, al dubbio ed alla completa negazione della Fede;

d) la nozione di un"processo" — che non toglie l'esercizio del libero arbitrio — mediante il quale, gradualmente, gli individui ed i popoli, subendo l'attrazione dei suddetti poli contrapposti, si avvicinano ad uno dei due distanziandosi dall'altro;

e) l'influenza di questo processo morale sull'elaborazione delle dottrine. Le cattive tendenze inducono all'errore; le buone tendenze, alla verità. Le grandi modificazioni nello spirito dei popoli non sono il mero risultato di dottrine elaborate da piccoli cenacoli di intellettuali che elucubrano serenamente al di fuori della realtà. Affinché una dottrina trovi eco in un popolo è necessario, la maggior parte delle volte, che le tendenze di tale popolo siano affini a questa dottrina. E non è raro che la medesima riflessione effettuata dai dotti, in privato, sia più influenzata di quanto si immagini da queste inclinazioni dell'ambiente in cui vivono. 

Alcune definizioni fondamentali: Ordine, Rivoluzione, Controrivoluzione

In base a tutto ciò è facile definire i concetti di: 

1) Ordine, che non è semplicemente la disposizione metodica e pratica delle cose materiali ma, secondo il concetto tomista, la giusta disposizione delle cose in base al loro fine prossimo e remoto, fisico e metafisico, naturale e soprannaturale.

2) Rivoluzione, che non è essenzialmente un'agitazione di piazza, una sparatoria o una guerra civile, ma ogni sforzo che pretende disporre gli esseri contro l'Ordine.

3) Controrivoluzione, ogni sforzo che punti a circoscrivere ed eliminare la Rivoluzione. 

Rivoluzione A, tendenziale e sofistica; Rivoluzione B, nelle leggi, strutture, istituzioni e costumi

Come si può ben vedere, l'Ordine, la Rivoluzione e la Controrivoluzione possono esistere: i) nelle tendenze; ii) nelle idee; iii) nelle leggi, nelle strutture, nelle istituzioni e nei costumi. 

In questa maniera, chiamo "tendenziale" la Rivoluzione in quanto esistente nelle tendenze. E "sofistica" in quanto si svolge sul terreno delle dottrine, al soffio delle tendenze.

Queste due modalità di Rivoluzione costituiscono un fenomeno eminentemente spirituale, cioè hanno come campo d'azione l'anima umana e la mentalità delle società. Formano un insieme che denomino "Rivoluzione A".

Quando la Rivoluzione passa dalla sfera in interiore homini a quella degli atti, producendo convulsioni, sconvolgendo le leggi, le strutture, le istituzioni, ecc, costituisce ciò che chiamo "Rivoluzione B".

È chiaro che queste nozioni, esposte così sinteticamente, presentano una serie di premesse ed eccezioni trattate in «Rivoluzione e Contro Rivoluzione», e su cui non è qui il caso di ritornare.

Mi limito a chiarire che, delineando in queste righe ciò che vi è di più essenziale nella storia, non pretendo che essa si riduca a questo. La più elementare osservazione mostra che innumerevoli fattori — etnici, geografici, economici, ecc. — condizionano fortemente il corso della storia.

Le inevitabili obiezioni dell'ugualitario contro la Fede 

Mi resta da dire una parola sul nesso tra l'ugualitarismo metafisico e la Fede. Chi è radicalmente ugualitario ha, inevitabilmente, obiezioni senza fine contro la dottrina cattolica. L'idea di un Dio personale, perfetto ed eterno, che sovrasta infinitamente dall'alto le Sue creature imperfette e contingenti; dell'ordine soprannaturale che trascende il naturale; della Legge promulgata da Dio, alla quale si deve obbedire; della Rivelazione, che comunica alla mente umana verità superiori alla sua naturale capacità di conoscenza; del Magistero infallibile della Chiesa; degli elementi monarchici ed aristocratici nella sua struttura; tutto, infine, compresa la nozione di un Giudizio nel quale i buoni saranno premiati ed i cattivi castigati, irrita l'ugualitario e lo incita alla negazione. 

In contrario sensu, il cattolico apprende in San Tommaso («Summa Theologica», I, q. 47, a. 2) che la disuguaglianza è una condizione necessaria per la perfezione dell'ordine creato. E, di conseguenza, le disuguaglianze di potere, scienza, categoria sociale e di fortuna sono intrinsecamente legittime e indispensabili al buon ordine, sempre che non giungano al punto di negare la dignità, la sufficienza e la stabilità di vita alla quale ha diritto ogni persona per la sua condizione di uomo, per il suo lavoro, ecc.

Prima Rivoluzione: Umanesimo, Rinascimento, Protestantesimo

Così arriviamo al significato profondo della "Rivoluzione A sofistica" e della "Rivoluzione B" che scossero l'Europa nel XV secolo in conseguenza dell'anteriore "Rivoluzione A tendenziale" descritta sopra. 

Il declino del Medioevo fu segnato da un'esplosione di orgoglio e sensualità. Questa esplosione generò tendenze ugualitarie e liberali che non fecero che progredire lungo i secoli successivi.

Nell'Umanesimo e nel Rinascimento si rivela l'ostilità al soprannaturale, al Magistero della Chiesa, così come all'austerità dei costumi. Nel Protestantesimo si trovano il libero esame, il minimalismo davanti al soprannaturale, l'impulso al divorzio, l'abolizione dello stato religioso, dell'austerità e della sottomissione espressa nei voti di povertà, castità e obbedienza, e l'eliminazione virtuale della gerarchia ecclesiastica. Effettivamente, in quasi tutte le sette protestanti esiste lo stato ecclesiastico. Ma la differenza limpida e profonda tra l'ecclesiastico ed il secolare, esistente nella Chiesa Cattolica, rimane in esse offuscata in virtù del modo in cui viene inteso il sacerdozio. Inoltre, la struttura gerarchica dello stato ecclesiastico, così come è istituita nella Chiesa, fu anche profondamente mutilata nelle sette protestanti con la negazione dell'elemento monarchico, che è il Papato. Se tra gli anglicani la tendenza ugualitaria non arrivò a sopprimere la dignità episcopale, tra i presbiteriani non vi sono più dignitari con il titolo di vescovo, ma soltanto preti. In altre sette il soffio dell'ugualitarismo giunse fino al punto di abolire perfino lo status sacerdotale.

È chiaro che mettendo in risalto l'importanza del fattore liberale ed ugualitario nell'Umanesimo, nel Rinascimento e nel Protestantesimo, non pretendo negare che abbiano concorso altre cause nella loro genesi e espansione. Dico solamente che, all'origine, nella psicologia, nelle dottrine, in quello che oggi si chiamerebbe successo propagandistico, e nelle attività concrete di queste movimenti, la "Rivoluzione A tendenziale", di significato radicalmente anarchico ed ugualitario, svolse il ruolo di forza trainante.

Neppure pretendo affermare che questa forza trainante abbia operato soltanto nelle nazioni che si separarono dalla Chiesa. Il Rinascimento e l'Umanesimo soffiarono con la massima intensità anche nei paesi che si mantennero nominalmente cattolici. E, benché la "Rivoluzione A tendenziale" non fosse arrivata a provocare una rottura esplicita con la Chiesa, svegliò tuttavia forme latenti di protestantesimo, delle quali la principale fu il giansenismo. Questo produsse un progressivo raffreddamento religioso che culminò nello scetticismo. Un attento studio dell'assolutismo monarchico, che in nessun paese protestante assunse forme più radicali che nella Francia cattolica, mostra come la politica dei monarchi assoluti, in tutto ciò che non colpiva la loro propria autorità, era contrassegnata da un certo spirito ugualitario. La riduzione dei privilegi del clero e della nobiltà, progressivamente attuata dai monarchi assoluti, tendeva all'equiparazione politica di tutti i cittadini, ugualmente sottomessi al potere del re. Il continuo appoggio dei re alla parte più attiva e sviluppata delle plebe, cioè alla borghesia, contribuì ancor più all'uguaglianza politica.

Seconda Rivoluzione: Enciclopedismo, Assolutismo, Rivoluzione Francese

La corruzione dei costumi, che andava crescendo verso la fine del Medioevo, raggiunse nel XVIII secolo un grado tale da allarmare persino qualcuno dei suoi corifei. 

La società francese, infiammata dai fattori che nei paesi nordici avevano prodotto il protestantesimo, si avviava, attraverso l'Enciclopedismo e l'Assolutismo, ad una profonda convulsione, la quale non sarebbe stata altro che la proiezione, nella sfera politica, sociale ed economica, e con nuovi sviluppi nel campo religioso e filosofico, di quella che era stata l'essenza del protestantesimo.

Così, quando quest'ultimo, alla fine del XVIII secolo, vecchio e stanco, mostrava di non avere più forza d'espansione, minato interiormente dai progressi crescenti del dubbio e dello scetticismo, conservando alcuni residui di vita grazie principalmente al sostegno dello Stato, le tendenze liberali ed ugualitarie raggiunsero l'apice in Francia. L'Umanesimo ed il Rinascimento erano morti da molto tempo. Nel Protestantesimo, come si è detto, tutto si era logorato. Ma ciò che questi tre movimenti avevano di più dinamico e fondamentale — lo spirito che li aveva suscitati — gli sopravvisse, risultando più forte che mai. Detto spirito doveva gettare la Francia, e poi tutta l'Europa, in un cataclisma liberale ed ugualitario.

La Rivoluzione francese era in tal modo marcata dallo spirito protestante che la Chiesa Costituzionale, da essa creata, non era altro che un mal dissimulato strumento per instaurare in Francia un vero protestantesimo. Il sentimento ugualitario, antimonarchico e anti-aristocratico della Rivoluzione francese è la proiezione, nella sfera civile, della tendenza ugualitaria che aveva portato il Protestantesimo a respingere gli elementi aristocratici e monarchici nella gerarchia ecclesiastica. Il fermento comunista, che lavorava all'estrema sinistra della Rivoluzione e che finì per esprimersi in movimenti come quello di Babeuf, non era altro che la versione laica dei movimenti radicali, come quello dei Fratelli Moravi, che germogliarono da ciò che si poteva chiamare l'estrema sinistra protestante. La completa laicizzazione dello Stato, la parodia greco-romana, la continua evocazione delle repubbliche del paganesimo classico, mostravano l'effetto dell'Umanesimo, del Rinascimento e dell'Enciclopedismo sulla Rivoluzione Francese.

Dobbiamo insistere. Il Protestantesimo, l'Umanesimo, il Rinascimento non furono altro che aspetti che lo spirito anarchico e ugualitario adottò nella sua lunga traiettoria storica. Questi aspetti si estinsero in parte perché lo spirito che li aveva suscitati, distruttore per eccellenza, li annichilì per andare sempre più avanti. La Rivoluzione francese non fu se non un nuovo aspetto, ancora più energico, di questo stesso spirito.

La Rivoluzione francese si propagò in tutta l'Europa sulla punta delle baionette napoleoniche

Attraverso vicissitudini storiche ben conosciute, la Rivoluzione francese, apparentemente conclusa con l'instaurazione dell'Impero, si propagò in tutta l'Europa sulla punta delle baionette napoleoniche. Le guerre e le rivoluzioni che contrassegnarono il periodo dal 1814 al 1918, cioè dalla caduta di Napoleone fino alla caduta degli Asburgo, dei Romanov e degli Hohenzollern, formano un complesso di convulsioni nel corso delle quali l'intera Europa si trasformò secondo lo spirito della Rivoluzione francese. I risultati della II Guerra Mondiale non fecero che accentuare ancor di più questa metamorfosi. Attualmente, resta soltanto una mezza dozzina delle antiche monarchie europee e tutte così timide e docili nel lasciarsi modellare sempre di più dallo spirito repubblicano, da dare l'impressione di scusarsi costantemente se sono ancora in vita. 

Nell'esporre queste osservazioni, non voglio negare in alcun modo che nelle strutture distrutte esistessero veri abusi, i quali richiedevano di essere corretti. Neppure voglio dire che l'adozione di una forma di governo elettiva e popolare possa essere solo il risultato dello spirito ugualitario e liberale che sto analizzando. Ciò non sarebbe la verità a livello dottrinale e neppure si giustificherebbe di fronte alla storia. Il Medioevo conobbe diverse strutture politiche aristocratiche, anche se non monarchiche, come la Repubblica di Venezia, e varie strutture senza carattere monarchico né aristocratico, come certi cantoni elvetici e città libere tedesche. Tutte queste forme di governo convivevano pacificamente tra di loro, poiché appariva chiara la legittimità delle diverse forme di governo secondo i tempi, i luoghi e le altre circostanze.

La Rivoluzione che scoppiò alla fine del Medioevo era animata da uno spirito completamente differente da quello che portò alla formazione degli Stati aristocratici o borghesi dell'Europa medievale. Questo spirito comportava l'affermazione della libertà assoluta e anarchica e dell'uguaglianza completa come unica regola di ordine e di giustizia, valide per tutti i tempi e luoghi.

Da parte sua, detto spirito minò la società borghese, politicamente ugualitaria, a cui diede origine. E passò, alla fine, a manifestare la più audace delle sue affermazioni nella terza grande Rivoluzione dell'Occidente, che è il comunismo.

I princìpi del 1789: tendenza verso la completa libertà e uguaglianza

La concezione ugualitaria si espresse nella "Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo" — magna charta della Rivoluzione francese e dell'era che inaugurò — in tutta la sua crudezza: "Gli uomini nascono e permangono liberi ed uguali nei loro diritti". È chiaro che questo principio è suscettibile di una corretta interpretazione. Fondamentalmente, cioè considerati nella loro natura, tutti gli uomini sono realmente uguali. Sono disuguali soltanto per le loro caratteristiche accidentali. D'altra parte, per essere dotati di un'anima spirituale e quindi di intelligenza e di volontà, sono fondamentalmente liberi. I limiti di questa libertà si trovano soltanto nella legge naturale e divina e nel potere delle diverse autorità spirituali e temporali alle quali devono sottostare gli uomini. 

Nessuno può negare che in ogni tempo siano esistite autorità che violarono la fondamentale uguaglianza e la fondamentale libertà dell'uomo, ed è evidente che nel corso della storia vi furono, di contro, successivi movimenti di difesa contro gli eccessi dell'autorità per cercare di contenerla nei suoi giusti limiti. Ed è ugualmente indiscutibile che tali movimenti, in quanto circoscritti a questo obiettivo, meritino soltanto plauso. L'uguaglianza e la libertà — rettamente intese — potevano utilmente essere riproposte nel XVIII secolo come in qualsiasi altra epoca.

È certo che, nel 1789, tra i rivoluzionari della prima ora, c'erano persone che non desideravano che un giusto argine al potere pubblico, ed intendevano l'uguaglianza e la libertà promulgate dalla "Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo" nella sua interpretazione più accettabile.

Ma il testo della famosa dichiarazione era troppo generico: affermava l'uguaglianza e la libertà senza porre loro alcuna restrizione, favorendo un'interpretazione elastica e inaccettabile, e quindi un'uguaglianza ed una libertà assoluta e senza freni.

Ovviamente, questa interpretazione era quella che corrispondeva allo spirito della Rivoluzione nascente. Lungo il suo corso si sbarazzò di tutti quei suoi seguaci che non si adeguavano a questo spirito. La caccia ai nobili ed ai chierici fu seguita dalla caccia ai borghesi. Doveva soltanto sopravvivere il lavoratore manuale.

Dopo la caduta del Terrore, la borghesia europea, desiderosa di eliminare le antiche classi privilegiate, continuò ad affermare gli "immortali princìpi" del 1789. Lo faceva in modo ambiguo e imprudente al fine di ottenere l'appoggio delle masse popolari contro il potere del re, dell'aristocrazia e del clero, incurante del fatto che avrebbe suscitato in loro la tendenza verso l'uguaglianza e la libertà complete.

Questa imprudenza facilitò in ampia misura la nascita del movimento che avrebbe sfidato il potere della borghesia.

Se tutti gli uomini sono liberi ed uguali, con quale diritto esistono i ricchi? Con quale diritto i figli ereditano, senza lavorare, i beni dei loro genitori?

Una burla l'uguaglianza politica senza quella sociale ed economica, proclamò il comunismo utopistico

Prima che l'industrializzazione formasse le grandi concentrazioni di sottoproletari affamati, il comunismo utopistico denunciava già come una burla la mera uguaglianza politica istituita dalla borghesia ed esigeva l'assoluta uguaglianza sociale ed economica. L'anarchia, che sognava una società senza autorità, guadagnava terreno. Questi princìpi radicali, che ebbero un numero ristretto di militanti nella fase del comunismo utopistico, raggiunsero più tardi una prodigiosa diffusione in Occidente. A poco a poco minarono anche la mentalità di non pochi monarchi, potenti ed altre personalità civili ed ecclesiastiche. Istillarono così, in ampie frange dei beneficiari dell'ordine allora vigente, una certa simpatia per la "generosità" degli ideali libertari ed ugualitari, nonché un "rimorso" riguardo la legittimità dei poteri dei quali erano investiti. 

La grande realizzazione di Carlo Marx non fu, a mio parere, l'elaborazione del cosiddetto comunismo scientifico, dottrina confusa e indigesta che pochi conoscono. Il marxismo è tanto ignorato dalle basi comuniste e dall'opinione pubblica dei nostri giorni quanto le elucubrazioni di Plotino o Averroè. Marx riuscì, questo è vero, a scatenare l'offensiva comunista mondiale collegando gli adepti di una tendenza radicalmente ugualitaria e anarchica, ispirata al comunismo utopistico.

In altre parole, se i leader marxisti sono imbevuti di Marx in maggiore o minore misura, i soldati da loro comandati ordinariamente non sono in grado di apprendere la dottrina. Ciò che li porta a seguire i capi sono vaghi aneliti di uguaglianza e di giustizia ispirati al socialismo utopistico. E se i marxisti trovano in certi settori dell'opinione publica un'aureola di simpatia, lo devono in fondo all'irradiazione quasi universale dei princìpi ugualitari della Rivoluzione francese e del sentimentalismo romantico inerente al socialismo utopistico.

Un sostrato ugualitario e anarchico continua ad influire profondamente sull'opinione pubblica

Da tutte queste considerazioni risalta con chiarezza il fattore che è la causa principale del caos nel quale va sprofondando l'Occidente e verso il quale sta trascinando il resto del mondo. Questo fattore consiste nell'accettazione assai generalizzata delle tendenze e dottrine di sostrato ugualitario e anarchico che, sebbene interamente démodées nei circoli propriamente intellettuali, continuano tuttavia ad influire profondamente sull'opinione pubblica. E così servono da esca ai comunisti per trascinare dietro di loro, in determinate congiunture politiche, le moltitudini con le quali intendono demolire le ultime vestigia di sacralità e gerarchia della civiltà cristiana ancora esistenti. 

Questo non vuol dire che il pensiero di Proudhon e dei suoi correligionari costituisca il grande motore ideologico degli avvenimenti contemporanei. Gli utopisti sono morti e quasi nessuno si ricorda di loro. Essi non furono che una tappa nella grande traiettoria cominciata con i movimenti ideologici e culturali del XV secolo. Contribuirono a universalizzare le aspirazioni di livellamento economico-sociale che la Rivoluzione francese conteneva soltanto in germe. Dette aspirazioni di totale uguaglianza economica e sociale, di cui gli utopisti furono solo i portavoce, raggiunsero un'eco diffusa in tutto il mondo. Questa eco prosegue lungo la storia molto dopo che sono caduti nel dimenticatoio sia loro che le loro opere.

Se vogliamo, quindi, fermare il cammino verso la nuova catastrofe che incombe, bisogna principalmente eliminare il tragico errore dottrinale che identifica l'uguaglianza assoluta con la giustizia assoluta, e la vera libertà — alla quale la Verità e il Bene assoluto hanno diritto — con il via libera e anche il sostegno a tutti gli errori e a tutti i disordini.

Tutto questo ci conduce a pensare alla Controrivoluzione.

La Controrivoluzione deve segnalare gli errori metafisici fondamentali della Rivoluzione

Nel corso degli ultimi secoli molti movimenti si sono levati contro il processo rivoluzionario. Tuttavia il loro successo fu effimero e, a volte, addirittura nullo. Non che a questi movimenti mancasse l'appoggio di brillanti talenti, né di persone collocate in posizioni elevate, né di ampi settori popolari. Ma questi movimenti si limitarono, la maggior parte delle volte, a combattere contro l'una o l'altra delle espressioni religiose, politiche, sociali ed economiche della Rivoluzione. Sebbene di tanto in tanto indicassero gli errori rivoluzionari più profondi e di portata metafisica, non insistevano sufficientemente su di loro. Di conseguenza la Rivoluzione continuava imperterrita il suo corso. 

Altri giudicavano più abile usare il suo linguaggio e le sue tecniche per fermarla e scagliarsi contro qualcuno degli innegabili abusi che la stessa Rivoluzione denunciava. In questo modo cercavano di "toglierle i pretesti"Certo, combattere gli abusi è sempre meritorio. Ma quanta ingenuità c'era nell'immaginare che la forza della Rivoluzione avesse le radici soprattutto nell'indignazione causata da certi abusi contro i quali si scagliava! La storia ha provato quanto fosse fallace questa tattica. Alcuni abusi, che esistevano alcuni decenni or sono, furono corretti così efficacemente in Europa che Pio XII potè dire ai cattolici riuniti a Vienna per il Katholikentag:

"La Chiesa guarda oggi indietro alla prima epoca delle lotte sociali contemporanee. Al centro dominava la questione operaia: la miseria del proletariato e il dovere di elevare questa classe, consegnata senza difesa alle incertezze della congiuntura economica, alla dignità delle altre classi dotate di diritti concreti. Questo problema può essere oggigiorno considerato risolto, almeno nella sua essenza, e il mondo cattolico ha contribuito in modo leale ed efficace a questa soluzione". [Radiomessaggio del 14 settembre 1952. «Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII», Tipografia Poliglotta Vaticana, vol. XIV, p. 313.] E tuttavia, la Rivoluzione continua a ruggire più minacciosa che mai.

Così, senza negare il carattere meritorio di tanti movimenti di valenza controrivoluzionaria nel passato o nel presente, senza neppure negare ciò che vi è di benemerito nella lotta contro le ingiustizie insite nell'attuale ordine di cose, mi sembra che la grande necessità dei nostri giorni consista nel segnalare gli errori metafisici fondamentali della Rivoluzione e l'intimo nesso esistente tra queste tre grandi ondate che si rovesciarono contro la Cristianità occidentale: in una prima tappa l'Umanesimo, il Rinascimento e la Pseudo-Riforma protestante (prima Rivoluzione); più tardi la Rivoluzione francese (seconda Rivoluzione); ed infine il Comunismo (terza Rivoluzione).

Nel campo delle idee non esistono soltanto l'antico ed il nuovo ma, soprattutto, il vero e l'eterno

Nel leggere questo "autoritratto filosofico" sarà venuta in mente a molti, fin da principio, un'obiezione: tutto questo è anacronistico e incapace di attecchire nel mondo in cui viviamo. 

I fatti parlano in senso contrario. Nel campo delle idee non esiste soltanto l'antico ed il nuovo come vogliono gli evoluzionisti. Esiste, soprattutto, il vero, il buono, il bello ed il perenne, in irriconciliabile contrapposizione con l'errore, il male ed il mostruoso. E di fronte al verum, bonum e pulchrum significativi settori della gioventù moderna non solo non rimangono insensibili, ma si schierano risolutamente a favore della sua espansione.

La tradizione del perenne non è morte, ma vita. Vita di oggi e vita di domani. Non si spiegherebbe in altro modo l'influsso delle diverse TFP tra i più giovani.

Non pretendo tanto difendere solamente il passato, quanto collaborare — assieme ad altre forze vive — per influire sul presente e preparare il futuro. Sono sicuro che i princìpi ai quali ho consacrato la mia vita sono oggi più attuali che mai e indicano il cammino che il mondo seguirà nei prossimi secoli.

Gli scettici potranno sorridere, ma il sorriso degli scettici non è mai riuscito a fermare la marcia vittoriosa di coloro che hanno Fede.

 

 

Sul terreno dell’azione


Queste dottrine hanno dato significato alla mia azione come parlamentare, professore, scrittore e giornalista.

In questa sede faccio riferimento solo di passaggio alla mia azione come deputato della Lega Elettorale Cattolica all’Assemblea Costituente Federale del 1934. Essa non interessa direttamente l’enciclopedia per la quale mi è stato chiesto di scrivere.

Nella mia lunga attività d’insegnamento — sia come professore di Storia della Civiltà nel collegio universitario, sezione annessa alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di San Paolo; sia come professore della stessa disciplina nel Collegio Roosevelt di San Paolo; sia come ordinario di Storia Moderna e Contemporanea nella Facoltà di Filosofia di São Bento e nella Facoltà di Filosofia Sedes Sapientiae, entrambe della Pontificia Università Cattolica di San Paolo — le considerazioni appena fatte non sono mai state assenti dal mio spirito.

Operando come direttore del noto settimanale cattolico O Legionário, organo ufficioso dell’arcidiocesi di San Paolo; come uno dei fondatori e segretario della giunta statale della Lega Elettorale Cattolica dello Stato di San Paolo; come presidente della giunta arcidiocesana dell’Azione Cattolica; e anche come segretario della Federazione delle Congregazioni Mariane di San Paolo, ho caratterizzato il mio apostolato con la preoccupazione di lottare sempre contro la Rivoluzione.

Rivoluzione che non vedevo incarnata soltanto in movimenti di sinistra, ma pure in tendenze incubate di frequente in movimenti di centro, e anche in altri che si etichettavano di estrema destra. Contro questi ultimi, in modo particolare, ho condotto campagne energiche, ribattute per altro con violenza. Le pagine di O Legionário sono piene della polemica sostenuta contro le varie forme di fascismo e di nazismo, al tempo in cui questi movimenti sembravano raggiungere l’apice.

La Contro-Rivoluzione è pure quanto dà senso alla mia attività di scrittore.


«Em Defesa da Ação Católica»: grido d’allarme contro germi di laicismo, liberalismo e ugualitarismo negli ambienti cattolici


Il mio primo libro è stato pubblicato nel 1943 e s’intitola «Em Defesa da Ação Católica». Era un grido d’allarme contro germi di laicismo, di liberalismo e di ugualitarismo che cominciavano a invadere l’Azione Cattolica. In qualità di presidente del ramo paulista di questo organismo, era di mia competenza aprire la lotta contro tali errori. Il libro suscitò controversie appassionate, che non cessarono neppure quando, nel 1949, ricevetti a proposito del libro una calorosa lettera di elogio, inviata, a nome di Papa Pio XII, da mons. Giovanni Battista Montini [Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini (1897-1978)], allora sostituto della Segretaria di Stato della Santa Sede e poi Papa Paolo VI.

«Em Defesa da Ação Católica» fu applaudito in buona parte dei settori cattolici. Tuttavia, in alcuni ambienti continuarono a diffondersi i germi del progressismo, culminando nell’onda di errori che oggi notoriamente si estende in tutto il paese. Quanti in futuro scriveranno con imparzialità la storia della Chiesa in Brasile nel secolo XX credo riconosceranno che la notevole resistenza incontrata dal progressismo fra noi si deve, in larga misura, al grido d’allarme di «Em Defesa da Ação Católica». Infatti questo libro mise in allarme, contro il virus incipiente del progressismo brasiliano, molte mentalità che non avevano cominciato ancora a subire l’azione seduttrice delle idee nuove.

Come si può vedere, il mio primo libro, benchè di carattere dottrinale, è stato scritto in funzione di un importante problema concreto, già a quei tempi molto attuale.

 


L’effetto più rilevante di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione»: le TFP e associazioni affini in ventisei paesi nei cinque continenti


Non si può dire la stessa cosa di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione». Dal riassunto che ne ho fatto sopra è facile percepire che il suo tema non aveva relazioni prossime con una qualche problematica dell’attualità brasiliana nel 1959, anno in cui è stata pubblicata. Il principale obiettivo della nuova opera fu esplicitare, agli occhi del pubblico, il significato dottrinale profondo del prestigioso mensile di cultura Catolicismo, all’epoca edito a Campos (Rio de Janeiro) sotto gli auspici dell’allora vescovo di quella diocesi, mons. Antonio de Castro Mayer.

In Brasile «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» ha avuto quattro edizioni. La prima pubblicazione, nel 1959, fu fatta sul numero 100 di Catolicismo con due tirature. Le edizioni si sono succedute nel mondo ispanico, negli Stati Uniti, in Canada e in Italia.

L’effetto più rilevante di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» è consistito nell’aver ispirato, in Brasile, la costituzione della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade-TFP e, fuori dal paese, la fondazione di organizzazioni dello stesso genere e autonome, che oggi fioriscono in quasi tutte le grandi nazioni dell’Occidente e stendono i rami negli altri continenti. Anche Bureaux di rappresentanza delle TFP esistono in vari paesi, proiettando in questo modo i princìpi dottrinali e gl’ideali di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» in ventisei paesi dei cinque continenti.Questi organismi costituiscono una grande famiglia spirituale formata attorno a «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione».


Una trasformazione interna annunciata dagli stessi teorici marxisti: il crollo dello Stato e il sorgere della società cooperativista

Nel 1976 ho aggiunto a «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» una terza parte. Si tratta di una mise au point del panorama internazionale trasformato dalla Rivoluzione nei circa vent’anni trascorsi dal lancio dell’opera, per permettere al lettore di collegare facilmente il suo contenuto alla nuova realtà di allora.

Il dominio della III Rivoluzione — quella comunista — era giunto a uno stato paradossale di apogeo e di crisi. Apogeo per l’estesa area che il comunismo era effettivamente giunto a dominare e per l’influenza esercitata in Occidente attraverso l’enorme alleanza di partiti comunisti, criptocomunisti, paracomunisti, oltre il magma illimitato degli utili idioti. Insieme all’apogeo, crisi. Infatti, il comunismo era entrato pari passu in declino, presso l’opinione pubblica. Il suo potere di persuasione e la sua capacità di guida rivoluzionaria diminuivano dentro e fuori dai confini dell’Unione Sovietica. Compromessa così l’avanzata del comunismo dall’insuccesso dei suoi consueti metodi d’azione e di proselitismo, avrebbe optato, da lì in avanti, per l’avventura?

Il fatto è che, al vertice del proprio potere, la III Rivoluzione ha smesso di minacciare e di aggredire, ed è passata a sorridere e a chiedere. Ha abbandonato la via diretta — sempre la più breve — e ne ha scelto una a zig zag, nel corso della quale non mancavano le incertezze.

Ha posto allora il meglio delle sue speranze nella guerra psicologica rivoluzionaria, che si serve del sorriso soltanto come arma di aggressione e di guerra, e trasferisce il proprio impatto conquistatore, di violenza — cioè físico e palpabile —, al campo delle operazioni psicologiche, cioè al campo impalpabile. Il suo obiettivo: conseguire all’interno delle anime, per tappe e in modo non visibile, quella vittoria che determinate circostanze le stavano impedendo di conquistare in modo drastico e visibile, secondo i metodi classici.

Ben inteso, questi metodi non hanno nulla di comune con la semplice invenzione giornalistica correntemente denominata conquista delle menti, lavaggio del cervello e così via. Non si trattava di realizzare, nel campo dell’intelletto, alcune operazioni in ordine sparso e sporadiche. Si trattava, al contrario, di un’autentica guerra di conquista — psicologica, sì, ma totale — avendo presente tutto l’uomo e tutti gli uomini in tutti i paesi.

Non sarebbe possibile descrivere questa guerra psicologica rivoluzionaria senza trattare accuratamente del suo svolgersi in quanto costituisce l’anima stessa dell’Occidente, ossia il cristianesimo, e più precisamente la religione cattolica, che è il cristianesmo nella sua pienezza assoluta e nella sua autenticità unica.

Nella prospettiva di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» il successo dei successi conseguito dal comunismo post-staliniano sorridente è stato il silenzio enigmatico, sconcertante e spaventoso, apocalitticamente tragico, del Concilio Vaticano II a proposito del comunismo.

L’evidenza dei fatti indica, dunque, il Concilio Vaticano II come una delle maggiori calamità, se non la maggiore, della storia della Chiesa. Dopo di esso è penetrato nella Chiesa, in proporzioni impensabili, il «fumo di Satana», che si va diffondendo giorno dopo giorno, con la terribile forza di espansione dei gas. A scandalo di innumerevoli anime, il Corpo Mistico di Cristo è entrato nel sinistro processo di «autodemolizione», del quale ha parlato Paolo VI.


*   *   *


Era così delineata la situazione della III Rivoluzione, come si presentava poco prima del XX anniversario della pubblicazione di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione».

Tuttavia, questo panorama non sarebbe completo se si dimenticasse una trasformazione interna alla III Rivoluzione: si tratta della IV Rivoluzione che da essa sta nascendo.

Come ben si sa, né Marx né la generalità dei suoi più noti seguaci hanno visto nella dittatura del proletariato la tappa finale del processo rivoluzionario. Nella mitologia evoluzionista inerente al pensiero di Marx e dei suoi continuatori, così come l’evoluzione si svilupperà all’infinito nel succedersi dei secoli, così anche la Rivoluzione  non avrà termine. Dalla I Rivoluzione ne sono già nate altre due. La terza, a sua volta, ne genererà un’altra. E da qui in avanti...

Non è impossibile prevedere, per ora, nella prospettiva marxista, come sarà la IV Rivoluzione. Dovrà consistere, secondo gli stessi teorici marxisti, nel crollo della dittatura del proletariato in conseguenza di una nuova crisi, in forza della quale lo Stato ipertrofico sarà vittima della propria ipertrofia. E scomparirà, dando origine a uno stato di cose scientista e cooperativista, nel quale — dicono i comunisti — l’uomo avrà raggiunto un grado di libertà, uguaglianza e fraternità fino a questo punto inimmaginabile.

Come? — È impossibile non chiedersi se la società tribale sognata dalle correnti strutturaliste non dia una risposta a questa domanda. Lo strutturalismo vede nella vita tribale una sintesi illusoria fra il vertice della libertà individuale e del collettivismo consentito, nel quale quest’ultimo finisce per divorare la libertà. In tale collettivismo, i diversi io o le persone individuali, con il loro pensiero, la loro volontà e i loro modi d’essere, caratteristici e confliggenti, si fondono e si dissolvono — secondo loro — nella personalità collettiva della tribù generatrice di un pensare, di un volere, di uno stile d’essere comuni in modo compatto.

La Parte III di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» termina con considerazioni su questa IV Rivoluzione nascente. 


Metamorfosi del comunismo verso la società autogestionaria

Il decennio seguente, quello degli anni 1980, non si sarebbe chiuso senza che i pronostici fatti nella parte III di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» fossero straordinariamente confermati nei fatti.

Non riuscendo più a nascondere lo strepitoso fallimento economico, come pure la disumana limitazione delle libertà legittime, la Russia sovietica optò per l’ammissione del fatto, apertamente, davanti al mondo. E così, dopo convulsioni geopolitiche spettacolari che fecero seguito ai programmi liberaleggianti della glasnost (1985) e della perestrojka (1986) promossi da Gorbachev, il regime sovietico è crollato (1989-1991) e da allora sembra evolvere verso un modello meno lontano da quello vigente in Occidente.

Questa trasformazione pone un problema strategico nuovo per i non comunisti, poiché sembra contenere un appello: così come si è dissolta la struttura granitica del comunismo, anche l’Occidente diventi meno rigido nell’applicazione dei princìpi della proprietà privata e della libera iniziativa, accettando di fare passi decisivi nella direzione del socialismo. In questo modo Occidente e Oriente convergeranno verso un punto intermedio — non necessariamente a metà strada e, possibilmente, ben più prossimo al comunismo che al capitalismo — e si sarà trovata una soluzione definitiva per la pace mondiale.

Quanti in Occidente non si sono lasciati sedurre da questa prospettiva! Quanti non sono propensi a dire: è meglio che accettiamo un regime più ugualitario, con meno libertà civile ed economica, per evitare che la situazione in Russia retroceda, i comunisti riprendano il potere e torni a turbarci il terribile spettro dell’olocausto nucleare, dal quale ci siamo miracolosamente liberati!

A questa riflessione bisogna rispondere che le guerre sono castighi per i peccati degli uomini. L’accettazione di un regime antinaturale e contrario alla Legge di Dio, qual è il comunismo, anche se un poco mitigato, costituisce un enorme peccato che, raddoppiando inevitabilmente i propri effetti malefici, può solamente portare gli uomini alla rovina e all’infelicità.

Così, di fronte allo sfacelo dell’impero sovietico, in Occidente gli spiriti più acuti si chiedono quanto tutto questo sia autentico, vero, inoppugnabile, autorizzi speranze solidamente fondate. E, benché non manchino ottimisti che hanno fretta di spalancare le braccia a tali prospettive ingannevolmente promettenti, la prudenza raccomanda molta circospezione di fronte all’enigmatica ritirata del comunismo, che senza difficoltà può essere nient’altro che una metamorfosi per giungere alla sua meta ultima, che è la società autogestionaria.

Lo fa osservare onestamente lo stesso Gorbachev, nel suo saggio propagandistico «Perestrojka. Il nuovo pensiero per il nostro paese e per il mondo»: «Lo scopo di questa riforma è assicurare [...] la transizione da una direzione eccessivamente centralizzata, e basata sugli ordini, a una direzione democratica, basata su una combinazione tra il centralismo democratico e l’autogestione». Autogestione che, per altro, era «il fine supremo dello Stato sovietico», come stabiliva la stessa Costituzione dell’ex URSS nel suo Preambolo. Tutte queste considerazioni si trovano più ampiamente spiegate nell’edizione aggiornata di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione pubblicata nel 1992.

 


Se il Brasile non ha conosciuto la disgrazia della polverizzazione agraria, si deve a «Reforma Agrária. Questão de Consciência»


È giunto il momento di menzionare alcune realizzazioni contro-rivoluzionarie importanti, portate a termine dalle TFP nei rispettivi paesi.

Nel 1960 ribolliva in Brasile un’agitazione agraria... quasi tutta urbana! Una propaganda sapientemente orchestrata nelle grandi città cercava di far credere che tutto il nostro mondo rurale era sul punto di esplodere a causa dello scontento della classe dei braccianti. Stando a quanto si diceva, per disarmare il fermento delle masse rurali — prevenendo così un’ecatombe — s’imponeva la realizzazione di una Riforma Agraria. Sarebbe consistita fondamentalmente nell’esproprio da parte del Potere Pubblico, a prezzo vile, dei latifondi improduttivi, in vista di distribuire terra ai piccoli agricoltori. Il dinamismo stesso dello spirito ugualitario che animava gli agro-riformisti li portava intanto a eliminare progressivamente tutte le grandi e medie proprietà, trasformando la nostra struttura rurale in un immenso tessuto di piccole proprietà di dimensioni familiari.

Allora venne alla luce il libro «Reforma Agrária. Questão de Consciência». Opera di grande portata, esigeva un lavoro di squadra. Così ho redatto la prima parte del libro, sottoponendola quindi all’esame di due illustri prelati, mons. Antonio de Castro Mayer, allora vescovo di Campos, e mons. Geraldo de Proença Sigaud [religioso verbita (1909-1999)], allora vescovo de Jacarezinho, poi arcivescovo di Diamantina, affinché facessero la revisione del testo dal punto di vista specificamente teologico. Della seconda parte, di natura tecnica, si fece carico l’economista Luíz Mendonça de Freitas.

L’opera fu accolta molto favorevolmente negli ambienti rurali e fu oggetto di manifestazioni di plauso da parte di governatori, deputati statali e federali, senatori, centinaia di prefetti, consigli municipali e organismi di categoria.

Gli stessi autori hanno pubblicato nel 1964 la «Declaração do Morro Alto», un programma positivo di Riforma Agraria.

Nel loro insieme queste opere costituivano nello stesso tempo un’aperta ed energica difesa del principio della proprietà privata, negato più o meno velatamente dall’agro-riformismo socialista ed espropriatorio, come pure un’affermazione della funzione sociale del citato principio, per correggere abusi e falle esistenti nella nostra situazione rurale.

«Reforma Agrária. Questão de Consciência» diede origine a polemiche che misero in guardia l’opinione pubblica contro i veri obiettivi delle riforme di struttura allora preconizzate dalle correnti di sinistra, e in questo modo contribuì alla formazione del clima ideologico e psicologico che tagliò la strada all’instaurazione della repubblica sindacalista allora auspicata dal presidente João Goulart [João Belchior Marques Goulart (1918-1976), detto «Jango»].

Innegabilmente, se il nostro paese non conobbe la disgrazia della polverizazione della sua struttura agraria in innumerevoli minifondi di bassa produzione, si deve in larghissima misura a questo libro.

 


«Acordo com o regime comunista: para a Igreja, esperança ou autodemoliçao?». Lettera di elogio di una Congregazione della Santa Sede


Tuttavia, fra le mie opere, quella che ha avuto la maggiore diffusione è stata incontestabilmente «A liberdade da Igreja no Estado comunista», che, nelle ultime edizioni, uscì con il titolo «Acordo com o regime comunista: para a Igreja, esperança ou autodemolição?».


L’opera fu appoggiata da una lettera di elogio, datata 2 dicembre 1964 e firmata dai cardinali Pizzardo [Giuseppe (1877-1970) e Staffa [Dino (1906-1977)].

Questo studio ha avuto ripercussioni oltre la Cortina di Ferro. Il settimanale cattolico di sinistra Kierunki e il mensile Zycie i Mysl, entrambi polacchi, lo attaccarono violentemente. Zbigniew Czajkowski, collaboratore di questi due periodici, pubblicò ampi e indignati articoli contro il mio saggio. Risposi attraverso le pagine di Catolicismo. Ne seguì una polemica, in cui intervenne a sostegno della mia opera il periodico L’Homme Nouveau, di Parigi, per la penna del proprio collaboratore Henri Carton, mentre Témoignage Chrétien — turbolento organo comuno-progressista francese — si poneva accanto a Czajkowski.

Come «Reforma Agrária. Questão de Consciência», anche «A liberdade da Igreja no Estado comunista» venne scritta in funzione di un problema concreto. Già allora si veniva diffondendo fra i cattolici — astutamente propagandata — l’idea secondo cui l’unico ostacolo che impedisce loro di aderire al regime comunista sta nel fatto che questo solitamente proibisce l’esercizio del culto. A partire da questa nozione gravemente incompleta, fu facile ai marxisti, simulando rispetto per la libertà della Chiesa, ottenere un deciso appoggio di certi cattolici per un ipotetico comunismo che lasciasse completa libertà ai diversi culti.

Questa manovra propagandistica avrebbe potuto rendere — e ha reso — al comunismo incalcolabili benefíci. Infatti, nella misura in cui avesse influenzato le masse cattoliche, avrebbe indebolito o annullato l’opposizione che gli 800 milioni di cattolici esistenti nel mondo avebbero dovuto fare al comunismo.

Nel mio saggio ho cercato di rendere vana questa manovra già nel 1963, mostrando che è intrínseco al regime comunista eliminare o mutilare molto gravemente l’istituto della proprietà privata, il che, a sua volta, è contrario alla dottrina della Chiesa. Per essere fedele alla sua missione la Chiesa non avrebbe potuto cessare di combattere tale regime, anche se questo le avesse riconosciuto completa libertà di culto. Tale lotta avrebbe creato un inevitabile conflitto fra i cattolici e qualunque Stato comunista.

 


«Trasbordo ideologico inavvertito e diálogo» denuncia una manovra per debilitare la resistenza ideologica dei cattolici


Anche «Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo» ebbe vasta ripercussione.

Questo saggio mostra in che modo i comunisti si servono del dialogo per indebolire surrettiziamente la resistenza ideologica dei propri avversari, e specialmente dei cattolici. L’argomento in esso trattato è eccessivamente complesso e vasto per poter tentare di riassumerlo in questa sede. Una delle osservazioni più importanti — di ordine pratico — contenute in questo studio è che, attraverso un falso dialogo, i comunisti non mirano tanto a ottenere che i cattolici rinuncino esplicitamente alla fede, ma che accettino un’interpretazione relativista ed evoluzionista della dottrina cattolica. Così si corrompe la fede, che per sua natura esige una certezza incompatibile con lo stato di dubbio inerente al relativismo e all’evoluzionismo. E, ottenuto questo risultato, non è diffícile alla propaganda comunista indurre i cattolici ad aspettarsi dal dialogo con il comunismo l’incontro di una sintesi... che potrebbe proprio essere, come punto d’arrivo, il comunismo stesso con un’altra veste.

 

 


«A Igreja ante a escalada da ameaça comunista. Apelo aos Bispos Silenciosos»


Nel 1976 ho pubblicato il libro intitolato «A Igreja ante a escalada da ameaça comunista. Apelo aos Bispos Silenciosos». Questo mio lavoro costituisce un’analisi marcatamente dottrinale delle posizioni allora assunte dalla gerarchia ecclesiastica in Brasile a favore del comunismo. Per esempio, la propaganda chiaramente filocomunista di mons. Pedro Casaldáliga, vescovo di São Félix do Araguaia.

Nel libro mostro l’enorme trasformazione che si è prodotta in seno all’episcopato nazionale, avversario inflessibile del marxismo fino alla metà del 1948. Precisamente in quest’epoca cominciò uno spostamento dell’episcopato verso la sinistra. Il nuovo orientamento ricevette un grande impulso quando, nel 1952, con la formazione della CNBB, la Conferência Nacional dos Bispos do Brasil, mons. Helder Câmara [Hélder Pessoa Câmara (1909-1999)] venne eletto primo segretario generale di questo organismo. I frutti di tale spostamento furono i preti da corteo, le suore in minigonna e i leader cattolici di sinistra, che appoggiavano le agitazioni comuniste-janghiste.

Dopo il 1964, si produsse una purga di comunisti in numerose istituzioni brasiliane. Ma gli ambienti cattolici rimasero incolumi. Perciò le tendenze sinistrorse vi si rifugiarono. E, così protette, si svilupparono in modo impressionante, al punto che più di una figura dell’episcopato nazionale si venne trasformando — per azione o per omissione — in valido sostegno di quanti si sforzavano di comunistizzare il Brasile.

Lanciai nel libro un appello caloroso ai «vescovi silenziosi» perché parlassero. Erano numerosi e avevano prestigio sufficiente per salvare il Brasile, se semplicemente avessero dato ampia diffusione fra i fedeli ai numerosi documenti pontifici sull’argomento.

Parallelamente a questa triste evoluzione dell’episcopato, ho mostrato la lotta — tutta legale e dottrinale — che, a favore della Chiesa e della civiltà cristiana, viene combattuta da un gruppo di cattolici fedeli che si è riunito inizialmente attorno a O Legionário, poi a Catolicismo, e oggi, ormai molto cresciuto, costituisce la TFP, la Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade.

Ho voluto pubblicare questo lavoro come studio introduttivo a una versione ridotta de «La Iglesia del Silencio en Chile. La TFP proclama la verdad entera», brillante best-seller pubblicato nel gennaio del 1976 dalla TFP cilena. Infatti esiste fra i due lavori un’intima affinità, che deriva dalla somiglianza di situazioni fra il Brasile e il Cile per quanto concerne l’azione della gerarchia ecclesiastica. Là, ancora più chiaramente di qui, la maggior parte dell’episcopato — e non solo settori di esso, come in Brasile — ha lavorato per la comunistizzazione del paese, come prova con abbondanza di documenti il citato libro cileno.

E questo tanto per preparare l’ascesa di Frei, il Kerensky cileno, e posteriormente di Allende alla presidenza della Repubblica, quanto per l’appoggio che i vesvovi hanno dato a quest’ultimo durante il suo nefasto governo, come pure per lo sforzo che hanno prodotto dopo la sua caduta, nel senso di far retrocedere il paese fratello nelle reti del comunismo.

Bisogna osservare che, con l’ascesa di Giovanni Paolo II al soglio pontificio, nel 1978, tutto questo processo ha avuto importanti trasformazioni, che implicano adattamenti non piccoli in questo quadro, per descriverlo come si presenta attualmente.

 


«Tribalismo indígena, ideal comuno-missionário para o Brasil no século XXI»


Per lo strutturalismo, il cui massimo esponente è stato il filosofo Lévy Strauss, la società indigena, per aver «resistito alla Storia», è quella che si avvicina di più all’ideale umano. E — secondo questa corrente filosofica — dobbiamo ritornare a questa forma di vita pre-neolitica.

Se spaventa che filosofi atei sostengano tesi così assurde, più ancora deve spaventare che missionari cattolici propugnino come modello perfetto di uomo l’indio selvaggio e come modello ideale di vita umana la vita nel villaggio indigeno.

Ciò nonostante, succede proprio questo. Una nuova corrente missiologica, con libero accesso negli ambienti ecclesiastici, sostiene che la civiltà attuale deve scomparire per venire sostituita dal sistema di vita tribale. Istituti come la proprietà privata, la famiglia monogamica e il matrimonio indissolubile devono essere eliminati. La figura classica dei missionari — evangelizzatori e civilizzatori —, come sono stati i padri [gesuiti] José de Anchieta [spagnolo, beato (1534-1597)] e Manoel da Nóbrega [portoghese (1517-1570)], deve essere abbandonata. La nuova corrente missiologica, siccome non vuole civilizzare, non vuole catechizzare. E siccome non vuole catechizzare, non vuole neppure civilizzare.

S’insinua in questa condotta una questione tattica. Se la missiologia aggiornata elogiasse la comunione di beni instaurata nei paesi comunisti, si esporrebbe inevitabilmente a critiche e a sgradevoli confutazioni.

Evitando il pericoloso argomento, i nuovi missionari fanno l’apologia del sistema di vita tribale: esaltano in esso la comunione dei beni, l’inesistenza di guadagno, di capitale, di salari, di padroni e di dipendenti, di «privilegiati» e di «emarginati», di «oppressori» e di «oppressi», come dicono. E così colgono l’occasione per condannare la proprietà privata, vigente nelle nazioni civili dell’Occidente.

L’effetto concreto di questa tattica sta nel fatto che l’elogio sperticato della nuova missiologia alla proprietà comune, vigente nelle tribù indigene, non ha assolutamente sollevato fra noi il chiasso che l’apologia diretta delle società comuniste di là dalla cortina di ferro avrebbe certamente sollevato.

Ma non vi è dubbio di sorta. In questa visione idilliaca dell’indio selvaggio, presentata dalla neomissiologia come ideale per l’uomo del secolo XXI, traspare proprio una società di tipo comunista.

Va ripetuto: il maggior problema suscitato da questi deliri non sta negli stessi missionari e neppure negli indios. Sta nel sapere come, nella santa Chiesa Cattolica, possa sparire senza essere colpita questa filosofia, che intossica seminari, deforma missionari, snatura missioni. E tutto con un così forte appoggio di certa retroguardia ecclesiastica.«Tribalismo indígena, ideal comuno-missionário para o Brasil no século XXI» è stato il libro che ho pubblicato alla fine del 1977 per far conoscere ai brasiliani questo volto inatteso della crisi nella Chiesa.

Catolicismo lo ha pubblicato in prima edizione. Ancora nel dicembre del 1977 l’Editora Vera Cruz ha lanciato la prima edizione in volume e poi più di sei edizioni per un totale di 76 mila copie.


Il cattolico può e deve essere contro la Riforma Agraria


La CNBB è un organismo ufficiale dell’Episcopato brasiliano. Stando così le cose, i suoi pronunciamenti devono essere accolti normalmente dai cattolici come espressioni del pensiero della Chiesa.

Pertanto non poteva fare a meno di causare la massima perplessità fra i fedeli la pubblicazione, alla fine della riunione plenaria dell’autorevole organismo ecclesiastico, nel 1980, nella solita fattoria di Itaici, del documento «IPT, Igreja e problemas da terra». Autentico manifesto agro-riformista, il documento della CNBB intendeva suscitare l’offensiva generale del paese contro le proprietà rurali grandi e medie. Inoltre suggeriva alle autorità governative misure concrete per l’immediata realizzazione della spartizione delle terre.

Questo fatto creava una gravissima questione di coscienza non solo per i proprietari terrieri, ma anche per tutti i cattolici formati secondo la dottrina tradizionale della Chiesa, come pure per gli uomini di pensiero e d’azione esistenti nel paese. Queste tre ampie e notevoli categorie di brasiliani potevano molto ragionevolmente chiedersi qual era l’effettivo valore magisteriale di tante affermazioni, nuove e singolari, contenute in IPT. E quale l’autorità degli argomenti dottrinali di IPT per lanciare tanto rigide ed esplosive affermazioni.

Faceva parte della funzione della TFP rompere il silenzio e dare una risposta a queste domande. Lo ha fatto con un libro, «Sou católico: posso ser contra a Reforma Agrária?», scritto da me in collaborazione con il professor Carlos Patricio del Campo, Master of Science in Economia Agraria all’Università della California a Berkeley, negli Stati Uiti d’America.

Il libro dimostra che il cattolico dev’essere fedele, anzitutto, agl’insegnamenti tradizionali del Supremo Magistero della Chiesa. Ora, un esame attento di IPT porta alla conclusione che non vi è consonanza fra tali insegnamenti e la Riforma Agraria preconizzata dal documento della CNBB. Di conseguenza, il cattolico anti-agro-riformista non ha solo il diritto, ma anche il dovere di continuare a essere contrario alla Riforma Agraria.

La parte economica dell’opera prova che il documento della CNBB presenta gravi lacune nella descrizione del panorama della situazione economica dell’agricoltura brasiliana e nell’indicare la «soluzione»: la Riforma Agraria che caldeggia. Così, anche se il pronunciamento episcopale non fosse criticabile dallo stretto punto di vista della dottrina cattolica, sarebbe inaccettabile dall’angolazione economica.

 


«O socialismo autogestionário, em vista do comunismo: barreira ou cabeça-de-ponte?»


Sotto il titolo in epigrafe sta un’ampia esposizione e analisi critica del programma autogestionario di Mitterrand [François Maurice Adrien Marie Mitterrand (1916-1996)], allora neoeletto presidente della Repubblica Francese. Questo lavoro, da me redatto — indossato e divulgato a proprio nome dalle tredici TFP allora esistenti —, venne stampato integralmente, a partire dal dicembre del 1981, nei 45 quotidiani più diffusi di 19 paesi dell’America, dell’Europa e dell’Oceania. Un consistente riassunto dello stesso venne pubblicato in 49 paesi dei cinque continenti, in tredici lingue. In questo modo la diffusione del documento ha raggiunto una tiratura totale di 33,5 milioni di copie.

Per misurare la portata dello studio menzionato è necessario tener conto del fatto che, nel periodo precedente la prima elezione del presidente François Mitterrand, l’espressione «socialismo autogestionario» corrispose a una specie di primavera propagandistica mondiale così da diventare di moda negli ambienti della sinistra.

Ogni intellettuale che volesse mostrarsi aggiornato, cioè attuale, si definiva socialista autogestionario. Questo era dovuto al fatto che le parole «socialismo» e «socialista» erano in chiaro processo d’invecchiamento, che bisognava arrestare mediante un qualsiasi travestimento. Come una signora i cui capelli stanno diventando bianchi e che, perciò, cerca di tingerli. Così il socialismo, vecchio di tanti e tanti decenni e già con l’evidenza della propria vecchiaia stampata nei capelli, rifaceva il proprio volto definendosi autogestionario. Era il modo di rivitalizzarsi e di ringiovanire.

La denuncia mondiale contro il socialismo autogestionario fu di tale portata che le parole autogestione e autogestionario cessarono di essere di moda. E il socialismo non potè, nel proprio processo d’invecchiamento, continuare a ricorrere alla tintura che tuttavia gli stava procurando così buoni risultati propagandistici.

Da allora a oggi ha ottenuto solo scarsi successi... Peggio, il fatto concreto è che il processo d’invecchiamento è giunto al punto che, attualmente, il socialismo è dichiarato decrepito dai suoi stessi dirigenti e sostenitori.

Una sommaria cronaca dei fatti posteriori alla pubblicazione della mia citata analisi conferma quanto abbiamo detto. Infatti, il 12 dicembre 1981 — cioè tre giorni dopo la pubblicazione del documento citato — un prestigioso quotidiano di lingua inglese, edito a Parigi dal New York Times e dal Washington Post, l’International Herald Tribune, diffuso in tutto il mondo, descriveva in questi termini la reazione del governo socialista francese di fronte alla citata analisi del Projet socialiste pour la France des années 80: «A Parigi, fonti governative autorizzate hanno detto che non erano pronte a reagire a questa pubblicazione, ma che la stavano studiando. “Non siamo assolutamente nel panico e siamo ben più interessati a sapere chi o che cosa si trova dietro questa pubblicazione”, ha dichiarato giovedì un portavoce dell’Eliseo, aggiungendo che più tardi avrebbe potuto esservi qualche reazione»

 


Le CEB [Comunità Ecclesiali di Base]: strumento della sinistra cattolica per riformare il Brasile in un senso socialisteggiante


Una corrente teologica detta «della liberazione», esposta dai teologi Gustavo Gutiérrez [Gustavo Gutiérrez Merino O.P., peruviano] e Hugo Assmann [sacerdote secolare brasiliano (1933-2008)], e sostenuta dalla Conferenza dell’Episcopato Latino-americano di Medellín [in Colombia], nel 1968, si è espansa largamente in circoli teologici di tutto il mondo. Cerca fondamento nella Sacra Scrittura per errori veicolati da due correnti dottrinali diverse, ma intimamente congiunte fra loro: una costituita dal progressismo nel campo della Teologia, della Filosofia e della Morale, con i conseguenti riflessi fra gli studiosi del Diritto Canonico, della Storia Ecclesiastica e così via. E l’altra dal sinistrismo nel campo della sociologia cattolica, pure con riflessi conseguenti negli studi di Economia e di Politica promossi sotto l’influenza cattolica, sia nella vita, nel pensiero e nell’azione delle correnti politiche denominate democratico-cristiane, socialiste cristiane, socialiste cattoliche e così via.

La dottrina della Teologia della Liberazione è stata condannata in diversi suoi aspetti da Giovanni Paolo II, nel discorso di Puebla (1979). Ciò nonostante, ha continuato a espandersi tranquillamente in tutto il Brasile.

Le potenzialità operative suscitate o stimolate dal progressismo richiedono, di loro propria natura, un’organizzazione che dia, sul piano concreto, unità di mete e di metodi ai chierici e ai fedeli impegnati nell’impresa di riformare il Brasile in un senso socialisteggiante. Questa organizzazione è costituita dalle CEB.Per mettere in guardia il Brasile contro questa minaccia, i fratelli Gustavo Antonio Solimeo e Luíz Sérgio Solimeo e io abbiamo scritto il libro intitolato «As CEBs... das quais muito se fala, pouco se conhece. A TFP as descreve como são».

Nella prima parte, mostro come le CEB sono lo strumento della sinistra cattolica per seminare lo scontento nella popolazione — specialmente fra i braccianti —, poi per trasformare lo scontento in agitazione e, attraverso questa agitazione, imporre ai Poteri Pubblici la triplice Riforma: Agraria, Urbana e Imprenditoriale. Tutto questo, molto probabilmente, nella prospettiva d’istituire in Brasile un regime socialista autogestionario.

La parte II dell’opera informa il pubblico brasiliano sulla realtà delle CEB — la dottrina disseminata da queste, la loro organizzazione, i loro metodi per il reclutamento di aderenti e per l’azione degli stessi aderenti sull’insieme del corpo sociale. Allo scopo, gli autori di questa parte dell’opera hanno raccolto i dati, per così dire, dalle stesse labbra di tali organizzazioni, cioè dagli scritti in cui esse si autodefiniscono per i propri aderenti e per il pubblico. Completano le informazioni così raccolte altre notízie di giornali e di riviste assolutamente non sospetti di distorcere i fatti a svantaggio delle CEB.

A partire dall’agosto del 1982, soci e cooperatori della TFP si sono incaricati della diffusione dell’opera in tutto il Brasile — sono state visitate 1510 città dalle benemerite carovane di propagandisti della TFP — avendo esaurito 6 edizioni del libro per un totale di 72 mila copie.

 


«A propriedade privada e a livre iniciativa, no tufão agro-reformista»


Con l’inattesa malattia e, poi, con la morte del presidente eletto, Tancredo Neves [Tancredo de Almeida Neves (1910-1985)], e l’ascesa alla presidenza della Repubblica del Signor José Sarney [José «Sarney» Ribamar Ferreira de Araújo Costa], il 15 marzo 1985 s’inaugurò in Brasile la Nova República. L’ho vista disposta a portare avanti la Riforma Agraria, incagliata a partire dall’Estatuto da Terra, promulgato nel novembre del 1964 dal Governo Castelo Branco [maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco (1900-1967)].

Nello stesso tempo il paese era messo in agitazione da invasori di proprietà private, che cercavano di giustificare i propri attacchi sulla base di una fondazione dottrinale di apparenza cattolica. Nel momento in cui il paese stava entrando in una fase di grandi controversie in materie dottrinali, tecniche e di altro genere, che segnavano a fondo il disimpegno della Nova República, ho pubblicato il libro «A propriedade privada e a livre iniciativa, no tufão agro-reformista». In esso analizzo, punto per punto, il PNRA, il Plano Nacional de Reforma Agrária, allora lanciato dal Governo federale. Come sempre, prendo come base dottrinale gl’insegnamenti del sommo Magistero della Chiesa, in difesa della proprietà privata e della libera iniziativa — e delle rispettive funzioni sociali — gravemente ferite dal PNRA.

Nel corso di una vasta campagna di chiarificazione dell’opinione pubblica a proposito della Riforma Agraria, 52 coppie di propagandisti della TFP e quattro carovane di soci e di cooperatori dell’associazione hanno percorso 694 città in 19 Unità della Federazione, facendo esaurire due edizioni del libro, per un totale di 16 mila copie, e più di 30 mila copie di un’edizione speciale di Catolicismo, con estratti del libro.In questa autentica epopea anti-agro-riformista, i propagandisti della TFP hanno contattato allora più di dieci mila agricoltori dal nord al sud del Brasile. 

 


«Guerreiros da Virgem: a réplica da autenticidade. A TFP sem segredos»


Tutta la lotta che vengo svolgendo contro la Rivoluzione non sarebbe adeguatamente descritta se non menzionassi la controffensiva degli avversari, che fa seguito a ogni mossa maggiore di questo combattimento.

Prendere la strada di una narrazione particolareggiata di tale controffensiva comporterebbe allungare eccessivamente questo autoritratto filosofico. Mi limito a un esempio tipico.

Solamente otto giorni dopo la sua prima mossa nella battaglia anti-agro-riformista che ho appena descritta, la TFP era oggetto di un’aggressione propagandistica in materia estranea alla controversia agraria: un reportage pubblicato su O Estado de S. Paulo, di un’intera pagina, con il titulo Guerreiros da Virgem, escravos da TFP.

Tale reportage era stato preceduto da una vistosa propaganda pubblicata durante tutti i giorni della settimana precedente. Facendo eco alla pubblicità di O Estado de S. Paulo, 29 altri giornali e riviste di tutto il paese divulgarono materiale di varia estensione, con questo stesso contenuto. L’asse di tutto il chiasso era il libro Guerreiros da Virgem. A vida secreta da TFP, poco dopo messo in vendita nelle librerie di San Paolo e di altre città del Brasile. Il suo autore, il Signor José Antonio Pedriali, era stato cooperatore dell’associazione e ora faceva parte della redazione di O Estado de S. Paulo.

Per condensare in un’unica frase tutto l’esteso corpo di accuse del Signor J. A. P., si può dire che, secondo lui, la TFP sarebbe una sètta di carattere iniziatico che, attraverso il lavaggio del cervello, produce effetti altamente dannosi sui suoi soci e cooperatori. Accuse tanto pesanti erano fatte con un tono di un’apparente naturalezza, quasi sorridente. Nello stesso tempo il libro includeva descrizioni così crudamente immorali, e perfino tanto oscene, di comportamenti dell’autore nel suo processo di allontanamento dalla TFP, che avrebbero potuto figurare nella ricca letteratura pornografica attualmente corrente nel paese.

Tutto questo è venuto in superficie, com’è stato detto, nel preciso momento in cui la TFP si ergeva ancora una volta contro la Riforma Agraria socialista e confiscatoria. Si cercava d’inculcare nel pubblico una nuova immagine dell’associazione: la TFP non sarebbe... anticomunista! Non sarebbe quanto tutto il popolo brasiliano sa che essa è, dalla sua fondazione, in modo ininterrotto, notorio ed eroico. Sarebbe, al contrario, una sètta oscura e tutto il gigantesco sforzo anticomunista dei suoi soci e cooperatori sarebbe solamente un miraggio, un inganno.

Nonostante la propaganda chiassosa che ha preceduto e ha accompagnato il lancio di questo libro, non ha causato neppure lontanamente l’effetto che il suo autore e chi lo ha lanciato sembravano aspettarsi. «Tutto quanto è esagerato è insignificante» — ha detto Talleyrand. L’eccessivo, l’evidentemente inverosimile dell’accusa del Signor J. A. Pedriali l’ha ridotta preliminarmente alla meritata insignificanza.

La risposta della TFP a queste accuse consistette nel libro da me scritto, «Guerreiros da Virgem: a réplica da autenticidade. A TFP sem segredos». In esso segnalo le manipolazioni che si sono fatte della parola sètta, per denigrare le associazioni che, come la TFP, alzano ostacoli contro il processo rivoluzionario. Ivi mostro, anche, che lavaggio del cervello è un’espressione giornalistica che gli scienziati di buona qualità non prendono sul serio.

Come di consueto, alla replica della TFP fece seguito il silenzio degli avversari, che non trovarono nulla da replicare. In verità, le battaglie della TFP, nella quali, com’è ovvio, mi trovo personalmente coinvolto, sono caratterizzate da un ritornello: 1°) a una nostra campagna segue una controffensiva degli avversari su un punto estraneo al tema della campagna; 2°) la TFP confuta le accuse degli avversari e questi tacciono; 3°) tempo dopo (talora anni), gli avversari — gli stessi o altri — ritornano sulle accuse iniziali, come se nulla fosse stato confutato!... 

 


25 anni di lotta contro l’agro-socialismo confiscatorio


La Nova República proseguiva nel suo sforzo inglorioso d’instaurare in Brasile l’agro-socialismo confiscatorio. La TFP, sempre attenta, seguiva da vicino ogni mossa.

Nel 1986, a mia richiesta, il noto Master of Science in Economia Agraria, Carlos Patricio del Campo, socio effettivo della TFP brasiliana, scrisse il libro «Is Brazil Sliding Toward the Extreme Left? Notes on the Land Reform Program in South America’s Largest and Most Populous Country», che la TFP nord-americana lanciò a Washington, nell’ottobre del 1986. Lo ricevettero i principali centri decisionali nord-americani: tutti i membri di primo e di secondo grado del governo degli Stati Uniti; tutti i senatori e i deputati, ambasciatori nord-americani; banche internazionali con sede negli Stati Uniti, centinaia di intellettuali conservatori, brasilianisti e 1.100 giornalisti.

L’opera presenta una penetrante analisi della realtà socio-economica brasiliana, solidamente basata su statistiche insospettabili. I prestigiatori della fame e della miseria, che, con questo pretesto, volevano affibbiare al paese una Riforma Agraria socialista e confiscatoria, restavano, così, privi della loro insostenibile argomentazione.

Nella prefazione al libro descrivo, con rapide pennellate, il Brasile reale, a confronto con il quadro profondamente pessimista e tendenzioso presentato dalla propaganda di sinistra all’estero.

Intanto la TFP si preparava a entrare in una nuova campagna, questa volta per diffondere il mio libro «No Brasil, a Reforma Agrária leva a miséria ao campo e à cidade. A TFP informa, analisa, alerta», nel quale faccio un bilancio di 25 anni di lotta contro l’agro-socialismo confiscatorio e incito gli agricoltori e i produttori rurali a non lasciarsi sedurre dal vecchio slogan agro-riformista cedere per non perdere, mettendoli in guardia contro il fatto che la loro irrisolutezza era la prima condizione di successo dell’aggressione agro-riformista.

Dell’opera furono fatte quattro edizioni, per un totale di 55 mila copie, vendute direttamente al pubblico in campagne di strada, dai propagandisti della TFP. 

 


Verso la socialistizzazione integrale del paese: una Costituzione che la maggioranza della popolazione non vuole


Posto che il modello della democrazia-diretta — vigente, per esempio, negli Stati di dimensioni municipali dell’Antichità ellenica — è impraticabile negli Stati contemporanei, a causa dell’ampiezza della loro popolazione e del loro territorio, la democrazia si esercita in essi in modo indiretto, ossia rappresentativo.

Così i cittadini eleggono rappresentanti, che votano le leggi e dirigono lo Stato secondo le intenzioni dell’elettorato. È la democrazia rappresentativa. Il rapporto fra l’elettore e il candidato da lui votato è, essenzialmente, quello di una procura. L’elettore conferisce al candidato a deputato o a senatore, cui va la sua preferenza, un mandato affinché eserciti il Potere Legislativo secondo il programma che questi deve far conoscere normalmente all’opinione pubblica durante la campagna elettorale.

Analoghe affermazioni valgono quanto alle elezioni per il completamento di posti vacanti nel Potere Esecutivo. In conseguenza di quanto ho qui esposto, l’autenticità del regime democratico riposa completamente sull’autenticità della rappresentanza. È ovvio. Infatti, se la democrazia è il governo del popolo, sarà autentica solo se i detentori del Potere Pubblico — tanto l’Esecutivo quanto il Legislativo — saranno scelti e opereranno secondo i metodi e perseguendo le mete auspicate dal popolo. Se non sarà così, il regime democratico non è altro che una vana apparenza, forse un inganno.

Questo problema si poneva in modo acuto per i brasiliani chiamati a eleggere, il 15 novembre 1986, parlamentari che avrebbero formato la futura Assemblea Nazionale Costituente. Realizzata la consultazione elettorale, s’imponeva uno studio che riguardasse nello stesso tempo sulla rappresentatività della Costituente allora eletta e sul Progetto di Costituzione che stava elaborando. Il risultato di questo studio fu il libro «Projeto de Constituição angustia o País», che ho concluso nell’ottobre del 1987 e che fu offerto a tutti i costituenti come contributo per evitare la funesta apertura che si poteva intravvedere di fronte all’eventuale divorzio del nuovo testo costituzionale dal pensiero maggioritario della nazione.

Nella Parte I di questo lavoro analizzo i requisiti per la rappresentatività di una elezione. Faccio qui la distinzione fra politici-professionisti e professionisti-politici, e mostro come l’ingresso di questi ultimi nella vita pubblica, come rappresentanti autentici delle più diverse professioni o campi di attività, avrebbe arricchito il quadro politico del paese.

Nella Parte II sostengo che questo sarebbe, a mio modo di vedere, il mezzo per eliminare l’allontanamento dell’elettorato — manifestato dalla sorprendente percentuale di astensioni, di schede bianche e nulle — e sanare la mancanza di rappresentatività della Costituente, malinconico risultato della elezione-senza-ideali del 1986.

Nelle Parte III mostro che, a questa mancanza di rappresentatività congenita, vedo sommarsene un’altra, derivante dal funzionamento confuso e anomalo della stessa Costituente, in cui le carenze di comportamenti autentici si succedevano a catena: 1°) la Plenaria della Costituente era meno conservatrice dell’elettorato; 2°) le Commissioni tematiche erano più sinistrorse della Plenaria; 3°) la Commissione Organizzativa — che coordinava il lavoro preparato dalle Commissioni tematiche — presentava la maggior percentuale di concentrazione sinistrorsa della Costituente. In questo modo una minoranza sinistrorsa attiva, articolata, audace, minacciava di trascinare il paese su vie non auspicate dalla maggioranza della popolazione.

Nella Parte IV analizzo il Progetto di Costituzione che allora si apprestava a venire discusso nella Plenaria e mostro come si stesse facendo un gran passo verso la socialistizzazione integrale del Brasile, principalmente per quanto concerne la disgregazione della famiglia e la diminuzione della proprietà privata.

Il libro termina con una proposta concreta: in primo luogo, si sarebbe dovuto votare una Costituzione sull’organizzazione politica, relativamente alla quale si può facilmente giungere a un consenso nelle condizioni attuali dell’opinione pubblica brasiliana. Approvata questa parte dai costituenti, verrebbe sottoposta a un referendum popolare. In una seconda tappa, dopo un ampio lavoro di chiarificazione della popolazione sulle materie di natura socio-economica, relativamente alle quali vi è una profonda divisione, verrebbe elaborato un testo complementare, che sarebbe pure sottoposto a referendum. Questo comporterebbe dare alla popolazione la maggiore larghezza possibile di espressione e la Costituente, in punti così delicati, si eleverebbe al nobile compito d’interrogare il popolo per conoscerne la volontà.

Soci e cooperatori della TFP si sono dedicati, per cinque mesi, a diffondere l’opera in più di 240 città di 18 Unità della Federazione, portando a esaurimento le 73 mila copie editate. Spicca la media record di 1.083 copie quotidiane vendute durante i 19 giorni di diffusione intensiva nella Grande San Paolo.

Finalmente si è manifestata una certa reazione degli elementi più conservatori in seno alla Costituente; ma mancavano dello slancio e della determinazione necessari per rovesciare il processo descritto nel libro. E al Brasile è stata regalata una Costituzione che avrebbe creato in seguito ogni genere di problemi per la governabilità del paese.


Nobreza e elites tradicionais análogas nas alocuções de Pio XII ao Patriciado e à Nobreza romana


Uno degli aspetti più gravi della presente crisi brasiliana ha come causa profonda il processo di deperimento graduale delle nostre élite.

Dalla fine del secolo XIX questo fenomeno si viene producendo con crescente intensità, senza che il nostro ottimismo brasiliano, senza preoccupazioni e bonaccione, abbia guardato al fatto con la dovuta attenzione. E questo ci ha condotto a questo terribile fine secolo. In qualunque campo d’attività in cui si vogliano reintrodurre l’onorabilità, la competenza e l’ordine, non mancano suggerimenti intelligenti da mettere in pratica. Ma la grande questione che sorge da subito è la costituzione, per ogni piano, di una équipe moralmente e intellettualmente capace. Intelligenze — molte delle quali perfino insigni — non ci mancano. Purtroppo la nostra maggior carenza è in campo morale e in ogni momento ci troviamo di fronte a questa constatazione imbarazzante.

E perché non abbiamo tali équipe? Perché non abbiamo le élite necessarie. Dove vi sono élite moralmente e intellettualmente capaci, non mancano gli uomini idonei per la loro competenza e per la loro moralità. Dove non vi sono élite, gli uomini di reale valore sono rari, poco noti e condannati a vegetare anonimi nella moltitudine dei mediocri o dei ladruncoli.

Il memorabile Pontefice Pio XII ha probabilmente previsto che, presto o tardi, le condizioni morali del mondo moderno avrebbero portato a questa situazione quasi tutti i paesi. Il che avrebbe gettato l’umanità in una crisi totale dalle imprevedibili conseguenze. Perciò ha pronunciato, nel suo pontificato, quattordici importantissime allocuzioni, che contengono un appello a che fossero preservati con cura, nei paesi con tradizione nobiliare, le rispettive aristocrazie. E che, nello stesso tempo, le élite nuove, originate dal lavoro esercitato nel campo della cultura come in quello della produzione, trovassero condizioni propizie per costituire élite autentiche, dello stesso genere della nobiltà per la loro formazione morale e culturale, come per la loro capacità di comando. Sarebbe loro compito formare, al modo della nobiltà, autentiche élite capaci di dare origine a uomini scelti nei più diversi campi.

In Brasile, l’appello di Pio XII non ebbe quasi ripercussione. L’ebbe scarsa in altri paesi. E, così, la mancanza di élite, che per noi era un problema tragico, per altre nazioni costituisce un problema serio a cui bisogna trovare un rimedio urgente.

Mirando a contribuire alla soluzione di questo grande problema, ho scritto il libro «Nobreza e elites tradicionais análogas nas alocuções de Pio XII ao Patriciado e à Nobreza romana», che analizza le condizioni del mondo contemporaneo alla luce delle quattordici allocuzioni di Pio XII.

La prima edizione di quest’opera in portoghese fu affidata alla nota editrice Civilização, del Portogallo, e vide la luce nell’aprile del 1993. Tradotta in spagnolo, l’opera fu diffusa in Spagna dall’editrice Fernando III, El Santo. Questa edizione coprì non solo il territorio spagnolo ma anche quello delle nazioni ispano-americane. Negli Stati Uniti l’opera fu pubblicata dall’importante editrice Hamilton Press e fu lanciata ufficialmente nel prestigioso Mayflower Hotel di Washington, nel settembre del 1993. Nell’occasione, di fronte a un pubblico di 850 invitati, fra cui l’arciduchessa Monika d’Austria e il duca di Maqueda [Luis Maria Gonzaga de Casanova Cardenas y Barón], Grande di Spagna, hanno preso la parola personalità di alto rilievo nella vita pubblica nord-americana.

In Francia, pubblicato dall’editrice Albatros, il libro sta incontrando ampia accoglienza in larghi settori di quel paese. In Italia l’opera è stata pubblicata da Marzorati e presentata al Congresso della Nobiltà Europea, tenuto a Milano nell’ottobre del 1993, come pure in una partecipata sessione di lancio ufficiale al Circolo della Stampa, in Palazzo Serbelloni, di questa città. Il lancio a Roma è avvenuto nello storico palazzo della principessa Elvina Pallavicini [1914-2004], con la presenza del cardinale Alfons Stickler [Alfons Maria Stickler S.D.B. (1910-2007)], di mons. Custódio Alvim Pereira [1915-2006], arcivescovo emerito di Lourenço Marques [oggi Maputo, in Mozambico], dell’arciduca Martino d’Austria, di principi, di principesse e d’innumerevoli altri membri della più alta aristocrazia italiana.

In queste diverse manifestazioni l’opera è stata non solo accuratamente analizzata, ma anche vivamente elogiata dagl’illustri conferenzieri che si sono succeduti nel corso delle sessioni allora realizzate. Sulla stampa romana la ripercussione di questo lancio è stata delle più vivaci. I principali quotidiani hanno dato notizia dell’evento con grande rilievo, che è giunto a essere presentato come «Stati generali dell’“aristocrazia nera”»: così viene designata la parte più tradizionale della nobiltà romana, la quale, solidale con la Santa Sede, si rifiutò di riconoscere l’annessione forzata degli Stati Pontifici all’Italia.

Importa ricordare in questa sede queste eccellenti ripercussioni dell’opera per mostrare l’attualità del tema in essa trattato. Infatti la semplice enunciazione del suo titolo potrebbe sembrare, a diverse persone, come d’interesse unicamente storico. Della sua perfetta consonanza con l’insegnamento pontificio danno testimonianza calorose lettere di sostegno degli Em.mi Cardinali Silvio Oddi [Silvio Angelo Pio Oddi (1910-2001)], Luigi Ciappi [Mario Luigi Ciappi O.P. (1909- 1996)], Alfons M. Stickler e Bernardino Echeverría [Bernardino Echevería Ruiz O.F.M. (1912-2000)], e di teologi di fama mondiale come i padri Raimondo Spiazzi O.P. [1918-2002], Victorino Rodríguez O.P. [Victorino Rodríguez y Rodríguez (1926-1997)] e Anastasio Gutiérrez C.M.F.

 


Studi, analisi e pronunciamenti pubblici


La mia azione dottrinale si svolge anche con pronunciamenti resi pubblici attraverso stampa, TV e radio sulle questioni più calde, o con l’invio alle autorità di studi e di analisi su temi di attualità. Questa azione la esercito talora a mio nome, ma più di frequente a nome del Consiglio Nazionale della TFP, che ho l’onore di presiedere. Cito alcuni esempi.

— Nel dicembre del 1970 ho pubblicato sulla stampa quotidiana, un lungo documento, essenzialmente dottrinale, intitolato «Análise, defesa e pedido de diálogo», difendendo la TFP dagli attacchi che le faceva l’allora primate del Brasile e arcivescovo di Salvador, cardinale Eugênio Sales, e mettendo in risalto le sue affinità ideologiche con l’arcivescovo emerito di Recife, mons. Helder Câmara, per quanto si riferisce al sinistrismo.

— Nel 1972 ho inviato all’allora ministro della Giustizia, professor Alfredo Buzaid [1914-1991], un’analisi dell’anteprogetto di Codice Civile, nel quale indicavo una tendenza generica al rilassamento dei vincoli costitutivi della famiglia e un ingiustificabile preconcetto contro la condizione di proprietario, a vantaggio di una concezione collettivista della società umana.

— Nell’aprile del 1974, essendo giunta al suo apice la Ostpolitik vaticana, con la conseguenza di produrre un enorme turbamento di coscienza per la maggioranza anticomunista di cattolici, mi sono visto portato dalle circostanze a elaborare un documento — redatto nel linguaggio più rispettoso — nel quale dimostro, basandomi sulla dottrina cattolica, la liceità della resistenza alla détente con il comunismo, allora promossa dal Vaticano. Questo documento, intitolato «A política de distensão do Vaticano com os governos comunistas. Para a TFP: omitir-se? ou resistir?», venne largamente diffuso dalla stampa nazionale e internazionale.

— Nel febbraio del 1990, di fronte allo spettacolare crollo del Muro di Berlino e della Cortina di Ferro, e agli sconvolgimenti politici che si susseguivano nei diversi paesi del blocco comunista, ho redatto il manifesto intitolato «Comunismo e anticomunismo na orla da última década deste milênio», in cui analizzo lo Scontento — scritto così, con l’iniziale maiuscola — che si diffondeva in quelle nazioni e che, prima o poi, avrebbe avuto come risultato lo sfacelo dell’impero sovietico. Il manifesto fu pubblicato dalle diverse TFP in 21 giornali di otto paesi dell’America e dell’Europa.

 


L’autentico pensatore dev’essere anche un osservatore della realtà palpabile di tutti i giorni


Come giornalista ho cominciato la carriera in O Legionário, allora espressione del pensiero della Congregazione Mariana della parrocchia di Santa Cecilia e, più tardi, organo ufficioso dell’arcidiocesi di San Paolo. Ho già detto qualcosa sulla mia attività alla guida di questo periodico, del quale fui direttore dal 1933 al 1947.

Nel 1951, con la maggior parte dei vecchi collaboratori de O Legionário, ho iniziato a scrivere sul mensile Catolicismo, che veniva allora fondato e che continua a essere pubblicato con crescente combattività. Catolicismo ha una tiratura media che tocca le 15 mila copie, oltre a edizioni speciali di diverse decine di migliaia.

Fu pure in Catolicismo che ho creato e mantenuto, per diversi anni, la rubrica Ambientes, Costumes, Civilizações, da molti indicata come l’espressione ricca e originale di una scuola di elaborazione intellettuale. Questa rubrica constava dell’analisi comparativa di aspetti del presente e del passato, avendo come oggetto monumenti storici, fisionomie caratteristiche, opere d’arte o di artigianato, presentati al lettore attraverso fotografie. Tali analisi, fatte alla luce dei princìpi che ho esplicitato in «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», mirava a mostrare che la vita di tutti i giorni, nei suoi aspetti apicali o correnti, è suscettibile di essere penetrata dai più elevati princìpi della filosofia e della religione. E non solo penetrata, ma anche utilizzata come mezzo adeguato per affermare oppure, talora, per negare tali princìpi, per certo in modo implicito, ma insinuante ed efficace. In modo tale che, spesso, le anime sono modellate molto di più dai princìpi vivi che pervadono e imbevono gli ambienti, i costumi e le civiltà, che dalle teorie, talora stereotipe e perfino mummificate, prodotte trascurando la realtà in qualche isolato luogo di lavoro o messe in letargo in qualche polverosa biblioteca.

Da ciò la tesi di Ambientes, Costumes, Civilizações consistente nel fatto che l’autentico pensatore dev’essere anche, normalmente, un osservatore che analizza la realtà concreta e palpabile di tutti i giorni. Se cattolico, questo pensatore deve inoltre cercare di modificare questa stessa realtà nei punti in cui contraddica la dottrina cattolica.

Dal 1968 al 1990 ho collaborato come opinionista alla Folha de S. Paulo, analizzando problemi dell’attualità brasiliana e mondiale dall’angolazione dottrinale. Con frequenza che è divenuta abituale, miei articoli sono riprodotti in giornali nord-americani e latino-americani. 


Il carattere tradizionalista di una corrente di pensiero non le toglie la visione della realtà


Nei miei libri e nei miei articoli ho denunciato ampiamente il grande logoramento prodotto dal comunismo marxista e la sua incapacità di trascinare le moltitudini e di conquistare il potere, e, di conseguenza, la necessità in cui si è trovato, per realizzare la Rivoluzione incagliata, di ricorrere con efficacia alle insidie della guerra psicologica rivoluzionaria.

Accadimenti posteriori hanno tragicamente messo in chiaro, di fronte al mondo stupefatto, la fondatezza delle mie affermazioni sull’impressionante logoramento del cosiddetto comunismo ortodosso. Sottolineo il fatto per mostrare che il carattere tradizionalista di una corrente di pensiero non le toglie la visione della realtà. Al contrario, nessuna analisi lucida del presente può prescindere dalla tradizione che la impregna e in funzione della quale — a favore o contro — si struttura il futuro.

Ho utilizzato intenzionalmente l’espressione corrente di pensiero. Credo che, più ancora che nei miei libri e nella mia azione come professore universitario e giornalista, trovo l’immagine del mio pensiero e il frutto del mio lavoro dottrinale in un gruppo di studio e d’azione, che si è costituito inizialmente attorno a O Legionário e poi a Catolicismo. Se questo gruppo fosse socialista o comunista, le trombe della propaganda avrebbero già portato il suo nome a conoscenza del pubblico più vasto, tali l’intelligenza, la cultura, la lucidità di osservazione che distinguono i miei nobili compagni. Ma hanno preferito accettare disinteressatamente le consegunze della campagna di silenzio che tenta di soffocare implacabilmente, nei nostri giorni di pretesa libertà, la voce di quanti cantano fuori dal coro della Rivoluzione universale.

Metto in risalto in questa sede il nome di quelli che la Provvidenza ha già chiamato a sé: per la vivacità della sua collaborazione a O Legionário e a Catolicismo quel vigoroso polemista che fu l’ingegner José de Azeredo Santos [1896-1993]; il professore universitario Fernando Furquim de Almeida [1913-1981], autore di studi storici di alto pregio; l’avvocato, scrittore e redattore esimio, José Carlos Castilho de Andrade [1925-1988], sotto le cui mani gli articoli e i testi di Catolicismo raggiungevano una luminosità e una correttezza insuperabili. Fu pure un’espressione di questa corrente di pensiero l’acuto libro, al quale ho già fatto riferimento, di Fabio Vidigal Xavier da Silveira, «Frei, o Kerensky chileno», qualificato come «profetico» da osservatori politici cileni.

TFP: i valori essenziali della civiltà cristiana suscitano entusiasmo e dedizione innumerevoli


Il citato nucleo di uomini di studio e d’azione ha costituito il gruppo iniziale della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade. Questa associazione non è soltanto un prezioso strumento di diffusione di tutte le opere qui ricordate, ma anche una pubblica affermazione del fatto che, nella gioventù di oggi, la tradizione, la famiglia e la proprietà, valori essenziali della civiltà cristiana, sono capaci di suscitare entusiasmo e dedizione illimitati.

Nei corsi, nei pensionati, nelle sedi che la TFP mantiene in circa trenta città dei più diversi Stati della Federazione, la grande maggioranza dei frequentatori è costituita da giovani che si trasformano in cooperatori pieni di abnegazione e di fervore. Oltrepassano, nel nostro paese, la cifra di 1.200 [dato del 1994].

I giovani cooperatori della TFP provengono da famiglie delle più diverse classi sociali, dai rappresentanti dell’antica nobiltà imperiale, della vecchia aristocrazia rurale della I Republica e dei nuovi capitalisti del mondo industriale e bancario della II Republica fino alle famiglie di lavoratori manuali, passando attraverso tutta la gamma degli strati sociali intermedi.La TFP conta anche sulla collaborazione di corrispondenti-informatori, cioè di persone che, rimanendo esterne al quadro associativo, sono illimitatamente solidali con i princìpi e con i metodi di questa Società e usano il tempo libero dal compimento dei doveri familiari e professionali per la propaganda della TFP, delle sue dottrine e dei suoi ideali.

Grazie al lavoro disinteressato e altamente ideale dei cooperatori della TFP e, nella misura delle loro possibilità, dei suoi corrispondenti, l’associazione ha potuto intraprendere una serie di campagne, il cui racconto cade a proposito a questo punto, perché sono un riflesso del pensiero a cui ho dedicato la vita:

— Nel 1966 il Governo Castelo Branco [1964-1967] ha presentato un progetto di Codice Civile divorzista. Mantenendo nelle vie, per cinquanta giorni, una media di quattrocento raccoglitori di firme, è stato possibile alla TFP raccogliere 1.042.359 firme contro il divorzio. Il Governo ha ritirato il progetto.

— Nel 1968 la TFP ha realizzato in tutto il Brasile una campagna di raccolta di firme, questa volta chiedendo a Paolo VI misure contro l’infiltrazione di sinistra in ambienti cattolici. Ha fatto da detonatore della campagna il tristemente celebre documento Comblin, nel quale il sacerdote belga Joseph [Jules] Comblin, protetto a Recife da mons. Helder Câmara, auspicava riforme scandalosamente sovversive. In questa occasione 1.600.368 brasiliani firmarono, in soli 58 giorni, la sottoscrizione. Le TFP dell’Argentina, del Chile e dell’Uruguay decisero di fare una campagna analoga di fronte ai problemi sorti nei loro rispettivi paesi, dal che risultò l’invio a Paolo VI di un totale di 2.025.201 firme.

— Già l’anno seguente si è trattato della diffusione di un numero speciale di Catolicismo con la denuncia dei cosiddetti «gruppi profetici» e dell’IDO-C, organismi di sinistra incistati nella Chiesa per corroderla internamente e portarla poi a lanciarsi nella sovversione. In questa occasione, diciannove carovane di giovani propagandisti percorsero, in 70 giorni, 514 città — in venti Stati — del nostro territorio. Allora furono vendute 165 mila copie di Catolicismo. Nel corso di questa campagna, per la prima volta, per mia iniziativa, la TFP usò, per i suoi cooperatori, la cappa rossa con il leone d’oro, oggi così conosciuta. Insieme allo stendardo, le cappe hanno segnato, da allora a oggi, non solo la fisionomia della TFP, ma — in occasione delle campagne dell’associazione — lo stesso paesaggio delle città brasiliane.

— Cinquanta città del nostro paese hanno assistito, nel 1970, alla campagna di diffusione, fatta dalla TFP, di un articolo-manifesto da me redatto, intitolato «Toda a verdade sobre as eleições no Chile». Contribuì sensibilmente ad annullare il cattivo effetto che la propaganda comunista cercava di produrre in Brasile, quando il social-comunista Allende venne eletto presidente della Repubblica andina. Vennero distribuite nell’occasione 550 mila copie di questo manifesto, oltre alla vendita, su larga scala, di «Frei, o Kerensky chileno».

— Nel dicembre dello stesso anno la TFP raccolse, in una campagna pubblica realizzata in quattro delle principali capitali del paese, una grande quantità di denaro, di vestiti, di giocattoli e di generi alimentari per il Natale dei poveri. Il prodotto della colletta fu consegnato ad associazioni di carità affinché lo distribuissero.

— Alla fine del 1972 e all’inizio del 1973 la TFP ha promosso una campagna di portata nazionale per la diffusione della coraggiosa e opportunissima «Carta Pastoral sobre Cursilhos de Cristandade», di mons. Antônio de Castro Mayer. In essa l’allora vescovo di Campos metteva in guardia i cattolici della sua diocesi sui pericolosi errori dottrinali, compresa un’apertura al marxismo, che colpivano numerosi settori di questo movimento. In quattro mesi, tredici carovane con 120 propagandisti hanno percorso 1328 città dal nord al sud del Brasile, vendendo 93 mila copie della pastorale.

— Nel 1974 soci e cooperatori della TFP s’impegnano ad aiutare l’Armata Azzurra della Madonna di Fatima nella promozione della peregrinatio dell’Immagine di Nostra Signora di Fatima, che aveva miracolosamente pianto a New Orleans, negli Stati Uniti. Il bene fatto da questa Immagine Pellegrina alle anime, in Brasile e all’estero, è letteralmente incalcolabile. Più di 500 mila persone sono accorse a venerarla nel suo percorso attraverso l’America Meridionale.

— Nel 1975 il divorzismo tornò alla carica attraverso due emendamenti costituzionali. Anche la TFP è tornata nelle strade, questa volta per diffondere la lettera pastorale «Pelo casamento indissolúvel», del vescovo di Campos, mons. Antonio de Castro Mayer. In poco più di un mese vendette 100 mila copie della lettera pastorale. Gli emendamenti divorzisti furono respinti.

— A partire dal maggio del 1977 la TFP del Brasile, come pure le altre TFP del continente americano, diffusero sui loro rispettivi organi di stampa e in decine di migliaia di opuscoli un importante studio consegnato dalla TFP nord-americana ai membri di entrambi i rami del Congresso, al Dipartimento di Stato e a influenti personalità della vita pubblica degli Stati Uniti. Intitolato «Direitos humanos na América Latina — o utopismo democrático de Carter [James Earl Carter Jr.] favorece a expansão comunista», lo studio della TFP nord-americana osserva che l’amministrazione Carter «si è attribuito il diritto di definire, dogmaticamente e con validità assoluta per tutti i popoli, un grande numero di punti controversi, come se fosse una specie di Vaticano infallibile, determinando la natura delle libertà civili che tutte le nazioni devono accettare».

— Esponenti della Teologia della Liberazione si riunirono a fine febbraio del 1980 a Taboão da Serra, a San Paolo. La sera, intanto, venivano realizzate dalle CEB sessioni di animazione dei partecipanti alla giornata di Taboão da Serra, nel TUCA, il Teatro della Pontificia Università Cattolica di San Paolo. La sera del 28 febbraio fu in modo particolare dedicata alla Rivoluzione Sandinista del Nicaragua e costituì un forte incitamento alla guerriglia fatto dai sandinisti alla sinistra cattolica brasiliana e di tutta l’America Latina. Catolicismo ottenne la registrazione della sessione — concessa, per altro, a qualunque persona presente — e la pubblicò, con miei commenti, nel numero di luglio-agosto del 1980. Le carovane di propagandisti della TFP diffusero il servizio di Catolicismo in tutto il territorio nazionale in 36.500 copie. Le TFP dell’Argentina, della Colombia, dell’Ecuador, dell’Uruguay e della Spagna riprodussero il mio studio sulla Noite Sandinista nei rispettivi paesi, totalizzando, con l’edizione del Brasile, 80.500 copie.

— Consultati da proprietari rurali, i professori Sílvio Rodrigues [1917-2004], della Facoltà di Diritto dell’Università di San Paolo, e Orlando Gomes [1909-1988], della Facoltà di Diritto dell’Università Federale di Bahia, affermano, in ben fondati pareri, che spetta ai proprietari terrieri, non assistiti dal Potere Pubblico, il diritto di difendersi a mano armata contro bande di provocatori di disordini che tentano d’invadere le loro proprietà, con l’intenzione di occuparle illegalmente. A partire dal gennaio del 1986 la TFP ha dato la più ampia diffusione ai pareri dei due eminenti giureconsulti, facendoli pubblicare in 87 giornali di 76 città di 21 Stati.

— Per 130 giorni, dal 31 maggio agl’inizi di ottobre del 1990, le TFP e i Bureaux-TFP raccolsero 5.218.020 firme in 26 paesi, per una sottoscrizione che chiedeva solidarietà alla dichiarazione d’indipendenza della Lituania dal giogo sovietico. Una delegazione delle TFP, di undici membri, consegnò la sottoscrizione al presidente della Lituania, Vytautas Landsbergis, il giorno 4 dicembre 1990. Il giorno 6, già a Mosca, la delegazione si fece fotografare in mezzo alla Piazza Rossa, sventolando uno stendardo dell’associazione, con tutti i componenti con la cappa rossa caratteristica delle TFP. E il giorno 11 dello stesso mese la comitiva consegnò, negli stessi uffici del Cremlino, una lettera collettiva dei presidenti di tutte le TFP al presidente dell’URSS, Mikhail Gorbachev, sollecitandolo formalmente a che, di fronte a questa ferma manifestazione del mondo libero rimuovesse tutti gli ostacoli che impedivano alla Lituania di giungere alla piena indipendenza.

— Fra le memorabili campagne della TFP sono comprese anche quelle di diffusione dei libri che ho scritto e quelle delle altre opere edite sotto gli auspici dell’associazione. Fra queste bisogna mettere in risalto, per l’originalità, la collezione intitolata Diálogos Sociais. Consiste in diversi opuscoli che trattano di vari temi legati alla problematica comunismo-anticomunismo, sulla lunghezza d’onda in cui sono abitualmente sentiti e commentati dall’uomo comune in conversazioni familiari e incontri per strada. I Diálogos Sociais mettono alla portata del grande pubblico, in modo riassunto ed essenziale, argomenti perché si possa premunire contro le astuzie della propaganda del socialismo e del comunismo. I tre opuscoli della collezione editi in Brasile sono intitolati: N° 1 — A propriedade privada é um roubo?; N° 2 — Devemos trabalhar só para o Estado?; N° 3 — É anti-social economizar para os filhos? In edizioni successive furono venduti, in Brasile, 100 mila copie di ogni opuscolo.

— Altre azioni della TFP: pubblicazione di manifesti sui giornali e studi inviati alle autorità mostrando gli aspetti socialisteggianti della legge sugli affitti; lettera al presidente Castelo Branco per una legge sulla stampa che conciliasse la repressione degli abusi con una giusta e adeguata libertà; messe annuali celebrate: 1) per le anime delle vittime che il comunismo viene facendo, dal 1917, in tutto il mondo, in particolare in Brasile, attraverso atti di terrorismo, e 2) per la liberazione dei popoli schiavizzati dalla sètta rossa; campagne realizzate dagli studenti dell’associazione per mettere in guardia la gioventù universitaria sull’origine e sugli obiettivi di sinistra di certe agitazioni studentesche; memoriale al ministro della Giustizia [professor Alfredo Buzaid] contro l’aborto; visite sistematiche negli ospedali per portare il conforto di una parola cristiana e di un dono materiale ai malati, principalmente ai più poveri e abbandonati; raccolta di vestiti e di alimenti di persone benestanti e poi distribuzione nei quartieri poveri.Se volessi, in questa sede, fare la storia di tutto quanto la TFP ha fatto nella linea della diffusione dottrinale e della battaglia delle idee, non sarebbe mai finita. Ho, pertanto, citato solo le grandi campagne realizzate dall’organizzazione che ho fondato e il cui consiglio nazionale ho l’onore di presiedere. Esse trovano qui posto perché completano, più ancora del mio ritratto filosofico, la fisionomia dei princìpi che sostengo.

 

TFP: i valori essenziali della civiltà cristiana suscitano entusiasmo e dedizione innumerevoli


Il citato nucleo di uomini di studio e d’azione ha costituito il gruppo iniziale della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade. Questa associazione non è soltanto un prezioso strumento di diffusione di tutte le opere qui ricordate, ma anche una pubblica affermazione del fatto che, nella gioventù di oggi, la tradizione, la famiglia e la proprietà, valori essenziali della civiltà cristiana, sono capaci di suscitare entusiasmo e dedizione illimitati.

Nei corsi, nei pensionati, nelle sedi che la TFP mantiene in circa trenta città dei più diversi Stati della Federazione, la grande maggioranza dei frequentatori è costituita da giovani che si trasformano in cooperatori pieni di abnegazione e di fervore. Oltrepassano, nel nostro paese, la cifra di 1.200 [dato del 1994].

I giovani cooperatori della TFP provengono da famiglie delle più diverse classi sociali, dai rappresentanti dell’antica nobiltà imperiale, della vecchia aristocrazia rurale della I Republica e dei nuovi capitalisti del mondo industriale e bancario della II Republica fino alle famiglie di lavoratori manuali, passando attraverso tutta la gamma degli strati sociali intermedi.

La TFP conta anche sulla collaborazione di corrispondenti-informatori, cioè di persone che, rimanendo esterne al quadro associativo, sono illimitatamente solidali con i princìpi e con i metodi di questa Società e usano il tempo libero dal compimento dei doveri familiari e professionali per la propaganda della TFP, delle sue dottrine e dei suoi ideali.

Se volessi, in questa sede, fare la storia di tutto quanto la TFP ha fatto nella linea della diffusione dottrinale e della battaglia delle idee, non sarebbe mai finita. Ho, pertanto, citato solo le grandi campagne realizzate dall’organizzazione che ho fondato e il cui consiglio nazionale ho l’onore di presiedere. Esse trovano qui posto perché completano, più ancora del mio ritratto filosofico, la fisionomia dei princìpi che sostengo