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  • Brasile: harakiri della Destra populista?

     

     

    di Julio Loredo

    I giapponesi avranno pure inventato l’harakiri, ma pare che una certa Destra, quella detta populista, ne sia diventata specialista. Ecco l’ultimo suicido rituale, accaduto in Brasile.

    Da anni, la sinistra brasiliana era fermamente intenta a stabilire una dittatura comunista tramite l’uso smodato e abusivo del Potere giudiziario e della Polizia federale. Di fronte a siffatto pericolo, dilagava invece una reazione conservatrice sempre più radicata ed estesa. Perciò, anche dopo la vittoria di Lula, le prospettive del centro-destra – all’opposizione, e col vento conservatore in poppa – erano francamente rosee. I misfatti di Brasilia hanno cambiato drasticamente la situazione.

    Il pericolo di una dittatura comunista

    Vediamo il primo punto: il pericolo di una dittatura comunista.

    In quattordici anni al Governo, la sinistra brasiliana era riuscita a impadronirsi di alcuni settori dello Stato, a cominciare dal Potere giudiziario, utilizzandoli per i suoi scopi politici. Si è così proiettato al centro della politica nazionale il magistrato del Supremo Tribunal Federal (STF) Alexandre de Moraes, da sempre vicino alla sinistra. Una vignetta sul più importante quotidiano brasiliano lo ritrae nei panni di Luigi XIV con la dicitura “La démocratie c’est moi!”.

    In una serie di decisioni monocratiche, de Moraes ha smantellato la rete propagandistica del centro-destra. Uno dopo l’altro, ha chiuso canali YouTube, stazioni radiofoniche, pagine Facebook, blog, siti internet, ecc., di area conservatrice. Molte persone sono finite in carcere. Molti account Twitter, Instagram, TikTok, ecc., sono stati parimenti sospesi. De Moraes è giunto perfino a chiudere le operazioni in Brasile della piattaforma messaggistica Telegram, la preferita dai conservatori. Recentemente, ha chiuso gli account Twitter di Pro Monarquia, portavoce della Famiglia Imperiale del Brasile.

    Nel 2019 de Moraes emanò una decisione contro le “fake news”, che in realtà comprendeva qualsiasi critica alla sinistra. Iniziò quindi una caccia ai conservatori. Il magistrato ordinò alla Polizia Federale di invadere durante la notte i loro uffici e le loro abitazioni, confiscandone attrezzature elettroniche e sequestrandone gli archivi. Alcuni dovettero fuggire all’estero.

    E guai a criticare de Moraes! Facendosi scudo della sua immunità, egli ritiene che qualsiasi critica alla sua attuazione costituisca un vilipendio al Potere giudiziario. Diversi politici sono finiti in carcere per aver osato accusarlo di favorire la sinistra[2]. Un gruppo di giovani che, di fronte a casa sua, gridavano “Via ministro comunista!”, sono stati allontanati dalla Polizia e condannati a venti giorni di prigione.

    Finora de Moraes ha emesso più di cinquemila mandati di perquisizioni e/o arresto contro figure del mondo conservatore. Si è creata così una situazione quasi da dittatura militare: ci sono stati casi di oppositori prelevati per strada da agenti della Polizia e portati via in carceri speciali. Interpellato in una recente conferenza stampa su cosa intenda fare con gli oppositori, de Moraes ha passato l’indice destro sul suo collo alludendo alla ghigliottina!

    Di più, de Moraes, un simpatizzante di Lula, si è addossato il diritto di bandire qualsiasi politico che, a suo personale giudizio, diffonda notizie non corrispondenti al vero, cioè non allineate al politically correct come egli stesso lo intende. Questo in barba alla Costituzione che garantisce la libera espressione delle idee e la separazione dei poteri.

    La reazione conservatrice

    Passiamo al secondo punto. Di fronte al reale pericolo di una dittatura comunista, è andata invece crescendo una reazione conservatrice sempre più radicata ed estesa.

    I media italiani parlano di Bolsonaro. In realtà, l’ex presidente è appena la punta d’iceberg di una vasta e profonda reazione conservatrice che, già da qualche anno, si fa sentire sempre più forte in Brasile, e sulla quale abbiamo più volte scritto. Gli studiosi identificano le radici di questa reazione nel lavoro anticomunista pluridecennale svolto dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira e dall’associazione da lui fondata, la TFP.

    A lungo latente, questo fenomeno – che mobilita il Brasile profondo in modi che la propaganda rivoluzionaria non sempre riesce a controllare – iniziò a prendere forma nelle manifestazioni contro il regime di Dilma Rousseff nel 2014. Dalla protesta contro alcuni provvedimenti del Governo, si passò alla contestazione dell’ideologia che ne era alla base: il socialismo. Iniziarono così le oceaniche manifestazioni popolari che, man mano, assunsero un carattere nettamente anticomunista. “Il Brasile non sarà mai rosso!”, era lo slogan che le animava. Il fenomeno – oggetto di numerosi studi accademici – eccede di molto l’ambito politico, costituendo in realtà un movimento di natura religiosa, morale, ideologica e culturale. D’altronde, ed ecco una grande sorpresa, attira soprattutto le generazioni più giovani.

    Dando struttura e dinamismo a questa reazione, si è costituita una vasta rete propagandistica fatta da canali YouTube, blog, siti internet, stazioni radiofoniche, gruppi Facebook e via dicendo. Gli influencer brasiliani di linea anticomunista hanno decine di milioni di follower. Cresce anche il numero delle case editrici dedite alla pubblicazione di libri conservatori, e si moltiplicano convegni e gruppi di studio dello stesso orientamento. Non si tratta affatto di un fenomeno transitorio.

    Le prospettive rosee

    Ed eccoci arrivati al terzo punto: le prospettive rosee del centro-destra.

    Questo immenso movimento, chiamato in modo riduttivo e assai fuorviante “bolsonarismo”, è vivo e vegeto. Anzi, è in forte espansione e ha dimostrato di poter tenere testa al mondo intero. L’aver perso le ultime elezioni per meno del 2%, contro tutto e contro tutti, gli ha dato ancor più vitalità. All’indomani della vittoria di Lula, c’era da aspettarsi che le masse socialiste invadessero le strade del Paese per celebrarne il successo. Le masse hanno, sì, invaso strade e piazze, ma indossavano magliette giallo-verdi, il colore di Bolsonaro. Pur sconfitto, l’ex presidente veniva osannato come il futuro del Brasile.

    La delusione a sinistra è iniziata già al primo turno, con un Lula inchiodato al 47%: molto lontano dal 60% prospettato da alcuni sondaggi. Non solo. Il centro-destra ha stravinto a livello nazionale. Il Partito Liberale di Bolsonaro è riuscito a eleggere il 90% dei suoi candidati al Senato e il 75% alla Camera. La coalizione di centro-destra guidata dall’ex presidente può contare su una maggioranza nel Congresso.

    Lo stesso si può dire delle elezioni regionali. Ricordiamo che il Brasile è una repubblica federale, come gli Stati Uniti. Le Regioni hanno un’ampia autonomia legislativa, finanziaria e anche militare. Ebbene, i partiti del centro-destra hanno vinto nel 75% delle Regioni, perfino strappando al PT alcuni roccaforti. Mai nella storia recente del Brasile si era configurato un quadro politico regionale più schierato a destra.

    Di fronte a questo panorama, in un mio recente articolo affermavo: “A Lula vanno le grane del Governo Federale, ostacolato dal Congresso e da Regioni ostili. A Bolsonaro vanno le glorie dell’opposizione. Se il leader conservatore capirà che egli non è solo un capo politico, bensì il punto di convergenza di un movimento che ha la vocazione per diventare una vera e propria Contro-Rivoluzione, allora il Brasile potrà sperare. Se, invece, il “bolsonarismo” si arenerà nelle paludi della micro-politica e dei tradimenti tanto in voga nella vita pubblica, allora qualcun’altro prenderà lo scettro e porterà avanti la reazione.

    Le prime mosse del governo Lula l’hanno già mostrato in grande difficoltà. Quasi tutti i suoi ministri sono indagati per corruzione e peculato. Tanto per menzionarne uno: il ministro della Giustizia, il comunista Flávio Dino, ha a suo carico nientemeno che 277 cause penali e civili. Una vera manna per l’opposizione.

    D’altronde, serpeggiano i malumori nelle Forze armate. Un esempio: il comandante della Marina militare, ammiraglio Almir Garnier Santos, ha scelto di non partecipare alla cerimonia di inaugurazione del nuovo Governo. E anche questo è una manna per l’opposizione, che può contare su notevoli appoggi nel mondo militare.     

    Complessivamente, dunque, le prospettive per il centro-destra erano francamente rosee.

    Lo harakiri

    Tutto questo rischia ora di andare in frantumi dopo i misfatti di Brasilia, sui quali bisogna subito chiarire che sono stati l’opera di una minoranza, molto probabilmente infiltrata. La stragrande maggioranza dei manifestanti, pacifica e generosa, è rimasta a più di trecento metri dagli avvenimenti violenti. In molti casi, come mostrano i video, hanno pure cercato di impedire l’assalto. Anche premettendo che le cose siano andate in modo assai diverso da quanto presentato dai media italiani, resta però il fatto che, in politica, ciò che conta non è tanto la verità quanto la percezione. E la percezione pubblica è cambiata profondamente.

    Tanto per cominciare, l’accusa di essere dittatoriali, anti-democratici e truculenti, fino ad oggi giustamente affibbiata dalla destra alla sinistra, è stata ribaltata. Adesso sarà il centro-destra a dover difendersi da tale accusa. La propaganda sinistrorsa avrà gioco facile nel dipingere i conservatori come “il cancro del Paese”[3]. Un esempio tra mille: i facinorosi hanno devastato la Sala di rappresentanza del Palazzo presidenziale, dove erano custoditi molti oggetti d’arte, alcuni secolari. È pure sparito un orologio appartenente al Re Giovanni VI. Come giustificare tale atto agli occhi dell’opinione pubblica?

    Anche se tutto porta a credere che Bolsonaro sia estraneo ai fatti (si trovava a Miami, e ha condannato la violenza via Twitter), sarà difficile toglierli l’etichetta di “golpista”. Se egli rientra in Patria, corre il rischio di essere incarcerato e processato per insubordinazione, perdendo quindi ogni diritto politico. La sua carriera come leader sembra arrivata al capolinea. E, volens nolens, ciò implica anche una brusca frenata per il movimento di reazione conservatrice, che, oltre a doversi difendere dalle accuse di terrorismo, dovrà trovarsi un altro leader.

    Inoltre, l’assalto a Brasilia ha messo nelle mani della sinistra il pretesto perfetto per intensificare la persecuzione contro i conservatori. Adesso, il Governo ha una giustificazione per decapitare la reazione. Infatti, con la giustificazione di difendere la libertà e la democrazia, Lula ha già imprigionato 1,500 persone e schedatone altre diecimila. Con la motivazione che avrebbero appoggiato il fallito golpe, si parla di dimettere alcuni governatori di centro-destra appena eletti, sostituendoli con podestà federali. Da oggi in poi, ogni avversario, reale o presunto, di Lula potrà essere trattato come un potenziale terrorista. A tale fine sarà aperta una “Centrale di denuncie” presso il Ministero della giustizia, dove qualsiasi cittadino, anche in modo anonimo, potrà accusare chiunque di essere bolsonarista e, quindi, perseguibile penalmente.

    Sull’onda del rigetto da parte dell’opinione pubblica delle violenze della scorsa domenica, è stata annunciata la costituzione di una CPI (Comissão Parlamentar de Inquérito), per scovare tutti i potenziali oppositori di Lula. Un vero e proprio Comité de Salut Public di giacobina memoria.

    “È stata una zappa sui piedi, commenta il regista di sinistra Dodo Azevedo, l’estrema destra ha sabotato i progetti della stessa estrema destra”[4]. La pensa in modo simile Maddeleine Laksco, editorialista di UOL, la maggiore piattaforma informatica del Brasile: “Questo è stato il suicidio della destra in Brasile. La destra non potrà governare il nostro Paese almeno per due decenni”[5]. E anche all’estero si fa largo questa lettura. Sulla Nuova Bussola Quotidiana, Luca Volonté afferma che “l’assalto alle istituzioni serve a Lula per rafforzare il suo potere”.

    Infatti, gli errori strategici commessi con l’assalto alle istituzioni sono tanti che più di un commentatore ha insinuato l’ipotesi che dietro ci fosse proprio il Partito dei lavoratori di Lula, il grande beneficiario dei misfatti di Brasilia. Il noto opinionista Fernão Lara Mesquita, per esempio, si domanda come mai, dopo aver depredato e sporcato tutto (perfino lasciando dappertutto feci), i manifestanti si siano ritirati spontaneamente invece di tenere la piazza conquistata. E come mai il Governo, pur sapendo dell’assalto giorni prima, non abbia fatto niente per impedirlo ma, anzi, lo abbia facilitato per esempio non proteggendo gli edifici pubblici[6].

    Secondo Mesquita, con l’assalto a Brasilia, gli equilibri di potere si sono profondamente modificati. Fino a domenica, Lula era in gravi difficoltà, non potendo contare su una maggioranza nel Congresso né nelle Regioni. Sarebbe stato difficile, se non impossibile, portare avanti i suoi progetti dittatoriali. Egli stesso aveva dichiarato nel primo Consiglio dei Ministri: “La lotta sarà lunga e difficile”. Adesso, il presidente marxista ha il coltello dalla parte del manico, e può fare ciò che vuole.

    Che enorme trasformazione! Che terribile harakiri!

    Attribuzione immagine: Palácio do Planalto - Marcos Corrêa/PR, Flickr, CC BY 2.0.

     

    Note

    [1] Gabriel Sestrem, “Alexandre de Moraes atua como se fosse dono do país”, Gazeta do Povo, 23-08-2022.

    [2] Cristian Klein, “Moraes: Fake news e milícias digitais contra eleições serão combatidas com a força da lei”, Valor, 20-4-2022.

    [3] Ana Patricia Cardoso, Brasileiros reagem a assalto ao Congresso. O bolsonarismo é um cancro, Contacto, 9 gennaio 2023.

    [4] Ibid.

    [5] https://noticias.uol.com.br/politica/ultimas-noticias/2023/01/09/analise-golpistas-vivem-em-espirito-de-seita-ataque-e-ponta-do-iceberg.htm

    [6] https://www.youtube.com/watch?v=9r1UL8r0fhY

  • CHI HA VINTO LE ELEZIONI IN CILE?

     

     

    di Antonio Montes Varas

    La domanda in testa a questo commento può sembrare assurda. Gabriel Boric, candidato della sinistra, ha ottenuto il voto più alto come presidente del Cile, risponderà qualche lettore seccato. Perché allora chiedere chi ha vinto?

    Non neghiamo che Boric abbia ottenuto quasi il 56% dei voti espressi, quello che chiediamo è: quale Boric ha ottenuto quell'appoggio?

    Quello del primo turno, radicale, portavoce di un discorso estremista? O quello del secondo turno, moderato e che vuole passare come uno che rispetta l’istituzione repubblicana, che prima minacciava di rifare da cima a fondo?

    La domanda ha senso, perché se è il primo Boric, il futuro del Paese sarà terribile. Se è invece la seconda, c'è ancora una possibilità che esso possa superare questo "boccone amaro".

    Ecco perché sapere chi ha vinto le elezioni è una questione cruciale per il futuro del Cile.

    Per ora, la risposta a questa domanda non può essere data da nessuno. Dipenderà da diversi fattori ancora difficili da prevedere. Guardiamo ad alcuni di loro nel tentativo di chiarire il mistero.

    1. L'atteggiamento del Partito Comunista

    Non si può dimenticare che, nonostante i "cambiamenti" e le promesse di "moderazione" di Boric, i suoi compagni di strada, quelli del Partito Comunista, non sono cambiati di una virgola e hanno già avvertito, per bocca del suo più noto esponente, Daniel Jadué, che "il giorno che Gabriel stravolgerà di un millimetro la linea del programma, sarò il primo a denunciarlo e ad accusarlo".

    Da parte sua, il presidente dei comunisti, Guillermo Teillier, ha dichiarato: "non c'è tempo per discutere un nuovo programma".

    Chi comanderà in questa coalizione? Boric vorrà dare un pugno sul tavolo di fronte ai suoi alleati del Partito Comunista? Su quali questioni? Quanto sarà forte questo gesto?

    Per ora, nessuno può rispondere a queste domande. Tuttavia, pensiamo che sia importante chiederlo, perché ci permette di vedere dove concentrare la nostra attenzione per conoscere la direzione che prenderà il governo di sinistra.

    2. L'atteggiamento dell'opposizione

    Il risultato di José Antonio Kast al secondo turno fu lo stesso del SÌ nel plebiscito del 19881. Sembrerebbe che, più di 30 anni dopo, e nonostante tutti i governi di sinistra - o di sedicente destra - passati nel corso dei decenni, la percentuale di destra in Cile rimane intatta.

    Inoltre, la posizione presa dal candidato Kast era molto più coerente con i principi fondamentali della destra rispetto ai precedenti candidati di centro-destra, o presunti tali, compreso l’attuale presidente del Cile Sebastián Piñera.

    Resta da vedere se questa coerenza sarà mantenuta dai deputati e senatori eletti nei partiti di centro-destra e destra (la coalizione Chile Vamos e i Republicanos di Kast) o se si diluirà con il tempo e il desiderio di trovare ad ogni costo un consenso.

    Nella prima ipotesi, se si mantiene la coerenza e la fermezza del discorso della "destra senza complessi", sarà difficile per Boric far passare molti dei suoi progetti estremi e dovrà moderarsi.

    3. L'atteggiamento della Convenzione costituente

    Oltre ai fattori di cui sopra, un altro fattore da prendere in considerazione sarà l'atteggiamento dei membri della Convenzione costituente.

    Se essi leggono i risultati di queste elezioni come un prevedibile trionfo per qualsiasi tipo di testo "rifondativo" da presentare all'approvazione, e se i costituenti si aspettano di poter esercitare un'operazione a tenaglia tra il nuovo esecutivo e lo spirito rifondativo della nuova Costituzione, allora saranno loro a suonare la musica. E quella musica sarà probabilmente ciò che piace alla "prima linea", cioè, violenza e caos.

    4. Il trionfo della simpatia più che dell'ideologia

    Infine, c'è un altro fattore per rispondere alla nostra domanda, forse il più importante. Oggi, le elezioni non sono decise da convinzioni e opinioni ideologiche o dottrinali, ma da simpatie temperamentali.

    Nell'era della "post-verità" e del relativismo, non c'è spazio per principi di alcun tipo. C'è solo, per la maggioranza, ciò che "mi piace" o ciò che "non mi piace". Proprio come i meme di Facebook.

    Ora, il problema dei gusti e delle antipatie è che possono cambiare da un giorno all'altro a causa di fattori che possono sembrare - a prima vista - insignificanti, ma che possono decidere bruschi capovolgimenti. Il rialzo di pochi centesimi in più di dollaro del biglietto della metropolitana che hanno fatto scoppiare la rivolta sociale nel 2019 e che hanno messo in discussione in modo radicale il paradigma socio-economico del Cile ne sono la prova.

    Cosa succederà alle simpatie di cui gode oggi Boric di fronte alla lentezza per realizzare le sue promesse? Le manterrà quando le inevitabili difficoltà economiche cominceranno a farsi sentire? Dove andranno questi movimenti temperamentali di simpatia e antipatia? Chiederanno misure più estreme? Vorranno tornare a un discorso di destra o di centro?

    ***

    Concludiamo con la nostra domanda iniziale: chi ha vinto le elezioni? E noi rispondiamo che è ancora troppo presto per sapere chi ha vinto le elezioni. La risposta dipenderà in gran parte da come saranno risolte queste quattro domande.

    Preghiamo che Nostra Signora del Monte Carmelo, Regina del Cile, la cui solenne incoronazione 95 anni fa fu celebrata proprio il giorno di questa elezione, protegga il nostro paese in tutte le difficoltà che comincia ad affrontare oggi.

     

    [Attribuzione foto: Biblioteca del Congreso Nacional de Chile, CC BY-SA 3.0 CL, via Wikimedia Commons(Fotos: Christel Andler, René Lescornez, Johanna Zárate)].

     

    Note

    1. Il plebiscito cileno del 1988 fu un plebiscito nazionale (…) indetto il 5 ottobre 1988 per determinare se il popolo volesse conferire ad Augusto Pinochet un ulteriore mandato di 8 anni come presidente della Repubblica. Il SI ottenne 44% contro il 56% dei NO (wikipedia).

     

    Fonte: Credo ChileTraduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Chi ricorda lo Holodomor?

     

     

    di Julio Loredo

    Tutti ricordano l’Olocausto, cioè l’uccisione di sei milioni circa di ebrei per mano dei nazisti. Esiste la Giornata della memoria, il Museo dell’Olocausto, premi internazionali legati a questa memoria e una vastissima letteratura sull’argomento. Esistono perfino organismi dedicati alla “caccia” dei responsabili. Ma quanti hanno sentito parlare dello Holodomor? Pochi, forse quasi nessuno. Non se ne parla. Eppure ha fatto almeno un milione di vittime in più dell’Olocausto.

    Si tratta dell’orrenda carestia degli anni ‘32‑‘33, artificialmente indotta dalle autorità sovietiche per sterminare la classe dei piccoli proprietari terrieri in Ucraina, e che provocò almeno sette milioni di vittime. Se n’è trattato nel corso del convegno Memento Gulag, tenutosi recentemente a Roma. Riproduciamo il comunicato stampa diffuso al riguardo dall’ambasciata dell’Ucraina in Italia in occasione del 70mo anniversario del tragico evento.

    *  *  *  *  *

    Quest’anno le comunità ucraina ed internazionale rendono omaggio, in occasione del 70mo anniversario, ai milioni di vittime del “Holodomor” – una vera e propria catastrofe subita dal popolo ucraino quando, per la prima volta nella storia dell’umanità, la confisca dei generi alimentari è stata consapevolmente utilizzata dallo Stato a fini politici, come arma di distruzione di massa della propria popolazione.

    Nel lessico della lingua ucraina nacque infatti un nuovo vocabolo – “holodomor”, che non trova equivalenti in altre lingue e che indica appunto “assassinio di massa per fame” in seguito a carestia artificiale e pianificata.

    L’Ucraina venne devastata nel XX secolo da due grandi carestie. La prima, interessando gran parte del Paese, inizia subito dopo la fine della guerra civile e la repressione della rivoluzione per l’indipendenza ucraina. Le sue cause ebbero, per la maggior parte, carattere oggettivo: la siccità del 1921, le conseguenze economiche della prima guerra mondiale e di quella civile, la gestione fallimentare del settore agricolo da parte del regime comunista da poco insediatosi al governo e, ultima ma non per importanza, la disparità nella distribuzione delle risorse alimentari, svolta dal potere centrale a favore dei centri industriali, principalmente di quelli fuori da territorio ucraino.

    La carestia degli anni ‘32‑‘33 interessò le stesse regioni del Paese, in particolare quelle di Zaporizzhya, Donetsk, Dnipropetrovsk, Mykolayiv ed Odessa, però questa volta essa venne causata innanzitutto da fattori politici. L’obiettivo era di sterminare il folto ceto dei contadini‑imprenditori ucraini agiati ed indipendenti dallo Stato.

    Lo sterminio di massa dei contadini ucraini attraverso la fame artificiale fu una consapevole forma di terrore politico contro la popolazione civile in seguito al quale vennero eliminate intere generazioni d’agricoltori, annientate le fondamenta sociale della nazione, le sue tradizioni secolari, la cultura spirituale, la sua identità.

    Fonti documentali d’archivio testimoniano che la carestia degli anni ‘32‑‘33 non fu un fenomeno fisiologico, ma un’azione ideata e realizzata consapevolmente, visto che tutte le scorte di frumento e d’altri generi alimentari venero portati via dall’Ucraina nei centri industriali dell’URSS.

    Conformemente alle disposizione del governo fu inoltre vietato ogni commercio dei prodotti alimentari nelle zone rurali, con severissime pene quali reclusioni superiori a dieci anni e fucilazione, nei villaggi che non erano riusciti ad adempiere con il piano stabilito dal Governo di consegna allo stesso dei prodotti agricoli.

    Le conseguenze e le dimensioni del “Holodomor” testimoniano una globale catastrofe socio‑umanitaria non soltanto nella storia del popolo ucraino ma dell’intera umanità.

    Gli storici ed i demografi dissentono tuttora sul numero esatto delle vittime. Tuttavia si potrebbe affermare che, tenendo conto delle stime del censimento nel 1937, la cifra più probabile dei morti per inedia e per i fenomeni relazionati con la stessa quali epidemie, cannibalismo, suicidi per disturbi psichici e sociali, ecc., superi i sette milioni.

    Questa orrenda tragedia degli anni 1932‑1933, su cui i consoli dei paesi esteri a Kyiv, Odessa e Kharkiv informarono i propri governi, venne per molti decenni occultata in Ucraina e, addirittura, negata ufficialmente dalla classe dirigente dell’URSS nonostante il riconoscimento del “Holodomor” quale reale fatto storico da parte del Congresso degli USA, del Parlamento e del Governo del Canada e della Commissione Internazionale dei Giuristi.

    Le sue cause, il carattere, le modalità dell’organizzazione e le dimensioni furono nascosti sia dalla comunità internazionale sia da alcune generazioni di nostri connazionali.

    I dati statistici più esatti non sarebbero tuttavia in grado di rendere la profondità delle conseguenze socio‑economiche, politiche e psicologiche della carestia che portò addirittura al vergognoso fenomeno del cannibalismo.

    È per queste ragioni che il nostro Paese ha proposto, in sede ONU, di fornire una valutazione della comunità internazionale sul “Holodomor” degli anni 1932‑1933 in Ucraina. Le istituzioni internazionali devono fornire un giudizio politico e giuridico su questo sterminio pianificato che non ebbe precedenti nella storia e che portò alla morte di milioni di persone innocenti.

    Riconoscere il “Holodomor” quale atto di genocidio ha un significato di principio per la stabilizzazione dei rapporti socio‑politici nel nostro Paese ed è un fattore di ripristino della verità storica, di risanamento morale da un terribile shock provocato dalle purghe staliniane e dalle carestie.

    Il ricordo di così dolorose esperienze deve aiutare l’odierna umanità a rigettare ogni forma di violenza e a crescere nel rispetto della dignità umana, salvaguardando i fondamentali diritti in essa radicati.

     

    Fonte: Rivista Tradizione Famiglia Proprietà, Dicembre 2003. 

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte

  • Comunismo cubano e “diritti” lgbt, le questioni profonde

     

     

    di Julio Loredo

    Invitata da realtà della sinistra politica e da associazioni lgbt, Mariela Castro Espín è arrivata in Italia un paio di giorni fa per un tour di conferenze che toccherà diverse città, a cominciare da Milano e Genova. Castro Espín parlerà dei diritti umani a Cuba. La sua presenza tra noi ha sollevato un’ondata di critiche, anche a Montecitorio. Introduciamo dunque il personaggio.

    Mariela Castro Espín è figlia di Raúl Castro, quindi nipote di Fidel Castro e membro di spicco del clan che da oltre mezzo secolo opprime brutalmente Cuba. Suo fratello, Alejandro Castro, è il capo del Consejo de Defensa y de Seguridad Nacional, che il sito del ministero della Difesa di Cuba definisce così: “L’azione coordinata di tutte le forze e risorse della società e dello Stato, svolta sotto la direzione del Partito Comunista di Cuba, per affrontare l’aggressione militare esterna e per scongiurare la sovversione interna[1]. In altre parole, l’organo di repressione totale del comunismo cubano, la versione tropicale del KGB.

    Mariela, invece, rappresenta una versione molto particolare del castrismo. Oltre a essere membro dell’Assemblea nazionale del potere popolare (il Parlamento cubano, dominato dal Partito Comunista), è presidente del Centro Nazionale di Educazione Sessuale, presidente della Commissione Nazionale per l’Attenzione Integrale alle Persone Transessuali, e direttrice della rivista Sexología y Sociedad, dedicata alla liberazione sessuale. Castro Espín è una paladina dei “diritti” lgbt, simbolo della lotta alla discriminazione di genere e alla “omolesbotransfobia”.

    La visita di Castro Espín in Italia ha naturalmente suscitato molte critiche, in particolare da parte dei media conservatori. Con ragione, osservano che parlare di diritti umani a Cuba è un ossimoro, una contraddizione in termini. È come invitare Messina Denaro a parlare di legalità. Il regime cubano, infatti, ha uno dei peggiori record di diritti umani al mondo, paragonabile solo alla Corea del Nord e ad alcuni paesi musulmani radicali. Si contano 1057 prigionieri politici a Cuba, anche se il numero effettivo può essere molto più alto.

    I critici osservano che il tour di Castro Espín servirà come strumento di propaganda per il comunismo cubano. E rilevano anche una flagrante contraddizione. Cuba è nota per la sua persecuzione all’omosessualità e altre deviazioni morali tipiche della “decadenza occidentale”. Fino a non molto tempo fa, gli omosessuali cubani erano mandati nei campi di concentramento, insieme a qualsiasi “cabelludo”. All’epoca del Che Guevara si finiva in un campo di concentramento solo per il fatto di ascoltare rock, di indossare jeans o di utilizzare vocaboli anglosassoni. Ancor oggi l’attivismo lgbt è a malapena tollerato, quando non braccato. Come può Castro Espín venire da noi a pontificare sui diritti umani e sulla liberazione sessuale a Cuba?

    Evidenziando questa contraddizione, i critici parlano d’inganno, di sfacciate manovre politiche e persino di disonestà.

    È ovvio che ci siano inganno e manovre politiche della sinistra nel tour di Castro Espín. Tuttavia, il problema è più profondo e ha a che fare con la dialettica interna al comunismo.

    Il comunismo è una tappa – la terza, secondo la nota classifica di Plinio Corrêa de Oliveira – della Rivoluzione, cioè di quel processo di decadenza che, dalla caduta del Medioevo, sta spingendo il mondo in una direzione contraria alla civiltà cristiana. Due nozioni esprimono lo spirito della Rivoluzione: uguaglianza assoluta, libertà completa. Entrambe le nozioni sembrano in qualche modo contraddittorie e, in effetti, lo sono da alcuni punti di vista, ma si riconciliano nell’utopia comunista di un paradiso anarchico, il risultato finale del processo rivoluzionario. Secondo la visione di Plinio Corrêa de Oliveira, questa sarebbe una quarta Rivoluzione, tesa a “liberare” non già i proletari, ma gli istinti dell’uomo.

    A un certo punto la Rivoluzione ha dovuto sacrificare la libertà per imporre l’uguaglianza. E qui abbiamo, per esempio, l’Unione Sovietica e il suo massiccio Stato repressivo. Tuttavia, secondo gli stessi teorici comunisti, di “liberazione” in “liberazione” il processo dialettico storico continua, avanzando inesorabilmente verso l’utopia finale di una società allo stesso tempo totalmente libera e totalmente uguale. Il preambolo della Costituzione sovietica affermava: “L’obiettivo supremo dello Stato sovietico è la costruzione di una società comunista senza classi in cui si svilupperà l’autogestione sociale comunista”[2]. F.V. Konstantinov, dell’Accademia sovietica delle scienze, spiega che ciò implica “l’estinzione dello Stato”, cioè la scomparsa dell’apparato repressivo che caratterizzava il periodo sovietico, e l’inizio di una nuova era di totale libertà e totale uguaglianza, appunto l’utopia comunista[3].

    Per tutto il XX secolo, il passaggio dal socialismo di Stato all’utopia libertaria comunista è stato uno dei principali argomenti di discussione tra gli intellettuali comunisti e socialisti. Nessuno di loro difendeva la permanenza dello status quo sovietico. La loro è una visione evoluzionista che concepisce la storia come un continuo divenire. Furono fatti diversi tentativi per attuare il passaggio alla fase successiva: Gramscismo, Scuola di Francoforte, Marxismo freudiano, Umanesimo marxista, Rivoluzione culturale, Socialismo autogestionario e via dicendo.

    Questa tensione interna alla Rivoluzione è arrivata fino ai nostri giorni. E così torniamo a Mariela Castro Espín.

    Tutto a Cuba è controllato capillarmente. Qualsiasi attività non gradita al Governo può portare in carcere o, peggio, al paredón. È inconcepibile che Castro Espín, che è un membro di alto rango della Nomenklatura cubana, possa fare qualsiasi cosa che non sia esplicitamente consentita, anzi, promossa dal Partito Comunista. In altre parole, il suo attivismo di alto profilo per i “diritti” lgbt a Cuba e all’estero fa parte di una strategia comunista, che rappresenta il prossimo passo del processo, la quarta Rivoluzione, che dovrà germogliare dall’interno della terza, forse anche scontrandosi con essa a un certo punto, secondo la dialettica storica, ma sempre avanzando verso l’utopia anarchica.

    Non è un caso che, pur mantenendo la repressione di Stato di tipo sovietico, Cuba abbia progredito verso il libertarismo morale. Ad esempio, dal 2008 la chirurgia per cambiare sesso è legale; nel 2014 la discriminazione di genere è stata bandita; nel 2018 un referendum ha approvato il nuovo “Codice della famiglia”, che include il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, la maternità surrogata e così via. In altre parole, nel campo dei “diritti” lgbt, Cuba è alla pari con i paesi più liberali del mondo. Per non parlare dell’aborto, legalizzato nel 1965.

    Reagendo alla visita di Mariela Castro Espín, diverse figure anticastriste in Italia hanno chiesto la messa al bando del comunismo, così come esiste la messa al bando del fascismo. Non potrei trovarmi più d’accordo. Tuttavia, non perdiamo di vista che il problema è più profondo. Oggi non possiamo essere veri anticomunisti senza opporci anche agli sviluppi più recenti del processo rivoluzionario: aborto, omosessualità, agenda lgbt e, in generale, alla decadenza morale.

    Attribuzione immagine: By Northside - Own work, CC BY-SA 3.0, Wikimedia.

     

    Note

    [1] https://www.minfar.gob.cu/defensa-nacional

    [2] Constitución — Ley Fundamental de la Unión de Repúblicas Socialistas Sovieticas, Editorial Progreso, Mosca, 1980, p. 5.

    [3] Accademia di scienze della URSS — Istituto di Filosofia, Fundamentos de la Filosofia Marxista, Redazione generale di F. V. KONSTANTINOV, Editorial Grijalbo, Messico, 2a. ed., 1965, nn. 538-539.

     

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  • Gorbaciov. Il confusionario geniale

     

    I media italiani non stanno lesinando spazio per tessere le lodi di Michail Gorbaciov, morto a Mosca all’età di novantuno anni. Questi lodi, curiosamente, provengono sia dalla sinistra che dalla destra: il mondo avrebbe perso un grande statista!

    Chi si ricorda, però, dell’invasione della Lituania nel 1991, che provocò decine di morti? Mentre reclamizzava la “glasnost” e la “perestroika”, questo premio Nobel per la pace inviò i carri armati sovietici a schiacciare con la forza il popolo lituano, “reo” di voler vivere indipendente dalla tirannia di Mosca. Solo l’eroica resistenza del popolo lituano – appoggiato dalle TFP del mondo intero – riuscì ad evitare che l’URSS inghiottisse di nuovo questo paese baltico.

    Per rinfrescare la memoria offriamo un articolo sulla campagna delle TFP per l’indipendenza della Lituania, nel 1990:

    https://www.atfp.it/rivista-tfp/2006/260-marzo-2006/1440-un-grido-di-crociata

     

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  • Il Brasile sull'orlo del baratro

     

     

    di Julio Loredo

    Il prossimo 2 ottobre i brasiliani andranno a votare. I due candidati in pole position per la carica più alta della Repubblica sono il presidente Jair Messias Bolsonaro, di centro-destra, e l’ex-presidente Luis Inácio “Lula” da Silva, di estrema sinistra. Saranno elezioni storiche. Dall’esito delle urne dipenderà, infatti, se il Brasile cadrà nel comunismo – dopo Perù, Cile e Colombia – o se invece continuerà a reagire in senso opposto, alla stregua dell’Uruguay e del Paraguay.

    La sinistra ha lanciato un’offensiva totale per riprendersi il potere, senza esclusioni di colpi. A ogni costo vogliono impedire a Bolsonaro un secondo mandato. L’offensiva si dispiega su vari fronti, a cominciare da quello giudiziario. Dal 2019 è in corso in Brasile una vera e propria persecuzione giudiziaria contro chi non si allinea al Partito dei lavoratori (PT), quello di  Lula, di dichiarata ispirazione marxista.

    Persecuzione poliziesca contro il centro-destra

    In una serie di decisioni monocratiche, il presidente del Supremo Tribunal Federal (STF), Alexandre de Moraes, che si definisce “veramente rivoluzionario e comunista”[1], ha praticamente smantellato la rete propagandistica di appoggio a Bolsonaro. Uno dopo l’altro, molti canali YouTube, stazioni radiofoniche, pagine social, blog, siti internet, ecc. che sostenevano Bolsonaro sono stati chiusi e i responsabili sbattuti in carcere. Molti account Twitter, Instagram, TikTok, ecc., dei sostenitori di Bolsonaro sono stati sospesi. De Moraes è giunto perfino a chiudere le operazioni in Brasile della piattaforma messaggistica Telegram, la preferita dai conservatori.

    Denunciando l’esistenza di “milizie digitali di estrema destra”, nel 2019 de Moraes emanò una decisione contro le “fake news”, che in realtà includeva qualsiasi critica alla sinistra. Iniziò quindi una caccia ai partigiani di Bolsonaro. De Moraes ordinò alla Polizia Federale di invadere durante la notte i loro uffici e abitazioni, confiscandone attrezzature elettroniche e sequestrandone gli archivi. Alcuni dovettero fuggire all’estero. Perfino l’ex leader delle Femen in Brasile, Sara Winter, convertitasi in attivista pro-vita, finì in carcere per aver criticato le politiche abortiste della sinistra. Ancor oggi è costretta a usare un bracciale elettronico.

    E guai a criticare de Moraes! Utilizzando l’immunità come uno scudo, il presidente dello STF ritiene che qualsiasi critica alla sua attuazione costituisca un vilipendio al Potere Giudiziario. Diversi politici, tra cui il deputato Daniel Silveira, sono finiti in carcere per aver osato accusarlo di favorire la sinistra[2]. Un gruppo di giovani che, di fronte a casa sua, gridavano “Via ministro comunista!”, sono stati portati via dalla Polizia e condannati a venti giorni di prigione.

    Finora de Moraes ha emesso 4.781 mandati di perquisizioni e/o arresto contro figure del mondo conservatore.

    Di più, de Moraes, simpatizzante di Lula al punto d’aver partecipato alla sua campagna elettorale, si è arrogato il diritto di bandire qualsiasi candidato che, a suo personale giudizio, diffonda notizie non corrispondenti al vero, cioè non allineate al politically correct come egli stesso lo intende. Questo in barba alla Costituzione che garantisce la libera espressione delle idee e la separazione dei poteri.

    Bolsonaro si presenta quindi alle elezioni fortemente menomato da questa ingerenza, a dir poco brutale, dei rappresentanti del Potere Giudiziario schierati col Partito dei lavoratori.

    Sondaggi o propaganda?

    In questo sforzo erculeo della sinistra brasiliana per riprendersi il potere, senza esclusione di colpi, i sondaggi sull’intenzione di voto meritano un capitolo a parte.

    Tutti i sondaggi, infatti, danno vincitore Lula. Un recente studio di Datafolha, per esempio, colloca l’ex-presidente al 47%, di fronte a un 32% per Bolsonaro[3]. Qualcuno comincia perfino a prospettare la vittoria del candidato marxista al primo turno[4].

    Dicono che i numeri non hanno colore. Qui, però, c’è qualcosa che non torna.

    Per chi accompagna da vicino la situazione brasiliana, è ovvio che Lula, condannato per corruzione e poi liberato dal solito giudice petista, non riesce nemmeno a mettere il naso fuori dalla sua finestra senza essere seppellito da una tempesta di fischi e grida di “Lula ladrone!”. I pochi comizi che egli è riuscito a organizzare sono rimasti ridicolamente vuoti. Una “Marcia su Brasilia” del PT, che voleva emulare una simile manifestazione del 1999 che attirò centomila persone, non è riuscita a mobilitare nemmeno la decima parte delle persone di allora.

    In contrasto, Bolsonaro passa da un bagno di folla a un altro. Perfino negli stati del Nord Est, dove il PT ha attecchito grazie a una vasta rete di clientelismo, il presidente è accolto da moltitudini mai viste. A giudicare dal pubblico che lo acclama per strada, Bolsonaro conta su una solida base di simpatizzanti.

    Molto espressiva una sua recente intervista, lo scorso 22 agosto, alla TV Globo, notorio canale propagandistico della sinistra. Nonostante i due intervistatori gli abbiano riservato un trattamento qualificato dalla stampa locale di “sabatina” (accanimento), il presidente se n’è uscito a testa alta. “Pareggio tecnico”, ha sentenziato un analista[5]. Forse sarebbe stato più congruo dire goleada bolsonarista. E anche l’audience del programma è da segnalare. TV Globo viaggiava sul 17% di share prima dell’intervista, è schizzata all’82% durante, per poi tornare al consueto 16%. In altre parole, il pubblico vuole sentire Bolsonaro.

    È quindi lecito chiedersi: ma questi sondaggi riflettono la realtà? Oppure sono anch’essi uno strumento della propaganda sinistrorsa?

    Urne elettroniche

    Le elezioni politiche brasiliane del 2 ottobre si realizzeranno usando urne elettroniche, cioè il voto digitale anziché cartaceo. Ora, questo sistema è molto vulnerabile alla manipolazione.

    Lo scorso 17 luglio, il presidente Jair Bolsonaro ha riunito circa quaranta ambasciatori al Palazzo presidenziale per presentare prove dell’inefficacia del sistema di sicurezza delle urne elettroniche. Le prove sono contenute in un’indagine della Polizia Federale che riguarda una denuncia secondo cui un hacker è riuscito ad accedere ai sistemi virtuali del Tribunal Supremo Eleitoral, comprese le pagine dei ministri, poco prima delle elezioni del 2018. Ovviamente, il TSE smentisce tale intromissione[6].

    Dirigendosi al corpo diplomatico, Bolsonaro ha affermato che accetterà il verdetto delle urne, a patto però che le elezioni siano oneste e prive di intromissioni di questo tipo. Egli ha chiesto dunque la presenza di osservatori internazionali imparziali.

    Comunque sia, e stando alle elezioni recentemente vinte dalla sinistra in altri paesi latinoamericani, anche su quelle brasiliane alleggia la possibilità di una frode di grandi proporzioni.

    Ricchi di sinistra, poveri di destra

    Lula è presentato dalla propaganda come il candidato dei poveri: nato nella classe operaria, egli rappresenterebbe il Brasile profondo in contrasto con le elite corrotte e prepotenti. La realtà, però, è ben il contrario. La sua base elettorale è, soprattutto, costituita dai ricchi. “Lula guida le preferenze fra i molto ricchi”, informa un servizio della BBC[7]. Nelle ultime elezioni, infatti, il PT ha sempre vinto nei quartieri ricchi di San Paolo e di Rio di Janeiro. Lo stesso articolo afferma che la popolarità di Bolsonaro sta aumentando nelle classi più umili.

    Per ultimo, registriamo l’elemento più importante: l’appoggio a Lula proviene soprattutto dalla cosiddetta sinistra cattolica, incarnata dal movimento della Teologia della liberazione. In altre parole, proprio quella realtà – la Chiesa cattolica – che dovrebbe essere il baluardo dell’Ordine contro l’assalto comunista, si è trasformata nel principale promotore di quest’ultimo. In Brasile, la sinistra politica è rachitica. Alle elezioni, i partiti dichiaratamente comunisti non superano il 2%. Molto più insidioso è il Partito dei lavoratori, nato da una costola della Teologia della liberazione. Assessorato da teologi, il PT ha sempre potuto contare sull’appoggio di buona parte del clero e dell’episcopato brasiliano. Non sorprende, quindi, che il candidato marxista possa contare con ben il 51% delle intenzioni di voto dei cattolici, contro appena un 26% per Bolsonaro[8].

    Fra i protestanti, la proporzione si rovescia: il 29% appoggia Lula, e il 47% vota Bolsonaro.

    Qui tocchiamo con le mani l’agghiacciante processo di “autodemolizione” della Chiesa, che quasi oserei chiamare un harakiri. Più la Chiesa in Brasile si è schierata con la Teologia della liberazione, più i fedeli l’hanno abbandonata, andando a ingrossare le fila delle sette evangeliche, politicamente schierate a destra. Si è passati in questo modo da un 93% di cattolici negli anni Cinquanta, a un 54% nei giorni nostri.

    L’esito delle urne è ancora incerto. Mentre la sinistra brasiliana – assistita da agenti cubani, venezuelani e nicaraguensi – dispiega uno sforzo propagandistico senza precedenti, Bolsonaro ha commesso alcuni errori strategici che gli hanno fatto perdere pezzi, compromettendo in questo modo la sua campagna.

    Chiediamo alla Madonna Aparecida, Patrona del Brasile, che non permetta che questo colosso latinoamericano cada nelle grinfie del comunismo. Ne va del futuro del continente.

     

    Note

    [1] Gabriel Sestrem, “Alexandre de Moraes atua como se fosse dono do país”, Gazeta do Povo, 23-08-2022.

    [2] Cristian Klein, “Moraes: Fake news e milícias digitais contra eleições serão combatidas com a força da lei”, Valor, 20-4-2022.

    [3] https://g1.globo.com/politica/eleicoes/2022/pesquisa-eleitoral/noticia/2022/08/18/datafolha-lula-tem-47percent-e-bolsonaro-tem-32percent.ghtml

    [4] Caio Junqueira, “Após Datafolha, QG de Lula vê chance de vitória em 1º turno”, CNN Eleições, 19-08-22.

    [5] Murilo Fagundes, “Sabatina de Bolsonaro no “JN” foi empate sem gols”, Poder360, 23-08-22.

    [6] Lucas Neiva, “Bolsonaro ataca urnas eletrônicas con inquérito desmentido perlo TSE”, Congresso em Foco, 18-07-22.

    [7] Leandro Prazeres, “Lula lidera e cresce entre mais ricos”, BBC News, 19-08-22.

    [8] Flávio Tabak, “Católicos com Lula; evangélicos, com Bolsonaro. Veja as religiões na pesquisa Ipec para presidente”, O Globo, 16-08-22.

     

    Attribuzione immagine: Brasília 24/04/2017 - Ex-presidente Lula durante Seminário Estratégias para Economia Brasileira. Foto: Lula Marques/Agência PT, CC BY 2.0

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  • «Canonizzare Camara significa canonizzare il comunismo»

     

     

    di Stefano Chiappalone

    Un deciso passo in avanti per la causa di beatificazione di mons. Helder Camara (1909-1999), il “vescovo rosso” brasiliano che  a breve potrebbe essere dichiarato venerabile. Lo ha reso noto l’arcivescovo mons. Fernando Saburido, suo successore nell’arcidiocesi di Olinda e Recife, retta da Camara tra il 1964 e il 1985. Un prelato sui generis, schierato con l’ala più progressista dei padri conciliari e poi, a concilio concluso, desideroso di un Vaticano III che superasse il secondo (naturalmente a sinistra). Protagonista della teologia della liberazione, sul piano politico, si mostrò decisamente benevolo verso le dittature comuniste, dall’Unione Sovietica, alla Cina, a Cuba, sempre all’insegna della “difesa dei poveri” con cui è stato propagandisticamente identificato in vita e in morte. Qualora un giorno mons. Camara salisse agli onori degli altari, costituirebbe un modello a dir poco controverso. A sostenerlo, auspicando che la causa venga sospesa, è Tradizione Famiglia Proprietà (TFP), rete di associazioni nata proprio in Brasile dall’opera di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), leader cattolico e impegnato nella “battaglia culturale” su posizioni opposte a quelle di dom Camara. Ne parla a La Bussola Julio Loredo, presidente della TFP italiana.

    Loredo, potremmo avere dunque un “vescovo rosso” sugli altari?
    Dom Helder Camara è stato una figura chiave del progressismo ecclesiale dagli anni ‘30 fino alla morte, protagonista della svolta a sinistra dell’Azione Cattolica in Brasile. In seno a questo processo è sorta anche la teologia della liberazione. Inoltre negli anni ’50 e ’60 ha avuto un ruolo centrale nel ricambio (generazionale ma anche ideologico) dell’episcopato brasiliano, favorendo la nomina di prelati progressisti insieme al nunzio dell’epoca, mons. Armando Lombardi.

    Una parabola partita però dal fronte opposto...
    E non da semplice militante: era il numero due del partito filo-nazista Azione Integralista Brasiliana, fondato da Plinio Salgado. Quando fu ordinato sacerdote, nel 1931, sotto la talare indossava la divisa delle milizie integraliste. Grazie a uno studio di Plinio Correa de Oliveira, che ne mostrava l’incompatibilità con la dottrina cattolica, venne meno l’appoggio ecclesiastico al movimento, poi messo fuorilegge dal presidente Getulio Vargas. Dopo la dissoluzione e l’esilio di Salgado, Camara iniziò il suo trasbordo ideologico verso sinistra – che abbiamo descritto in apertura – fino alla teologia della liberazione e alla costituzione di comunità ecclesiali di base (CEB), prefigurate dal pedagogo brasiliano marxista Paulo Freire, ispiratore del Movimento de Educação de Base.

    Come si mosse dom Camara durante il Concilio?
    Pur non avendo mai preso la parola in aula, è stato assolutamente centrale dietro le quinte del Vaticano II. Era lui a coordinare gli incontri fra esponenti dell’ala progressista (curiosamente anche sul fronte tradizionalista la spinta veniva dal Brasile, grazie agli incontri coordinati da Plinio Correa de Oliveira dai quali scaturì il Coetus Internationalis Patrum). In questi anni dom Helder, già parte integrante della teologia della liberazione, portava avanti il dissenso dal magistero anche sul piano morale fino alla critica della Humanae Vitae di Paolo VI e alla difesa dell’aborto.

    Un politico più che un vescovo?
    Nel 1969 tenne un celebre discorso a New York in cui appoggiava il comunismo internazionale. Difendeva l’URSS e la Cina di Mao. Al Sessantotto risale uno degli episodi più scioccanti: il documento Comblin. Nel giugno 1968 trapelò questo documento che pianificava una rivoluzione comunista armata in Brasile. Joseph Comblin era un sacerdote belga, professore presso l’istituto teologico di Recife. Dunque, nella diocesi e sotto l’egida di mons. Camara, il quale non negò l’autenticità del documento, limitandosi a dire che non era ufficiale. Il progetto contemplava, per esempio, l’abolizione della proprietà privata, delle forze armate, la censura di stampa, radio e tv, i tribunali popolari. In pratica una rivoluzione bolscevica in Brasile. Correa de Oliveira raccolse 2 milioni di firme chiedendo l’intervento di Paolo VI per bloccare questa infiltrazione marxista nella Chiesa brasiliana, ma non ebbe risposta.

    Anzi, il controverso presule rimase in carica fino ai 75 anni canonici.
    Nel 1984 Giovanni Paolo II nominò suo successore José Cardoso Sobrinho, che ha cercato di mettere un po’ d’ordine nella diocesi, addirittura chiudendo l’istituto teologico e creandone un altro. Nello stesso anno usciva l’istruzione vaticana Libertatis Nuntius che condannava gli aspetti esterni della teologia della liberazione, ma era come
     chiudere la stalla con i buoi già scappati.

    E lui personalmente non ha mai ritrattato le sue posizioni?
    Non risulta. E alla sua morte, nell’agosto 1999, godeva di una sorta di canonizzazione mediatica. Alcuni giornali italiani titolavano: «Profeta dei poveri», «Santo delle favelas», «Voce del Terzo Mondo», e addirittura «San Helder d’America».

    Una “fama di santità” ideologica, più che religiosa.
    Un’eventuale canonizzazione di dom Helder Camara sarebe la canonizzazione del comunismo, della teologia della liberazione, del dissenso. Lo chiamano già “Santo dei poveri”, ma lui difendeva regimi che provocano la povertà, come aveva sintetizzato Indro Montanelli: «La sinistra ama tanto i poveri, che ogni volta che sale al potere ne aumenta il numero». Riguardo alla «falsificazione della fede cristiana» operata dalla teologia della liberazione, 
    Benedetto XVI disse che « bisognava opporsi anche proprio per  amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro».

     

    Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 13 Dicembre 2022.

  • La Cina comunista alla conquista dell’America Latina

     

     

    di Julio Loredo

    Qualche anno fa un caro amico, già ministro degli Esteri del suo Paese, mi spiegava che la Cina ha una politica estera “bismarckiana”. Il veterano diplomatico intendeva con questo un piano strategico di dominio a cui vengono subordinate tutte le risorse del Paese. Mentre, però, le ambizioni del Cancelliere di Ferro si fermavano alla costituzione di un Reich in ambito europeo, quelle dei mandarini si estendono ubique terrarum, e comprendono il campo economico, politico, culturale, sociale e perfino religioso. Il tutto integrato in un unico progetto imperialista diretto dal Partito comunista cinese, del quale il Governo di Pechino è espressione.

    È uscito di recente un interessante studio che analizza un aspetto di questo progetto: i rapporti fra il Partito comunista cinese e i partiti politici latinoamericani. Pubblicato dalla Konrad Adenauer Stiftung, il think tankdella CDU tedesca, è scritto da Juan Pablo Cardenal, già autore di vari libri sull’argomento: «El arte de hacer amigos. Cómo el Partido Comunista chino seduce a los partidos políticos en América Latina – L'arte di farsi degli amici. Come il Partito Comunista Cinese seduce i partiti politici dell'America Latina» (Konrad Adenauer Stiftung, Montevideo, 2020).

    Rapporti di “amicizia e cooperazione”

    Nell’aprile 2020, mentre il mondo iniziava a fare i conti con la devastante pandemia da Covid-19 (originatasi proprio in Cina), il Partito comunista cinese (Pcc) promosse una Dichiarazione dei partiti politici di tutto il mondo al fine di affrontare insieme il pericolo. La Dichiarazione esaltava gli sforzi della Cina nel controllare la pandemia, ringraziandola vivamente per gli aiuti sanitari inviati ai popoli del mondo. La Cina si presentava come una “Grande Madre” che veniva in soccorso dei suoi pargoli. Secondo Qiushi, la rivista di teoria politica del Pcc, la Dichiarazione fu sottoscritta da più di 240 partiti di 110 Paesi, che si impegnarono a utilizzare le proprie risorse propagandistiche per diffondere la versione cinese degli avvenimenti, confutando nel contempo la “propaganda occidentale anti-cinese”.[1] L’iniziativa ricevette inoltre l’adesione di più di seicento leader di 130 Paesi.[2]

    Una cinquantina di associazioni comuniste e socialiste latinoamericane aderì all’iniziativa, compreso il Foro di San Paolo (che a sua volta ingloba più di cento associazioni di sinistra). Secondo Fu Jie, vicedirettrice dell’Ufficio per l’America Latina e i Caraibi del Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del Partito comunista cinese, la Dichiarazione “ha stretto ulteriormente i legami di amicizia e di cooperazione con i partiti politici latinoamericani”.[3] Commenta Cardenal: “Nel linguaggio del regime cinese, l’amicizia ha sempre un significato politico e riguarda i rapporti strategici, mai quelli personali. Non è mai disinteressata”[4].

    Il successo diplomatico della Cina colse di sorpresa più di un osservatore. “I vincoli [tra il Pcc e i partiti latinoamericani] – spiega Cardenal – sono spesso fuori dai radar e passano per lo più inavvertiti da buona parte delle élite politiche, accademiche e giornalistiche dell’America Latina. Ma esistono da diversi decenni”. Il primo a siglare un accordo con Pechino fu il Partito comunista brasiliano nel 1953, cioè quattro anni dopo la costituzione della Repubblica popolare. Nel 1959, erano già venti i partiti latinoamericani a intrattenere stretti rapporti con la Cina. Cosa che, secondo Cardenal, “contribuì a tirar la Cina fuori dal suo isolamento nel mondo occidentale”[5].

    La rete di “amicizia e cooperazione” del Pcc in America Latina non si limita però alla sinistra. Pure alcuni partiti di centro, come il Copei venezuelano e perfino di centro-destra come il Partito conservatore di Colombia, sono legati a Pechino. Afferma Cardenal: “Oggi, senza distinzione ideologica di nessun tipo, il Partito comunista cinese intrattiene rapporti diretti con più di 130 partiti e organizzazioni politiche in America Latina, nonché con organismi come l’Organizzazione Cristiano Democratica di America, che rappresentano nell’insieme 226 partiti e organizzazioni politiche[6].

    Seducendo i latinoamericani

    “I rapporti istituzionali tra il Pcc e le sue controparti in America Latina – spiega Cardenal – si intrecciano durante le numerosissime visite di delegazioni di membri di partiti politici latinoamericani in Cina, con tutte le spese pagate”. Queste delegazioni viaggiano in classe business, sono alloggiate in alberghi cinque stelle, mangiano nei migliori ristoranti e “sono omaggiati con le migliori attenzioni della leggendaria ospitalità cinese”. Condotte da guide esperte che parlano un perfetto spagnolo (in realtà agenti del Pcc), le delegazioni fanno visite mirate a fabbriche, shopping center, grattacieli e altri simboli della moderna potenza cinese. Ben possiamo immaginare l’effetto di un tal viaggio sui latinoamericani, spesso di umili origini. Racconta un diplomatico latinoamericano: “I cinesi comprano i mediocri portandoli in Cina, dove mostrano loro la maestosità del Paese. Se hai poco mondo, è facile cadere in ginocchio”[7].

    La Cina utilizza il suo enorme potenziale economico (frutto della cecità dell’Occidente che ha creato dal nulla questo colosso asiatico, trasferendovi soldi e tecnologia), per sedurre i latinoamericani: “Per le élite economiche e politiche latinoamericane il gigante asiatico è percepito non solo come ineludibile, ma anche come fonte di opportunità che altri non possono offrire. (...) L’influenza politica risultante dal suo potere economico permette a Pechino di esercitare un potere morbido, che in realtà è un potere incisivo che trasmette i valori nocivi che emanano dal suo sistema autoritario”[8].

    Una curiosa conseguenza di questa ingente campagna di seduzione è che cresce, anno dopo anno, il numero di dirigenti latinoamericani che trascorrono le vacanze in Cina.

    Una speciale attenzione è rivolta ai giovani. Di ciò si occupa particolarmente la Lega della gioventù comunista del Pcc, che si prodiga per stabilire rapporti con le sue controparti latinoamericane, distribuendo a mani piene borse di studio per studiare in Cina.

    Dall’altra parte, c’è un continuo pellegrinaggio di delegazioni cinesi in America Latina, che rafforzano i rapporti con i vari “amici”, identificano nuovi contatti, e impartiscono corsi di formazione politica. Questi corsi servono non solo per educare i partecipanti all’ideologia marxista-leninista, ma anche per insegnare loro le tecniche della propaganda tesa a “diffondere un’immagine cordiale della Cina e stabilire un’equivalenza morale fra il Pcc e i partiti democratici occidentali”. Oltre ai corsi di formazione politica, indirizzati a persone già motivate, le delegazioni cinesi organizzano eventi aperti al pubblico, “conferenze, convegni e seminari sui temi prioritari nell’agenda di Pechino” [9].

    Il Pcc organizza corsi di formazione politica nella stessa Cina, ai quali partecipano (con tutte le spesse pagate) “giovani leader e militanti politici latinoamericani”. Durante le restrizioni sanitarie, molti di questi corsi si sono realizzati in modo virtuale. Commenta Cardenal: “Per la stessa natura delle videoconferenze, la portata degli eventi organizzati dal Pcc, così come la loro visibilità mediatica, è aumentata significativamente. Di conseguenza, è aumentato il peso della sua diplomazia”[10]. In altre parole, ha approfittato della pandemia per accrescere la propria influenza. Secondo i dati del Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, fra il 2010 e il 2020, il Pcc ha realizzato 326 corsi di formazione politica indirizzati a un pubblico latinoamericano.

    Un aspetto per niente trascurabile della crescente influenza cinese è la penetrazione nei media latinoamericani, fatta “a suon di assegni” e tesa a “sedurre e attrarre le élite locali perché appoggino la causa e gli interessi della Cina”. Questa penetrazione è “ispirata, sorvegliata ed eseguita dal Partito comunista cinese”[11].

    Come tutto ciò che riguarda la Cina, “è importante capire che queste iniziative fanno parte di una strategia più ampia, la cui finalità è aumentare l’influenza politica di questo Paese asiatico”[12].

    Influenza politica diretta

    Nel 2017, il Pcc organizzò a Pechino un incontro internazionale che radunò più di trecento dirigenti politici di centoventi Paesi. Nel corso di questo incontro, Xi Jinping svelò un progetto per invitare in Cina quindicimila dirigenti politici nei successivi cinque anni. L’incontro approvò un Documento Finale che, tra l’altro, dichiarava: “Lodiamo l’enorme sforzo e la grande contribuzione del Partito comunista cinese, e del suo leader Xi Jinping, a costruire una comunità per un futuro condiviso in un mondo pacifico”[13].

    Nello stesso 2017, nella città di Shenzhen, si creò il Foro dei partiti politici Cina-Comunità di Stati latinoamericani e caraibici, con l’iniziale partecipazione di cinquantotto partiti politici della regione.

    Scrive Cardenal: “Questa favolosa rete di amicizie fornisce ai comunisti cinesi un tesoro strategico, nella forma di interlocutori leali e influenti in tutto il continente”[14]. Molti di questi interlocutori hanno poi scalato posizioni nella politica dei rispettivi Paesi, fino a diventare ministri o perfino presidenti. Oggi sono venti i presidenti latinoamericani che si possono definire “amici” della Cina comunista.

    Questo enorme potere diplomatico permette alla Cina di intervenire, anche in modo diretto, nella politica interna dei Paesi latinoamericani. Cardenal menziona diversi casi, come ad esempio quello dell’Apra in Perù e del Partito Colorado in Uruguay, la cui linea politica è stata più volte dettata direttamente dall’ambasciatore cinese. In diversi Parlamenti della regione si sono costituiti “Gruppi di amicizia con la Cina”, profumatamente finanziati da Pechino. Ovviamente, tale generosità è subordinata al fatto che questi “amici” non sollevino nessuna obiezione sulla violazione dei diritti umani, la tirannia del partito unico, la persecuzione religiosa e via dicendo.

    Il deputato socialista cileno Jaime Naranjo, critico della dittatura cinese, ha denunciato questa situazione: “Ti aiutano purché tu non critichi i loro interessi economici e politici. Se, però, allerti sulla situazione politica interna alla Cina, se menzioni le gravi violazioni dei diritti umani, allora cadi in disgrazia. Niente è gratis”[15]. L’intervento di Pechino negli affari interni latinoamericani è a volte sfacciato: “Tutte le volte che nel Parlamento [cileno] si discute una mozione che riguarda la Cina, per esempio la situazione a Hong Kong, l’ambasciatore cinese convoca i parlamentari amici e dice loro come votare”[16].

    La politica estera cinese è dettata dal Partito comunista. Il Ministero degli Esteri svolge un ruolo subordinato. La rete di amicizie in America Latina è funzionale all’appoggio alla politica estera di Pechino.

    La tentazione totalitaria

    Oltre ai risultati politici e strategici dell’espansionismo cinese, Cardenal solleva un punto nevralgico. A forza di schierarsi con le posizioni di Pechino, molti leader latinoamericani “finiscono per convincersi della superiorità dei valori del Partito comunista. (...) È un’esaltazione del modello autoritario cinese e della forza del sistema a partito unico, per esempio nella lotta contro la povertà”[17].

    Il Pcc sventola a destra e a manca le sue supposte conquiste per sradicare la povertà, offrendo ai Paesi latinoamericani ingenti aiuti nel caso vogliano percorrere la stessa strada. Questo, secondo Cardenal, è “musica celestiale” per le orecchie latinoamericane. Ovviamente, il modello cinese ha come asse il potere assoluto del Partito comunista: “Si insiste sull’idea che la leadership del Pcc è la garanzia fondamentale per alleviare la povertà”. Nel corso di un recente convegno, lo stesso Xi Jinping ha dichiarato: “Il socialismo con caratteristiche cinesi apre una strada nuova per la modernizzazione dei Paesi in via di sviluppo”[18].

    Proprio per la grande accoglienza che ha riscontrato in America Latina, il Pcc ha potuto avanzare in modo più sfrontato che in altre regioni, dove la propaganda ideologica è più prudente. È il caso dell’Europa centrale dove, per ovvi motivi, la propaganda cinese evita di parlare di comunismo, ponendo l’accento invece sui legami economici. Un elemento centrale di questa propaganda è la “Nuova Via della Seta”, un mega progetto per creare infrastrutture e corridoi commerciali con l’Occidente. È interessante notare che il ruolo protagonista nella promozione di questo progetto lo ricopre il Dipartimento Internazionale del Pcc. Tradotto in spicciolo: la Nuova Via della Seta è uno strumento della politica estera del Partito comunista cinese.

    Un aspetto appena accennato da Cardenal riguarda le ricadute militari. Per menzionare appena il caso argentino, la Cina oggi possiede una base militare nella Patagonia così segreta che nemmeno le autorità argentine vi sono ammesse. Un paio di anni fa, il presidente Alberto Fernández chiese maggiore trasparenza. Immediata la reazione di Pechino, che minacciò di sospendere tutti gli accordi commerciali con Buenos Aires. Fernández dovette piegare la testa. Sembra che gli argentini si siano liberati dalla dittatura militare, solo per cadere in quella dei mandarini di Pechino.

    Questo ci permette di chiudere l’articolo con una domanda. La sinistra latinoamericana è prodiga in critiche contro le odiate dittature militari del passato. Perché adesso non dice niente sul crescente dominio della dittatura cinese?

     

    Note

    [1] Curiosamente, la lista completa dei firmatari non è mai stata resa pubblica.

    [2] “Uniting Political Parties Worldwide to Cooperate in the Global Fight against Covid-19 Pandemic”, China Insight, Special Issue on CPC’s 99th Anniversary, 2020. Cardenal, op. cit., p. 4.

    [3] Intervista alla televisione statale cinese. “Intercambios en la nube. Fu Jie afirma que es en tempos difíciles cuando se comprueba la amistad verdadera entre amigos”, CGTN, 22 settembre 2020. Cardenal, p. 4.

    [4] Op. cit., p. 4.

    [5] Ibid., p. 5. Il fattore principale che tirò la Cina comunista fuori dall’isolamento internazionale fu il controverso viaggio del presidente statunitense Richard Nixon a Pechino nel 1972.

    [6] Ibid., p. 5.

    [7] Ibid., pp. 5, 8.

    [8] Ibid. p. 6. Si sta usando sempre di più l’espressione “potere incisivo” (Sharp Power) per riferirsi agli atteggiamenti autoritari nel mondo moderno. Cfr. Christopher Walker, Jessica Ludwig et al, “Sharp Power. Rising Authoritarian Influence in the Democratic World”, National Endowment for Democracy, 2017.

    [9] Ibid., p. 6.

    [10] Ibid., p. 5.

    [11] Ibid., p. 6

    [12] Ibid., p. 6.

    [13] Tin Shi, “China Gets 300 Political Parties to Endorse Xi as Peacemaker”. Blommberg, 4 dicembre 2017. Cardenal, op. cit., p. 6.

    [14] Ibid., p. 8.

    [15] Intervista concessa da Jaime Naranjo all’autore. Op. cit., p. 15.

    [16] Ibid.

    [17] Ibid., p. 10.

    [18] Simon Denyer, “Move over, America. China now presents itself as the model blazing a new trail for the world”, The Washington Post, 19 ottobre 2017. Cardenal, op. cit. p.

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  • La conversione della Russia

     

     

    di Julio Loredo

    Gli anglosassoni lo chiamano “to frame the issue”, cioè dettare i termini del dibattito. Chi detta i termini di un dibattito, controllando quindi il campo di battaglia, sostanzialmente ha già vinto.

    Dillinger o Al Capone?

    Da secoli, ormai, la Rivoluzione[1] ha affinato questo stratagemma che mira non solo a presentare i propri argomenti in termini seducenti, ma – ed ecco il suo aspetto più insidioso – anche a costringere gli avversari a muoversi in un contesto ideologico e strategico fondamentalmente contraffatto. Il capolavoro di questa vera guerra psicologica rivoluzionaria consiste nel favorire, a volte perfino a fabbricare, delle false opzioni che, mentre raccolgono le reazioni contro la Rivoluzione le sviano e le svuotano. L’opinione pubblica è in questo modo costretta a scegliere fra alternative fondamentalmente viziate, dove non c’è spazio per una vera Contro-Rivoluzione.

    Tale situazione si presentò, per esempio, ai contro-rivoluzionari francesi a cavallo fra Ottocento e Novecento, costretti a scegliere fra Le Sillon (cattolico ma democratico) e l’Action Française (monarchica ma positivista). Si ripresentò agli italiani negli anni Venti, costretti a scegliere fra il Partito Popolare di Don Sturzo (cattolico) e il Partito Nazionale Fascista di Mussolini (anticomunista). E ancora ai tedeschi negli anni Trenta, costretti a scegliere fra Adolf Hitler, che si proponeva come restauratore della Civiltà cristiana e della grandezza tedesca, e la società liberale borghese che affondava nella decadenza e nel nihilismo.

    Plinio Corrêa de Oliveira denunciò questa tattica. Commentando nel 1945 un discorso di Hitler in cui il dittatore invitava il popolo tedesco ad aiutarlo nella lotta contro il bolscevismo, il pensatore brasiliano glossava: “Mi fa pensare a un’ipotetica lotta fra i due maggiori gangster di Chicago. È come se Dillinger, nemico pubblico numero 1, si appellasse ai cittadini per aiutarlo a lottare contro il nemico pubblico numero 2, Al Capone”[2]. E presentava l’unica posizione ragionevole: “I cattolici devono essere anticomunisti, antinazisti, antiliberali, antisocialisti, antimassoni… appunto perché cattolici”[3].

    Liberalismo e Occidente

    Una delle manovre meglio riuscite della guerra psicologica rivoluzionaria è stata quella di aver portato una certa destra su posizioni anti-occidentali, fino a farle proclamare che l’Occidente sarebbe il vero nemico da abbattere. Che la sinistra odi l’Occidente e voglia la sua distruzione, si capisce. È nella sua indole rivoluzionaria e anticristiana. Che una certa destra converga con essa si capisce molto meno. Da dove viene questa posizione?

    In due parole: dicono che la radice del male risiede nel liberalismo che porta alla negazione di ogni principio morale e, quindi, alla decomposizione della società. Nei giorni nostri, questo liberalismo si manifesta soprattutto nella rivoluzione culturale e morale che ormai da decenni devasta i paesi occidentali. Aggiungono che, pur con alcuni errori, in primis l’ateismo, il mondo a lungo dominato dal comunismo (Russia, Cina, Corea del Nord, Cuba e altri) è riuscito a preservarsi dalla peste del liberalismo. La Russia di Putin sarebbe, quindi, per qualcuno, paradossalmente un modello da seguire nella lotta contro i mali dei nostri tempi. Questa posizione si traduce poi non di rado in un radicale anti-americanismo, peraltro non nuovo nel panorama internazionale, e in un non meno radicale anti-capitalismo, nemmeno esso nuovo[4]. Infatti, entrambi facevano parte dell’arsenale psicologico dell’Unione Sovietica. Questo anti-americanismo si traduce poi in un anti-europeismo e, più ampliamente, in un anti-occidentalismo[5]

    È proprio delle reazioni contraffatte dalla propaganda psicologica rivoluzionaria l’avere un nucleo di verità, altrimenti non avrebbero nessuna presa sul pubblico che esse intendono attirare. In questo caso, il nucleo è il rigetto del liberalismo, effettivamente definito dal Magistero della Chiesa la sorgente di tutti i vizi morali e intellettuali, il pozzo avvelenato da dove provengono anche tutti gli errori in campo politico ed economico[6]. Per arrivare da questo nucleo fino a posizioni anti-occidentali, però, si devono stravolgere non pochi passaggi.

    Stando alla visione storica insegnata dal Magistero della Chiesa, e descritta dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, il mondo oggi è vittima di un processo di decadenza – la Rivoluzione – che dalla caduta del Medioevo sta corrodendo la Civiltà cristiana fino alle fondamenta. Questo processo si è sviluppato per tappe che hanno portato quelle precedenti a un’auge. La Rivoluzione marcia di eccesso in eccesso:  (…) ogni tappa della Rivoluzione, se paragonata a quella precedente, ne è soltanto il compimento o l’esasperazione fino alle estreme conseguenze. L’umanesimo naturalista e il protestantesimo si sono compiuti e sono giunti alle loro estreme conseguenze nella Rivoluzione francese, e questa, a sua volta, si è compiuta ed è giunta alle sue estreme conseguenze nel grande processo rivoluzionario di bolscevizzazione nel mondo contemporaneo”[7].

    L’umanesimo ha generato il protestantesimo, questi il liberalismo, e quest’ultimo il comunismo. A sua volta, già dagli anni ’20 del XX secolo, il comunismo cominciò a tracciare la tappa successiva, poi chiamata genericamente rivoluzione culturale. Basti ricordare che l’idea di una “rivoluzione sessuale” come strumento per instaurare il socialismo fu lanciata dal freudo-marxista Wilhem Reich nel 1936[8]. Dobbiamo pure ad Antonio Gramsci la stessa idea di una rivoluzione culturale come vettore per impiantare il comunismo in Occidente[9].

    Tanto quanto un contro-rivoluzionario deve lottare contro il liberalismo, egli deve lottare con forza e attenzione raddoppiate contro i suoi epigoni radicalizzati, il comunismo e la rivoluzione culturale.

    L’Occidente cristiano

    Anche se è universale, la Rivoluzione si è sviluppata soprattutto in Occidente.  “Questa crisi tocca principalmente l’uomo occidentale e cristiano, cioè l’europeo e i suoi discendenti, l’americano e l’australiano – scrive Plinio Corrêa de Oliveira – Essa colpisce anche gli altri popoli, nella misura in cui il mondo occidentale si estende a essi e in essi ha affondato le sue radici”[10].

    Sbaglia, però, chi identifica l’Occidente con la Rivoluzione. Anzi. Lungi dall’essere un suo naturale sviluppo, questa costituisce un’escrescenza patologica, un cancro non solo diverso dal corpo ma in una lotta mortale contro di esso. Avversare l’Occidente per contrariare la Rivoluzione è come voler uccidere il paziente per liberarlo dal tumore.

    L’Occidente è ciò che resta di quella “dolce primavera della Fede” di cui parla Montalembert nel suo celebre Les moines d’Occident. De Saint Benoit jusqu’à Saint Bernard, che lo descrive come figlio del monachesimo cristiano. L’Occidente è il frutto più compiuto della civiltà cristiana, tanto che si parla normalmente di “civiltà occidentale e cristiana”. L’Occidente è il figlio primogenito della Chiesa, oggi sempre più sfigurato dalla Rivoluzione, ma pur sempre primogenito. L’Occidente è il risultato eminente dell’opera civilizzatrice della Chiesa. Le fondamenta che, ancor oggi, sostengono l’immenso peso di un mondo che va in frantumi, sono opera della Chiesa. Niente è davvero utile se non è stabile. Ciò che resta oggi di stabile e di utile — di civiltà, insomma — è stato edificato dalla Chiesa. Al contrario, i germi che minacciano la nostra esistenza sono nati precisamente dall’inosservanza delle leggi della Chiesa.

    Un europeo che rinnega l’Occidente è come un figlio che ripudia la propria madre. È una situazione patologica, come ebbe a denunciare l’allora cardinale Joseph Ratzinger nella lectio magistralis nella Sala Capitolare del Senato, nel 2004: “C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente non ama più sé stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di sé stessa, se vuole davvero sopravvivere”[11].

    Adesso siamo in una situazione ibrida, in cui quelli che potremmo quasi chiamare resti mortali della civiltà occidentale e cristiana coesistono con numerose istituzioni e costumi rivoluzionari. Di fronte a questa lotta tra una splendida tradizione cristiana in cui ancora palpita la vita, e un’azione rivoluzionaria, è naturale che il vero contro-rivoluzionario sia il difensore nato del tesoro delle buone tradizioni, perché esse sono i valori del passato cristiano ancora esistenti precisamente da salvare. In questo senso, il contro-rivoluzionario agisce come Nostro Signore, che non è venuto a spegnere il lucignolo che ancora fumiga, né a spezzare la canna incrinata.

    Invece di voler distruggere ciò che resta dell’Occidente cristiano, la nostra azione dovrebbe ispirarsi all’appello rivolto da Giovanni Paolo II all’Europa a Santiago di Compostela, nel 1982: “Io, successore di Pietro nella Sede di Roma, Sede che Cristo volle collocare in Europa e che l’Europa ama per il suo sforzo nella diffusione del Cristianesimo in tutto il mondo; io, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica Europa: ‘Ritrova te stessa. Sii te stessa’. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: ‘Lo posso’”[12].

    La conversione della Russia

    A volte, alla decadenza dell’Occidente si contrappone l’esempio della Russia. Con l’invasione dell’Ucraina, questo problema si presenta in tutto il suo peso. Il tema è troppo vasto e complesso per trattarlo in poche righe. È comunque incongruo voler contrastare la 4a Rivoluzione (quella culturale) mentre si esaltano stili e metodi della 3a Rivoluzione, quella stalinista. Vorrei, però, toccare un punto importante.

    Nel 2005 diedi una conferenza a Mosca dal titolo “Il mistero della Russia”, incentrata sul problema della sua conversione alla luce del messaggio della Madonna a Fatima, nel 1917. Come sappiamo, la Russia è menzionata ben due volte nel segreto di Fatima: una come flagello dell’umanità, e un’altra come il Paese la cui conversione segna invece l’inizio del trionfo del Cuore Immacolato di Maria. Nel trattare della Russia dobbiamo avere molto chiaro a quale delle due ci riferiamo: al flagello dell’umanità o alla Russia convertita. Ecco le parole della Madonna:

    «Avete visto l’inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace. La guerra sta per finire; ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il Pontificato di Pio XI ne comincerà un'altra ancora peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre. Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace»[13]

    È interessante notare che la Madonna si riferisce agli “errori della Russia”, facendo implicitamente una distinzione fra la Russia e l’Unione Sovietica, portabandiera dell’aspetto allora più avanzato del processo rivoluzionario: il comunismo, che era parte del castigo col quale la Provvidenza richiamava l’umanità alla conversione.

    La Madonna prevede la conversione della Russia dopo la sua consacrazione da parte del Santo Padre[14]. Conversione vuol dire una svolta a “U”. Essa implica una conversione religiosa, col ritorno della Russia all’unica vera fede in Cristo, cioè alla Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana; e una conversione temporale, col rigetto del passato comunista e l’affermazione del suo esatto contrario.

    Da stimatore della Russia, dove sono stato diverse volte, devo dire che non vedo nessuna delle due. Anzi, vedo un riaffermarsi dell’ortodossia, a scapito della Chiesa cattolica, sempre più messa all’angolo; e un riaffermarsi con orgoglio del passato stalinista, con la rivendicazione anche dei simboli dell’Unione Sovietica e l’affermazione che la fine di quest’ultima sarebbe stata “la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo”[15].

    Possiamo applicare alla Russia di oggi le parole del gesuita Principe Ivan Sergeevič Gagarin, nato a Mosca nel 1814 da un’illustre casata discendente dai principi di Kiev:

    «L’unica vera lotta è quella che esiste tra il Cattolicesimo e la Rivoluzione. Quando nel 1848 il vulcano rivoluzionario terrorizzava il mondo con i suoi ululati e faceva tremare la società, estirpandone le fondamenta, il partito che si dedicò a difendere l’ordine sociale e a combattere la Rivoluzione non ha esitato a scrivere sulla sua bandiera: Religione, Proprietà, Famiglia, e non ha esitato ad inviare un esercito per riportare sul trono il Vicario di Cristo, costretto dalla Rivoluzione a prendere la via dell’esilio. Aveva perfettamente ragione; non ci sono che due princìpi uno di fronte all’altro: il principio rivoluzionario, che è essenzialmente anti-cattolico e il principio cattolico, che è essenzialmente anti-rivoluzionario. Nonostante tutte le apparenze contrarie, nel mondo non ci sono che due partiti e due bandiere. Da una parte la Chiesa cattolica innalza lo stendardo della Croce, che conduce al vero progresso, alla vera civiltà, e alla vera libertà; dall’altra si leva lo stendardo rivoluzionario, attorno a cui si raccoglie la coalizione di tutti i nemici della Chiesa. Ora, che fa la Russia? Da una parte essa combatte la Rivoluzione, dall’altra combatte la Chiesa cattolica. Sia all’esterno che all’interno, ritroverete la stessa contraddizione. Non esito a dire che ciò che fa il suo onore e la sua forza è di essere l’avversario incrollabile del principio rivoluzionario. Ciò che fa la sua debolezza è di essere, allo stesso tempo, l’avversario del Cattolicesimo. E se essa vuole essere coerente con sé stessa, se vuole veramente combattere la Rivoluzione, non ha che da prendere una decisione, schierarsi dietro lo stendardo cattolico e riconciliarsi con la Santa Sede»[16].

    Evitiamo, quindi, di cadere nella trappola di credere che l’Occidente abbia sempre torto. L’Occidente ha torto soltanto quando si comporta in modo anti-occidentale, ossia quando abbandona il cattolicesimo e abbraccia la Rivoluzione.

     
    Note

    1. Usiamo il termine nel senso spiegato da Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Luci sull’Est, Roma 1998.

    2. “Nazismo versus comunismo?”, O Legionário, 4 febbraio 1945, n. 652. Dillinger era il capo della mafia anglosassone a Chicago, Al Capone di quella italiana.

    3. “Pela grandeza e liberdade da Ação Católica”, O Legionário, 13 gennaio 1939, n. 331.

    4. Cfr. Julio Loredo, “Alle radici dell’anti-americanismo”, Tradizione Famiglia Proprietà, marzo 2004.

    5. Su come la tattica del trasbordo ideologico inavvertito porti persone della destra a simpatizzare col socialismo, si veda Julio Loredo, Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri, Cantagalli, 2014, pp. 28-34.

    6. Leone XIII, enciclica Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888.

    7. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, p. 49.

    8. Wilhelm Reich, Die Sexualität im Kulturkampf.Zur sozialistischen Umstrukturierung des Menschen, Kopenhagen, Sexpol-Verlag, 1936.

    9. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere (6 voll), a cura di Felice Platone, Collana Opere di Antonio Gramsci, Torino, Einaudi, 1948-1951.

    10. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, p. 31.

    11. Joseph Ratzinger, “L’Occidente non si ama più”, Apulia, settembre 2005.

    12. Discorso di Giovanni Paolo II durante l’Atto europeistico a Santiago di Compostela, 9 novembre 1982. https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1982/november/documents/hf_jp-ii_spe_19821109_atto-europeistico.html

    13. Congregazione per la Dottrina della Fede, Il messaggio di Fatima, luglio 2000.

    14. Su questa consacrazione la polemica è ancora aperta. Si veda Antonio Augusto Borelli Machado, Fatima. Messaggio di tragedia o di speranza?, Luci sul’Est, Roma, 1995.

    15. Putin, nostalgie pericolose “Rimpiango l’Unione Sovietica”, La Stampa, 14/12/21. Parole che rivelano tutta la difficoltà del leader russo nel fare i conti con il passato.

    16. Ivan Gagarin, S.J., La Russie sera-t-elle catholique?, Charles Douniol, Paris 1856, pp. 63-65. Grassetti nostri. 

     

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  • La sinistra non riuscirà fermare l'avanzata vittoriosa del Brasile cristiano né provocare un divorzio tra lo Stato e la Nazione

    Nonostante il poco rilievo che se ne è dato in Italia, il 7 settembre scorso, 199° anniversario dell’indipendenza del Brasile, le principali piazze e strade del gigante sudamericano sono state letteralmente inondate da centinaia di migliaia di cittadini in segno di protesta contro la crescente pressione della sinistra, attraverso l’abuso del potere giudiziario e la martellante disinformazione dei grandi media, per privare la maggioranza conservatrice, vittoriosa nelle urne, del diritto di guidare pacificamente il Paese. Alla vigilia dell’anniversario, l’Istituto Plinio Correa de Oliveira ha pubblicato un comunicato, che presentiamo di seguito, in cui allerta sul fatto che la “setta rossa…ancora oggi minaccia il Brasile sfidando l'opinione di milioni di brasiliani che hanno saputo dire no al socialismo”.

    Istituto Plinio Corrêa de Oliveira

    Il nostro caro Brasile entrerà domani nel suo 200° anniversario di esistenza indipendente, che culminerà con le celebrazioni del bicentenario nel 2022. Per una nazione, ciò corrisponde al passaggio dalla giovinezza all'età adulta, in cui verrà definitivamente fissato il percorso che compirà nella storia dell'umanità.

    Dobbiamo quindi approfittare di questi 365 giorni per meditare sul nostro passato così ricco di tradizioni, sul nostro tanto lacerato presente e sul nostro futuro pieno di promesse o minacce, a seconda di quale corso definitivo prenderemo.

    In questo frangente, l'Istituto Plinio Corrêa de Oliveira vuole dare il suo contributo, ricordando alcune verità elementari — che il tempo presente tende ad oscurare — affinché questo grande processo di discernimento collettivo sia veramente fruttuoso:

    1. Il Brasile deve ricordare che uno dei suoi primi nomi fu “Terra de Santa Cruz”, e che se Dio l’ha benedetto con tanta ricchezza naturale e con un popolo intelligente, laborioso e benevolo, ciò è stato perché progredisse lungo i sentieri della civiltà cristiana e per servire da modello alle nazioni sorelle dell'America Latina, per trasformare tutto questo blocco in una grande potenza continentale. Non è un caso che il nostro principale monumento sia il Cristo Redentore (sul monte Corcovado a Rio de Janeiro ndt) e che sul nostro firmamento risplenda la Croce del Sud.

    2. Le tre fondamenta di una civiltà autenticamente cristiana e prospera sono la Tradizione, che trasmette alle nuove generazioni valori religiosi e patriottici; la Famiglia, basata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna, con lo scopo primario di crescere ed educare i figli; e la Proprietà privata, che favorisce lo spirito d'impresa e garantisce la libertà e l'indipendenza dei singoli e delle famiglie di fronte allo Stato.

    3. Il Comunismo, nelle sue molteplici sfaccettature o mascheramenti, non è solo un'ideologia sbagliata e fallita, ma anche la più grande minaccia per il Paese e per la civiltà cristiana oggi. La Chiesa lo ha condannato e classificato come una setta.

    4. Questa setta rossa, che deduce dai suoi principi errati tutta una concezione peculiare dell'uomo e della società, ancora oggi minaccia il Brasile sfidando l'opinione di milioni di brasiliani che hanno saputo dire no al socialismo, no al comunismo, “la nostra bandiera non sarà mai rossa” e “rivoglio il mio Brasile”. Sì, un Brasile ordinato, pacifico, ospitale, che difende la vita contro l'aborto e la famiglia contro l'ideologia di genere, consapevole che il progresso si ottiene attraverso il lavoro onesto e non con l'invidia, la lotta di classe e l'invasione di terreni rurali e di edifici urbani.

    5. Il buon senso è una delle caratteristiche più belle del brasiliano medio, che non si lascia trasportare dal discorso stridente e superficiale della sinistra la quale, in questo momento, predica la disunione per cercare di riconquistare il potere e tornare alla situazione in cui uno Stato occupato da elementi con la sua ideologia ha creato un abisso tra il Brasile vero, profondo, reale e il Brasile superficiale, quello dei media di sinistra e di alcuni settori accademici e culturali dei grandi centri urbani.

    6. Se le sedicenti correnti "progressiste" raggiungessero i loro sinistri obiettivi di riconquista del potere, si realizzerebbe la fosca prognosi fatta da Plinio Corrêa de Oliveira nel 1987, durante i dibattiti sulla nuova Costituzione, quando avvertì che era necessario rispettare le aspirazioni profonde del brasiliano medio. “Se ciò non avverrà, affermava l'illustre leader cattolico di San Paolo, conviene ribadire che il divorzio tra il Paese legale e quello reale sarà inevitabile. Si creerà allora una di quelle drammatiche situazioni storiche in cui la massa della Nazione esce dallo Stato e lo Stato vive (se ciò si può chiamare “vivere”) vuoto di contenuto autenticamente nazionale. […] È davanti a queste incertezze e rischi che lo Stato brasiliano si vedrà esposto al naufragio, con la Nazione che si costituirà dolcemente, soavemente, irrimediabilmente ai margini di un edificio giuridico in cui il popolo non riconoscerà alcuna identità con sé stesso. Che ne sarà allora dello Stato? Come una nave spaccata, verrà pervaso dalle acque e andrà in rovina. Quello che può succedere è imprevedibile”.

    7. Per scongiurare questa minaccia, i brasiliani avveduti devono restare uniti, respingendo le stridenti voci che predicano l'odio ed evitando la divisione interna, istigata da una minoranza ideologicamente articolata per cambiare il Paese in senso profondamente anticristiano. Devono rimanere non solo uniti, ma risolutamente attivi nella loro determinazione a salvare il “Brasile brasiliano”, fedele a sé stesso, e non un burattino delle ideologie anticristiane che hanno portato alla rovina paesi un tempo ricchi come Cuba e Venezuela.

    Fiduciosi nella protezione divina e nelle benedizioni di Nostra Signora Aparecida, Regina e Patrona del Brasile, i membri dell'Istituto Plinio Corrêa de Oliveira continueranno a difendere pubblicamente, nelle strade, nei viali e nelle piazze della nostra amata Patria, i valori cristiani ​che l'hanno nutrita fino ad ora e che faranno di lei, nella sua vita adulta, la grande potenza del terzo millennio.

    Fonte: Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, 6 settembre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà - Italia

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  • La TFP americana domanda: quando papa Francesco condannerà la causa della povertà a Cuba?

    Oltre 70.000 americani hanno firmato la petizione al presidente Biden per liberare Cuba subito!

     

     

    MIAMI, 29 luglio 2021/ PRNewswire/ -- Si sta vivendo un momento di nuovo slancio nella lotta per la libertà di Cuba. Mentre il regime comunista reprime le proteste di piazza all'interno dell'isola, gli americani stanno esortando i leader mondiali a intervenire e ad aiutare il popolo cubano a garantire la tanto attesa libertà dopo 62 anni di oppressione.

    "Il comunismo è un cancro. E ora è il momento di curare il cancro che ha ferito il popolo cubano per così tanto tempo. Ma non puoi curare il cancro senza affrontare la causa alla radice della malattia", ha detto John Horvat II, vice- presidente della Società Americana per la difesa della Tradizione, della Famiglia e Proprietà (TFP).

    “Il mondo sta aspettando che papa Francesco parli contro il comunismo a Cuba", ha detto Horvat. "L'elefante rosa nella stanza è il comunismo e il socialismo, ma il Papa non ha detto una parola al riguardo. Sua Santità ha trovato il tempo per parlare della plastica nell'oceano, ma non è stato detto nulla per aiutare i poveri cubani a rompere le catene della schiavitù comunista".

    Il salario minimo a Cuba è di circa $ 17 dollari al mese, e le autorità pretendono che gli anziani sopravvivano persino con meno.

    "Se Papa Francesco vuole aiutare i più poveri tra i poveri a Cuba, perché non denuncia la causa principale della povertà, cioè, il comunismo?" chiede Horvat. Anche se alcuni incolpano l'embargo statunitense per i mali dell'isola, Horvat non è d'accordo:

    "Cibo e medicine sono esentati dall'embargo e nulla impedisce a Cuba di acquistare ciò che vuole da altri paesi", ha affermato. "Ma poi non è ironico che i comunisti cubani attribuiscano la loro miseria alla carenza di beni capitalisti mentre combattono per rovesciare il sistema capitalista?".

    I volontari della TFP sono attualmente per le strade di Miami, in Florida, per raccogliere petizioni nell'ambito della campagna Free Cuba Now!

    "Il futuro di Cuba non appartiene ai ribelli rivoluzionari come Fidel, il Che o Lenin", ha detto Horvat. "Il futuro di Cuba appartiene a Cristo Re!"

     

    Fonte: PRNewswire, 29 Luglio 2021.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Le impossibili statistiche del Covid in Cina

     

     

    di John Horvat

    Mentre l'ultima ondata di COVID aumenta in Occidente, tutto è tranquillo in Oriente. È sempre stato tranquillo. Milioni di persone sono morte a causa dell'epidemia di coronavirus che ha colpito il mondo. Tuttavia, pochi sembrano ritenere strano come mai la nazione dove il virus è apparso per la prima volta in mezzo a un pubblico interamente non protetto di 1,3 miliardi di persone, si siano registrate solo 4.636 morti negli ultimi tre anni.

    Eppure, le statistiche ufficiali della Cina rimangono nelle mani di funzionari che fanno attentamente tutto il possibile per assicurarsi che l'immagine del Paese rimanga immacolata. Essi sostengono che i bassi numeri sono dovuti alle brutali politiche di "tolleranza zero" della nazione comunista. La Cina è presentata come un modello per l'Occidente.

    Incominciano ad apparire alcune voci che contestano questa narrativa. Un esperto dice che le cifre delle vittime sono probabilmente più vicine a 1,7 milioni. Questa cifra metterebbe la Cina allo stesso livello del resto del mondo, indicherebbe anche il fallimento dell'isolamento più rigido del mondo e spiegherebbe le recenti chiusure di intere città e regioni a causa del virus che, nella nazione comunista, non uccide nessuno.

    Statisticamente impossibile

    L'analista è George Calhoun, direttore del programma di finanza quantitativa allo Stevens Institute of Technology di Hoboken, nel New Jersey. Egli sostiene che il regime comunista è impegnato in una sistematica soppressione di dati. La sua ricerca si basa su modelli sviluppati da The Economist e riportati da The Epoch Times.

    Le statistiche governative registrano, per esempio, solo due morti in Cina dall'aprile 2020. Questa sorprendente immunità dalla morte è avvenuta mentre la pandemia infuriava ovunque, i trattamenti erano sconosciuti e la popolazione cinese non era protetta.

    "Questo è impossibile. È medicalmente impossibile, è statisticamente impossibile", sostiene il signor Calhoun.

    Altre prove di copertura

    Durante tutta la crisi del COVID, la Cina è stata accusata di nascondere il vero bilancio delle vittime. Cai Xia, un professore cinese, che insegnava all'elitaria Scuola Centrale del Partito, è stato espulso dal Partito Comunista quando ha insistito che il numero dei morti veniva riportato in modo errato.

    Quando il virus è scoppiato per la prima volta a Wuhan, gli abitanti affermarono che il bilancio era molto più alto dei 3.000-4.000 morti rilasciato dal governo. Basandosi sulle consegne di urne funerarie e altri dati, molti stimarono che circa 42.000 persone erano state uccise dal COVID fino al marzo 2020 nella sola Wuhan.

    La statistica come strumento e arma

    Da sempre i partiti comunisti hanno usato le statistiche come strumento e arma per portare avanti la loro agenda. I funzionari si sentono liberi di cambiare i numeri per proiettare una buona luce sullo Stato, che controlla tutto. Tanto, la verità è quella che favorisce le fortune del partito. Se le statistiche dovranno essere truccate di conseguenza, non c'è problema. Da qui, la notoria inaffidabilità delle statistiche comuniste.

    Il problema è ulteriormente complicato da funzionari ansiosi che devono riferire buone notizie ai capi del partito o, altrimenti, affrontare le conseguenze dei loro fallimenti, compresa la morte. Nel caso della crisi del COVID, i numeri della tolleranza zero possono essere statisticamente impossibili e persino assurdi, ma la maggior parte dei funzionari preferisce la propria sopravvivenza alla scomoda verità.

    Inquietante è anche la complicità dei grandi media occidentali che ripetono i numeri cucinati dai regimi comunisti. Quando c'è di mezzo il prestigio della sinistra, sono pochi coloro che osano mettere in discussione cifre impossibili o, almeno, "seguire la scienza". Durante la lunga guerra fredda, l'Occidente presentò l'Unione Sovietica come la seconda economia più grande al mondo. Quando il muro di Berlino cadde, la dimensione reale dell'economia si rivelò essere significativamente inferiore.

    Trattare i cittadini come prigionieri

    I dati COVID mostrano che lo Stato comunista regna sovrano in Cina. Può piegare la realtà per rappresentare ciò che vuole. Inoltre, il regime si preoccupa poco del benessere del suo popolo, l’importante è che tutti servano lo Stato.

    Lo sforzo per salvaguardare la reputazione della Cina sta entrando in una fase cruciale, specialmente con l'avvicinarsi dei Giochi Olimpici Invernali. Focolai di COVID segnalati di appena uno o due casi hanno innescato massicci blocchi di intere città. Le strategie di tolleranza zero sono ora in atto e coinvolgono milioni di persone sotto restrizioni draconiane che includono il divieto di attività all'aperto e persino di fare la spesa.

    I test massicci in intere città sono all'ordine del giorno, mentre le imprese e le scuole sono chiuse. Giganteschi campi di quarantena che contengono migliaia di persone in minuscole cabine di metallo sono stati costruiti in tutto il paese. I cittadini possono essere improvvisamente trasportati in autobus in questi campi, dove trascorrono periodi di isolamento di due settimane.

    Nonostante tutti gli sforzi, i nuovi casi di COVID continuano ad aumentare, chiudendo interi settori dell'economia. Nel frattempo, le statistiche ufficiali mostrano centinaia (solo) di nuovi casi ma continuano a non registrare nuovi decessi… È semplicemente incredibile.

    Pubblicato originariamente sull’American Thinker.

     

    Fonte: Tfp.org, 1 Febbraio 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

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  • Lo spettro della Cina infesta l’America Latina

     

     

    di Daniel Martins

    Le relazioni con la Cina costituiscono oggi una delle principali questioni geopolitiche per l’America Latina. E sarà così per il prossimo decennio, nel caso in cui i governi di questo continente non prendano le dovute precauzioni.

    Tale affermazione, a prima vista iperbolica, si conferma ogni giorno di più. Infatti, quanto più si indaga e più il tempo passa, più la conclusione diventa ineluttabile: nel nostro continente c’è una strategia graduale di dominio cinese, a volte silenziosa, ma efficace e ostinata. La conquista si realizza attraverso vari mezzi, sebbene quasi sempre si nasconda dietro una facciata meramente economica.

    Base spaziale dipendente dall’Esercito Popolare di Liberazione

    Esempio emblematico di questa politica è la base spaziale di Neuquén, nella Patagonia argentina. Nel 2014, Cina e Argentina hanno firmato un accordo che ha permesso al paese asiatico di costruire un “osservatorio” nella regione. Il contratto, oltre a clausole estremamente vantaggiose per i cinesi, ha una vigenza di 50 anni.

    I punti di sospetto hanno cominciato ad apparire al pubblico dopo la firma. I funzionari contrattati per la base spaziale erano quasi esclusivamente cinesi. La capacità legale e pratica degli argentini di verificare se i fini del progetto fossero solo pacifici e di ricerca era quasi inesistente. Stranamente il testo aveva allegati segreti, ai quali nemmeno i senatori argentini hanno avuto accesso (sic!)[1]. Infine, gli analisti hanno constatato che tale base spaziale era, e ancora è, alle dirette dipendenze dell’esercito cinese. In altre parole, aveva avuto inizio la costruzione della prima base militare della Cina al di fuori del suo territorio[2]. E con quali vantaggi per l’Argentina? Quasi nessuno: solo il 10% del periodo giornaliero totale di monitoraggio spaziale[3].

     

    30 progetti cinesi in Argentina solo nel 2021

    Nel nord dello stesso paese, l’espansione della ferrovia Belgrano Cargasrealizzata dalla Cina ha rivelato un altro aspetto della sua tattica. I prestiti per l’opera supponevano l’uso di imprese di costruzione e di attrezzature cinesi. La rete ferroviaria, “casualmente”, si occupa del trasporto di materiale essenziale per la Cina: soia, grano, miglio. Vantaggi per l’Argentina? Molto dubbi. Dato che il paese ha già nel suo territorio quasi tutta la materia prima e la mano d’opera necessarie per la costruzione, portare materiale dalla Cina non aveva senso, in quanto avrebbe indebolito l’industria locale[4].

    Vale la pena evidenziare che l’espansione della Belgrano Cargas è solo uno dei trenta progetti di investimento cinese in Argentina nel 2021:

    I principali assi sui quali si baserà questo accordo in un Piano Quinquennale, saranno una trentina di progetti di infrastruttura. Centrali, treni e gasdotti sono in testa alle priorità di entrambi i governi. La Corporazione Nucleare Nazionale della Cina cerca di applicare ad Atucha III il suo ultimo sviluppo, la tecnologia Hualong. Si ha anche l’ampliamento della Belgramo Cargas e investimenti nelle linee San Martín e Roca[5].

     

    Debt diplomacy in azione

    La Cina compie in tutta l’America Latina quello che alcuni studiosi chiamano debt diplomacy,la diplomazia del debito. Si tratta di concedere prestiti che i paesi non saranno in condizione di pagare nel prossimo futuro. Nelle clausole dei contratti il pagamento è garantito, nel caso in cui non ci fosse denaro, con materie prime e altri assets di importanza strategica per la Cina.

    “Parte del prestito al Venezuela, ad esempio, viene con una garanzia: se il paese non fosse in grado di rimborsare, la Cina ha il diritto ad essere pagata in petrolio”,spiega Otaviano Canutto, ex vice-presidente della Banca Mondiale[6].

    Lo stesso avviene in Ecuador, che ha contratto enormi debiti con la Cina in termini di petrolio da pagare: “tra l’80 e il 90% di tutta la sua produzione è dovuta alla Cina per i prossimi cinque- dieci anni”[7].

    Questo debito è stato contratto dopo la costruzione, da parte della Cina, della diga Coca Codo Sinclair, nella foresta ecuadoregna. Nell’aprile 2019, l’allora segretario di stato statunitense, Mike Pompeo, visitando Santiago del Cile commentò il caso[8]:

    La diga avrebbe dovuto risolvere il fabbisogno energetico dell'Ecuador e aiutare a salvare il paese e a tenerlo fuori dalla povertà. Ma sappiamo già come finisce questa storia. La diga ora è piena solo a metà. L'acciaio usato per costruirla è pieno di crepe e si stanno verificando incidenti. Quasi tutti gli alti funzionari coinvolti nella costruzione della diga vengono arrestati o condannati per corruzione. Il progetto includeva più di 19 miliardi di dollari in prestiti cinesi come garanzia. La Cina, in cambio, ha ricevuto l'80% del petrolio dell'Ecuador con uno sconto e poi lo ha rivenduto per fare profitto[9].

     

    Il CELAC: Cuba e Venezuela ospitano la Cina

    La principale testa di ponte che la Cina utilizza nel nostro continente è la Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi – CELAC. L’interesse della Cina nell’organizzazione è stato recentemente esplicitato dal suo ministro dell’Agricoltura, Renjian Tang, nell’ultima assemblea della CELAC. [10]

    Intanto, l’avvicinamento attraverso questo e non altri organismi più consolidati, come l’Organizzazione degli Stati Americani – OEA, evidenzia il preconcetto ideologico della scelta. Infatti, la CELAC è stata creata nel 2010 per mettere da parte Stati Uniti e Canada, presenti in diversi altri organismi regionali. E come non poteva essere altrimenti, “la creazione del foro CELAC-Cina è stata ottenuta durante il mandato di Cuba come presidentepro tempore di tale blocco di integrazione”[11].

    È evidente l’intenzione della Cina nella scelta dell’istituzione, come ammette il quotidiano El País: “Xi Jinping desidera che Pechino occupi il vuoto geopolitico lasciato dagli USA. I suoi investimenti in diplomazia, armamenti e intelligenza artificiale sono la prova di tutto ciò” [12].

    Anche la compiacenza con il regime di Nicolás Maduro in Venezuela rivela una linea ideologica. Come commenta l’analista Gabriela Moreno,

    La sostanza dell'alleanza tra la Cina e il regime di Nicolás Maduro è un mistero. Ma ci sono sempre più prove della complicità per espandere il business e il comunismo del paese asiatico nei forum internazionali e il recente vertice della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) lo dimostra. (...) Il ministro [venezuelano] dell'agricoltura, Greicys Barrios, nel recente incontro virtuale della CELAC ha proposto di "specificare" un modello di sviluppo indipendente con la Cina. (...) Quasi contemporaneamente, l'ambasciata venezuelana a Pechino riceve dalla Cina Cai Wei, il nuovo direttore generale per l'America e i Caraibi, per "approfondire l'alleanza strategica". [13]

    Seguendo la debt diplomacy, la Cina è entrata nella CELAC con fiumi di prestiti. Gli ultimi dichiarati, tra crediti preferenziali, crediti speciali per le infrastrutture e fondi di cooperazione, raggiungono il totale di non meno di 35 miliardi di dollari.[14]

     

    Oscure manovre finanziarie

    Non sembra essere caduta in disuso la pratica, di stile sovietico, di trucchi finanziari, generalmente non verificabili – o non verificati – dall’Occidente. Ad esempio, la Banca Popolare Cinese, autorità monetaria della Cina, ha indebolito artificialmente la sua moneta nel settembre 2019, per facilitare le sue esportazioni soprattutto verso i paesi del sud.

    Come sottolinea il presidente dell’Associazione del Commercio Estero del Brasile, José Augusto de Castro, “la Cina non dice quel che fa, ma fa e poi si scopre quel che ha fatto. Hanno già anticipato la guerra commerciale”.[15]

    Secondo uno studio dell’Università di Brasilia:

    “Nell'aprile 2009 i presidenti della Banca Centrale dell'Argentina e della Banca Centrale della Cina hanno firmato un contratto di scambio di cambi (in pesos e renminbi) per un importo di 10.200 miliardi di dollari, con validità triennale, volto a garantire l'accesso della valuta al mercato internazionale in caso di eventuale mancanza di liquidità. Lo swap può essere utilizzato per acquistare beni cinesi o argentini, un esempio dell'iniziativa cinese per finanziare i paesi in via di sviluppo per l'acquisto dei loro prodotti. Evidentemente l'accordo è in realtà a senso unico, e mette l'Argentina, con le riserve indebolite della sua Banca Centrale, in una situazione di dipendenza, poiché finisce, in parte, per finanziare le importazioni cinesi"[16] (sottolineature nostre).

     

    Pesci per la tavola di Xi-Jinping

    Segue la stessa logica la politica ittica cinese, non solo nelle vicinanze delle Filippine, ma anche in America Latina. Nell’ottobre 2020, grandi flotte pescherecce illegali cinesi hanno attraversato lo stretto di Magellano e hanno poi circondato le isole Galapagos.

    La flotta peschereccia ha destato la preoccupazione delle Marine peruviana e cilena, anche per la vicinanza con le loro Zone Economiche Esclusive (ZEEs). In tal senso, i casi di pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata (INRNR) nelle acque sudamericane rappresentano una sfida per il mantenimento della sovranità dei paesi costieri sulle loro ZEEs e sulle loro risorse.[17]

    In seguito alle proteste, il governo cinese ha promesso di ritirarsi dalle Galapagos. Ma il giorno dopo la marina ecuadoregna ha constatato la presenza di 340 navi con la bandiera cinese. Secondo quanto ha reso noto la Deutsche Welle,

    Gli Stati Uniti avevano già avvertito il governo del Perù della presenza della flotta. Attraverso Twitter, l'ambasciata di Washington a Lima ha riferito che "una flotta di oltre 300 navi di bandiera cinese con una storia di cambio di nomi di navi e di disattivazione del tracciamento GPS è al largo del Perù”.[18]

    Soprattutto per il Perù, la pesca costituisce un’importante porzione della sua attività economica, e non può quindi tollerare una simile intrusione. Affrontato, il governo cinese ha dichiarato di essere vittima di fake news...

    Vari studi mostrano che le flotte cinesi contano quasi 17.000 imbarcazioni sparse nel mondo e sono responsabili del 40% della pesca in tutto il pianeta. Nell’America del Sud, “le flotte illegali agiscono soprattutto nella regione sud della costa brasiliana, più ricca di biomassa ittica, favorita dalla corrente fredda delle Malvinas, ricca di nutrienti”.[19]

     

    Enclavi de facto in America Latina

    In Brasile, silenziosamente, i cinesi, sono andati acquisendo settori strategici di produzione. Ma quando si dice “cinesi”, in realtà si indica lo stato cinese. Non sono multinazionali o imprese straniere private. È la Cina-paese che sta acquistando e prendendo possesso di punti-chiave del territorio latinoamericano, come abbiamo già visto nel caso della base spaziale di Neuquén, in Argentina. La gravità di questa situazione, che si sta ripetendo in tutto il continente, è stata ben commentata da Alexander Busch[20]:

    (...) La Cina segue una strategia: le sue aziende investono direttamente nel DNA industriale del Brasile. Chi controlla le reti energetiche, le autostrade, le ferrovie e forse presto anche le reti telefoniche avrà un enorme vantaggio come investitore quando verrà il momento della digitalizzazione e della trasmissione dati in Brasile.[21]

    Uno studio di InfoMoney elenca esempi preoccupanti di acquisti recenti della Cina in Brasile, i cui principali punti sintetizziamo di seguito (le sottolineature sono nostre):

    Ø  Nel 2017 la China Merchants Group ha pagato 2,8 miliardi di reais per il Terminal di Conteiners del Porto di Paranaguá, il secondo più grande del Brasile.

    Ø  La statale China Communications Construction Company (CCCC) sta investendo 2 miliardi di reais per costruire un porto nel Maranhão [uno stato del nord], formando così due rotte per il flusso della produzione agricola brasiliana, al sud e al nord del paese.

    Ø  La stessa CCCC in questo momento sta negoziando un nuovo progetto, questa volta a Santa Catarina [uno stato del sud], anche per il settore del grano, come nel Maranhão.

    Ø  La statale State Grid, il più grande trasmettitore di energia cinese, ha assunto il controllo della compagnia energetica CPFL, pagando nel 2017 4,5 miliardi di dollari per il 54% dell’impresa, che possiede capitale aperto.

    Ø  L’altra compagnia statale cinese CTG – China Three Gorges, è già padrona della centrale elettrica omonima (‘3 Gole’), la più grande del pianeta. Ha acquistato il controllo di 14 centrali idroelettriche, oltre alla partecipazione di altre 3. L’impresa è oggi la seconda più grande generatrice di energia con capitale privato del paese. La CTG possiede anche 11 parchi eolici nel paese.

    Ø  Insieme, la State Grid e la CTG, oltre alla State Power Investiment Corporation (SPIC), controllano 15,6 mil MW, ovvero il 10% di tutta la produzione brasiliana di energia.

    Ø  L’impresa cerca ancora di riprendere la costruzione del Comperj, complesso petrolchimico della Petrobras a Rio de Janeiro.

    Ø  Nel settore petrolifero, la CNPC, Corporazione Nazionale Cinese del Petrolio, che controlla la PetroChina, è socia della Petrobras nel presale[22]. Anche un’altra statale cinese, la CNOOC, è socia nel campo (entrambe con il 10% ciascuna). Complessivamente i cinesi detengono la partecipazione in 12 aree del presale.

    Ø  La Rete Bandeirantes, proprietaria di grandi emittenti televisive e di radio nel paese, ha siglato un accordo per la produzione di contenuto insieme alla statale cinese China Media Group. ha siglato un accordo per la produzione di contenuto insieme alla statale cinese China Media Group. Anche la statale cinese ha firmato un accordo di coproduzione e uso di tecnologia 5G con la Rete Globo.[23]

    Del complesso dei settori strategici, difficilmente qualcuno rimane fuori dall’avidità cinese. La lista sopracitata non è altro che un elenco esemplificativo. Sembra essersi riferito a questa situazione il presidente Jair Bolsonaro quando ha affermato, subito dopo l’incontro con l’ambasciatore cinese: “tutti i paesi possono comprare in Brasile, ma non comprare il Brasile”[24].

    Un ulteriore esempio recente, estremamente preoccupante, è stato l’investimento cinese di 500 miliardi di dollari per costruire un complesso manifatturiero nel Minas Gerais, stato nel sudest del Brasile. Occupa la superficie di un milione di metri quadrati e produce 7000 unità di macchinari pesanti all’anno. È di proprietà dell’impresa di investimento cinese XCMG, che in Brasile già detiene 17 distributori, 33 punti vendita e 33 centri di sostituzione. Tutto fatto sotto la tutela dell’allora governo di sinistra.[25]

    Considerato l’insieme che stiamo analizzando, si può affermare che questo tipo di acquisizione diventa proprietà di un governo estero, dal momento che sono stati acquistati con il consenso e la registrazione delle istituzioni brasiliane. Così, formano vere enclavi cinesi nel continente.

     

    Conquista della Cina o consegna dei paesi?

    La domanda di cui sopra sembra avere la massima rilevanza. Il fatto che la strategia cinese sia graduale e a volte mediaticamente poco appariscente, con casi inesistenti di uso diretto delle armi - almeno per ora - rivela l'impossibilità che oggi il pachiderma comunista si imponga con la forza in America Latina.

    I fatti raccontati sopra, sebbene riassunti, sembrano dimostrare un desiderio di seppellire previamente “mine” e “bombe ad orologeria” nel terreno dell’avversario, con il sorriso sulle labbra e i soldi in tasca. Presto verranno gli inesorabili indebitamenti, la dipendenza strategica e altre conseguenze della debt diplomacy,come in gran parte già si sta osservando in Venezuela. Con un esercito ogni volta più grande e tecnologicamente attrezzato, e munito di ingenti fondi dalle sue prossime vittime, cosa impedirà alla Cina di imporsi in breve tempo con braccio forte?

    Questo triste scenario, però, diciamolo chiaramente, affonda le sue radici molto più nella stessa America Latina che in Cina. Infatti, se i governi e i settori della comunità imprenditoriale latinoamericana fossero stati lungimiranti, non avrebbero osato fare affari con coloro che, ancora oggi, e con sempre maggiore forza, proclamano le massime comuniste. Come credere nei contratti di chi nega il diritto di proprietà? Come possiamo abbracciare un governo che opprime continuamente la propria popolazione? Questo è ciò che la storia giudicherà duramente, non solo nei confronti dell'America Latina, ma di tutto l'Occidente.

    È interessante notare che questo pericolo viene da lontano. Già nel 1943 (sic!), il grande leader cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, scriveva sul giornale Legionário: “Il pericolo musulmano è immenso. L’Occidente sembra chiudere gli occhi di fronte ad esso, così come li tiene ancora semi-chiusi di fronte all’immenso pericolo del paganesimo giallo”.[26]

    Tuttavia, da allora ha prevalso la mentalità laica e presumibilmente pragmatica nei circoli politici. Da un certo punto in poi, le persone che languono nella miseria comunista hanno cominciato a intrattenere l'Occidente con prodotti molto a buon mercato, frutto del lavoro degli schiavi. Questa politica semplicemente immorale, disumana e ingiusta, mentre distruggeva le industrie nazionali occidentali, ha gradualmente fatto pendere la bilancia del potere economico dalla parte dei maoisti.

    Si potrebbe obiettare che l'aspetto ideologico del commercio con la Cina qualche decennio fa è talmente diminuito che si può quasi dire che, ai fini pratici, abbia cessato di esistere. La Cina sarebbe solo una "potenza emergente" rispetto a un'altra che dovrebbe gradualmente scadere. Mi riferisco, ovviamente, agli Stati Uniti. Secondo questa visione, niente di più normale e prevedibile.

    Tuttavia, un'analisi più approfondita dei movimenti interni della Cina porta ad altre conclusioni. Poiché questo non è lo scopo di questo articolo, ci limitiamo a ricordare che il Partito Comunista Cinese da molto tempo non aveva l'influenza e il potere che ha riconquistato con Xi-Jinping. Sarebbe infantile immaginare che le iniziative espansionistiche della Cina non abbiano come obiettivi gli stessi del suo "soviet supremo", il PC cinese.

    Nel giugno 2020, ad esempio, lo stesso partito, insieme ai suoi omologhi di Cuba, Argentina, Perù, Venezuela e Uruguay, ha organizzato un incontro virtuale per esaltare la “superiorità del socialismo nella lotta al COVID-19”.

    Secondo il quotidiano Panampost, “dietro c’è un doppio gioco. Mentre la Cina attrae i partiti moderati dell’America Latina assicurando il «rispetto reciproco», allo stesso tempo si presenta come forza rivoluzionaria comunista.”[27]

    Il gioco russo dell'era della Guerra Fredda si ripete adesso, dietro le apparenze della neutralità ideologica. Proprio come in quel periodo i partiti comunisti o filo-comunisti erano gli avamposti di Mosca in ogni paese, e cercavano di seguire alla lettera la loro strategia di dominio internazionale, così ora i politici di sinistra di quasi tutti i ceti – per non parlare degli utili-idioti centristi – , servono agli scopi del PC cinese.

    Infatti, se tornassimo ai fatti elencati in questo articolo, vedremmo che la maggior parte di ciò che è stato fatto a favore della Cina, con il disprezzo degli interessi locali, non sarebbe stato possibile senza il compiacimento, per non dire la complicità, di politici latinoamericani di sinistra o di centrosinistra. Nel 1972, il già citato pensatore e leader cattolico brasiliano affermò: “la Storia ancora non ha visto l’esempio di un solo governo di sinistra che, abbandonato alle sue sole forze, abbia decisione, perspicacia e fermezza per resistere al comunismo.”[28]

    È ciò che possiamo osservare oggi. All'inizio di questo articolo, abbiamo visto i problemi riguardanti la base spaziale cinese a Neuquén, in Argentina. L'accordo spurio tra i due governi, che cedeva il territorio a un'agenzia spaziale dipendente dall'esercito cinese, è stato promosso e firmato dall'allora presidente Cristina Kirchner, nota per le sue posizioni radicali peroniste. La sua politica di concessioni alla Cina prosegue oggi a pieno ritmo con la sua creatura politica, Alberto Fernandez, di cui è vicepresidente...

    Questa relazione si è espansa tanto che quest’anno la Cina ha sorpassato il Brasile come principale partner commerciale dell’Argentina. Solo nell’aprile 2021, l’Argentina ha esportato 509 milioni di dollari per la Cina, mentre per il Brasile, il suo storico partner commerciale, i milioni sono stati 309, secondo l’Istituto Nazionale di Statistica e Censo (Indec). [29]

    Inoltre, recenti notizie confermano gli sforzi della Cina per rafforzare la cooperazione militare con il Paese. Il 21 maggio 2021 un ente regionale specializzato in aeronautica militare ha avvertito:

    Una delegazione di alto livello della società nazionale di importazione ed esportazione di tecnologia aeronautica cinese, CATIC, è arrivata in Argentina la scorsa settimana per discutere della cooperazione nella difesa e con la proposta di offrire all'aeronautica militare argentina un aereo supersonico, secondo l'agenzia MercoPress e il sito web Zona Militar.[30]

    Questo avvicinamento è iniziato con tutta la sua forza quando nel 2003 il leader socialista Nestor Kirchner è arrivato al governo. La sua unica visita ufficiale in Asia è stata nel Paese di Mao, dove ha rafforzato i legami dell'Argentina con il presidente Hu Jintao. Nel 2004, ha girato l'America Latina per ottenere il riconoscimento per la Cina come economia di mercato:

    In un incontro bilaterale tra Kirchner e Hu, è stato negoziato il riconoscimento della Cina come economia di mercato, finalmente sancito, il 17 novembre 2004, dal Memorandum d'intesa sulla cooperazione in materia di commercio e investimenti, firmato dal ministro degli Esteri Rafael Bielsa e la sua controparte, Li Zhao Xing.[31]

    In Brasile è accaduto lo stesso con l’arrivo al potere, nel 2003, di Lula da Silva e del suo Partito dei Lavoratori – PT. Secondo dati ufficiali, tra il 2003 e il 2019 i cinesi hanno versato 72 miliardi di dollari nelle casse brasiliane, ovvero il 37,3% del totale investito per tutti gli altri paesi insieme.Nel 2004, il Governo Lula diede vita ad “un forum di alto livello per il dialogo e la cooperazione”.Nello stesso anno, così come il suo omologo argentino, riconobbe la Cina come economia di mercato.[32] Sempre nel 2004 è stato fondato il Consiglio Imprenditoriale Brasile-Cina.[33]

    Nel 2009, la Cina diventava il primo partner commerciale del Brasile.[34] Il successore di Lula alla presidenza, Dilma Roussef, nota per la sua partecipazione alle violente guerriglie del periodo militare (1964-84), ha continuato questa politica, che è stata mantenuta fino a tempi recenti. Nonostante l'attuale governo sia di destra, la sinistra non si arrende. L'ultimo episodio è stata la pressione che la senatrice Kátia Abreu, ex ministro dell'Agricoltura di Dilma Roussef, attualmente presidente della Commissione per le relazioni estere del Senato, ha esercitato sul ministro Ernesto Araújo, cancelliere di Bolsonaro fino a marzo 2021.

    Il ministro aveva espresso un parere fermo ma sfumato contro la tendenza egemonica della Cina comunista. Tanto è bastato per suscitare scalpore mediatico, dichiarazioni del potere Legislativo e della Magistratura, provocazioni e minacce. Si è venuto a sapere che all'origine della pressione sul Senato e sul governo federale c’era lo stesso corpo diplomatico cinese. Infine, il cancelliere ha preferito dimettersi.

    Aiutata dalle pressioni interne ed esterne della sinistra, la Cina ha visto una nuova finestra di opportunità con la crisi sanitaria del COVID-19: “Nel mezzo della pandemia, la Cina ha approfittato dei prezzi bassi per aumentare le proprie riserve strategiche ed è diventata la destinazione del 70% del petrolio brasiliano esportato”[35].

    Inoltre, la domanda mondiale di prodotti legati alla crisi, come maschere, guanti, ventilatori e accessori per lo smart working, è stata rapidamente soddisfatta in gran parte dalla Cina[36].

    Pertanto, nonostante l’avversione ideologica dell’attuale governo brasiliano nei confronti del PC cinese, questo si posiziona strategicamente: “Nonostante gli attriti con il Brasile, la Cina è pragmatica e pianifica sul lungo periodo. I cinesi sanno bene che , così come è passato Trump, anche Bolsonaro passerà”.[37]

     

    La Cina ha bisogno dell’America Latina

    In uno scenario internazionale sempre più infiammato da guerre commerciali e di influenza, non va dimenticato che, mentre gli investimenti faraonici del governo cinese mostrano la sua avidità di conquista, fanno anche capire che la Cina ha bisogno dell'America Latina, soprattutto nei settori alimentare e geostrategico.

    Il Direttore Generale della FAO, il cinese Qu Dongyu, nel febbraio 2021 ha tenuto un discorso all'incontro Cina-CELAC e ha riconosciuto il potenziale della regione: i paesi dell'America Latina sono responsabili del 13% della produzione alimentare mondiale e del 45% delle esportazioni di questi prodotti.[38]

    Inoltre, nel maggio 2017, il dittatore Xi-Jinping confermava le sue mire geostrategiche sulla regione. Durante il Forum del Belt and Road Initiative, il dittatore asiatico ha dichiarato che la regione “è un’estensione naturale della via marittima della seta”.[39]

    L'episodio recente più clamoroso è avvenuto nel 2017, quando la Cina ha avuto la sorprendente complicità del presidente di Panama. Tagliando i rapporti con Taiwan, e assumendo formalmente la politica di “One China”, il presidente Juan Carlos Varela ha firmato accordi che consentono un significativo aumento dell'utilizzo finanziario e commerciale del Canale di Panama da parte della Cina, oltre alla “incorporazione graduale all’iniziativa di differenti paesi caraibici e dell’America Latina, rompendo la percezione dell’eventuale ‘periferizzazione’ della regione nella strategia globale di Pechino.”[40]

    Dopo gli Stati Uniti, la Cina è il paese che più utilizza il Canale. La sua espansione aggressiva, con la connivenza locale, ha spinto Washington a chiedere una consultazione con i diplomatici panamensi il 12 settembre 2018.[41]

     

    L’America Latina si sbaglia con la Cina

    Altro pericolo importante da menzionare è quel che ha ben sottolineato il portale tedesco Die Welt:

    “Il Brasile non conosce la Cina – questo è pericoloso. Pochi brasiliani conoscono e comprendono il loro più grande partner commerciale e investitore. I cinesi sanno già quasi tutto del Brasile. Questa è una situazione rischiosa, che può sfociare in un rapporto come quello dell'era coloniale”.[42]

    Benjamin Creutzfeldt, membro del Kissinger Institute on the United States and China, corrobora tale opinione: “Negli ultimi 3 o 4 anni la Cina ha aperto fino a 60 centri di studio presso le università di tutta la Cina per lo studio dell'America Latina, così come altri ricercatori regionali nel mondo”[43].

    Il già citato analista Alexander Busch aggiunge: “In appena un decennio, non è stata solo la presenza dei giornalisti cinesi in Brasile e la loro conoscenza del Paese ad aumentare enormemente. Anche i diplomatici, gli uomini d'affari e i banchieri cinesi hanno da alcuni anni una presenza sempre più forte”.

     

    Conclusione: apprensione e speranza

    Plinio Corrêa de Oliveira, nel 1972, fece una ponderata considerazione al riguardo. Mentre indicava il pericolo comunista, al contempo accendeva una luce di speranza, fondata sul fatto che le nazioni latinoamericane hanno un substrato così fortemente cattolico da fornire loro le condizioni necessarie per reagire, purché abbiano fede e perspicacia.

    Facciamo delle sue parole la nostra conclusione, applicandole non solo al Brasile, ma ipsis litteris a tutta l'America Latina, data l'unità religiosa e in qualche misura temperamentale della regione:

    Dallo splendore di questa solennità vedo affermata ancora una volta una convinzione che ho da tempo, e cioè che i comunisti si sbagliano sul Brasile. Forse hanno l'impressione di poter conquistare facilmente il Brasile e non è vero. Ci sono forze anticomuniste in Brasile molto più grandi di quanto si creda (...)

    Quando questo popolo si sente veramente minacciato, sa come ergersi come un solo uomo e sa come combattere l'aggressione comunista.

    Davvero carissimi, il comunismo si sbaglia con il Brasile, ma devo aggiungere che il Brasile si sbaglia con il comunismo. Perché se questo non è vero, almeno molti brasiliani sbagliano con il comunismo se pensano che nei confronti di questo nemico, ultra addestrato, astuto, falso, specializzato nell'approfittare delle più piccole circostanze per sferrare il suo attacco, valgano i vecchi compromessi pieni della simpatica bonomia di un tempo, questo, miei connazionali, è finito. Noi non siamo di fronte a un avversario qualunque, ma a un giaguaro, a un astuto giaguaro che ci cattura di notte in mezzo all'oscurità, in mezzo alla giungla, per divorarci; che ci cattura forse nelle illusioni della nostra bonomia e che ci crea a un certo momento una certa situazione consumata, che con lungimiranza, con articolazione, con energia, avremmo potuto evitare.

    (...) C'è tra noi un'atmosfera generalizzata come se il pericolo comunista non avesse più ragione di esistere, non esistesse più in Brasile. Come se ci fosse un motivo per una vera smobilitazione psicologica e intellettuale, nel momento in cui tutto il mondo si sta mobilitando.

    (...) Il comunismo non si impadronirà del Brasile - lo credo davvero – a causa dell'intelligenza, della forza, della fede del popolo brasiliano. Ma quanto può costare questo se il popolo brasiliano non è lungimirante!

    Che la Beata Vergine di Guadalupe, patrona delle Americhe, protegga il nostro continente da questa “invasione bianca” cinese, come ci ha difeso in passato dagli artigli sovietici.

     

    Fonte: Tredicesimo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, 2021. A cura dell’Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân. Traduzione dal portoghese di Federico Catani.

     

    Note

    [1] Alexandre de Barros Freitas. Relações Argentina - China: a construção de um vínculo assimétrico. Articolo presentato come requisito parziale per ottenere il titolo di Specialista in Relazioni Internazionali dall’Università di Brasilia, p. 4.

    [2] Tania Garcia Millan, expert on China -Latin American relations. Interview to Foreign Policy Association documentary: Competing for Influence: China in Latin America, 20/3/20.

    [3] El Mundo, 2-7-2015.

    [4] Cfr. Margaret Myers – Director of Asia and Latin America Programof Inter-American Dialogue. Interview to Foreign Policy Association documentary: Competing for Influence: China in Latin America, 20/3/20.

    [5] Chaco Día por Día, 22/2/2. Disponibile qui: https://www.chacodiapordia.com/2021/02/22/el-gobierno-nacional-anunciara-un-plan-de-inversiones-con-china-por-us35-mil-millones/

    [6] Interview to Foreign Policy Association documentary: Competing for Influence: China in Latin America, 20/3/20.

    [7] John Feeley, Embaixador dos Estados Unidos no Panamá (2015-2018). Interview to Foreign Policy Association documentary: Competing for Influence: China in Latin America, 20/3/20.

    [8] Wall Street Journal, 12/4/19.

    [9] Cfr. La versione integrale del discorso sul sito ufficiale dell’Ambasciata degli Stati Uniti in Ecuador, 12/4/19. Disponibile qui: https://ec.usembassy.gov/15159/

    [10] Cfr. Sito Ufficiale del Ministero dell’Agricoltura cinese, 26/2/21. Disponibile qui  http://english.moa.gov.cn/news_522/202103/t20210301_300598.html   

    [11] Sito Ufficiale del SELA – Sistema Econômico Latinoamericano y del Caribe, 31/1/21. Disponibile qui http://www.sela.org/es/imprimir/?n=13759

    [12] El País, 4/3/18.

    [13] Panampost, 28/2/21.

    [14] Ivi.

    [15] InfoMoney, 8/9/19.

    [16] Alexandre de Barros Freitas. Relações Argentina - China: a construção de um vínculo assimétrico, cit., p. 18.

    [17] DefesaNet, 12/11/20.

    [18] Deutsche Welle, 2/10/20.

    [19]Agência Boa Imprensa, 13/1/21.

    [20] Alexandre Busch è economista e autore di vari libri sulla situazione brasiliana.

    [21] DefesaNet, 10/5/18.

    [22] Nome dato in Brasile alla riserva di petrolio che si trova sotto un profondo strato di sale.

    [23] InfoMoney, 23/10/20. Isto é o que a China já comprou do Brasil, di Felipe Hermes.

    [24] O Estado de S. Paulo, 5/11/2018.

    [25] Panampost, 28/2/21. Disponibile qui: https://panampost.com/gabriela-moreno/2021/02/28/china-se-enquista-america-latina-celac/

    [26] Plinio Corrêa de Oliveira, “A questão libanesa,” em Legionário, no. 591, Dec. 5, 1943.

    [27] Panampost, 28/2/21. Disponibile qui: https://panampost.com/gabriela-moreno/2021/02/28/china-se-enquista-america-latina-celac/

    [28] Plinio Corrêa de Oliveira, em Folha de S. Paulo, 1/10/72.

    [29] Brasil de Fato, 9/10/20.

    [30] Poder Aéreo, 10/5/21.

    [31] Alexandre de Barros Freitas. Relações Argentina - China: a construção de um vínculo assimétrico, cit., p. 13.

    [32] "Questa caratterizzazione è oggetto di una costante opposizione da parte di entità imprenditoriali, in particolare la Confederazione Nazionale delle Industrie (CNI) e la Federazione delle Industrie dello Stato di São Paulo (FIESP), le cui critiche si concentrano sulla presunta pratica cinese di determinare prezzi ridotti artificialmente, instaurando una concorrenza impari con i prodotti nazionali”. OPEB – Observatório de Política Externa e da Inserção Internacional do Brasil, 21/8/20. Disponibile qui: https://opeb.org/2020/08/21/a-expansao-das-relacoes-comerciais-entre-brasil-e-china-durante-a-pandemia/

    [33] Ivi.

    [34] Zero Hora, 14/1/20.

    [35] OPEB, 21/8/20.

    [36] Agência Estado, 15/2/21.

    [37] Ivi.

    [38] Sito ufficiale della FAO, 25/2/21. Disponibile qui:  http://www.fao.org/news/story/pt/item/1377572/icode/

    [39] André Sandis, Eurasia y America Latina em um mundo multipolar, Icaria Editorial, 2019, p. 152.

    [40] Ibidem, p. 155.

    [41] Ibidem, p. 156.

    [42] Die Welt, 9/5/18. Disponibile qui: https://www.dw.com/pt-br/o-brasil-n%C3%A3o-conhece-a-china-isso-%C3%A9-perigoso/a-43715399

    [43] Interview to the Woodrow Wilson Center program: China’s Presence in Latin America.

  • La persecuzione della Chiesa in Nicaragua nasce dalla TDL

     


     

    di Americo Mascarucci

    Continuano le persecuzioni contro la Chiesa nel Nicaragua, dove il regime di Daniel Ortega sta soffocando ogni giorno di più il dissenso. Appena un mese fa è arrivato l’accorato appello del Cardinale Leopoldo Brenes, Arcivescovo di Managua che in occasione della solennità del Sangue di Cristo ha detto: “Vogliono togliere le forze alla Chiesa. Oggi sentiamo, in tanti momenti, persone che ci attaccano, che attaccano il Papa Francesco, che in un modo o nell’altro vogliono diminuire la forza dalla Chiesa, ci insultano, siamo perseguitati, calunniati, ma tutto ciò cade nel vuoto, in quanto è forte la nostra speranza e fiducia nel Signore”.

    Un anno fa, esattamente il 31 luglio 2020, si verificò l’attentato nella cattedrale di Managua che inaugurò una serie di azioni violente in diverse chiese del Paese. Negli ultimi tempi il regime di Ortega ha dato avvio ad una dura opera di repressione del dissenso con l’arresto di numerosi oppositori politici, e nel governo c’è chi spinge per estendere gli arresti e le repressioni anche nei confronti dei vescovi ormai identificati come nemici del potere. I rapporti tra la Chiesa cattolica e il presidente Ortega si sono infatti bruscamente interrotti nel luglio 2018, quando il presidente nicaraguense ha accusato i Vescovi di aver organizzato un presunto “golpe” nei suoi confronti..

    Non si tratta qui di manifestare o meno solidarietà nei confronti della Chiesa nicaraguense nel mirino, questa è sicuramente scontata, ma di evidenziare come quanto sta avvenendo in quel Paese e in altri dell’America Latina sia una diretta conseguenza del disastroso “68 della Chiesa” che ebbe fra i suoi più eminenti capolavori lo sciagurato congresso del Consiglio Episcopale latinoamericano di Medellin, svoltosi proprio nel 1968 in cui, come risposta al “vento innovatore” del Concilio Vaticano II, si inaugurò quella che sarebbe poi passata alla storia come “Teologia della Liberazione”.

    In quel congresso fu stabilito il principio secondo cui il ruolo centrale della Chiesa nella società umana contemporanea doveva essere quello di porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano, in particolare l’opzione fondamentale per i poveri. Messa così poteva anche sembrare una rivendicazione del tutto legittima, ma in realtà fu per la Chiesa l’inizio di un grande equivoco, dal momento che si affermò che l’opzione preferenziale per i poveri andava affermata attraverso una lettura “cristiana” dei contesti socio politici ed economici e lottando per la loro piena affermazione.

    Perfettamente in linea con il concetto del Dio storico di Karl Rahner presente nel mondo e nella storia e quindi da testimoniare nei contesti contemporanei, si passò dalla lotta spirituale a quella politica, per finire come in Nicaragua a quella armata. Non solo, la Teologia della Liberazione finì per diventare una sorta di “lettura cristiana” del marxismo fino a sostenere, legittimare e giustificare, i movimenti rivoluzionari che nascevano nei vari Paesi dell’America Latina per sostenere apparentemente un desiderio di libertà e di giustizia sociale, ma nei fatti per favorire la penetrazione del comunismo sovietico in quello che veniva definito il “giardino degli Usa”.

    Il Nicaragua è stato il Paese che, insieme alla Colombia, ha visto in azione la manipolazione più vergognosa del Vangelo, con sacerdoti e monaci schierati nelle fila del movimento sandinista di Daniel Ortega e direttamente in campo nella rivoluzione e nella lotta armata. L’unico che ebbe la forza di opporsi a tutto questo fu San Giovanni Paolo II, che già pochi mesi dopo la sua elezione prese apertamente posizione contro la Teologia della Liberazione denunciando il grande inganno che nascondeva. Ovvero quello di mascherare sotto una veste cristiana ed evangelica, una chiara forma di appoggio al marxismo. Fu proprio in Nicaragua che Giovanni Paolo II condannò, senza se e senza ma, la Teologia della Liberazione e la pericolosa deriva rivoluzionaria e marxista che aveva assunto nel Paese; lo fece sfidando i sandinisti che sulla piazza di Managua cercarono in tutti i modi di impedirgli di parlare. Ma Wojtyla non si lasciò intimidire, e più alte si facevano le urla di contestazione dei sandinisti più forte si levava la sua condanna.

    Ma non fu tutto. Giovanni Paolo II voleva la sospensione a divinis dei sacerdoti che in Nicaragua erano entrati come ministri nel governo sandinista. Il segretario di Stato Agostino Casaroli, che come tutti sanno era favorevole al dialogo con il mondo comunista e rifiutava la logica della contrapposizione tipica della guerra fredda, lavorò sotto traccia per impedire che si arrivasse ad una rottura. Fece sapere al sacerdote e poeta Ernesto Cardenal facente parte del governo, che il papa avrebbe gradito un gesto di obbedienza da parte sua, inchinandosi e baciandogli la mano in segno di deferenza al suo arrivo all’aeroporto di Managua, e che in conseguenza di questo gesto GPII avrebbe valutato senza pregiudizi la loro possibile permanenza nel governo. Effettivamente all’aeroporto Cardenal si inginocchiò per baciare la mano del papa, ma Wojtyla la ritrasse sdegnato, impedì che gli venisse baciata e davanti alle telecamere alzò il dito in segno di ammonizione contro il sacerdote intimandogli severamente di scegliere se fare il prete o il ministro. E dopo poco sarà sospeso a divinis.

    Cardenal ha sempre sostenuto che Casaroli gli tese una trappola per umiliarlo pubblicamente e far risaltare ancora di più la condanna del pontefice polacco contro di lui e i confratelli schierati con Ortega; ma non è da escludere che lo stesso Casaroli possa essere stato preso in contropiede da GPII e che avesse voluto realmente tentare un dialogo per evitare la rottura.

    Sta di fatto che oggi la Chiesa in Nicaragua sta pagando molto caro il suo “peccato originale”, ovvero quello di aver sostenuto il movimento sandinista che si è trasformato in un sanguinario regime dittatoriale, che ha usato e gettato la Chiesa per i propri interessi e che ha ampiamente tradito quegli ideali di libertà e di giustizia sociale che gli valse l’appoggio dei teologi della liberazione. La situazione del Nicaragua è la migliore dimostrazione di come Giovanni Paolo II avesse visto giusto e soprattutto fosse nel giusto nel contrastare, anche duramente, le contaminazioni fra cristianesimo e marxismo. Non c’era in quegli anni una guerra fra ricchi e poveri in America Latina, fra oligarchie dominanti e poveri perseguitati come si è voluto far credere, ma una lotta per l’egemonia fra gli Stati Uniti da una parte e l’Unione Sovietica dall’altra nel quadro della guerra fredda e dei blocchi contrapposti, con i sovietici che si servivano delle rivoluzioni (e indirettamente della Teologia della Liberazione) per entrare in casa del nemico e creare altre Cuba nel cuore del continente americano. Una guerra geopolitica senza alcuna finalità evangelica o di vera giustizia sociale.

    I vari esponenti di spicco della Teologia della Liberazione che l’hanno propagandata, da Gustavo Gutiérrez, ad Hélder Câmara, da Leonardo Boff a Camilo Torres Restrepo per finire con Ernesto Cardenal e Miguel d’Escoto Brockmann sono stati complici di un grande inganno. Si salva forse soltanto Oscar Romero, l’unico in buona fede, che infatti si fa fatica ad inquadrare come organico alla Teologia della Liberazione nonostante i vari tentativi di assimilazione e certe sue ambiguità e contraddizioni.

    Spiace soltanto che Bergoglio nella sua opera di demolizione della Chiesa stia restituendo dignità a figure cui nessuna riabilitazione andrebbe concessa, ma soltanto la condanna di un inganno e di una errata interpretazione del Vangelo piegata all’ideologia marxista, ad opera di abili manipolatori e diabolici impostori.

     

    Fonte: Stilvm Curiae – Marco Tosatti, 14 Agosto 2021.

  • Memorial chiusa, colpo di spugna sul comunismo

     

     

    di Stefano Magni

    Memorial è stata ed è tuttora la principale istituzione di studio dei crimini del comunismo. La Corte Suprema russa ha decretato la chiusura della sua branca principale, Memorial Internazionale, il 28 dicembre. Il giorno successivo, ieri per chi legge, il tribunale di Mosca ha sentenziato la chiusura di Memorial Centro per i Diritti, la principale branca dell’associazione attiva all’interno della Russia.

    Le sentenze erano ampiamente attese, ma il loro sincronismo e la loro lettura ne rivelano una natura palesemente ideologica. Memorial Internazionale, così come la sezione moscovita sono state chiuse sulla base della legge sugli “agenti stranieri”. La norma, introdotta nel 2012, prescrive che tutte le associazioni, le Ong e le testate giornalistiche che ricevono donazioni anche dall’estero, siano classificate come “agenti stranieri”. Oltre ad altre limitazioni, anche finanziarie e fiscali, le associazioni colpite dalla legge devono anche inserire l’etichetta di “agente straniero” su tutte le loro pubblicazioni e trasmissioni. Anche Memorial è stata condannata per questo motivo, perché risulta che su non tutte le pubblicazioni vi sia la dicitura prescritta. Ma la motivazione della sentenza della Corte Suprema potrebbe essere un’altra: l’associazione avrebbe diffuso “una falsa immagine dell’Urss, quale Stato terrorista e ha denigrato la memoria della Seconda Guerra Mondiale”, come ha dichiarato la pubblica accusa. Sul piano formale, dunque, la chiusura è motivata dalla violazione della legge sugli “agenti stranieri”, ma ideologicamente dava fastidio perché ricordava quel che non deve essere ricordato.

    Memorial è nata nel 1988, dopo una manifestazione di dissidenti nel parco Druzhba, presso Mosca, in cui si chiedeva di erigere un monumento alle vittime del terrore staliniano. Il fisico Andrej Sacharov fu uno dei fondatori dell’associazione, che prese il via proprio nel primo anno di glasnost, dunque di relativa libertà di espressione. Sergej Kovalijov, uno degli organizzatori della manifestazione divenne anche uno dei primi presidenti dell’associazione. Nei primi anni dopo il collasso dell’Urss, Memorial prese piede in tutta l’ex Unione Sovietica e soprattutto in Russia. Il suo scopo era quello di far riemergere un passato che fino a quel momento era stato cancellato dal regime comunista, ricordare e riabilitare le vittime del terrore sovietico, molte delle quali sono tuttora senza nome e senza sepoltura. Quando la Russia pareva aver dato un taglio definitivo al passato sovietico, Kovalijov diede anche un aiuto nella scrittura della nuova Costituzione, scrivendo l’articolo 2 che garantisce la libertà dell’uomo e fu anche autore della nuova legge sulla riabilitazione delle vittime della repressione politica.

    “Tutti provano compassione per le vittime del terrore – scriveva lo storico Arsenij Roginskij, direttore di Memorial dal 1998 al 2017, anno della sua morte – Alcuni sindaci e governatori provano compassione per le vittime. Il presidente Putin prova compassione per le vittime innocenti. La gente comune prova compassione per le vittime innocenti. E’ come quando tutti accendono una candela in chiesa. Ma da chi fu scatenato il terrore? Chi lo ha commesso? Se non lo comprendiamo, nulla potrà andare oltre un normale fiocco del lutto per esprimere solidarietà”. Memorial è sempre stata un’associazione scomoda, perché fa emergere i nomi dei carnefici, non solo quelli delle vittime. Uno dei suoi fondatori, Nikita Petrov, è biografo dei direttori dell’Nkvd, antenato del Kgb che commise le peggiori atrocità negli anni delle grandi purghe di Stalin. Non è mai riuscito ad accedere agli archivi dell’Fsb, attuale servizio segreto russo, dove sono custoditi i documenti con gli ordini degli arresti di massa. “Senza questi documenti, non possiamo scrivere una storia completa sulla repressione e sulla violazione massiccia dei diritti umani. Ci sono fatti e documenti isolati, ma non abbiamo il quadro completo”, dichiarava Petrov in un’intervista del 2016.

    Memorial conduceva anche ricerche sul campo, come il ritrovamento di gulag e fosse comuni. Già si capiva quanta pressione vi fosse sull’associazione nel momento in cui era stato arrestato, processato, condannato, assolto e poi condannato di nuovo Jurij Dmitrijev, operaio che si era aggregato all’associazione Memorial della Carelia Sovietica, appena fondata da un investigatore di polizia, Ivan Chukhin. Dmitrijev aveva trovato quasi per caso una delle fosse comuni di Sandarmokh. Vi erano sepolti 6241 corpi, tutti con un colpo alla nuca. Erano anche stati riscoperti i loro effetti personali, abiti e altre tracce di quella che era stata una delle più atroci esecuzioni di massa del 1937, nel pieno delle grandi purghe di Stalin. Dmitrijev è tuttora in carcere, dal 2016, con l’accusa infamante di possesso di materiale pedo-pornografico. Il processo si è svolto a porte chiuse, il suo avvocato ritiene che l’accusa sia totalmente priva di fondamento.

    Altri ricercatori di Memorial hanno fatto una fine ancora più tragica. Soprattutto perché investigavano non solo sui crimini del passato, ma anche su quelli del presente, soprattutto nella guerra in Cecenia. Un esempio su tutti: Natalia Estemirova, rapita a Grozny e ritrovata uccisa nella vicina repubblica di Inguscezia, nel 2009, mentre investigava sui crimini di Ramzan Kadyrov, il leader filo-russo (ex indipendentista) che tuttora governa la Cecenia con pugno di ferro.

    Memorial annuncia che farà ricorso e che continuerà a lavorare. Ma comunque si concluda questa vicenda, il segnale è stato lanciato: non si deve parlare del passato comunista. Su questo aspetto, la Russia dimostra di non voler voltare pagina, soprattutto in un periodo in cui il revanscismo è forte e Stalin viene visto ancora, dall’opinione pubblica, come un grande leader del passato.

    Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30 Dicembre 2021

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    Domenica 6 giugno si terrà il ballottaggio per le elezioni presidenziali in Perù. Gli elettori dovranno scegliere fra Keiko Fujimori e Pedro Castillo, vincitore del primo turno, dichiaratamente marxista. Di fronte al reale pericolo che il Paese possa cadere nel comunismo, Tradición y Acción por un Perú Mayor, consorella delle TFP, ha lanciato un manifesto all’opinione pubblica.

  • Papa Francesco definisce Cuba un simbolo. Di cosa?

     

     

    di John Horvat

    In un servizio streaming di Televisa-Univision, le dichiarazioni fatte dal Papa non possono non aver suscitato costernazione in coloro che soffrono in questa isola-prigione comunista.

    "Amo molto il popolo cubano", ha detto Francesco. "Confesso anche che mantengo una relazione umana con Raúl Castro". Il suo riferimento a Raúl Castro è come dire che, pur amando i detenuti di questa prigione, si dà bene con il direttore responsabile delle loro sofferenze. Ad aumentare la confusione, il Papa ha definito Cuba "un simbolo" e un Paese con "una grande storia".

    I commenti arrivano a poco più di un anno dalle più grandi proteste antigovernative che il Paese avesse visto da decenni per chiedere la liberazione dal comunismo. Le proteste erano state così intense che molti avevano pensato che la fine del regime potesse essere in vista. Tuttavia, il regime comunista represse brutalmente le manifestazioni pacifiche. Molti manifestanti furono sottoposti ad arresti arbitrari, torture e pene detentive draconiane. Il Vaticano e l'Occidente hanno lasciato passare quell'anniversario senza commenti.

    Nel frattempo, la miseria continua. Una recente epidemia di dengue dimostra quanto sia grave la situazione e quanto l'Occidente sia indifferente alle sofferenze di Cuba.

    La malattia di dengue si trasmette in modo virale dalle zanzare e provoca febbre, vomito e persino la morte. La prevenzione e il trattamento della febbre dengue non sono cose complicate nella maggior parte dei Paesi moderni. I programmi di fumigazione e di eradicazione delle zanzare di solito impediscono una diffusione significativa della malattia. Sebbene non esista un trattamento specifico per la febbre dengue, la diagnosi precoce e un adeguato trattamento ospedaliero ne attenuano gli effetti e riducono al minimo i decessi nella maggior parte dei Paesi normali.

    Tuttavia, Cuba non è un Paese normale e tutto sembra cospirare contro un trattamento medico adeguato.

    Per cominciare, la maggior parte delle agenzie governative ha rapporti contrastanti sull'estensione della malattia. Nessuno sa quanti ne siano affetti, poiché il sistema sanitario non dispone di materiale per i test. Le statistiche governative sono notoriamente inaffidabili. I video condivisi sui social media da cubani sofferenti presentano un quadro più accurato della devastazione della malattia e della pressione sul sistema sanitario pubblico. Scene drammatiche al pronto soccorso e negli ospedali mostrano l'impotenza della maggior parte dei malati, poiché i medici non hanno nulla da offrire.

    A contribuire all'epidemia di dengue è l'indisponibilità di farmaci e servizi semplici. Non ci sono reti di protezione alle finestre per tenere lontane le zanzare. Le persone usano acqua conservata in modo improprio nelle loro case, poiché la maggior parte ha un accesso limitato all'acqua corrente. I repellenti e le zanzariere non sono facilmente a portata della popolazione. Mancano anche il larvicida e il diesel necessario per la fumigazione.

    Le cose peggiorano se la persona infetta da dengue arriva in ospedale. I pazienti devono portarsi la propria biancheria da letto. In molti ospedali mancano l'acqua corrente e le forniture di base come guanti, siringhe e altri materiali. Scarseggiano le medicine che altrove sono facilmente disponibili nelle farmacie. La mancanza di gas influisce sui servizi di ambulanza per il trasporto dei pazienti che necessitano di cure urgenti.

    A peggiore ulteriormente la situazione ci sono i blackout elettrici che durano diverse ore al giorno. I funzionari danno la colpa a un "deficit di produzione di energia", il che significa che diversi impianti di generazione non sono funzionanti perché, come per la maggior parte delle altre infrastrutture del Paese, mancano di manutenzione o riparazione. Anche la cronica carenza di cibo e i disordini civili contribuiscono al disastro.

    Si tratta chiaramente di un Paese che vive in uno stato di emergenza e che ha bisogno di aiuto. Tuttavia, vive in questo stato da decenni e i suoi funzionari insistono che non ha bisogno di aiuto. Il povero Paese comunista non fa che peggiorare mentre si avvita verso il basso con la sua ideologia fallita, che non potrà mai produrre prosperità.

    Anzi, ancora peggio è che i teologi della liberazione e gli occidentali di sinistra indicano Cuba come un modello, o addirittura un paradiso, per il mondo. Hanno diffuso il mito che Cuba abbia uno dei migliori sistemi sanitari della terra. Nel frattempo, la sua gente muore per carenze sanitarie.

    In effetti, Cuba è un simbolo. Da un lato, simboleggia la continuazione della tirannia comunista, della miseria e della brutalità. Per l'Occidente, Cuba è un simbolo doloroso della sua propria indifferenza e ipocrisia. Coloro che ancora resistono a Cuba sono un simbolo di coraggio cristiano e di lunga sopportazione che anticipa il giorno in cui saranno liberi di scrivere la "grande storia" che li attende.

     

    Fonte: Tfp.org, 31 luglio 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte

  • Per quanto tempo ancora ignoreremo la minaccia più grande?

     

    di Edwin Benson

    Nel febbraio 1972, il presidente americano Richard Nixon visitò la Cina. Milioni di persone rimasero affascinate mentre la televisione trasmetteva le notizie del suo viaggio in tutte le case. Da allora, la politica estera americana si alterna fra la gioia e l’accecamento per il bagliore di quei sette giorni.

    È ora di togliere i paraocchi. La Cina non è mai stata all'altezza dell'ottimismo ingiustificato dell'Occidente. Il popolo cinese non è mai stato libero. Da quando i comunisti hanno preso il potere, hanno perseguito il loro programma di dominio del mondo.

    Trasformano in basi militari isole che non possiedono. Traggono profitto dal lavoro quasi schiavo. Investono miliardi di dollari in terreni agricoli americani e fanno "regali" sontuosi alle università. I loro vicini, compresi i più importanti alleati asiatici dell'Occidente, li temono.

    Allo stesso tempo, la Cina è una delle principali fonti di molti prodotti vitali. In effetti, il suo dominio nella produzione di semiconduttori potrebbe potenzialmente paralizzare gli Stati Uniti. Se la Cina dovesse invadere Taiwan, come ha minacciato di fare, la situazione potrebbe peggiorare a dismisura. La Cina sta espandendo la sua rete di influenza in tutto il mondo.

    Eppure, gli "esperti" del Dipartimento di Stato continuano a mettere la testa sotto la sabbia. Perché? Mi vengono in mente tre motivi.

    La forza dell'abitudine

    La politica dei governi occidentali ha costantemente favorito la Cina dal 1972. Qualsiasi cambiamento improvviso rappresenterebbe una significativa rottura dell'ordine liberale del dopoguerra.

    Dopo la visita del Presidente Nixon, Jimmy Carter ritirò il riconoscimento diplomatico statunitense a Taiwan e lo assegnò alla Cina. Le Nazioni Unite seguirono l'esempio. George Bush senior ricoprì il ruolo di incaricato d’affari con la Cina nel 1974 e nel 1975. I presidenti successivi hanno favorito tutti una continua espansione del commercio con la Cina, nella vana speranza che il miglioramento delle relazioni con l'Occidente avrebbe reso la Cina più aperta.

    Si pensava che il commercio con la Cina avrebbe promosso la pace nel mondo. Gli uomini d'affari speravano di vedere il vasto mercato da un miliardo di persone aprirsi ai prodotti occidentali.

    Dottrina di sinistra filocomunista

    Quando si aprirono le porte del commercio cinese, l'ideologia comunista cinese entrò anche in Occidente. Durante i giorni di Mao, le sinistre edulcorarono i risultati del comunismo e idealizzato persino la sua Rivoluzione culturale, accettando la dialettica marxista della lotta di classe e la sua applicazione da parte della Cina.

    Per questo motivo, c'è chi ha simpatizzato ideologicamente con la Cina, nonostante la sua orribile situazione dei diritti umani e le decine di milioni di persone uccise sotto il regime.

    L'apertura della Cina all'Occidente ha rappresentato una variante del comunismo che ha mantenuto le sue dottrine egualitarie, pur accettando alcune riforme di mercato. L'Occidente è venuto in soccorso dell’impoverito gigante comunista e gli ha fornito capitali, tecnologia e know-how. La sinistra occidentale sperava che questa nuova formula avrebbe fatto accettare le sue idee.

    Dopo aver atteso per decenni che la Cina adottasse il libero mercato e le libertà fondamentali, molti sono ora delusi e si rendono conto che la dipendenza occidentale dalla Cina ha raggiunto livelli pericolosi.

    Una Cina sempre più aggressiva sta distruggendo i sogni di pace. L'America "woke" sta adottando molte idee tipo della “rivoluzione culturale” cinese cancellando intellettuali e proibendo certi discorsi. Le università "woke" emulano la Cina censurando le opinioni sgradite.

    Avidità aziendale

    I cinesi controllano ora la produzione che un tempo forniva posti di lavoro agli statunitensi. Ciò è spesso dovuto agli stipendi incredibilmente bassi del Paese che favorisce la delocalizzazione della produzione per ridurre i costi.

    Il produttore di scarpe sportive Nike è un caso tipico. Questo gigante delle calzature non possiede fabbriche e appalta circa il trenta per cento della sua produzione alla Cina. Un altro trenta per cento viene fabbricato nel Vietnam, anch’esso a guida comunista.

    Il massiccio trasferimento della produzione in Cina rende praticamente impossibile non utilizzare i prodotti manufatti lì. La Cina è anche il terzo mercato di esportazione per l’America, con una vendita di prodotti per 151 miliardi di dollari nel 2021, rispetto ai meno 4 miliardi del 1985 e ai 16 miliardi del 2000.

    Pertanto, le grandi aziende hanno molto da guadagnare con le attuali politiche. Ad esempio, il canale di notizie economiche e finanziarie CNBC, afferma che "circa l'80% delle vendite globali delle macchine Buick [nel 2018] sono state realizzate in Cina". La mentalità aziendale ritiene che la Cina sia un mercato troppo grande per essere scartato a causa di controversie su questioni non commerciali. Questo comportamento non è limitato alla General Motors (che produce le Buick). Un recente articolo della rivista Forbes ha menzionato che la Disney e la National Basketball Association (NBA) hanno una storia di cedevolezza di fronte alla riprovevole situazione dei diritti umani in Cina.

    Sta suonando l’allarme?

    L'America si sta finalmente svegliando vedendo la piena portata della minaccia cinese? Purtroppo la risposta è no.

    Alcuni americani però si rendono conto del pericolo e prendono provvedimenti: per esempio, rifiutando i prodotti "Made in China" ogni volta che è possibile. Altri sostengono che il Congresso dovrebbe indagare sulla portata del ruolo della Cina nella crisi di Covid. I genitori più saggi si rifiutano di permettere ai propri figli di utilizzare il social network TikTok, legato alla Cina a doppio filo. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'Australia hanno in gran parte impedito al gigante tecnologico cinese Huawei di fare breccia nei loro sistemi di comunicazione.

    Tuttavia, molti membri del governo e del management aziendale statunitensi sembrano troppo avidi, ideologicamente solidali o compiacenti, per interrompere le relazioni con la Cina. La situazione cambierà se la Cina invaderà Taiwan? E se bombardasse il Giappone o l'Australia? Si dovrebbe tracciare da qualche parte una linea sulla sabbia o un punto di non ritorno.

     

    Fonte: Tfp.org, 26 settembre 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte

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    Intervista a Juan Miguel Montes

    Perché il Concilio Vaticano II non condannò il comunismo

     

     

    di Javier Navascués

    Juan Miguel Montes, direttore dell'Ufficio Tradizione Famiglia Proprietà di Roma, spiega perché il comunismo non fu denunciato al Concilio Vaticano II e quali furono le conseguenze di questo silenzio.

    Per molti anni il patto segreto tra Vaticano e URSS per non condannare il comunismo al Concilio Vaticano II è stato considerato una leggenda. Come è stata possibile una cosa così incomprensibile?

    Il patto era legato all'impegno di non condannare il comunismo in cambio del permesso a rappresentanti qualificati del Patriarcato di Mosca di partecipare al Concilio. Non sfuggiva a nessuno che all'epoca la Chiesa ortodossa russa era profondamente legata al regime sovietico. Oggi può sembrare incomprensibile, ma nelle grandi manovre geopolitiche di quel difficile periodo della guerra fredda, questo patto aveva molto senso per l'URSS, che era in piena espansione territoriale e culturale. Due blocchi si contendevano l'egemonia mondiale e la Chiesa cattolica aveva un'influenza decisiva sull'opinione pubblica occidentale, molto più grande di quella che ha oggi. Il suo silenzio sul comunismo avrebbe significato una sorta di passaporto per quest'ultimo in modo da poter continuare la forte penetrazione che esso già stava operando attraverso la guerriglia e le guerre nel terzo mondo e, soprattutto nel primo mondo, nel campo della cultura e dell'educazione in generale.

    Come nacque questo misterioso patto e su iniziativa di chi venne sviluppato?

    Non saprei dire chi disse la prima parola, ma entrambe le parti avevano interesse a farlo. Ho già parlato dell'interesse sovietico. Da parte di ampi settori della Chiesa c'era una mentalità secondo cui la strategia del dialogo avrebbe trovato comprensione nel "buon cuore" degli avversari, e che alla fine essi avrebbero ricambiato tale benevolenza allentando le misure repressive contro i credenti nei paesi dominati dal comunismo ateo. Erano gli anni della famosa "Ostpolitik vaticana", la cui figura di maggiore spicco divenne il futuro cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli, e che, secondo un altro cardinale, lo slovacco Ján Chryzostom Korec, portò a risultati disastrosi per la Chiesa. Il cardinale Korec arrivò a sostenere che la Chiesa clandestina, che stava fiorendo nella tribolazione, fu "svenduta" dalla Ospolitik vaticana in cambio di "vaghe e incerte promesse da parte dei comunisti", il tutto, poi, a causa del silenzio sul comunismo da parte del Concilio. Un silenzio che Plinio Corrêa de Oliveira, nella sua nota dichiarazione di resistenza alla Ostpolitik vaticana, definì "enigmatico, sconcertante, sorprendente e apocalitticamente tragico", e che, per le sue conseguenze pratiche, avrebbe fatto passare il Concilio alla storia come “a-pastorale” per eccellenza.

    Quali sono state le conseguenze "a-pastorali" di questo silenzio conciliare nella Chiesa?

    Forse la più grave è stata la diffusione della Teologia della Liberazione nelle sue varie componenti: "teologia della lotta di classe", "teologia del popolo", "teologia indigenista", ecc. In paesi fino ad allora massicciamente cattolici, questa predicazione malsana ebbe due effetti: secolarizzò una parte dei fedeli, scambiando il messaggio evangelico di salvezza con un ideale di lotta puramente politica e sociale. D'altra parte - e qui stiamo parlando di milioni e milioni di persone - ha incoraggiato l'emigrazione verso comunità e sette protestanti e neoprotestanti che hanno rapidamente sostituito la Chiesa cattolica romana attraverso l’offerta di soddisfare gli aneliti spirituali di queste moltitudini. Quest'ultimo fatto è stato categoricamente denunciato in Brasile da Papa Benedetto XVI. E pensare che nonostante questa devastazione, c'è chi nella Chiesa di oggi continua a glorificare la teologia della liberazione.

    L'URSS ottenne molto, in piena guerra fredda, mentre il Vaticano ottenne molto poco, a parte la presenza degli ortodossi. Non era un patto eccessivamente squilibrato?

    Certamente, lo era. Oltre alla "strategia del dialogo", al Vaticano interessava anche un aspetto strettamente religioso: promuovere con le comunità cristiane quello che il cardinale Walter Kasper ha chiamato l'ecumenismo dei cammini paralleli di un'unica "Chiesa di Cristo" che marcia, ognuno per la sua strada, verso la seconda venuta di Nostro Signore Gesù Cristo. Questo ecumenismo dei cammini paralleli doveva sostituire l'"ecumenismo della convergenza" praticato fino ad allora, in cui i cristiani a-cattolici, come si diceva una volta, venivano caritatevolmente invitati a convergere nella Chiesa Cattolica per formare, come dice San Giovanni, "un solo gregge con un solo pastore".

    Ma anche su questo fronte, vediamo un clamoroso fallimento delle illusioni post-conciliari. Mentre le vecchie denominazioni protestanti si stanno muovendo verso la completa autodissoluzione e insignificanza e la grande maggioranza degli ortodossi orientali sono riluttanti a dialogare con Roma, il vasto nuovo mondo dei neo-evangelici e dei pentecostali rimane come unica materia prima per continuare il dialogo ecumenico. Ma questa volta sono gli esponenti cattolici dell'ecumenismo post-conciliare a rifiutarsi di parlare con loro, a causa della loro frequente opposizione a piegarsi ai "segni dei tempi" che vedono nei cambiamenti della società secolarizzata dell'Occidente.

    Nella sua opera di riferimento sul Concilio, il professor De Mattei sottolinea che Giovanni XXIII si lasciò manipolare dalla strategia sovietica, che usava il "pacifismo" come argomento principale. L'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII è stata anche controversa perché sembra essere molto simpatica al comunismo e all'URSS. Cosa ne pensa?

    Credo che il professor de Mattei abbia ragione. Papa Giovanni XXIII aveva una spiccata capacità di emozionarsi e fu impressionato dai comunisti "di buon cuore", specialmente da Nikita Khrushchev, che gli inviò un telegramma molto gentile, e furbo, di congratulazioni per il suo ottantesimo anniversario. A questo gesto ne seguirono molti altri, come, ad esempio, la già citata delegazione di ortodossi russi autorizzata dal Partito a venire al Concilio.

    Forse la cosa più triste è che questo atteggiamento stupefacente ha quasi completamente minimizzato gli avvertimenti della Beata Vergine a Fatima che la Russia avrebbe diffuso i suoi errori in tutto il mondo. Non crede?

    Certo che sì. Suor Lucia di Fatima insisteva che il terzo segreto fosse diffuso nel 1960. Ma come si poteva fare in quel contesto? Lì si parlava di una tremenda persecuzione della Chiesa e questo era legato a ciò che già si sapeva degli "errori della Russia" che si sarebbero diffusi nel mondo. Ora, nel 1960, nonostante l'intensità della guerra fredda guidata dai sovietici, tre figure di spicco irradiavano grande ottimismo, Papa Giovanni, il presidente americano Kennedy e il paffuto e sorridente Krusciov, che, nonostante il suo cordiale telegramma al Papa, aveva brutalmente perseguitato i cattolici in Ucraina durante il suo precedente mandato in quella nazione. Il Messaggio della Madonna a Fatima suonava francamente "stonato" rispetto allo spirito ottimista che la propaganda dei media e i grandi personaggi pubblici dell'epoca volevano rappresentare.

    Come hanno potuto essere ignorate le voci di così tanti vescovi di tutto il mondo, specialmente quelli dei paesi che soffrivano le atrocità del comunismo?

    Un giorno, tutti noi, davanti al Giudice Divino, sapremo perché cardinali come Mindszenty, Korec, Swiatek, interi episcopati come quello rumeno, ucraino e altri poterono essere abbandonati al loro destino in quegli anni. È vero che negli ultimi decenni, molti esponenti di questo martirio in odium fidei sono stati riconosciuti e sono saliti alla gloria degli altari. Ma molti ancora mancano in quella lista, mentre oggi sembrano favoriti alcuni dubbi martiri della "Teologia della liberazione", che sono sì morti atrocemente, ma che erano impegnati in cause politiche non strettamente legate alla Fede.

    Fonte: Infocatolica, 9 Novembre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà - Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Perché l’autore del Progetto 1619* loda la miserabile uguaglianza di Cuba?

     

     

    di Edwin Benson

     

    Se c'è una questione capace di unire la sinistra, ciò è il sostegno al regime comunista di Cuba. La sinistra è in grado di vedere la miseria più spaventosa dell'isola e trasformarla magicamente in un paradiso per i lavoratori.

    La magica trasformazione continua anche quando scoppiano disordini a Cuba. La sinistra ovunque raddoppia il suo sostegno mentre il regime reprime i manifestanti. Cuba è la vacca sacra della sinistra che va protetta a tutti i costi.

    Un difensore di Cuba è l'attuale alta sacerdotessa della sinistra, Nikole Hannah-Jones, la "giornalista" che ha messo insieme il famigerato 1619 Project del New York Times, con il quale collabora come scrittrice e per il quale ha vinto un Premio Pulitzer.

    Nel periodo in cui ha debuttato il 1619 Project, la signora Hannah-Jones ha rilasciato un'intervista al suo collega di sinistra Ezra Klein, che ospita un podcast chiamato Conversations. Secondo The National Pulse, che ha portato alla luce la registrazione avvenuta due anni fa, l'argomento è stata la politica di ‘desegregazione’ scolastica (ndt, per eliminare qualsiasi segregazione razziale).

     

    Lodi a Cuba

    Il signor Klein le ha chiesto di nominare i paesi meno segregazionisti. Prima ha riso a disagio negando qualsiasi conoscenza speciale delle relazioni razziali sulla scena internazionale, ma di seguito ha fatto una dichiarazione degna di nota.

    “Cuba ha la più bassa disuguaglianza tra bianchi e neri nell'emisfero. Intendo nei Caraibi; la maggior parte dei Caraibi. È difficile da contare perché la popolazione bianca in molti di quei paesi è molto, molto piccola, ci sono paesi governati da neri. Ma in luoghi che sono veramente paesi, diciamo, almeno bi-razziali, Cuba ha effettivamente la minor disuguaglianza, e questo è in gran parte dovuto al socialismo, cosa che sono sicuro nessuno vorrà sentire”.

    Mentre l'ultima battuta era in malafede, giacché i sinistrorsi sono sempre felici di sentire elogi a Cuba, il resto era del tutto accurato. La maggior parte dei cubani è economicamente uguale, indipendentemente dal tono della pelle.

     

    “Uguaglianza” sociale ed economica

    L'uguaglianza razziale è generalizzata in molte famiglie cubane. Per cinque secoli, i figli meticci sono stati un fatto comune nella maggior parte dei Caraibi. Queste miscele sono diventate così normali che non è raro vedere un'ampia varietà di tonalità di pelle nelle fotografie delle famiglie cubane. I cubani hanno vissuto a lungo in armonia razziale, in gran parte grazie alle antiche verità predicate dalla Santa Chiesa Cattolica che unificano l'umanità. Il suo messaggio di amore e di sollecitudine per tutti, ispirato dalla carità cristiana, è l'unico che porta pace. Le premesse marxiste del Partito Comunista Cubano possono portare solo odio e divisione.

    Allo stesso tempo, la rivoluzione comunista di Fidel Castro ha imposto un regime di brutale uguaglianza economica. Fatta eccezione per la piccola cricca al governo, tutti a Cuba sono ugualmente poveri. Cibo, alloggio, vestiti, medicine e la maggior parte degli altri beni scarseggiano per la gran parte della popolazione. Anche i prodotti tipici dell’isola, zucchero e tabacco, sono difficili da acquistare per il cubano medio. Essi vengono invece venduti sul mercato internazionale o a turisti facoltosi che possono pagare con valute forti di cui Cuba ha un disperato bisogno.

    In effetti, nessuna economia socialista ha mai prosperato, e questo dovrebbe essere evidente alla signora Hannah-Jones. Tuttavia, nonostante il clamore dei media per la sua dichiarazione a sostegno di Cuba, la celebre antirazzista deve ancora ritrattare il suo sostegno passato perché, nonostante la brutale violenza contro i manifestanti neri nell’isola, ancora non chiede un'azione per proteggerli.

    Il deterioramento dell'economia cubana è clamoroso, talché anche un riluttante osservatore come la signora Hannah-Jones non dovrebbe confondere il vero stato delle cose. Molte fotografie mostrano edifici fatiscenti che rivelano una grandezza ormai sbiadita. Questi sono i resti di una terra un tempo prospera ora precipitata in tempi durissimi.

     

    L'Hotel Astor

    Prendiamo in considerazione l'Hotel Astor dell'Avana. Una cartolina d'epoca mostra un edificio di nove piani che domina il suo quartiere con una facciata decorata da finestre ad arco, evocando gli alberghi di prima classe di molte città americane degli anni Venti.

    Dopo la Rivoluzione castrista, il governo lo confiscò "in nome del popolo" come ogni altro edificio di proprietà privata. Le sue oltre duecento camere di lusso furono convertite in appartamenti e assegnate a residenti all'Avana. L'Astor oggi non ha nulla di lussuoso. Una residente, Yanelis Flores, vive ora all'ottavo piano. Nel 2018, ha descritto le condizioni dell'edificio a USA Today. “È peggio di un porcile. Sta marcendo."

    La signorina Flores non esagera. Nel 2017, una delle scale del terzo piano è crollata. "Ci fu una tremenda esplosione, bum!" ha ricordato Yuslemy Díaz, residente al secondo piano. “Le persone al terzo e al quarto piano erano bloccate perché non potevano scendere. Un manicomio». Tuttavia, il signor Díaz viveva ancora lì un anno dopo perché non riusciva a trovare un posto migliore in cui vivere. Da parte sua, ha dichiarato: “Nel momento in cui inizia a piovere e un piccolo sassolino ti cade vicino, pensi che l'edificio possa venire giù. Vivi nella paura. Un edificio non ti dice: "Cadrò domani alle 15". Cade, bum!, a qualsiasi ora, giorno o notte. Non ti avverte".

    Un fattore del crollo della scala è stato il furto dalle pareti sottostanti delle sue preziose piastrelle di marmo, simbolo dell'antica opulenza dell'edificio.

     

    Una testimonianza personale

    Chi scrive non ha problemi a credere alla storia del signor Díaz. Quando i genitori di mia moglie arrivarono da Cuba nel 1961, dovettero lasciare dietro la nonna paterna. Infine, cuando "Abuela Caridad" arrivò a Miami solo nel 1992, l'anziana signora aveva delle piaghe alla gamba sinistra. Alcuni mesi prima era stata investita da un ciclista. Il decantato sistema medico di Cuba si rifiutò di curarla perché lei non poteva più contribuire utilmente alla società. Se poteva prendersi cura da sola della ferita, bene. Se soccombeva, ci sarebbe stata una bocca in meno da sfamare.

    Dopo essere venuta a Miami, l’applicazione di una crema antibiotica presa al banco della farmacia ha guarito le ferite in un paio di settimane, anche se le sono rimaste delle cicatrici antiestetiche. Sì, a Cuba c'è l’uguaglianza economica. La miseria è distribuita gratuitamente. È tempo di liberare la nazione insulare dal comunismo una volta per tutte. Dovrebbe essere ovvio, anche per la signora Hannah-Jones.

     

    *”Il 1619 Project è un'iniziativa in corso del New York Times Magazine inaugurata nell'agosto 2019, nel 400° anniversario dell'inizio della schiavitù americana, che mira a riformulare la storia del Paese ponendo le conseguenze della schiavitù e i contributi dei neri americani al centro della nostra narrativa nazionale” (Cfr. https://www.nytimes.com/interactive/2019/08/14/magazine/sugar-slave-trade-slavery.html).

     

    Fonte: The American Society for the Defense of Tradition, Family and Propertyy, Luglio 2017.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Perù: marea rossa?

     

     

    di Julio Loredo

     

    Alcuni mezzi di comunicazione stanno già presentando la vittoria del candidato di estrema sinistra, Pedro Castillo, nelle recenti elezioni presidenziali in Perù, come l’ennesima prova dello scivolamento inesorabile del continente latinoamericano verso il socialismo. Mentre questa tendenza è purtroppo reale (su di essa abbiamo di recente scritto un articolo), e nonostante ci sia molto di che preoccuparsi, l’exploit elettorale di Castillo va presso con le molle.

  • Ricordare Mikhail Gorbaciov così com'era, non come lo immaginava l'Occidente ottimista

     

     

    di John Horvat

    Mikhail Gorbaciov è morto nel buio a Mosca all'età di 91 anni. Alla fine della Guerra Fredda, era una stella luminosa sulla scena mondiale. Incantò l'Occidente con le sue proposte astute, mentre gli accademici, gli opinionisti e l'uomo della strada erano affascinati dalla sua immagine, dalla sua retorica e dalle sue azioni. I suoi due programmi più significativi, la glasnost e la perestrojka, irruppero nel discorso politico prospettando speranza per il futuro.

    Molti ricordano ora i suoi successi che portarono alla fine dell'Unione Sovietica. Tuttavia, la maggior parte dei commentatori ripete una falsa narrazione che esalta la persona e i suoi programmi, ignorando la realtà dei suoi obiettivi di riforma del socialismo.

    La storia reale è molto diversa. L'ultimo leader sovietico fu un fallimento, non un successo. E il suo contributo alla pace mondiale si è rivelato effimero.

    Un comunista che ha fatto il furbo?

    La falsa narrazione su Gorbaciov consiste nel presentarlo come un alto funzionario comunista divenuto sleale nei confronti del Partito. Tuttavia, nulla nella sua vita indica un'opposizione al Partito Comunista. Il giovane Gorbaciov crebbe nell'era stalinista con genitori che sostenevano il regime. La sua educazione e la sua istruzione furono quelle di un tipico membro spregiudicato del Partito, sopravvissuto alle purghe interne dei dittatori sovietici fino a quando non assunse il potere come Segretario generale nel 1985.

    Il leader comunista, con un sorriso ingannevole, si affrettò a proporre un nuovo programma per la nazione. Come tutti i Paesi comunisti, l'economia era in crisi. Il commercio e la tecnologia occidentali fornivano un sostegno vitale al regime, mentre il peso delle spese militari trascinava la nazione verso l’abisso.

    L'URSS aveva bisogno di un ulteriore sostegno occidentale per sopravvivere. Fu così concepita la glasnost, o “trasparenza”, per aprire la nazione fino ad allora chiusa all'Occidente e consentire una maggiore libertà di espressione all'interno del Paese. La perestrojka, che significa ristrutturazione, fu annunciata come un modo per apportare all'economia socialista cambiamenti radicali guidati dal mercato. Tuttavia, come nota l'Enciclopedia Britannica, "egli si oppose a qualsiasi passaggio decisivo alla proprietà privata e all'uso di meccanismi di libero mercato".

    La falsa narrazione dipinge la riforma di Gorbaciov come troppo piccola e troppo tardiva. L'impulso all'apertura dei mercati si rivelò troppo grande per mantenere i programmi in linea. L'Unione Sovietica implose e tutto crollò, compresa la fortuna di Gorbaciov, che arriverà persino a campare girando video pubblicitari per Pizza Hut in Russia.

    Insomma, viene ricordato come un leader dalle buone intenzioni andate male.

    Invece, la vera narrazione è diversa

    La vera narrazione è invece diversa. Gorbaciov dovrebbe essere ricordato non per il suo ruolo nella caduta del comunismo, ma per il suo provvidenziale fallimento nel mantenere il comunismo al potere.

    All'apice del suo prestigio, nel 1987, Mikhail Gorbaciov pubblicò, in tutte le principali lingue, il suo bestseller Perestroika, Un nuovo pensiero per il nostro Paese e per il Mondo. Nel suo libro, egli ribadisce che la perestrojka non mirava a sconfiggere il socialismo, ma a perfezionarlo, a renderlo più socialista. Sperava di trasformare il comunismo di tipo sovietico, con una pianificazione centralizzata, in un sistema decentrato marxista più avanzato, chiamato socialismo autogestito. Il risultato sarebbe stato più socialismo, non meno. In effetti, più insisteva sui suoi obiettivi socialisti, più l'Occidente ottimista sosteneva che le riforme erano guidate dal mercato e che aprivano le porte alla pubblicità e gli aiuti occidentali.

    Il sig. Gorbaciov dovrebbe essere ricordato negativamente come un leader fallito che non è riuscito a far prevalere la sua rivoluzione socialista. La mancata attuazione della perestrojka è dovuta al suo secondo grande fallimento politico, altrettanto disastroso.

    L'opposizione alla libertà della Lituania

    All'ultimo leader sovietico viene attribuita la dissoluzione dell'Unione Sovietica, per progetto o per sbaglio. In realtà, il suo piano di ristrutturazione non mirava alla fine del regime, ma solo a un suo riassetto estetico che ne permettesse la continuazione di fronte alla catastrofe economica in cui versava.

    Mentre Gorbaciov predicava libertà e democrazia per tutti coloro che erano sotto il giogo comunista, la realtà si rivelò ben diversa. Quando la Lituania cercò di riconquistare la sua indipendenza, Gorbaciov mostrò la sua vera natura opponendosi con minacce e poi con brutale forza.

    In effetti, il dominus sovietico non riconosceva le aspirazioni del popolo lituano. Tuttavia, molti in Occidente si accorsero della manovra. Nel 1990, le Società per la Difesa della Tradizione, della Famiglia e della Proprietà (TFP) organizzarono una petizione mondiale per chiedere la libertà e l'indipendenza della Lituania. L'imponente sforzo ottenne 5,2 milioni di firme, che nell'edizione del 1993 del Guinness dei primati furono riconosciute come la più grande petizione di questo tipo nella storia (pp. 477-78).

    Il sostegno di tante persone in Occidente contribuì a incoraggiare i lituani a resistere e a battersi per la propria indipendenza, fino ad affrontare i carri armati nelle strade. Le misure sovietiche per tenere la Lituania sotto il suo giogo smascherarono il regime e alla fine lo portarono alla sua caduta. La gente vide la contraddizione di un leader che massacrava pacifici manifestanti lituani con i suoi carri armati mentre accettava il Premio Nobel per la Pace del 1990.

    Una terza via che si inasprisce

    Se la figura di Gorbaciov deve essere ricordata, che sia riconosciuta come quella di chi ha cercato di rendere l'Unione Sovietica più socialista, non meno. Egli era molto più popolare in Occidente che in Russia. Dopo la sua caduta, venne sommerso di doni e prestigio dall'establishment liberal.

    Soprattutto, l'Occidente dovrebbe celebrare il suo fallimento nell'attuazione dei programmi che avrebbero dovuto dare al mondo un modello di "terza via" per abbracciare il socialismo autogestito. Gli ideologi della sinistra vedevano nella perestrojka la realizzazione di un nuovo tipo di socialismo. Quando essa fallì, la sinistra si demoralizzò.

    Il mondo sta ancora pagando il prezzo del caos che ne è derivato. Ciò di cui l'Occidente e la Russia avevano bisogno, allora come oggi, è una rigenerazione morale. Mikhail Gorbaciov dovrebbe essere ricordato come l'uomo negativo che era, non come l'Occidente ottimista e impenitente vuole immaginare che fosse.

    Attribuzione immagine: @European Parliament/Pietro Naj-Oleari, CC BY-NC-ND 2.0.

     

    Fonte: Return to Order, Agosto 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

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    © 2022 EWTN News, Inc. Reprinted with permission from the National Catholic Register

    Una Chiesa risorta dalle ceneri in Ucraina

     

     

    di Don Benedict Kiely*

    Qualche settimana fa, mentre attraversavo a piedi il confine dall'Ucraina alla Polonia, ha iniziato a piovere a dirotto. Pur non essendo rifugiati, io e il mio compagno di viaggio, un giornalista di un quotidiano nazionale britannico, eravamo piuttosto malridotti e bisognosi di un riparo. Subito dopo il loro ingresso in Polonia, molte ONG e altri enti caritatevoli avevano inviato tende con cibo, bevande calde e assistenza medica per aiutare le migliaia di donne e bambini ucraini che stavano arrivando.

    Sentendo parlare inglese in una delle tende, siamo stati accolti gentilmente e ci è stato offerto caffè e pizza. Dopo qualche minuto di conversazione, uno dei giovani volontari mi ha chiesto se fossi un sacerdote cattolico. Dopo aver risposto di sì, mi ha chiesto se avevo sentito parlare della sua scuola cattolica in Inghilterra, che in effetti è una delle più famose. Chiedendogli l'età, gli ho chiesto se conosceva la mia figlioccia, che era stata anche lei allieva. Come disse san Giovanni Paolo II, nella provvidenza di Dio "non esistono coincidenze": lui la conosceva bene.

    Il nostro viaggio era iniziato quattro giorni prima. Sempre sotto la pioggerellina, il Giovedì Santo ortodosso e cattolico orientale, abbiamo attraversato la frontiera assieme ad un piccolo numero di donne e bambini ucraini che tornavano per la Pasqua. Nella fila al controllo di frontiera, una madre ci ha detto che stava tornando per vedere il marito, che stava combattendo, e per celebrare con lui i giorni di festa, ma che poi sarebbe tornata in Polonia perché era troppo pericoloso rimanere in Ucraina.

    Eravamo diretti a Leopoli, nell'Ucraina occidentale, relativamente sicura, anche se colpita più volte da missili russi, persino pochi giorni prima del nostro arrivo, con sette morti. Il mio collega stava scrivendo un articolo per il suo giornale sulla "Pasqua in Ucraina", tuttavia il mio interesse era rivolto non solo alle celebrazioni liturgiche, ma anche a mostrare solidarietà e sostegno alla Chiesa greco-cattolica ucraina.

    Ero già stato a Leopoli nel 2017, in un periodo di relativa pace, ed ero rimasto affascinato dalla città. Nel centro storico predominano gli incantevoli edifici di epoca asburgica, fortunatamente sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale. Governata di volta in volta da polacchi, lituani, russi e, naturalmente, dall'impero austro-ungarico, Leopoli aveva subito non solo l'occupazione nazista ma, come tutta l'Ucraina, decenni di repressione sotto il comunismo ateo dei sovietici.

    La brutale repressione da parte dei comunisti della Chiesa cattolica ucraina, una Chiesa di rito orientale in comunione con Roma dal XVI secolo, non è abbastanza conosciuta dalla maggior parte dei cattolici occidentali, e certamente non lo è dai media. Purtroppo, il mio amico mi ha detto che non poteva scrivere molto su di essa perché i suoi redattori sapevano poco della sua storia e pensavano che il pubblico dei lettori non sarebbe stato particolarmente interessato a saperne di più.

    Essendo la più grande delle Chiese Cattoliche di rito orientale, la storia di questa chiesa è una componente molto importante per comprendere l'attuale guerra di aggressione da parte della Russia e ciò che potrebbe accadere ai nostri fratelli cattolici orientali.

    Costretta da Stalin nel 1946 all'unione con la Chiesa ortodossa russa, la Chiesa greco-cattolica ucraina può davvero essere definita una Chiesa di martiri, sia nel senso che molti vescovi, sacerdoti, religiosi e laici sono stati effettivamente uccisi per la loro fedeltà, ma anche solo nel senso della loro incredibile testimonianza nel corso di oltre quattro decenni di intense persecuzioni.

    Uno dei sacerdoti dell'Università Cattolica Ucraina di Leopoli mi ha descritto la Chiesa sotto il comunismo come una "Chiesa catacombale". I seminari erano sotterranei, le Messe venivano celebrate nei boschi e nelle foreste e non era permesso aprire una sola chiesa. Nel 1989, con la caduta dell'"impero del male", come Ronald Reagan accuratamente descrisse il regime sovietico, la Chiesa emerse dalle ceneri, come Cristo risorto che esce dalla tomba.

    Fu una resurrezione straordinaria, aiutata in modo considerevole dalla diaspora cattolica ucraina, in particolare dal Canada e dagli Stati Uniti. L'università stessa è una testimonianza di questo straordinario rinnovamento, essendo stata costruita ex novo dal 1989.

    Le bellissime liturgie erano piene di gente. Il Venerdì Santo, la fila per venerare la Santa Icona del Cristo morto, simile alla venerazione occidentale della Croce, usciva dalla chiesa e arrivava in strada. Sacerdoti e laici mi hanno detto che si discuteva su cosa fare se la Chiesa fosse dovuta tornare nelle catacombe. Già nell'est dell'Ucraina, nella regione del Donbas e in altre aree conquistate dai russi nel 2014, la Chiesa cattolica ucraina stava sperimentando una nuova forma di repressione e soppressione, un fatto a malapena riportato dai media occidentali.

    Molti temono che, con un ingenuo ottimismo o con una deliberata ignoranza, le autorità di Roma si siano concentrate troppo a lungo sull'ecumenismo con gli ortodossi russi a scapito di un sostegno forte e visibile alla Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina. C’è fra loro un vero e proprio shock per il fatto che il Papa non abbia ancora nominato la Russia come aggressore e anche la speranza che presto nomini cardinale il leader della loro Chiesa, l'arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, cosa che è avvenuta con i quattro predecessori.

    Come qualcuno che ha dedicato il suo intero ministero sacerdotale all'aiuto e alla difesa dei cristiani perseguitati, è stato particolarmente scioccante vedere le somiglianze tra ciò che sta accadendo in Ucraina e ciò che ho visto in Iraq e in Siria durante le mie molteplici visite dal 2015. Ancora una volta, una grande maggioranza della popolazione è diventata "IDP" (Internally Displaced Persons, cioè sfollati, ndt). Non si può essere rifugiati nel proprio Paese! La tragedia e lo scandalo di questa guerra è che a causarla non sono gli estremisti islamici, ma i fratelli cristiani.

    Tuttavia, mentre la Chiesa cattolica ucraina è emersa dalle ceneri del comunismo, la Messa della domenica di Pasqua a Lviv, nonostante le sirene dei raid aerei che hanno punteggiato la nostra visita, mi ha dimostrato con il suo canto gioioso e la navata piena, che il male non avrà l'ultima parola. Visitando la scuola di iconografia dell'Università di Leopoli, ho comprato una bellissima icona della Resurrezione. Mi ha colpito, in qualche modo, in quanto vero simbolo della vita della Chiesa cattolica ucraina. Cristo tende le mani ad Adamo ed Eva, pronto a tirarli fuori dalle tenebre dell'inferno verso la luce della sua gloria. Dobbiamo pregare che questo sia vero per tutto il popolo ucraino.

    *Padre Benedict Kiely è un sacerdote dell'Ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham. Nel 2014 ha fondato Nasarean.org, un'associazione benefica con sede a Stowe, nel Vermont, che cerca di servire i cristiani perseguitati in tutto il mondo.

     

    Attribuzione foto: By Jerzy Strzelecki - Own work, CC BY-SA 3.0, Wikimedia.

     

    Fonte: National Catholic Register, 9 maggio 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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