Bolsonaro

  • Brasile: ha vinto Lula ma anche, e forse soprattutto, Bolsonaro

     

     

    di Julio Loredo

    Il giornale Le Monde ha parlato di “retour spectaculaire”, un ritorno spettacolare. Si riferiva alle recenti elezioni brasiliane, vinte di misura dal candidato marxista Luis Inácio “Lula” da Silva contro il candidato del centro-destra Jair Bolsonaro. Si è infatti trattato di un retour: Lula è riuscito a passare dalla prigione (condanna per corruzione) alla poltrona di Presidente, che occuperà per la terza volta. Visto con serena oggettività, però, questo retour è molto meno spectaculaire di ciò che sembra. E, soprattutto, apre uno scenario politico tutt’altro che favorevole alla sinistra. Se a qualcuno deve essere applicato l’aggettivo spectaculaire, questo è Bolsonaro.

    Tutti per Lula

    La spettacolarità di un’impresa si misura dallo sforzo impegnatovi e dall’importanza degli ostacoli che si è riusciti a vincere. Ancora oggi, ad esempio, ci meravigliamo per le antiche avventure della conquista del Polo Nord o dell’Africa centrale, intraprese con scarsi mezzi tecnologici da coraggiosi esploratori che spesso ci rimettevano la vita. Ci vuole poco coraggio, però, quando si ha tutto dalla propria parte e gli ostacoli vengono spianati da mani amiche.

    Mai nella storia del Brasile, e forse dell’America Latina, si era vista una campagna tanto imponente quanto quella che si è mossa in sostegno al candidato del Partito dei Lavoratori (PT). Con poco margine di esagerazione, possiamo dire che Lula aveva a favore tutti e tutto.

    Papa Francesco

    Il corteo dei fan di Lula si apre nientemeno che con Papa Francesco. Non appena uscito dalla prigione, dove era stato condannato in modo definitivo per corruzione, il Pontefice ha accolto Lula in Vaticano, dandogli una benedizione che molti hanno visto come una consacrazione. La foto di Francesco che segnava con la croce la fronte del futuro candidato –  quasi come conferendogli un mandato – è stata utilizzata quale potentissimo spot elettorale: Lula sarebbe “il candidato del Papa”. Possiamo ben immaginare il peso politico di tale spot in un Paese ancora maggioritariamente cattolico. Tanto più che dal Vaticano non è giunta alcuna dichiarazione che smentisse, o almeno ridimensionasse, tale interpretazione del gesto papale.

    All’appoggio personale si somma poi il favoreggiamento delle forze politiche che formano la sinistra brasiliana, il bacino elettorale di Lula, a cominciare dal Movimento dei Senza Terra (MST), di matrice marxista ed eversiva.  In ben due occasioni Francesco ha accolto in Vaticano l’incontro internazionale dei cosiddetti “Movimenti popolari”, organizzati dall’argentino Juan Grabois e dal brasiliano João Pedro Stédile, capo del MST, dichiaratamente comunista, ricevuto più volte da Francesco. Per la propaganda è stato facile presentare questo e altri gesti del Pontefice come un appoggio al PT quasi fosse “il partito del Papa”, di nuovo senza che dal Vaticano giungesse una smentita.

    Una delle accuse che Bolsonaro ha dovuto affrontare di continuo durante la campagna elettorale è stata precisamente quella di essere “contro il Papa”. Accusa facilmente confutabile dal punto di vista dottrinale (il Papa non è infallibile in politica, ecc.), ma molto appiccicosa in mezzo al frastuono di una campagna politica, dove spesso conta più l’impatto propagandistico che non i contenuti ideologici. Pericolosa poi in un Paese dove la popolazione più umile, a volte scarsamente versata su temi politici, si lascia guidare dall’opinione del parroco locale.

    I Vescovi

    La simpatia di Papa Francesco si riflette poi nel fermo sostegno di tanti vescovi a Lula e al PT. L’episcopato brasiliano è composto, in maggioranza, da ciò che Plinio Corrêa de Oliveira chiamava i “vescovi silenziosi”: non parlano, non si pronunciano, non si sbilanciano... ma lasciano il campo aperto alla minoranza ultra-progressista, allineata con la cosiddetta Teologia della liberazione, che in pratica controlla la CNBB (Conferenza nazionale dei vescovi) e, con essa, la vita stessa della Chiesa in Brasile.

    Con rare eccezioni, l’immensa macchina della CNBB – parrocchie, comunità religiose, consigli pastorali e missionari, comunità ecclesiali di base, movimenti, case editrici e via dicendo – si è impegnata a fondo nella campagna elettorale in favore di Lula, presentato come “il nostro candidato”, o “il candidato cristiano”. Nel confessionale, molti sacerdoti hanno consigliato di votare per Lula. Molte omelie si sono trasformate volentieri in discorsi elettorali in suo favore. Molti fogli parrocchiali sono sembrati manifesti del PT. Molte riunioni di preghiera hanno nascosto comizi petisti. L’Ordine francescano ha fatto outing ufficiale in favore di Lula.

    I pochi coraggiosi sacerdoti che hanno osato uscire dal coro, invece, hanno corso il rischio di essere sanzionati. Allo stesso modo, le rarissime voci episcopali discordanti sono cadute nel vuoto.

    L’appoggio dell’episcopato a Lula ha raggiunto un apice con la pubblicazione di un manifesto firmato da ben cinquanta presuli che, senza fare i nomi, condannava il candidato “capitalista” e “autoritario” mentre esaltava quello “democratico” “impegnato nella difesa dei poveri”. Citando Papa Francesco, i vescovi affermavano che un cattolico non può votare per uno che difende un’“economia che uccide” (cioè Bolsonaro). Il documento assomigliava quasi alla scomunica comminata da Pio XII per chi avesse votato il Partito comunista, applicato però alla parte opposta.

    In un altro manifesto, pubblicato poco prima delle elezioni, dieci vescovi e quattrocento sacerdoti accusarono Bolsonaro di aver profanato il Santuario nazionale di Aparecida, perché si era permesso di assistere a un Rosario pubblico: “Jair Bolsonaro non è religioso”.

    Teologia della liberazione.

    Tutto ciò è conseguenza della grande penetrazione che ha avuto in Brasile la Teologia della liberazione, definita dai suoi stessi alfieri un tentativo di introdurre il marxismo nella teologia, puntando allo stabilimento del comunismo e del socialismo, identificati col Regno di Dio sulla terra. Condannata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, questa teologia è stata “sdoganata” da Francesco, che l’ha fatta “parte della vita della Chiesa”, secondo quando dichiarava l’allora portavoce della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi.

    Lula è figlio del movimento della Teologia della liberazione. Il PT è stato fondato in un convento di suore sotto l’egida di teologi della liberazione, che hanno sempre costituito la spina dorsale del partito. Lo stesso Lula ha più volte dichiarato che deve la sua carriera politica alla Teologia della liberazione e alle Comunità ecclesiali di base (CEB) da essa ispirate. Dopo alcuni anni di letargo, le CEB sono risuscitate sotto Papa Francesco, che non manca di inviare un messaggio amichevole in occasione dei loro convegni annuali.

    Il Supremo Tribunale Federale (STF) e il Supremo Tribunale Elettorale (STE)

    Non bastasse lo schiacciante appoggio ecclesiastico, Lula ha potuto contare su quello – non meno decisivo – della Giustizia brasiliana, per lo più composta da Magistrati nominati dallo stesso PT durante i 14 anni in cui ha già governato il Paese. La sua stessa partecipazione alle elezioni presidenziali si è dovuta a un intervento a gamba tesa del Supremo Tribunale Federale (STF), che nel 2019 ha annullato la condanna per corruzione - pur confermata in secondo grado - portando quindi alla sua scarcerazione.

    Guidato dal Presidente, Alexandre de Moraes – che si definisce “veramente comunista e rivoluzionario” – il STF è intervenuto pesantemente contro Bolsonaro. Con una serie di decisioni monocratiche, de Moraes in pratica ha smantellato la macchina propagandistica che sosteneva Bolsonaro, ordinando la chiusura di decine di canali YouTube, blog, pagine Facebook, account Twitter, TikTok e via dicendo. Con metodi che ricordano quelli del KGB in epoca sovietica, de Moraes ha ordinato la perquisizione degli uffici e delle residenze dei sostenitori di Bolsonaro, confiscandone le atrezzatture elettroniche. Molti sono finiti in carcere, altri in esilio. De Moraes è giunto all’assurdo di chiudere in Brasile le operazioni della piattaforma messaggistica Telegram, la preferita dei conservatori.

    Sbandierando un decreto giudiziario contro le “fake news”, de Moraes ha rivendicato per sé il diritto di decidere sui contenuti dei messaggi elettorali: solo lui poteva decidere quale notizia era “true” e quale invece “fake”. Ovviamente, quelle che favorivano Lula erano tutte “true”, mentre quelle che portavano acqua al mulino di Bolsonaro erano “fake”e andavano quindi rimosse. Una nota rivista ha pubblicato una caricatura del Magistrato nei panni del Re Sole, con la dicitura “la démocratie c’est moi”.

    De Moraes ha ordinato pure la rimozione dalla rete di molti video di Bolsonaro, per esempio uno in cui il candidato piangeva mentre parlava della figlia di 12 anni. Secondo il Magistrato, il video “manipolava i sentimenti”... Il colpo di grazia è arrivato nelle ultime settimane della campagna elettorale. De Moraes ha imposto la censura all’unica Radio rimasta independente, la Jovem Pam, proibendole di toccare certi temi e di menzionare certe persone. È stata la fine della libertà di stampa in Brasile, e con essa la fine della vera democrazia.

    La persecuzione giustizialista contro Bolsonaro ha raggiunto risvolti degni di una novella di Franz Kafka. Per esempio, una nota azienda di alcolici aveva sul mercato un prodotto al prezzo di 22 reais. Ebbene, il TSE le ha intimato di cambiarlo, giacché 22 era il numero della scheda elettorale di Bolsonaro...

    La stampa

    A differenza dell’Italia, dove c’è un ampio parterre di testate giornalistiche, canali televisivi e stazioni radiofoniche, che offrono un ventaglio di posizioni ideologiche e politiche, in Brasile la stampa è nella quasi totalità controllata dalla sinistra e, ovviamente, faceva il tifo per il candidato del PT. Per sfuggire al monopolio della sinistra, lungo gli anni il centro-destra ha creato una rete pubblicitaria alternativa, tutta fondata su internet. Questa rete ha raggiunto dimensioni considerevoli. Alcuni commentatori conservatori hanno milioni di follower. Un video conservatore facilmente raggiunge 4-5 milioni di visualizazzioni. Proprio questa rete è stata smantellata dal STF e dal STE, privando così Bolsonaro di buona parte della sua macchina propagandistica.

    Trascuro l’appoggio, a dir poco strano, che Lula riscuote da parte di grandi imprenditori, pronti a sacrificare principi e convinzioni pur di guadagnare soldi sulla scia del clientelismo petista. Non è un caso che il candidato del PT abbia vinto in alcuni dei quartieri più ricchi di San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte. Trascuro pure l’appoggio degli organismi internazionali, come l’OEA (Organizzazione degli Stati Americani).

    L’exploit di Bolsonaro

    Possiamo dunque dire che Lula aveva a favore tutti e tutto, in casa e all’estero. Era tale la schiacciante superiorità della gioiosa macchina da guerra lulista, che tutti i sondaggi davano il candidato del PT vincitore al primo turno, con margini che sfioravano il 60%. Era matematicamente impossibile che Bolsonaro vincesse. Eppure, Bolsonaro ha costretto Lula al ballottaggio, perdendo poi per meno del 2%, al netto di eventuali frodi, molto facili da commettere col sistema di voto elettronico. Infatti, Bolsonaro ha ottenuto questa volta sette milioni di voti in più del 2018.

    La delusione della sinistra è iniziata già al primo turno. Lula è rimasto inchiodato al 48,3%, molto lontano dal 60% prospettato da alcuni sondaggi. Non solo. Il centro-destra ha stravinto a livello nazionale. Il Partito Liberale di Bolsonaro è riuscito a eleggere l’80% dei suoi candidati al Senato e il 70% alla Camera. Il centro-destra adesso ha una maggioranza di ben 194 deputati, contro appena 122 della sinistra. Al Senato il centro-destra conta con una maggioranza di tredici senatori. Il Parlamento uscito dalle urne è, forse, quello più schierato a destra della storia repubblicana del Brasile.

    Lo stesso si può dire delle elezioni regionali. Ricordiamo che il Brasile è una repubblica federale, come gli Stati Uniti. Le Regioni hanno un’ampia autonomia legislativa, finanziaria e anche militare. Ebbene, i partiti del centro-destra hanno vinto nel 75% delle Regioni, perfino strappando al PT alcuni roccaforti. Mai nella storia recente del Brasile si era configurato un quadro politico regionale più schierato a destra.

    In conclusione, analizzando le recenti elezioni brasiliane con serena oggettività, e senza nulla togliere al disastro che significa un presidente marxista, possiamo dire che, pur avendo perso il Governo Federale, il risultato ottenuto da Bolsonaro costituisce un vero e proprio exploit.

    Il “bolsonarismo”

    Un blog conservatore ha così sintetizzato la situazione: Bolsonaro ha perso, il “bolsonarismo” rimane.

    Jair Messias Bolsonaro è solo la punta dell’iceberg di una vasta e profonda reazione conservatrice che, già da qualche anno, si fa sentire sempre più forte in Brasile, e sulla quale abbiamo più volte scritto. Gli studiosi identificano le radici di tale reazione nel lavoro anticomunista pluridecennale svolto dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira e dall’associazione da lui fondata: la TFP. Fu proprio il leader cattolico a denunciare per primo la Teologia della liberazione nel 1973. Come fu pure il primo ad allertare contro l’azione rivoluzionaria della CNBB nel 1968. Fu anche il primo a portare avanti una campagna ideologica contro il candidato Lula nel ballottaggio del 1990, poi vinto dal conservatore Fernando Collor de Melo. Questo ingente sforzo, alla radice dell’attuale reazione conservatrice, è oggi l’oggetto di numerosi studi accademici.

    A lungo latente, questo fenomeno – che mobilita il Brasile profondo in modi che la propaganda rivoluzionaria non sempre riesce a controllare – ha iniziato a prendere forma nelle manifestazioni contro il regime petista di Dilma Rousseff nel 2014. Dalla protesta contro alcuni provvedimenti del Governo, si è passati poi alla contestazione dell’ideologia che ne era alla base: il socialismo. Sono così iniziate le oceaniche manifestazioni popolari che, man mano, hanno assunto un carattere nettamente anticomunista. “Il Brasile non sarà mai rosso!”, era lo slogan che le animava. Il fenomeno – anch’esso oggetto di numerosi studi accademici – eccede di molto l’ambito politico, costituendo in realtà un movimento di natura religiosa, morale, ideologica e culturale. E – grande sorpresa – attira soprattutto le generazioni più giovani.

    Questo movimento, chiamato in modo riduttivo e assai fuorviante “bolsonarismo”, è vivo e vegeto. Anzi, è in forte espansione e ha dimostrato di poter tenere testa al mondo intero. L’aver perso per meno del 2%, contro tutti e contro tutto, gli darà ancor più forza, spronandolo a imprese sempre più audaci. Ecco la grande novità di queste elezioni.

    A Lula vanno le grane del Governo Federale, ostacolato dal Congresso e da Regioni ostili. A Bolsonaro vanno le glorie dell’opposizione. Se il leader liberale capirà che egli non è solo un capo politico, bensì il punto di convergenza di un movimento che ha la vocazione di diventare una vera e propria Contro-Rivoluzione, specie se accetterà di accogliere la Grazia divina, allora il Brasile potrà sperare. Se invece il “bolsonarismo” si arenerà nelle palludi della micro politica e dei tradimenti tanto in voga nella vita pubblica, allora qualcun’altro prenderà lo scettro e porterà avanti la reazione.

    Spetta a noi cattolici rivolgerci alla Madonna Aparecida, Patrona del Brasile, affinché preservi questo Paese – chiamato originariamente Terra della Santa Croce – dalle grinfie del comunismo.

     

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  • Brasile: harakiri della Destra populista?

     

     

    di Julio Loredo

    I giapponesi avranno pure inventato l’harakiri, ma pare che una certa Destra, quella detta populista, ne sia diventata specialista. Ecco l’ultimo suicido rituale, accaduto in Brasile.

    Da anni, la sinistra brasiliana era fermamente intenta a stabilire una dittatura comunista tramite l’uso smodato e abusivo del Potere giudiziario e della Polizia federale. Di fronte a siffatto pericolo, dilagava invece una reazione conservatrice sempre più radicata ed estesa. Perciò, anche dopo la vittoria di Lula, le prospettive del centro-destra – all’opposizione, e col vento conservatore in poppa – erano francamente rosee. I misfatti di Brasilia hanno cambiato drasticamente la situazione.

    Il pericolo di una dittatura comunista

    Vediamo il primo punto: il pericolo di una dittatura comunista.

    In quattordici anni al Governo, la sinistra brasiliana era riuscita a impadronirsi di alcuni settori dello Stato, a cominciare dal Potere giudiziario, utilizzandoli per i suoi scopi politici. Si è così proiettato al centro della politica nazionale il magistrato del Supremo Tribunal Federal (STF) Alexandre de Moraes, da sempre vicino alla sinistra. Una vignetta sul più importante quotidiano brasiliano lo ritrae nei panni di Luigi XIV con la dicitura “La démocratie c’est moi!”.

    In una serie di decisioni monocratiche, de Moraes ha smantellato la rete propagandistica del centro-destra. Uno dopo l’altro, ha chiuso canali YouTube, stazioni radiofoniche, pagine Facebook, blog, siti internet, ecc., di area conservatrice. Molte persone sono finite in carcere. Molti account Twitter, Instagram, TikTok, ecc., sono stati parimenti sospesi. De Moraes è giunto perfino a chiudere le operazioni in Brasile della piattaforma messaggistica Telegram, la preferita dai conservatori. Recentemente, ha chiuso gli account Twitter di Pro Monarquia, portavoce della Famiglia Imperiale del Brasile.

    Nel 2019 de Moraes emanò una decisione contro le “fake news”, che in realtà comprendeva qualsiasi critica alla sinistra. Iniziò quindi una caccia ai conservatori. Il magistrato ordinò alla Polizia Federale di invadere durante la notte i loro uffici e le loro abitazioni, confiscandone attrezzature elettroniche e sequestrandone gli archivi. Alcuni dovettero fuggire all’estero.

    E guai a criticare de Moraes! Facendosi scudo della sua immunità, egli ritiene che qualsiasi critica alla sua attuazione costituisca un vilipendio al Potere giudiziario. Diversi politici sono finiti in carcere per aver osato accusarlo di favorire la sinistra[2]. Un gruppo di giovani che, di fronte a casa sua, gridavano “Via ministro comunista!”, sono stati allontanati dalla Polizia e condannati a venti giorni di prigione.

    Finora de Moraes ha emesso più di cinquemila mandati di perquisizioni e/o arresto contro figure del mondo conservatore. Si è creata così una situazione quasi da dittatura militare: ci sono stati casi di oppositori prelevati per strada da agenti della Polizia e portati via in carceri speciali. Interpellato in una recente conferenza stampa su cosa intenda fare con gli oppositori, de Moraes ha passato l’indice destro sul suo collo alludendo alla ghigliottina!

    Di più, de Moraes, un simpatizzante di Lula, si è addossato il diritto di bandire qualsiasi politico che, a suo personale giudizio, diffonda notizie non corrispondenti al vero, cioè non allineate al politically correct come egli stesso lo intende. Questo in barba alla Costituzione che garantisce la libera espressione delle idee e la separazione dei poteri.

    La reazione conservatrice

    Passiamo al secondo punto. Di fronte al reale pericolo di una dittatura comunista, è andata invece crescendo una reazione conservatrice sempre più radicata ed estesa.

    I media italiani parlano di Bolsonaro. In realtà, l’ex presidente è appena la punta d’iceberg di una vasta e profonda reazione conservatrice che, già da qualche anno, si fa sentire sempre più forte in Brasile, e sulla quale abbiamo più volte scritto. Gli studiosi identificano le radici di questa reazione nel lavoro anticomunista pluridecennale svolto dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira e dall’associazione da lui fondata, la TFP.

    A lungo latente, questo fenomeno – che mobilita il Brasile profondo in modi che la propaganda rivoluzionaria non sempre riesce a controllare – iniziò a prendere forma nelle manifestazioni contro il regime di Dilma Rousseff nel 2014. Dalla protesta contro alcuni provvedimenti del Governo, si passò alla contestazione dell’ideologia che ne era alla base: il socialismo. Iniziarono così le oceaniche manifestazioni popolari che, man mano, assunsero un carattere nettamente anticomunista. “Il Brasile non sarà mai rosso!”, era lo slogan che le animava. Il fenomeno – oggetto di numerosi studi accademici – eccede di molto l’ambito politico, costituendo in realtà un movimento di natura religiosa, morale, ideologica e culturale. D’altronde, ed ecco una grande sorpresa, attira soprattutto le generazioni più giovani.

    Dando struttura e dinamismo a questa reazione, si è costituita una vasta rete propagandistica fatta da canali YouTube, blog, siti internet, stazioni radiofoniche, gruppi Facebook e via dicendo. Gli influencer brasiliani di linea anticomunista hanno decine di milioni di follower. Cresce anche il numero delle case editrici dedite alla pubblicazione di libri conservatori, e si moltiplicano convegni e gruppi di studio dello stesso orientamento. Non si tratta affatto di un fenomeno transitorio.

    Le prospettive rosee

    Ed eccoci arrivati al terzo punto: le prospettive rosee del centro-destra.

    Questo immenso movimento, chiamato in modo riduttivo e assai fuorviante “bolsonarismo”, è vivo e vegeto. Anzi, è in forte espansione e ha dimostrato di poter tenere testa al mondo intero. L’aver perso le ultime elezioni per meno del 2%, contro tutto e contro tutti, gli ha dato ancor più vitalità. All’indomani della vittoria di Lula, c’era da aspettarsi che le masse socialiste invadessero le strade del Paese per celebrarne il successo. Le masse hanno, sì, invaso strade e piazze, ma indossavano magliette giallo-verdi, il colore di Bolsonaro. Pur sconfitto, l’ex presidente veniva osannato come il futuro del Brasile.

    La delusione a sinistra è iniziata già al primo turno, con un Lula inchiodato al 47%: molto lontano dal 60% prospettato da alcuni sondaggi. Non solo. Il centro-destra ha stravinto a livello nazionale. Il Partito Liberale di Bolsonaro è riuscito a eleggere il 90% dei suoi candidati al Senato e il 75% alla Camera. La coalizione di centro-destra guidata dall’ex presidente può contare su una maggioranza nel Congresso.

    Lo stesso si può dire delle elezioni regionali. Ricordiamo che il Brasile è una repubblica federale, come gli Stati Uniti. Le Regioni hanno un’ampia autonomia legislativa, finanziaria e anche militare. Ebbene, i partiti del centro-destra hanno vinto nel 75% delle Regioni, perfino strappando al PT alcuni roccaforti. Mai nella storia recente del Brasile si era configurato un quadro politico regionale più schierato a destra.

    Di fronte a questo panorama, in un mio recente articolo affermavo: “A Lula vanno le grane del Governo Federale, ostacolato dal Congresso e da Regioni ostili. A Bolsonaro vanno le glorie dell’opposizione. Se il leader conservatore capirà che egli non è solo un capo politico, bensì il punto di convergenza di un movimento che ha la vocazione per diventare una vera e propria Contro-Rivoluzione, allora il Brasile potrà sperare. Se, invece, il “bolsonarismo” si arenerà nelle paludi della micro-politica e dei tradimenti tanto in voga nella vita pubblica, allora qualcun’altro prenderà lo scettro e porterà avanti la reazione.

    Le prime mosse del governo Lula l’hanno già mostrato in grande difficoltà. Quasi tutti i suoi ministri sono indagati per corruzione e peculato. Tanto per menzionarne uno: il ministro della Giustizia, il comunista Flávio Dino, ha a suo carico nientemeno che 277 cause penali e civili. Una vera manna per l’opposizione.

    D’altronde, serpeggiano i malumori nelle Forze armate. Un esempio: il comandante della Marina militare, ammiraglio Almir Garnier Santos, ha scelto di non partecipare alla cerimonia di inaugurazione del nuovo Governo. E anche questo è una manna per l’opposizione, che può contare su notevoli appoggi nel mondo militare.     

    Complessivamente, dunque, le prospettive per il centro-destra erano francamente rosee.

    Lo harakiri

    Tutto questo rischia ora di andare in frantumi dopo i misfatti di Brasilia, sui quali bisogna subito chiarire che sono stati l’opera di una minoranza, molto probabilmente infiltrata. La stragrande maggioranza dei manifestanti, pacifica e generosa, è rimasta a più di trecento metri dagli avvenimenti violenti. In molti casi, come mostrano i video, hanno pure cercato di impedire l’assalto. Anche premettendo che le cose siano andate in modo assai diverso da quanto presentato dai media italiani, resta però il fatto che, in politica, ciò che conta non è tanto la verità quanto la percezione. E la percezione pubblica è cambiata profondamente.

    Tanto per cominciare, l’accusa di essere dittatoriali, anti-democratici e truculenti, fino ad oggi giustamente affibbiata dalla destra alla sinistra, è stata ribaltata. Adesso sarà il centro-destra a dover difendersi da tale accusa. La propaganda sinistrorsa avrà gioco facile nel dipingere i conservatori come “il cancro del Paese”[3]. Un esempio tra mille: i facinorosi hanno devastato la Sala di rappresentanza del Palazzo presidenziale, dove erano custoditi molti oggetti d’arte, alcuni secolari. È pure sparito un orologio appartenente al Re Giovanni VI. Come giustificare tale atto agli occhi dell’opinione pubblica?

    Anche se tutto porta a credere che Bolsonaro sia estraneo ai fatti (si trovava a Miami, e ha condannato la violenza via Twitter), sarà difficile toglierli l’etichetta di “golpista”. Se egli rientra in Patria, corre il rischio di essere incarcerato e processato per insubordinazione, perdendo quindi ogni diritto politico. La sua carriera come leader sembra arrivata al capolinea. E, volens nolens, ciò implica anche una brusca frenata per il movimento di reazione conservatrice, che, oltre a doversi difendere dalle accuse di terrorismo, dovrà trovarsi un altro leader.

    Inoltre, l’assalto a Brasilia ha messo nelle mani della sinistra il pretesto perfetto per intensificare la persecuzione contro i conservatori. Adesso, il Governo ha una giustificazione per decapitare la reazione. Infatti, con la giustificazione di difendere la libertà e la democrazia, Lula ha già imprigionato 1,500 persone e schedatone altre diecimila. Con la motivazione che avrebbero appoggiato il fallito golpe, si parla di dimettere alcuni governatori di centro-destra appena eletti, sostituendoli con podestà federali. Da oggi in poi, ogni avversario, reale o presunto, di Lula potrà essere trattato come un potenziale terrorista. A tale fine sarà aperta una “Centrale di denuncie” presso il Ministero della giustizia, dove qualsiasi cittadino, anche in modo anonimo, potrà accusare chiunque di essere bolsonarista e, quindi, perseguibile penalmente.

    Sull’onda del rigetto da parte dell’opinione pubblica delle violenze della scorsa domenica, è stata annunciata la costituzione di una CPI (Comissão Parlamentar de Inquérito), per scovare tutti i potenziali oppositori di Lula. Un vero e proprio Comité de Salut Public di giacobina memoria.

    “È stata una zappa sui piedi, commenta il regista di sinistra Dodo Azevedo, l’estrema destra ha sabotato i progetti della stessa estrema destra”[4]. La pensa in modo simile Maddeleine Laksco, editorialista di UOL, la maggiore piattaforma informatica del Brasile: “Questo è stato il suicidio della destra in Brasile. La destra non potrà governare il nostro Paese almeno per due decenni”[5]. E anche all’estero si fa largo questa lettura. Sulla Nuova Bussola Quotidiana, Luca Volonté afferma che “l’assalto alle istituzioni serve a Lula per rafforzare il suo potere”.

    Infatti, gli errori strategici commessi con l’assalto alle istituzioni sono tanti che più di un commentatore ha insinuato l’ipotesi che dietro ci fosse proprio il Partito dei lavoratori di Lula, il grande beneficiario dei misfatti di Brasilia. Il noto opinionista Fernão Lara Mesquita, per esempio, si domanda come mai, dopo aver depredato e sporcato tutto (perfino lasciando dappertutto feci), i manifestanti si siano ritirati spontaneamente invece di tenere la piazza conquistata. E come mai il Governo, pur sapendo dell’assalto giorni prima, non abbia fatto niente per impedirlo ma, anzi, lo abbia facilitato per esempio non proteggendo gli edifici pubblici[6].

    Secondo Mesquita, con l’assalto a Brasilia, gli equilibri di potere si sono profondamente modificati. Fino a domenica, Lula era in gravi difficoltà, non potendo contare su una maggioranza nel Congresso né nelle Regioni. Sarebbe stato difficile, se non impossibile, portare avanti i suoi progetti dittatoriali. Egli stesso aveva dichiarato nel primo Consiglio dei Ministri: “La lotta sarà lunga e difficile”. Adesso, il presidente marxista ha il coltello dalla parte del manico, e può fare ciò che vuole.

    Che enorme trasformazione! Che terribile harakiri!

    Attribuzione immagine: Palácio do Planalto - Marcos Corrêa/PR, Flickr, CC BY 2.0.

     

    Note

    [1] Gabriel Sestrem, “Alexandre de Moraes atua como se fosse dono do país”, Gazeta do Povo, 23-08-2022.

    [2] Cristian Klein, “Moraes: Fake news e milícias digitais contra eleições serão combatidas com a força da lei”, Valor, 20-4-2022.

    [3] Ana Patricia Cardoso, Brasileiros reagem a assalto ao Congresso. O bolsonarismo é um cancro, Contacto, 9 gennaio 2023.

    [4] Ibid.

    [5] https://noticias.uol.com.br/politica/ultimas-noticias/2023/01/09/analise-golpistas-vivem-em-espirito-de-seita-ataque-e-ponta-do-iceberg.htm

    [6] https://www.youtube.com/watch?v=9r1UL8r0fhY

  • Che cosa accade in Brasile il 7 settembre?

    di Roberto Bertogna

    Per capire gli ultimi avvenimenti in Brasile, primo Paese al mondo per numero di cattolici, quinto per estensione territoriale e sesto per popolazione, non conviene leggere i giornali. Anzi. Gli europei in generale, e gli italiani in particolare, sono assai mal informati. Per esempio, chi ha letto il servizio del Corriere della Sera dello scorso 8 settembre molto probabilmente si è fatto un’idea della situazione brasiliana alquanto distante dalla realtà. Proponiamo, in queste brevi righe, di fare un po’ di chiarezza. Premetto che sono brasiliano e seguo la situazione del mio Paese in modo diretto.

    Negli ultimi venticinque anni, la sinistra socialdemocratica si era alternata al potere con quella marxista. Quando una vinceva, l’altra andava all’“opposizione” e viceversa. L’elezione della marxista Dilma Rousseff per un secondo mandato presidenziale, nel 2014, è stata giudicata dalla maggior parte dei brasiliani come una frode elettorale. La candidata, infatti, aveva promesso certe cose, salvo poi fare il contrario. Gli eccessi della Rousseff e del suo partito – il PT, Partito dei Lavoratori – finirono per provocare un movimento popolare di malcontento. Iniziarono così a emergere manifestazioni di protesta contro alcune sue politiche, per esempio per chiedere prezzi più bassi nel trasporto urbano. Dalla protesta contro il Governo si passò man mano alla protesta contro l’ideologia sottostante: il marxismo. Le manifestazioni cominciarono quindi ad assumere contorni sempre più ideologici fino a formare un’onda anti-comunista e anti-socialista. “La nostra bandiera è verde, non rossa!”; “Il Brasile mai sarà comunista!”; “Tutti i comunisti a Cuba!”, erano alcuni degli slogan.

    La situazione divenne politicamente insostenibile. Facendosi eco del malcontento popolare, nel 2016 il Congresso votò l’impeachment della Rousseff. Subentrò quindi il vicepresidente Michel Temer, che governò per due anni, cioè fino al completamento del mandato. Tutto fatto in accordo alla Costituzione

    Le manifestazioni, però, non si placavano. Realizzate simultaneamente in decine di città, esse coinvolgevano ormai milioni di persone. In particolare, il popolo protestava contro la corruzione. Infatti, in quegli anni si era scoperto il più grande sistema mai visto di saccheggio delle risorse pubbliche in favore di un partito politico, appunto il PT. Ciò diede origine al processo noto come Lava-Jato, la versione brasiliana di Mani Pulite, ma con cifre migliaia di volte più consistenti. Quasi tutti i politici della sinistra avevano le mani sporche.

    Anche quando convocate per protestare contro certi aspetti concreti del malgoverno petista, l’ispirazione ideologica anti-comunista delle manifestazioni è diventata sempre più nitida fino a esserne la nota dominante. A questo punto, perfino gli analisti di sinistra hanno dovuto rendersi conto che avevano di fronte non un semplice movimento di protesta, ma un fenomeno profondo di opinione pubblica. Quello che soffia nell’opinione pubblica brasiliana e si riversa sulle strade non è una rivolta, bensì una contro-rivoluzione, per usare la nota distinzione. È diventato chiaro che il problema non è il PT ma i suoi contenuti dottrinali. Per troppo tempo la sinistra ha padroneggiato, pretendendo una superiorità morale che a questo punto è crollata. Il Re è nudo. Le proteste di piazza sono sintomo di un profondo cambiamento di mentalità, cosa che i politici del vecchio sistema si ostinano a non vedere, e certi mezzi di comunicazione si guardano dal menzionare. È emersa da ciò quello che possiamo chiamare il “Brasile profondo”, finora imbavagliato e in preda a uno strano letargo, una reazione inaspettata.

    Questo profondo mutamento nell’opinione pubblica – ormai oggetto di studi accademici e di analisi sociologiche – è la vera chiave di lettura per capire cosa stia succedendo in Brasile oggi. Impressiona, per un brasiliano come me, che i media europei non ne abbiano ancora quasi parlato, e continuino a trattare la situazione del mio Paese come frutto di una sorta di cospirazione “populista”.

    Arriviamo così al 2018. Un ex deputato federale e militare in congedo, Jair Bolsonaro, i cui antenati italiani erano arrivati ​​in Brasile provenienti da Lucca due generazioni prima, emerge nel panorama politico. Intorno a lui si raccoglie un amalgama di conservatori, liberali, centristi e nazionalisti, desiderosi di cambiare la situazione alla radice. Un fatto increscioso contribuisce alla sua fama. Durante la campagna elettorale, Bolsonaro è accoltellato in modo grave da un agitatore legato all’estrema sinistra. A ottobre si tengono le elezioni e Jair Bolsonaro vince con ampio vantaggio, cavalcando l’onda conservatrice che stava investendo il Brasile.

    Il presidente eletto era chiaramente un outsider. Pur essendo stato membro del Parlamento, egli non era un esponente del “sistema”. Il suo programma elettorale era culturalmente conservatore: niente aborto, niente agenda LGBT e via discorrendo. In ambito economico la matrice era liberale riformista, aperta alla libera impresa e alla proprietà privata. Perfino il settore militare nazionalista, tendenzialmente nostalgico dello Stato onnipotente, si è ampiamente adattato alla nuova realtà.

    Il nuovo governo si è insediato il 1° gennaio 2019. Senza indugio, la sinistra, che non ha mai digerito la clamorosa sconfitta elettorale dopo venticinque anni al potere, ha lanciato una feroce offensiva contro Bolsonaro. L’offensiva è portata avanti nel Congresso dai partiti della sinistra, ma soprattutto attraverso i giudici del Supremo Tribunal Federal (STF), la più alta corte del Brasile, quasi tutti nominati dai governi marxisti precedenti. Infatti, i giudici di carriera costituiscono una minoranza esigua nel STF. La maggior parte proviene dai quadri partitici dell’estrema sinistra e hanno un passato di partecipazione alle lotte proletarie.

    La Costituzione del 1988 prevede, come in ogni Paese civile, l’autonomia e l’armonia dei poteri: Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. Ora, dal gennaio 2019 i brasiliani assistono allibiti alla crescente invasione del Giudiziario – concretamente del STF – ai danni dell’Esecutivo e del Legislativo, le cui prerogative sono state calpestate decine di volte.

    La sinistra sta provando a fare ogni sorta di imbroglio – l’elenco sarebbe lunghissimo! – per screditare e, alla fine, rovesciare il governo Bolsonaro. E ha trovato un alleato di ferro nel Supremo Tribunal Federal, e in particolare nel giudice Alexandre de Moraes, uomo dell’estrema sinistra. Esulando dai suoi poteri, Moraes ha ordinato inchieste incostituzionali, arresti illegali, chiusura di profili Facebook e canali YouTube, demonetizzazione dei canali conservatori e un lunghissimo eccetera. In pratica, qualsiasi critica alla sinistra è suscettibile di essere qualificata fake news, provocando l’immediata chiusura del blog, profilo o canale tramite una “Decisione monocratica” del STF (cioè emanata da un solo membro del Tribunale, nella fattispecie lo stesso de Moraes). I metodi sono nettamente dittatoriali. Per esempio, per ordine di Moraes, le Forze dell’Ordine hanno invaso la residenza di tutti i blogger conservatori, confiscando computer e apparecchiatura elettronica. Alcuni sono tuttora ai domiciliari.

    È in questo clima di crescente tensione con il STF – “il più grande partito dell’opposizione”, nelle parole dell’eminente giurista Ives Gandra – che si sono svolte le celebrazioni del 7 settembre, 199° anniversario dell’Indipendenza del Brasile. Non volendo ledere la Costituzione, Bolsonaro ha chiesto una mobilitazione popolare in sostegno al Governo. Ed ecco le massicce manifestazioni, svoltesi in sedici capoluoghi regionali e nella capitale federale Brasilia. Secondo la Polizia, questa è stata la più grande manifestazione nella storia del Brasile.

    Da parte sua, la sinistra ha convocato una contro-manifestazione a San Paolo. Le foto sono lì per chiunque abbia occhi per vedere: il confronto è pietoso.

    Molti, anche in Europa, si concentrano sul presidente Jair Bolsonaro e sulla sua peculiare personalità, trascurando un punto essenziale. In politica, non vale tanto la persona quanto ciò che essa rappresenta. Bolsonaro è appena la punta dell’iceberg di un fenomeno molto profondo in atto nel Paese, e che ho cercato di tratteggiare qui brevemente.

    Queste righe sarebbero incomplete se non parlassimo concisamente del ruolo della Chiesa cattolica e della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB), nel Paese con la più grande popolazione cattolica del mondo. Sfortunatamente, la cosiddetta Teologia della liberazione domina ancora molti settori della Chiesa in Brasile. Lo stesso PT è stato fondato nel 1980 sotto l’egida del cattocomunismo, con gli auspici dell’allora arcivescovo di San Paolo, cardinale Paulo Evaristo Arns. Anche se il Governo Bolsonaro non ha mai interferito nell’azione della Chiesa, la CNBB costituisce oggi una fucina dell’opposizione al suo Governo, e di sostegno al PT affinché possa tornare al potere.

    Fortunatamente, col passare degli anni, e specialmente con l’azione del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, si è costituito in Brasile un settore cattolico solidamente conservatore e tradizionalista, che non segue il canto delle sirene della CNBB. A questo, più recentemente, si sono aggiunti alcuni settori della cosiddetta “destra evangelica”.

    Il Brasile è molto più grande delle crisi che lo colpiscono. Nel corso della sua storia, il Paese è stato più volte sull’orlo del precipizio, ma è sempre stato capace di rialzarsi grazie alla Divina Provvidenza e alla mano materna di Nostra Signora Aparecida, patrona della nazione brasiliana. Quando leggiamo sui cartelli “La mia bandiera non sarà mai rossa!”, sappiamo che le corde più profonde della nazione, nata nel 1500 con la celebrazione del Santo Sacrificio della Messa, non sono scomparse.

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  • Il Brasile sull'orlo del baratro

     

     

    di Julio Loredo

    Il prossimo 2 ottobre i brasiliani andranno a votare. I due candidati in pole position per la carica più alta della Repubblica sono il presidente Jair Messias Bolsonaro, di centro-destra, e l’ex-presidente Luis Inácio “Lula” da Silva, di estrema sinistra. Saranno elezioni storiche. Dall’esito delle urne dipenderà, infatti, se il Brasile cadrà nel comunismo – dopo Perù, Cile e Colombia – o se invece continuerà a reagire in senso opposto, alla stregua dell’Uruguay e del Paraguay.

    La sinistra ha lanciato un’offensiva totale per riprendersi il potere, senza esclusioni di colpi. A ogni costo vogliono impedire a Bolsonaro un secondo mandato. L’offensiva si dispiega su vari fronti, a cominciare da quello giudiziario. Dal 2019 è in corso in Brasile una vera e propria persecuzione giudiziaria contro chi non si allinea al Partito dei lavoratori (PT), quello di  Lula, di dichiarata ispirazione marxista.

    Persecuzione poliziesca contro il centro-destra

    In una serie di decisioni monocratiche, il presidente del Supremo Tribunal Federal (STF), Alexandre de Moraes, che si definisce “veramente rivoluzionario e comunista”[1], ha praticamente smantellato la rete propagandistica di appoggio a Bolsonaro. Uno dopo l’altro, molti canali YouTube, stazioni radiofoniche, pagine social, blog, siti internet, ecc. che sostenevano Bolsonaro sono stati chiusi e i responsabili sbattuti in carcere. Molti account Twitter, Instagram, TikTok, ecc., dei sostenitori di Bolsonaro sono stati sospesi. De Moraes è giunto perfino a chiudere le operazioni in Brasile della piattaforma messaggistica Telegram, la preferita dai conservatori.

    Denunciando l’esistenza di “milizie digitali di estrema destra”, nel 2019 de Moraes emanò una decisione contro le “fake news”, che in realtà includeva qualsiasi critica alla sinistra. Iniziò quindi una caccia ai partigiani di Bolsonaro. De Moraes ordinò alla Polizia Federale di invadere durante la notte i loro uffici e abitazioni, confiscandone attrezzature elettroniche e sequestrandone gli archivi. Alcuni dovettero fuggire all’estero. Perfino l’ex leader delle Femen in Brasile, Sara Winter, convertitasi in attivista pro-vita, finì in carcere per aver criticato le politiche abortiste della sinistra. Ancor oggi è costretta a usare un bracciale elettronico.

    E guai a criticare de Moraes! Utilizzando l’immunità come uno scudo, il presidente dello STF ritiene che qualsiasi critica alla sua attuazione costituisca un vilipendio al Potere Giudiziario. Diversi politici, tra cui il deputato Daniel Silveira, sono finiti in carcere per aver osato accusarlo di favorire la sinistra[2]. Un gruppo di giovani che, di fronte a casa sua, gridavano “Via ministro comunista!”, sono stati portati via dalla Polizia e condannati a venti giorni di prigione.

    Finora de Moraes ha emesso 4.781 mandati di perquisizioni e/o arresto contro figure del mondo conservatore.

    Di più, de Moraes, simpatizzante di Lula al punto d’aver partecipato alla sua campagna elettorale, si è arrogato il diritto di bandire qualsiasi candidato che, a suo personale giudizio, diffonda notizie non corrispondenti al vero, cioè non allineate al politically correct come egli stesso lo intende. Questo in barba alla Costituzione che garantisce la libera espressione delle idee e la separazione dei poteri.

    Bolsonaro si presenta quindi alle elezioni fortemente menomato da questa ingerenza, a dir poco brutale, dei rappresentanti del Potere Giudiziario schierati col Partito dei lavoratori.

    Sondaggi o propaganda?

    In questo sforzo erculeo della sinistra brasiliana per riprendersi il potere, senza esclusione di colpi, i sondaggi sull’intenzione di voto meritano un capitolo a parte.

    Tutti i sondaggi, infatti, danno vincitore Lula. Un recente studio di Datafolha, per esempio, colloca l’ex-presidente al 47%, di fronte a un 32% per Bolsonaro[3]. Qualcuno comincia perfino a prospettare la vittoria del candidato marxista al primo turno[4].

    Dicono che i numeri non hanno colore. Qui, però, c’è qualcosa che non torna.

    Per chi accompagna da vicino la situazione brasiliana, è ovvio che Lula, condannato per corruzione e poi liberato dal solito giudice petista, non riesce nemmeno a mettere il naso fuori dalla sua finestra senza essere seppellito da una tempesta di fischi e grida di “Lula ladrone!”. I pochi comizi che egli è riuscito a organizzare sono rimasti ridicolamente vuoti. Una “Marcia su Brasilia” del PT, che voleva emulare una simile manifestazione del 1999 che attirò centomila persone, non è riuscita a mobilitare nemmeno la decima parte delle persone di allora.

    In contrasto, Bolsonaro passa da un bagno di folla a un altro. Perfino negli stati del Nord Est, dove il PT ha attecchito grazie a una vasta rete di clientelismo, il presidente è accolto da moltitudini mai viste. A giudicare dal pubblico che lo acclama per strada, Bolsonaro conta su una solida base di simpatizzanti.

    Molto espressiva una sua recente intervista, lo scorso 22 agosto, alla TV Globo, notorio canale propagandistico della sinistra. Nonostante i due intervistatori gli abbiano riservato un trattamento qualificato dalla stampa locale di “sabatina” (accanimento), il presidente se n’è uscito a testa alta. “Pareggio tecnico”, ha sentenziato un analista[5]. Forse sarebbe stato più congruo dire goleada bolsonarista. E anche l’audience del programma è da segnalare. TV Globo viaggiava sul 17% di share prima dell’intervista, è schizzata all’82% durante, per poi tornare al consueto 16%. In altre parole, il pubblico vuole sentire Bolsonaro.

    È quindi lecito chiedersi: ma questi sondaggi riflettono la realtà? Oppure sono anch’essi uno strumento della propaganda sinistrorsa?

    Urne elettroniche

    Le elezioni politiche brasiliane del 2 ottobre si realizzeranno usando urne elettroniche, cioè il voto digitale anziché cartaceo. Ora, questo sistema è molto vulnerabile alla manipolazione.

    Lo scorso 17 luglio, il presidente Jair Bolsonaro ha riunito circa quaranta ambasciatori al Palazzo presidenziale per presentare prove dell’inefficacia del sistema di sicurezza delle urne elettroniche. Le prove sono contenute in un’indagine della Polizia Federale che riguarda una denuncia secondo cui un hacker è riuscito ad accedere ai sistemi virtuali del Tribunal Supremo Eleitoral, comprese le pagine dei ministri, poco prima delle elezioni del 2018. Ovviamente, il TSE smentisce tale intromissione[6].

    Dirigendosi al corpo diplomatico, Bolsonaro ha affermato che accetterà il verdetto delle urne, a patto però che le elezioni siano oneste e prive di intromissioni di questo tipo. Egli ha chiesto dunque la presenza di osservatori internazionali imparziali.

    Comunque sia, e stando alle elezioni recentemente vinte dalla sinistra in altri paesi latinoamericani, anche su quelle brasiliane alleggia la possibilità di una frode di grandi proporzioni.

    Ricchi di sinistra, poveri di destra

    Lula è presentato dalla propaganda come il candidato dei poveri: nato nella classe operaria, egli rappresenterebbe il Brasile profondo in contrasto con le elite corrotte e prepotenti. La realtà, però, è ben il contrario. La sua base elettorale è, soprattutto, costituita dai ricchi. “Lula guida le preferenze fra i molto ricchi”, informa un servizio della BBC[7]. Nelle ultime elezioni, infatti, il PT ha sempre vinto nei quartieri ricchi di San Paolo e di Rio di Janeiro. Lo stesso articolo afferma che la popolarità di Bolsonaro sta aumentando nelle classi più umili.

    Per ultimo, registriamo l’elemento più importante: l’appoggio a Lula proviene soprattutto dalla cosiddetta sinistra cattolica, incarnata dal movimento della Teologia della liberazione. In altre parole, proprio quella realtà – la Chiesa cattolica – che dovrebbe essere il baluardo dell’Ordine contro l’assalto comunista, si è trasformata nel principale promotore di quest’ultimo. In Brasile, la sinistra politica è rachitica. Alle elezioni, i partiti dichiaratamente comunisti non superano il 2%. Molto più insidioso è il Partito dei lavoratori, nato da una costola della Teologia della liberazione. Assessorato da teologi, il PT ha sempre potuto contare sull’appoggio di buona parte del clero e dell’episcopato brasiliano. Non sorprende, quindi, che il candidato marxista possa contare con ben il 51% delle intenzioni di voto dei cattolici, contro appena un 26% per Bolsonaro[8].

    Fra i protestanti, la proporzione si rovescia: il 29% appoggia Lula, e il 47% vota Bolsonaro.

    Qui tocchiamo con le mani l’agghiacciante processo di “autodemolizione” della Chiesa, che quasi oserei chiamare un harakiri. Più la Chiesa in Brasile si è schierata con la Teologia della liberazione, più i fedeli l’hanno abbandonata, andando a ingrossare le fila delle sette evangeliche, politicamente schierate a destra. Si è passati in questo modo da un 93% di cattolici negli anni Cinquanta, a un 54% nei giorni nostri.

    L’esito delle urne è ancora incerto. Mentre la sinistra brasiliana – assistita da agenti cubani, venezuelani e nicaraguensi – dispiega uno sforzo propagandistico senza precedenti, Bolsonaro ha commesso alcuni errori strategici che gli hanno fatto perdere pezzi, compromettendo in questo modo la sua campagna.

    Chiediamo alla Madonna Aparecida, Patrona del Brasile, che non permetta che questo colosso latinoamericano cada nelle grinfie del comunismo. Ne va del futuro del continente.

     

    Note

    [1] Gabriel Sestrem, “Alexandre de Moraes atua como se fosse dono do país”, Gazeta do Povo, 23-08-2022.

    [2] Cristian Klein, “Moraes: Fake news e milícias digitais contra eleições serão combatidas com a força da lei”, Valor, 20-4-2022.

    [3] https://g1.globo.com/politica/eleicoes/2022/pesquisa-eleitoral/noticia/2022/08/18/datafolha-lula-tem-47percent-e-bolsonaro-tem-32percent.ghtml

    [4] Caio Junqueira, “Após Datafolha, QG de Lula vê chance de vitória em 1º turno”, CNN Eleições, 19-08-22.

    [5] Murilo Fagundes, “Sabatina de Bolsonaro no “JN” foi empate sem gols”, Poder360, 23-08-22.

    [6] Lucas Neiva, “Bolsonaro ataca urnas eletrônicas con inquérito desmentido perlo TSE”, Congresso em Foco, 18-07-22.

    [7] Leandro Prazeres, “Lula lidera e cresce entre mais ricos”, BBC News, 19-08-22.

    [8] Flávio Tabak, “Católicos com Lula; evangélicos, com Bolsonaro. Veja as religiões na pesquisa Ipec para presidente”, O Globo, 16-08-22.

     

    Attribuzione immagine: Brasília 24/04/2017 - Ex-presidente Lula durante Seminário Estratégias para Economia Brasileira. Foto: Lula Marques/Agência PT, CC BY 2.0

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  • Il dio Giano in Brasile

     

     

    di Julio Loredo

    Leggendo le notizie sui risultati delle elezioni generali tenutesi in Brasile domenica scorsa, mi è venuta in mente l’immagine di Giano Bifronte, il dio dalle due facce.

    Trainato da Jair Bolsonaro, il centro-destra ha stravinto a ogni livello. Il presidente è riuscito a eleggere l’80% dei suoi candidati al Senato e il 70% alla Camera. Il centro-destra adesso ha una maggioranza di ben 194 deputati, contro appena i 122 della sinistra. Al Senato il centro-destra conta con una maggioranza di tredici senatori. Il Parlamento uscito dalle urne è, forse, il più schierato a destra nella storia repubblicana del Brasile. Il centro-destra è andato a gonfie vele anche nelle elezioni regionali, eleggendo al primo turno il 60% dei suoi candidati. Dei dodici Stati andati al ballottaggio, si calcola che il centro-destra ne prenderà almeno otto.

    Il Partito liberale di Bolsonaro è diventato il primo partito a livello nazionale, al punto che alcuni commentatori parlano di “rischio di egemonia”[1].

    Tuttavia, Bolsonaro è arrivato quattro punti dietro al rivale Lula e dovrà andare al ballottaggio per la Presidenza... Il caso dello stato di Minas Gerais è indicativo. Il candidato del centro-destra alla presidenza regionale, Romeu Zema, ha vinto agiatamente al primo turno col 56,18% dei voti, lasciando quello della sinistra con un magro 35,08%. Eppure, qui Bolsonaro ha perso contro Lula con uno scarto del 5%. La situazione è simile ovunque: stravittoria della destra, sconfitta di Bolsonaro. Come mai?

    Una prima risposta è la campagna surreale scatenata contro di lui, capeggiata nientedimeno che dal presidente del Supremo Tribunal Federal (Corte di Cassazione), Alexandre de Moraes, che si auto-definisce “veramente rivoluzionario e comunista”[2]. Con una serie di decisioni monocratiche, egli ha smantellato la rete propagandistica di appoggio a Bolsonaro. Uno dopo l’altro, i canali YouTube, le stazioni radiofoniche, le pagine social, i blog, i siti internet, ecc., che sostenevano Bolsonaro sono stati chiusi e i responsabili sbattuti in carcere. Molti account Twitter, Instagram, TikTok, ecc. filo-bolsonaristi sono stati sospesi. De Moraes è giunto perfino a chiudere le operazioni in Brasile della piattaforma messaggistica Telegram, la preferita dai conservatori. Non soddisfatto, il Magistrato è arrivato ad ordinare alla Polizia Federale di invadere durante la notte gli uffici e le abitazioni dei sostenitori di Bolsonaro, confiscandone attrezzature elettroniche e sequestrandone gli archivi. Alcuni sono dovuti fuggire all’estero.

    Cominciano pure a emergere indizi di brogli. In un collegio elettorale dello stato di Rio Grande do Sul, per esempio, tutte le macchine hanno dato 129 voti per Bolsonaro. Centoventinove: non uno in più, non uno in meno. Si paventa la possibilità che qualche hacker sia riuscito a manomettere il sistema. Non è difficile portare a segno questo tipo di brogli, visto il sistema di voto elettronico. Proprio lo scorso 17 luglio Bolsonaro aveva riunito circa quaranta ambasciatori al Palazzo presidenziale per presentare prove dell’inefficacia del sistema di sicurezza delle urne elettroniche. Le prove erano contenute in un’indagine della Polizia Federale che riguardava una denuncia secondo cui un hacker era riuscito ad accedere ai sistemi virtuali del Tribunal Supremo Eleitoral.

    Comunque sia, un tale risultato ha spiazzato la sinistra. Tanto più che, fino a pochi giorni prima, i sondaggi davano la destra perdente su tutta la linea. “Vincere il bolsonarismo si sta dimostrando un compito molto più arduo di ciò che credevamo”, si lamenta El País, “le sinistre brasiliane continuano a non capire la forza del bolsonarismo. Il bolsonarismo si è radicato, è venuto per restare, rappresenta milioni di brasiliani. Le elezioni hanno segnato uno schiaffo alla sinistra”[3].

    Il noto giornale di sinistra spagnolo chiude con una grande verità che, credo, spieghi appieno la situazione: “Il bolsonarismo è molto più grande di Bolsonaro”. Possiamo fare del Brasile lo stesso commento che abbiamo proposto la settimana scorsa riguardo alle recenti elezioni in Italia. In politica non importa tanto chi sia il candidato quanto cosa egli rappresenti. Per quanto apprezzabili siano le doti personali di un leader politico, a un analista interessa di più capire quale movimento di opinione pubblica stia cavalcando.

    Che cosa rappresenta Bolsonaro?

    Per decenni il Brasile ha avuto governi moderati, che oscillavano fra il centro-destra e il centro-sinistra. La vittoria nel 2003 di Luis Inácio da Silva, detto Lula, ha cambiato le carte in tavola. Lula e il suo partito, il PT, appartengono all’estrema sinistra marxista. Il suo programma di governo è semplice: trasformare il Brasile in una seconda Cuba. Questa svolta radicale verso il comunismo, con la necessaria sequela di corruzione e di clientelismo, ha finito per provocare un movimento popolare di malcontento sfociato in manifestazioni di protesta al Governo che, man mano, si sono trasformate in un rifiuto dell’ideologia sottostante: il marxismo. Queste manifestazioni hanno assunto via via contorni sempre più ideologici fino a formare un’onda anti-comunista e anti-socialista. “La nostra bandiera è verde, non rossa!”; “Il Brasile mai sarà comunista!”; “Tutti i comunisti a Cuba!”, ecco alcuni degli slogan.

    Questo profondo mutamento nell’opinione pubblica – ormai oggetto di studi accademici e di analisi sociologiche – è la vera chiave di lettura per capire cosa stia succedendo in Brasile oggi. Impressiona che tanti media europei continuino a trattare la situazione brasiliana come frutto di una sorta di cospirazione “populista”, facendo finta di non accorgersi di questo mutamento. E poi si lamentano quando prendono una cantonata…

    Molti si concentrano sul presidente Jair Bolsonaro e sulla sua peculiare personalità, trascurando questo punto essenziale. Bolsonaro è appena la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più profondo. Cominciano a emergere studi – come quello di Fabio Baldaia e Tiago Medeiros Araújo, dell’Instituto Federal da Bahia[4] – che mostrano come il “bolsonarismo” attira il Brasile profondo, sempre più distante dalla sinistra.

    D’altronde, sempre più analisti concordano nell’attribuire la sorgente di questo fenomeno all’azione pluridecennale svolta da Plinio Corrêa de Oliveira e dalla TFP.

    Chiudo con un commento tutt’altro che secondario. Le elezioni di domenica scorsa hanno pure segnato la fine dei moderati. “La polarizzazione dà il tono alle elezioni del 2022 e Bolsonaro è il grande vincitore”, titola InfoMoney, il più importante sito legato alla finanza in Brasile[5]. Dopo aver analizzato in dettaglio i risultati, il sito conclude: “Come si vede, il Brasile ha approfondito la sua polarizzazione ed eliminato il centro politico. Bolsonaro chiude la serata da grande vincitore e favorito per la rielezione, anche se Lula non può mai essere sottovalutato come avversario”.

    Il Brasile è molto più grande delle crisi che lo colpiscono. Nel corso della sua storia, il Paese è stato più volte sull’orlo del precipizio, ma ogni volta si è rialzato grazie alla Divina Provvidenza e alla mano materna della Madonna di Aparecida, patrona della nazione brasiliana. Quando leggiamo sui cartelli “La mia bandiera non sarà mai rossa!”, sappiamo che le radici più profonde della nazione, nata nel 1500 con la celebrazione del Santo Sacrificio della Messa, non sono scomparse.

     

    Note

    [1] Rodolfo Costa, “Vitorioso nas urnas, PL de Bolsonaro projeta futuro como o maior partido de direita do país”, Gazeta do Povo, 5-10-22.

    [2] Gabriel Sestrem, “Alexandre de Moraes atua como se fosse dono do país”, Gazeta do Povo, 23-08-2022.

    [3] https://elpais.com/internacional/2022-10-03/vencer-al-bolsonarismo-va-a-ser-mucho-mas-dificil-de-lo-que-imaginabamos.html

    [4] Shin Suzuki, “Eleições 2022: bolsonarismo atrai ‘Brasil profundo’ que está cada vez mais distante da esquerda, dizem pesquisadores”, BBC News Brasil, 4-10-22.

    [5] Leandro Consentino, “A polarização dá o tom nas eleições de 2022, e Bolsonaro é o grande vitorioso”, InfoMoney, 3-10-22

     

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  • Il presidente Bolsonaro decreta lutto nazionale per la morte del Principe Luiz de Orleans-Braganza

     

    IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, nell'esercizio dei poteri conferitigli dall'art. 84, caput, commi IV e VI, lettera "a", della Costituzione, e in considerazione di quanto disposto dall'art. 18, caput, comma I, della Legge n. 5.700 del 1° settembre 1971,

     

    D E C R E T A:

    Art. 1 È proclamato il lutto ufficiale in tutto il Paese, per il periodo di un giorno, a partire dalla data di pubblicazione del presente Decreto, in segno di rimpianto per la morte di Dom Luiz Gastão Maria José Pio Miguel Gabriel Rafael Gonzaga de Orleans e Bragança, Capo della Casa Imperiale del Brasile.

    Art. 2 Il presente Decreto entra in vigore alla data della sua pubblicazione.

    Brasília, 15 luglio 2022; 201° dell'Indipendenza e 134° della Repubblica.

    JAIR MESSIAS BOLSONARO

     

    Fonte: gov.br, 15 luglio 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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  • La sinistra non riuscirà fermare l'avanzata vittoriosa del Brasile cristiano né provocare un divorzio tra lo Stato e la Nazione

    Nonostante il poco rilievo che se ne è dato in Italia, il 7 settembre scorso, 199° anniversario dell’indipendenza del Brasile, le principali piazze e strade del gigante sudamericano sono state letteralmente inondate da centinaia di migliaia di cittadini in segno di protesta contro la crescente pressione della sinistra, attraverso l’abuso del potere giudiziario e la martellante disinformazione dei grandi media, per privare la maggioranza conservatrice, vittoriosa nelle urne, del diritto di guidare pacificamente il Paese. Alla vigilia dell’anniversario, l’Istituto Plinio Correa de Oliveira ha pubblicato un comunicato, che presentiamo di seguito, in cui allerta sul fatto che la “setta rossa…ancora oggi minaccia il Brasile sfidando l'opinione di milioni di brasiliani che hanno saputo dire no al socialismo”.

    Istituto Plinio Corrêa de Oliveira

    Il nostro caro Brasile entrerà domani nel suo 200° anniversario di esistenza indipendente, che culminerà con le celebrazioni del bicentenario nel 2022. Per una nazione, ciò corrisponde al passaggio dalla giovinezza all'età adulta, in cui verrà definitivamente fissato il percorso che compirà nella storia dell'umanità.

    Dobbiamo quindi approfittare di questi 365 giorni per meditare sul nostro passato così ricco di tradizioni, sul nostro tanto lacerato presente e sul nostro futuro pieno di promesse o minacce, a seconda di quale corso definitivo prenderemo.

    In questo frangente, l'Istituto Plinio Corrêa de Oliveira vuole dare il suo contributo, ricordando alcune verità elementari — che il tempo presente tende ad oscurare — affinché questo grande processo di discernimento collettivo sia veramente fruttuoso:

    1. Il Brasile deve ricordare che uno dei suoi primi nomi fu “Terra de Santa Cruz”, e che se Dio l’ha benedetto con tanta ricchezza naturale e con un popolo intelligente, laborioso e benevolo, ciò è stato perché progredisse lungo i sentieri della civiltà cristiana e per servire da modello alle nazioni sorelle dell'America Latina, per trasformare tutto questo blocco in una grande potenza continentale. Non è un caso che il nostro principale monumento sia il Cristo Redentore (sul monte Corcovado a Rio de Janeiro ndt) e che sul nostro firmamento risplenda la Croce del Sud.

    2. Le tre fondamenta di una civiltà autenticamente cristiana e prospera sono la Tradizione, che trasmette alle nuove generazioni valori religiosi e patriottici; la Famiglia, basata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna, con lo scopo primario di crescere ed educare i figli; e la Proprietà privata, che favorisce lo spirito d'impresa e garantisce la libertà e l'indipendenza dei singoli e delle famiglie di fronte allo Stato.

    3. Il Comunismo, nelle sue molteplici sfaccettature o mascheramenti, non è solo un'ideologia sbagliata e fallita, ma anche la più grande minaccia per il Paese e per la civiltà cristiana oggi. La Chiesa lo ha condannato e classificato come una setta.

    4. Questa setta rossa, che deduce dai suoi principi errati tutta una concezione peculiare dell'uomo e della società, ancora oggi minaccia il Brasile sfidando l'opinione di milioni di brasiliani che hanno saputo dire no al socialismo, no al comunismo, “la nostra bandiera non sarà mai rossa” e “rivoglio il mio Brasile”. Sì, un Brasile ordinato, pacifico, ospitale, che difende la vita contro l'aborto e la famiglia contro l'ideologia di genere, consapevole che il progresso si ottiene attraverso il lavoro onesto e non con l'invidia, la lotta di classe e l'invasione di terreni rurali e di edifici urbani.

    5. Il buon senso è una delle caratteristiche più belle del brasiliano medio, che non si lascia trasportare dal discorso stridente e superficiale della sinistra la quale, in questo momento, predica la disunione per cercare di riconquistare il potere e tornare alla situazione in cui uno Stato occupato da elementi con la sua ideologia ha creato un abisso tra il Brasile vero, profondo, reale e il Brasile superficiale, quello dei media di sinistra e di alcuni settori accademici e culturali dei grandi centri urbani.

    6. Se le sedicenti correnti "progressiste" raggiungessero i loro sinistri obiettivi di riconquista del potere, si realizzerebbe la fosca prognosi fatta da Plinio Corrêa de Oliveira nel 1987, durante i dibattiti sulla nuova Costituzione, quando avvertì che era necessario rispettare le aspirazioni profonde del brasiliano medio. “Se ciò non avverrà, affermava l'illustre leader cattolico di San Paolo, conviene ribadire che il divorzio tra il Paese legale e quello reale sarà inevitabile. Si creerà allora una di quelle drammatiche situazioni storiche in cui la massa della Nazione esce dallo Stato e lo Stato vive (se ciò si può chiamare “vivere”) vuoto di contenuto autenticamente nazionale. […] È davanti a queste incertezze e rischi che lo Stato brasiliano si vedrà esposto al naufragio, con la Nazione che si costituirà dolcemente, soavemente, irrimediabilmente ai margini di un edificio giuridico in cui il popolo non riconoscerà alcuna identità con sé stesso. Che ne sarà allora dello Stato? Come una nave spaccata, verrà pervaso dalle acque e andrà in rovina. Quello che può succedere è imprevedibile”.

    7. Per scongiurare questa minaccia, i brasiliani avveduti devono restare uniti, respingendo le stridenti voci che predicano l'odio ed evitando la divisione interna, istigata da una minoranza ideologicamente articolata per cambiare il Paese in senso profondamente anticristiano. Devono rimanere non solo uniti, ma risolutamente attivi nella loro determinazione a salvare il “Brasile brasiliano”, fedele a sé stesso, e non un burattino delle ideologie anticristiane che hanno portato alla rovina paesi un tempo ricchi come Cuba e Venezuela.

    Fiduciosi nella protezione divina e nelle benedizioni di Nostra Signora Aparecida, Regina e Patrona del Brasile, i membri dell'Istituto Plinio Corrêa de Oliveira continueranno a difendere pubblicamente, nelle strade, nei viali e nelle piazze della nostra amata Patria, i valori cristiani ​che l'hanno nutrita fino ad ora e che faranno di lei, nella sua vita adulta, la grande potenza del terzo millennio.

    Fonte: Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, 6 settembre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà - Italia

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  • COMUNICATO

    La vittoria di Pirro di una sinistra camuffata su un Brasile sempre più conservatore e reattivo

    Comunicato dell'Istituto Plinio Corrêa de Oliveira sul risultato elettorale

     

     

    Il risultato del secondo turno delle elezioni presidenziali non poteva essere più scoraggiante per la sinistra. La vittoria del candidato Lula da Silva è avvenuta con lo stretto margine di 50,9% a 49,1%, con oltre il 20% di astensione e un altro 5% di voti nulli o bianchi.

    Fin dall'inizio della "corsa elettorale" c'è stata una grande mobilitazione di praticamente tutto l'establishmentper una vittoria di Lula al primo turno. La stampa - e innumerevoli sondaggi d'opinione - suggerivano che questa vittoria era possibile, con un ampio margine di vantaggio per Lula superiore al 14%[1].

     

    Il primo turno rivela la persistenza del Brasile profondo

    Il risultato del primo turno elettorale, che comprendeva non solo le elezioni presidenziali ma anche la scelta di governatori, senatori, rappresentanti federali e statali, aveva già provocato un terremoto psicologico e politico nelle file della sinistra.

    Alcuni analisti hanno persino affermato che non c'è mai stato un Congresso più conservatore di quello che è stato eletto. Con un'aggravante che rende la sinistra ancora più preoccupata, perché molti degli eletti sono abituati a essere attaccati dalla stampa per le loro posizioni conservatrici, il che li rende meno propensi a subire pressioni.

    Lo stesso fenomeno si è verificato con i governi statali, come San Paolo, Rio de Janeiro e Minas Gerais, i tre maggiori collegi elettorali del Paese, i cui candidati legati al presidente Bolsonaro sono usciti vittoriosi con un ampio margine.

    Il grande vincitore è stato il Brasile conservatore, che molti analisti oggi chiamano Brasile profondo, utilizzando, con il senno di poi,l'espressione impiegata dal Prof. Plinio Corrêa de Oliveira molti decenni fa per designare la maggioranza del Paese che si allontanava sempre più dalla sinistra e non compariva sulla stampa e nel mondo accademico.

    Con questo risultato, gli analisti si sono divisi tra sorpresa, disincanto e paura.

    Sul quotidiano "O Globo", Renato Pereira ha dichiarato: "La svolta conservatrice del 2018 finisce per approfondirsi nel 2022 con l'elezione di diversi quadri combattivi del bolsonarismo. Accompagniamo lo sviluppo di un movimento conservatore popolare, qualcosa di inedito in Brasile, e non un semplice cambio di guardia a destra"[2].

    Questa crescita del conservatorismo è stata tanto più significativa in quanto colui che ne appariva come elemento visibile, il presidente Jair Bolsonaro, era stato vittima di una feroce campagna di discredito mediatico e di opposizione da parte della Corte Suprema.

     

    La campagna del secondo turno evidenzia lo sfondo religioso del dibattito nazionale

    L'agenda delle campagne "lulista" e "bolsonarista" ha confermato un'altra realtà che non è apparsa nello specchietto retrovisore dei media: la persistenza della fede religiosa come elemento centrale nella psicologia dei brasiliani e come fattore crescente di posizionamento politico.

    E questo, non tanto per la divisione tra la maggioranza cattolica e la minoranza protestante, ma per la divisione, al loro interno, tra chi vuole rimanere fedele agli insegnamenti morali tradizionali del cristianesimo e chi li vuole reinterpretare secondo i gusti della modernità, su temi come l'estensione sistematica dell'aborto[3], del "matrimonio omosessuale", dell’"ideologia di genere[4], del disarmo, ecc.

    Di conseguenza, ciò che era nascosto nei vecchi dibattiti politici, cioè il loro background religioso e morale, è diventato di dominio pubblico.

    In un editoriale, il quotidiano O Estado de São Paulo ha deplorato amaramente ciò che si è acuito in queste ultime elezioni: "Problemi molto tangibili, come l'avanzare della miseria, il ritorno della fame, l'aumento dell'inflazione e la pietosa crescita economica - eredità del governo Bolsonaro - hanno lasciato il posto a false discussioni moralistiche basate sull'insensatezza, come la fine della famiglia, la minaccia di chiudere le chiese, la legalizzazione delle droghe, la liberalizzazione dell'aborto e l'imposizione di bagni unisex per i bambini nelle scuole"...[5]

    Non a caso, la cosiddetta "sinistra cattolica", cioè una parte dell'episcopato e del clero che aderisce agli errori marxisti della "teologia della liberazione", ha freneticamente fatto campagna per la sinistra.

    D'altra parte, un gran numero di religiosi e sacerdoti conservatori ha ripudiato pubblicamente l’agenda della sinistra invocando le questioni morali.

    In un'unità senza precedenti, i brasiliani di tutto il mondo hanno intensificato la recita dei rosari pubblici contro il comunismo.

    L'Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, insieme ad altre organizzazioni, è stato uno dei promotori di queste iniziative[6], dando loro una nota sempre più religiosa e anticomunista.

     

    Anche nel 2° turno il conservatorismo ha vinto, pur perdendo la corsa presidenziale

    Questa ascesa del conservatorismo in Brasile, con una marcata nota religiosa e anticomunista, si è accentuata nei risultati elettorali complessivi, nonostante la piccola vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva al secondo turno.

    Inoltre, il candidato Lula ha dovuto accettare enormi compromessi, dichiarandosi addirittura contro l'aborto, contro l'ideologia gender, contro i servizi igienici unisex, contro l'invasione di terreni improduttivi! La sinistra radicale è stata costretta a cedere e a scendere a compromessi per ottenere una misera vittoria di fronte all'avanzata del conservatorismo che si è consolidato in Brasile.

    Una domanda che molti osservatori si sono posti, sia in Brasile che all'estero, è se Lula riuscirà a governare senza l'opinione pubblica e con un'opposizione articolata come quella attuale.

    In questo momento, Lula non ha più le piazze pubbliche del Brasile e, da un punto di vista politico, il Congresso nazionale è diventato più conservatore.

    Se in Venezuela il compagnoMaduro ha un esercito corrotto e sottomesso, lo stesso non vale per il Brasile.

    Domande tanto più pertinenti in quanto è noto che, data la polarizzazione del Paese, se il presidente eletto tenterà di spostarsi a sinistra, susciterà una reazione ancora maggiore di quella suscitata in altri paesi del Sudamerica. Un elemento essenziale della reazione è il suo carattere visceralmente religioso, che le conferisce profondità e stabilità e, quindi, durabilità.

     

    Preghiera a Nostra Signora di Aparecida

    La sinistra ha ottenuto una vittoria a breve termine. Se il Brasile conservatore saprà approfondire le ragioni religiose della sua resistenza all'agenda della sinistra e agirà con prudenza e saggezza, la sua vittoria a lungo termine sarà assicurata.

    Nel suo libro Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, il professor Plinio Corrêa de Oliveira dimostra la forza invincibile delle grandi conversioni nella Storia: "Quando gli uomini decidono di collaborare con la grazia di Dio allora nella storia si producono meraviglie: la conversione dell’Impero romano, la formazione del Medioevo, la riconquista della Spagna a partire da Covadonga sono tutti avvenimenti di questo tipo, che accadono come frutto delle grandi risurrezioni spirituali di cui sono suscettibili anche i popoli. Risurrezioni invincibili, perché non v’è nulla che possa sconfiggere un popolo virtuoso e che ami veramente Dio[7].

    Chiediamo con fiducia e umiltà che Nostra Signora di Aparecida, Regina e Patrona del Brasile, porti a compimento quell'invincibile resurrezione dell'anima che ha già cominciato a manifestarsi nella Terra della Santa Croce.

     

    San Paolo, 1° novembre 2022

    Festa di Tutti i Santi

     

    Nota

    [1] Datafolha. Il risultato del primo turno è stato di 5 punti percentuali di differenza tra i due candidati, ben al di fuori del cosiddetto "margine di errore" di questi sondaggi di opinione.

    [2]Il bolsonarismo, da spettro a manifestazione legittima, O Globo, 27 ottobre 2022.

    [3]Già iniziata col governo di Fernando Henrique Cardoso, del PSDB, con la "norma tecnica" del suo ministro della Salute, José Serra.

    [4]"Approvato" dalla magistratura, senza essere stato approvato dal ramo legislativo.

    [5] E Bolsonaro ha vinto, Note e Informazioni, O Estado de São Paulo, 24 ottobre 2022.

    [6] In una delle sue campagne, è riuscito a contare più di 3,5 milioni di Ave Maria in tutto il Brasile: www.rezecontraocomunismo.org.br

    [7] Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Plinio Corrêa de Oliveira.

     

    Fonte: Instituto Plinio Corrêa de Oliveira, 1 novembre 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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