Economia green

  • “Fit For 55”. L’ultima sciocchezza ambientalista 

     

     

    di Julio Loredo

    Agli inizi di novembre, l’attenzione del mondo si è concentrata sulla riunione di capi di Stato e di personaggi rilevanti a Glasgow, Scozia, nota come COP26. Lasciamo stare la tremenda ipocrisia di questi boss che, a pretesto di discutere sul clima planetario, utilizzano una flotta di più di 400 jet privati, che hanno generato oltre 15.000 tonnellate di emissioni di CO2, l’equivalente della quantità prodotta da più di 1.600 passeggeri inglesi in un anno. Andiamo invece al nocciolo della questione: di cosa stanno discutendo?

    Per affrontare il fenomeno del “riscaldamento globale”, cioè il graduale aumento delle temperature del pianeta in questi ultimi anni, e ritenendo che i principali colpevoli siano i cosiddetti “gas serra”, a cominciare dalla CO2, i leader propongono di attuare una serie di misure che favoriscano la transizione a una economia “green”, abbassando notevolmente le emissioni di questi gas. Si vuole fissare un tetto al riscaldamento globale: non più di +1,5°C fino al 2050.

    Parlando di casa nostra, le istituzioni europee (Parlamento, Commissione, Consiglio) hanno già messo mano all’opera, sfornando una lunga serie di misure all’interno di un European Climate Action che intende rendere il continente climaticamente “neutro” entro il 2050.

    Fit for 55: una “Rivoluzione francese”

    Il 14 luglio 2021, la Commissione Europea ha emesso una serie di nuove proposte ambientaliste note come “Fit for 55” o “Green Package”. La data non è casuale: il 14 luglio è l’inizio della Rivoluzione francese. In effetti, i promotori chiamano questa nuova agenda la “Rivoluzione francese dell’ambientalismo”. Il regolamento intende accelerare l’attuazione del cosiddetto Green Deal, approvato nel dicembre 2019. In particolare, intende ridurre del 55% (ecco il perché del nome) le emissioni dei cosiddetti gas serra, al fine di realizzare una situazione di “climate neutrality” entro il 2050. “Climate neutrality” è un neologismo coniato per descrivere una situazione in cui l’Europa, e poi il mondo, avrebbero un impatto zero sull’ambiente e sul clima. In altre parole, zero inquinamento.

    Gli esperti rimarcano che una riduzione del 55% dei gas serra entro il 2030 è un obiettivo molto ambizioso che richiederà misure ambientaliste molto stringenti che peseranno ancor di più sulla già sovraccaricata economia europea. Per dare un’idea: dal 1990 al 2020 le emissioni sono state ridotte solo del 20%. Il salto a una riduzione del 55% richiederà interventi massicci. Non c’è da stupirsi che la Commissione si riferisca a “Fit for 55” come a un “programma colossale”.

    “Con il programma Fit for 55, la politica climatica dell’UE peserà direttamente su tutti i cittadini europei, condizionando la loro vita in modo significativo. Questa politica di cambiamento climatico sarà molto costosa”, afferma un documento pubblicato dal Centre for European Policy Studies (CEPS) di Bruxelles. Continua: “I contribuenti dell’UE dovranno finanziare con le proprie tasche l’acciaio ‘verde’, il cemento ‘verde’, gli appalti pubblici ‘verdi’, le infrastrutture ‘verdi’ e le misure di compensazione per l’industria. I contribuenti europei pagheranno addirittura i costi extra delle importazioni, a causa del meccanismo di adeguamento dei dazi” (1).

    Nonostante la promessa della Commissione Europea “di non lasciare indietro nessuno”, la nuova agenda verde interesserà soprattutto i cittadini sotto la soglia di povertà. “Le leggi proposte potrebbero rendere più povere le persone a basso reddito, al di là delle difficoltà finanziarie dovute alla pandemia. Molte vite umane sono in gioco”, scrive Martha Myers, coordinatrice della Right to Energy Coalition (2). Si stima che, entro il 2026, la famiglia media europea dovrà pagare 429 euro all’anno per finanziare questa follia ambientalista, un fardello troppo grande per molte famiglie.

    Fit for 55” penalizzerà l’economia europea. Nel corso degli anni la nostra economia ha perso competitività nei confronti degli Stati Uniti e, in particolare, della Cina comunista (che non applica quasi nessuna normativa ambientale). Con tutti questi vincoli ambientali sta diventando sempre più difficile fare affari nell’UE. “Fit for 55” peggiora solo le cose. “L’attuazione delle misure Fit for 55 potrebbe aumentare in modo significativo il costo di produzione per le aziende europee, in particolare per le industrie ad alta intensità energetica. Questo, a sua volta, potrebbe mettere le aziende europee in una posizione di svantaggio quando competono con omologhi di paesi non UE”, afferma EUWID, organo dell’industria europea della cellulosa e della carta (3).

    Gli analisti rilevano anche che “Fit for 55” è un’intrusione inutile, poiché l’Unione Europea era già sulla buona strada, avendo raggiunto nel 2020 gli obiettivi previsti nel 2008, e avendo già approvato nel 2019 il piano decennale noto come Green Deal. Sembra, però, che i talebani ambientalisti vogliano correre. Così hanno imposto un cambio di ritmo, senza consultare ulteriormente gli Stati membri. Infatti, “Fit for 55” è stato votato in modo del tutto casuale nel corso di una “riunione informale” dei ministri dell’UE. Ora, però, la Commissione Europea pretende che tutti gli Stati membri lo rispettino.

    Verso un’economia “green”

    Quali sono i punti principali proposti dall’agenda “Fit for 55”?

    Un primo punto riguarda l’efficienza energetica. Il progetto prevede un miglioramento dell’efficienza del 39% rispetto al 1990. Ciò richiederà non solo lo sviluppo di nuove tecnologie, ma un radicale rinnovamento delle strutture esistenti. I vecchi impianti dovranno essere completamente ristrutturati. Parte del denaro per questa rimodulazione verrà dal Recovery Fund votato per aiutare le economie europee nell’era post-COVID. Invece di aiutare le industrie in difficoltà e i cittadini in difficoltà, la Commissione Europea sta usando i soldi del COVID per imporre ulteriormente l’agenda verde... Va ricordato che il Recovery Fund è un mero prestito, che i Paesi membri dovranno prima o poi ripagare.

    Un secondo punto riguarda le energie rinnovabili. L’obiettivo originale del 32% è stato portato al 40% entro il 2030. Ciò significa più energia solare ed eolica e meno carbono, petrolio ed energia nucleare. Per raggiungere l’obiettivo “Fit for 55” entro il 2030, il 65% dell’elettricità dovrà provenire da fonti rinnovabili, richiedendo l’installazione di oltre 500 GW di capacità rinnovabile in tutta l’UE, circa il doppio dell’attuale capacità installata.

    Un terzo elemento riguarda il cosiddetto “Emission Trading System”, cioè la quantità di emissioni prodotte dalle strutture realizzate dall’uomo. Il progetto fissa un tetto alle emissioni complessive e chiede che siano abbassate di una certa percentuale ogni anno, secondo un sistema di quote. Se una struttura non raggiunge gli obiettivi per un certo periodo, dovrà essere rottamata. Nel frattempo, deve pagare tasse extra. È la cosiddetta mentalità “chi inquina paga”. Ciò crea un onere economico eccessivo per le imprese vulnerabili.

    Nel campo dei trasporti tutto ciò comporterebbe quella che gli esperti chiamano una “rivoluzione fordiana”. L’intero sistema di trasporto pubblico e privato dovrebbe essere rivisto per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni delle auto entro il 2035. Questa Rivoluzione si basa sulla sostituzione dei veicoli a diesel e a benzina con quelli elettrici. Ciò solleva molteplici questioni.

    Innanzitutto, la Cina controlla il 51% del totale globale del litio chimico, il 62% del cobalto chimico e il 100% della grafite sferica, i principali componenti delle batterie agli ioni di litio. Un eventuale passaggio massiccio alle auto elettriche consegnerebbe de facto l’economia mondiale nelle mani della Cina comunista. In secondo luogo, dobbiamo ancora produrre in qualche modo l’elettricità per alimentare questi veicoli. E questo può venire solo da centrali nucleari o a carbone, poiché le energie solare ed eolica non sono ancora in grado di coprire la domanda. In terzo luogo, le batterie sono una delle cose più inquinanti sulla terra, una volta scartate. A differenza delle auto normali, le auto elettriche non possono essere riciclate. Devono essere smaltite in “cimiteri” altamente inquinanti. In quarto luogo, un aspetto non secondario è il prezzo. I veicoli elettrici sono molto più costosi e molto meno efficienti. Non c’è da stupirsi che l’industria automobilistica europea abbia dato una risposta piuttosto fredda a questa proposta. Naturalmente, i burocrati di Bruxelles ne sanno più dei costruttori di automobili…

    Un cambio di mentalità

    Ci sono, però, questioni più profonde che lasciano presagire prospettive ancora più preoccupanti.

    Il Green Deal proposto dalla Commissione Europea, e rafforzato dall’agenda Fit for 55, non riguarda solo il clima e l’economia. Per raggiungere la “neutralità climatica” entro il 2050, la Commissione è determinata a cambiare la società europea, modificando la stessa mentalità dei cittadini. Leggiamo nel sito del Consiglio Europeo: “L’UE si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Raggiungere questo obiettivo richiederà una trasformazione della società oltre che dell’economia europea, che dovrà essere giusta e socialmente equilibrata”. Allo stesso modo si legge nella «Nuova agenda strategica» approvata dalla Commissione nel 2019: “L’UE può e deve aprire la strada, impegnandosi in una profonda trasformazione della propria economia e della società per raggiungere la neutralità climatica”.

    Cos’è questa “profonda trasformazione” della società europea?

    L’attuazione dell’agenda verde non è realizzabile senza profondi cambiamenti nella nostra mentalità, nelle nostre abitudini di consumo, nel nostro stile di vita, in una parola nella nostra civiltà. Alla base di “Fit for 55” c’è l’idea che abbiamo raggiunto l’attuale livello di sviluppo abusando o utilizzando in modo errato le risorse della Terra. Dobbiamo cambiare drasticamente.

    “L’Europa lancia la Rivoluzione Verde!”, si legge nella Newsletter for the European Union, “L’obiettivo è trasformare il volto del Vecchio Continente. (…) Ciò avrà dei costi enormi, sia per i bilanci pubblici che per i cittadini. Ma è un percorso senza alternative” (4).

    “Rivoluzione” sembra essere la parola chiave. “Le proposte di Fit for 55 sono niente più e niente meno che una rivoluzione”, scrive il quotidiano tedesco Volksstimme, “Le proposte della Commissione Europea per raggiungere gli obiettivi climatici sono un enorme programma di ristrutturazione non solo dell’economia europea, ma di quasi tutti ambiti della vita” (5).

    Questa Rivoluzione Verde è stata attentamente pianificata dalle fazioni più radicali dell’Internazionale Socialista sin dagli anni ‘60, come un naturale sviluppo del socialismo marxista. E ora stanno per metterla in pratica. E per questo si avvalgono, a Glasgow, di 400 jet privati altamente inquinanti. Certo, il Green Deal è solo per il volgo...

     

    Note

    1. Fit for 55 – is the European Green Deal really leaving no-one behind?, CEPS, 12 July 2021.

    2. Fit for 55 will penalise poor Europeans, Euroactiv, 19 July 2021.

    3. Paper associations criticise European Commission’s Fit for 55 package, EUWID, 18 August 2021.

    4. Fit for 55: it’s time for a European Green revolution, Newsletter for the European Union, Editorial, 26 July 2021

    5. Fit for 55 package “nothing less than a revolution;” “saturated with scepticism towards market-based approaches” – media reactions, Clean Energy Wire, 15 July 2021.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • “Fit For 55”. L’ultima sciocchezza ambientalista 

     

     

     

    di Julio Loredo

    Agli inizi di novembre, l’attenzione del mondo si è concentrata sulla riunione di capi di Stato e di personaggi rilevanti a Glasgow, Scozia, nota come COP26. Lasciamo stare la tremenda ipocrisia di questi boss che, a pretesto di discutere sul clima planetario, utilizzano una flotta di più di 400 jet privati, che hanno generato oltre 15.000 tonnellate di emissioni di CO2, l’equivalente della quantità prodotta da più di 1.600 passeggeri inglesi in un anno. Andiamo invece al nocciolo della questione: di cosa stanno discutendo?

    Per affrontare il fenomeno del “riscaldamento globale”, cioè il graduale aumento delle temperature del pianeta in questi ultimi anni, e ritenendo che i principali colpevoli siano i cosiddetti “gas serra”, a cominciare dalla CO2, i leader propongono di attuare una serie di misure che favoriscano la transizione a una economia “green”, abbassando notevolmente le emissioni di questi gas. Si vuole fissare un tetto al riscaldamento globale: non più di +1,5°C fino al 2050.

    Parlando di casa nostra, le istituzioni europee (Parlamento, Commissione, Consiglio) hanno già messo mano all’opera, sfornando una lunga serie di misure all’interno di un European Climate Action che intende rendere il continente climaticamente “neutro” entro il 2050.

     

    Fit for 55: una “Rivoluzione francese”

    Il 14 luglio 2021, la Commissione Europea ha emesso una serie di nuove proposte ambientaliste note come “Fit for 55” o “Green Package”. La data non è casuale: il 14 luglio è l’inizio della Rivoluzione francese. In effetti, i promotori chiamano questa nuova agenda la “Rivoluzione francese dell’ambientalismo”. Il regolamento intende accelerare l’attuazione del cosiddetto Green Deal, approvato nel dicembre 2019. In particolare, intende ridurre del 55% (ecco il perché del nome) le emissioni dei cosiddetti gas serra, al fine di realizzare una situazione di “climate neutrality” entro il 2050. “Climate neutrality” è un neologismo coniato per descrivere una situazione in cui l’Europa, e poi il mondo, avrebbero un impatto zero sull’ambiente e sul clima. In altre parole, zero inquinamento.

    Gli esperti rimarcano che una riduzione del 55% dei gas serra entro il 2030 è un obiettivo molto ambizioso che richiederà misure ambientaliste molto stringenti che peseranno ancor di più sulla già sovraccaricata economia europea. Per dare un’idea: dal 1990 al 2020 le emissioni sono state ridotte solo del 20%. Il salto a una riduzione del 55% richiederà interventi massicci. Non c’è da stupirsi che la Commissione si riferisca a “Fit for 55” come a un “programma colossale”.

    “Con il programma Fit for 55, la politica climatica dell’UE peserà direttamente su tutti i cittadini europei, condizionando la loro vita in modo significativo. Questa politica di cambiamento climatico sarà molto costosa”, afferma un documento pubblicato dal Centre for European Policy Studies (CEPS) di Bruxelles. Continua: “I contribuenti dell’UE dovranno finanziare con le proprie tasche l’acciaio ‘verde’, il cemento ‘verde’, gli appalti pubblici ‘verdi’, le infrastrutture ‘verdi’ e le misure di compensazione per l’industria. I contribuenti europei pagheranno addirittura i costi extra delle importazioni, a causa del meccanismo di adeguamento dei dazi” (1).

    Nonostante la promessa della Commissione Europea “di non lasciare indietro nessuno”, la nuova agenda verde interesserà soprattutto i cittadini sotto la soglia di povertà. “Le leggi proposte potrebbero rendere più povere le persone a basso reddito, al di là delle difficoltà finanziarie dovute alla pandemia. Molte vite umane sono in gioco”, scrive Martha Myers, coordinatrice della Right to Energy Coalition (2). Si stima che, entro il 2026, la famiglia media europea dovrà pagare 429 euro all’anno per finanziare questa follia ambientalista, un fardello troppo grande per molte famiglie.

    Fit for 55” penalizzerà l’economia europea. Nel corso degli anni la nostra economia ha perso competitività nei confronti degli Stati Uniti e, in particolare, della Cina comunista (che non applica quasi nessuna normativa ambientale). Con tutti questi vincoli ambientali sta diventando sempre più difficile fare affari nell’UE. “Fit for 55” peggiora solo le cose. “L’attuazione delle misure Fit for 55 potrebbe aumentare in modo significativo il costo di produzione per le aziende europee, in particolare per le industrie ad alta intensità energetica. Questo, a sua volta, potrebbe mettere le aziende europee in una posizione di svantaggio quando competono con omologhi di paesi non UE”, afferma EUWID, organo dell’industria europea della cellulosa e della carta (3).

    Gli analisti rilevano anche che “Fit for 55” è un’intrusione inutile, poiché l’Unione Europea era già sulla buona strada, avendo raggiunto nel 2020 gli obiettivi previsti nel 2008, e avendo già approvato nel 2019 il piano decennale noto come Green Deal. Sembra, però, che i talebani ambientalisti vogliano correre. Così hanno imposto un cambio di ritmo, senza consultare ulteriormente gli Stati membri. Infatti, “Fit for 55” è stato votato in modo del tutto casuale nel corso di una “riunione informale” dei ministri dell’UE. Ora, però, la Commissione Europea pretende che tutti gli Stati membri lo rispettino.

     

    Verso un’economia “green”

    Quali sono i punti principali proposti dall’agenda “Fit for 55”?

    Un primo punto riguarda l’efficienza energetica. Il progetto prevede un miglioramento dell’efficienza del 39% rispetto al 1990. Ciò richiederà non solo lo sviluppo di nuove tecnologie, ma un radicale rinnovamento delle strutture esistenti. I vecchi impianti dovranno essere completamente ristrutturati. Parte del denaro per questa rimodulazione verrà dal Recovery Fund votato per aiutare le economie europee nell’era post-COVID. Invece di aiutare le industrie in difficoltà e i cittadini in difficoltà, la Commissione Europea sta usando i soldi del COVID per imporre ulteriormente l’agenda verde... Va ricordato che il Recovery Fund è un mero prestito, che i Paesi membri dovranno prima o poi ripagare.

    Un secondo punto riguarda le energie rinnovabili. L’obiettivo originale del 32% è stato portato al 40% entro il 2030. Ciò significa più energia solare ed eolica e meno carbono, petrolio ed energia nucleare. Per raggiungere l’obiettivo “Fit for 55” entro il 2030, il 65% dell’elettricità dovrà provenire da fonti rinnovabili, richiedendo l’installazione di oltre 500 GW di capacità rinnovabile in tutta l’UE, circa il doppio dell’attuale capacità installata.

    Un terzo elemento riguarda il cosiddetto “Emission Trading System”, cioè la quantità di emissioni prodotte dalle strutture realizzate dall’uomo. Il progetto fissa un tetto alle emissioni complessive e chiede che siano abbassate di una certa percentuale ogni anno, secondo un sistema di quote. Se una struttura non raggiunge gli obiettivi per un certo periodo, dovrà essere rottamata. Nel frattempo, deve pagare tasse extra. È la cosiddetta mentalità “chi inquina paga”. Ciò crea un onere economico eccessivo per le imprese vulnerabili.

    Nel campo dei trasporti tutto ciò comporterebbe quella che gli esperti chiamano una “rivoluzione fordiana”. L’intero sistema di trasporto pubblico e privato dovrebbe essere rivisto per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni delle auto entro il 2035. Questa Rivoluzione si basa sulla sostituzione dei veicoli a diesel e a benzina con quelli elettrici. Ciò solleva molteplici questioni.

    Innanzitutto, la Cina controlla il 51% del totale globale del litio chimico, il 62% del cobalto chimico e il 100% della grafite sferica, i principali componenti delle batterie agli ioni di litio. Un eventuale passaggio massiccio alle auto elettriche consegnerebbe de facto l’economia mondiale nelle mani della Cina comunista. In secondo luogo, dobbiamo ancora produrre in qualche modo l’elettricità per alimentare questi veicoli. E questo può venire solo da centrali nucleari o a carbone, poiché le energie solare ed eolica non sono ancora in grado di coprire la domanda. In terzo luogo, le batterie sono una delle cose più inquinanti sulla terra, una volta scartate. A differenza delle auto normali, le auto elettriche non possono essere riciclate. Devono essere smaltite in “cimiteri” altamente inquinanti. In quarto luogo, un aspetto non secondario è il prezzo. I veicoli elettrici sono molto più costosi e molto meno efficienti. Non c’è da stupirsi che l’industria automobilistica europea abbia dato una risposta piuttosto fredda a questa proposta. Naturalmente, i burocrati di Bruxelles ne sanno più dei costruttori di automobili…

     

    Un cambio di mentalità

    Ci sono, però, questioni più profonde che lasciano presagire prospettive ancora più preoccupanti.

    Il Green Deal proposto dalla Commissione Europea, e rafforzato dall’agenda Fit for 55, non riguarda solo il clima e l’economia. Per raggiungere la “neutralità climatica” entro il 2050, la Commissione è determinata a cambiare la società europea, modificando la stessa mentalità dei cittadini. Leggiamo nel sito del Consiglio Europeo: “L’UE si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Raggiungere questo obiettivo richiederà una trasformazione della società oltre che dell’economia europea, che dovrà essere giusta e socialmente equilibrata”. Allo stesso modo si legge nella «Nuova agenda strategica» approvata dalla Commissione nel 2019: “L’UE può e deve aprire la strada, impegnandosi in una profonda trasformazione della propria economia e della società per raggiungere la neutralità climatica”.

     

    Cos’è questa “profonda trasformazione” della società europea?

    L’attuazione dell’agenda verde non è realizzabile senza profondi cambiamenti nella nostra mentalità, nelle nostre abitudini di consumo, nel nostro stile di vita, in una parola nella nostra civiltà. Alla base di “Fit for 55” c’è l’idea che abbiamo raggiunto l’attuale livello di sviluppo abusando o utilizzando in modo errato le risorse della Terra. Dobbiamo cambiare drasticamente.

    “L’Europa lancia la Rivoluzione Verde!”, si legge nella Newsletter for the European Union, “L’obiettivo è trasformare il volto del Vecchio Continente. (…) Ciò avrà dei costi enormi, sia per i bilanci pubblici che per i cittadini. Ma è un percorso senza alternative” (4).

    “Rivoluzione” sembra essere la parola chiave. “Le proposte di Fit for 55 sono niente più e niente meno che una rivoluzione”, scrive il quotidiano tedesco Volksstimme, “Le proposte della Commissione Europea per raggiungere gli obiettivi climatici sono un enorme programma di ristrutturazione non solo dell’economia europea, ma di quasi tutti ambiti della vita” (5).

    Questa Rivoluzione Verde è stata attentamente pianificata dalle fazioni più radicali dell’Internazionale Socialista sin dagli anni ‘60, come un naturale sviluppo del socialismo marxista. E ora stanno per metterla in pratica. E per questo si avvalgono, a Glasgow, di 400 jet privati altamente inquinanti. Certo, il Green Deal è solo per il volgo...

     

    Note

    1. Fit for 55 – is the European Green Deal really leaving no-one behind?, CEPS, 12 July 2021.

    2. Fit for 55 will penalise poor Europeans, Euroactiv, 19 July 2021.

    3. Paper associations criticise European Commission’s Fit for 55 package, EUWID, 18 August 2021.

    4. Fit for 55: it’s time for a European Green revolution, Newsletter for the European Union, Editorial, 26 July 2021

    5. Fit for 55 package “nothing less than a revolution;” “saturated with scepticism towards market-based approaches” – media reactions, Clean Energy Wire, 15 July 2021.

     

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • COME I VERDI DISTRUGGONO LA BIG ENERGY DALL'INTERNO

     

    di John Horvat

    La sinistra sfrutta la rivoluzione verde per promuovere la sua agenda ecologica di distruzione del sistema economico attuale. Il suo bersaglio principale è stato a lungo la Big Oil, che gioca un ruolo dominante nell'economia globale. Sostenuti dai grandi media, gli attivisti verdi stanno ora cercando energicamente di abbattere l'attuale sistema.

    L'implacabile guerra dei Verdi contro il petrolio e il gas non di rado è una battaglia di statistiche e rapporti. Per decenni, la sinistra ha presentato la scomoda verità di terribili previsioni con grafici a forma di bastone a hockey1; previsioni che poi vengono costantemente rimandate quando il giorno del giudizio non arriva. Le compagnie petrolifere si difendono rendendo noti i loro sforzi di conservazione e gli impressionanti record nella salvaguardia dell'ambiente.

    Questa battaglia sbilenca tra il Tiny Green (“Piccolo Verde”) e la Big Oil era finora destinata a fallire. Tuttavia, Greta Thornburg o altre strane creature-poster non sono protagonisti di alcuna vittoria. L'arma segreta è che la Big Oil sta diventando verde!

    Gli attivisti-azionisti cercano di costringere i giganti dell'energia a cambiare schieramento e a reinventarsi in soppressori del carbonio al fine di raggiungere zero emissioni. Non c’è altra soluzione che costringere le grosse compagnie a farlo dall'interno.

     

    Il petrolio perde ha perso il suo vantaggio

    Da un punto di vista tecnico, le cose non potrebbero andare meglio per il petrolio in generale. Le ipotesi secondo cui il mondo avrebbe presto esaurito il greggio sono irrimediabilmente superate e screditate. Nessuno ne parla più. Il mondo ha più petrolio che mai. Il fracking ha aumentato l'offerta e invertito il declino dell'America nella produzione di petrolio e gas. Anzi, ora essa guida la classifica nella produzione ed esportazione di alcuni tipi di petrolio e gas naturale.

    Tuttavia, il clima psicologico è cambiato drasticamente, poiché le persone sono bombardate da crescenti previsioni apocalittiche da giorno del giudizio finale. Il ritorno dell'amministrazione Biden agli accordi di Parigi ha dato nuovo slancio ai demoralizzati Verdi. Anche la crisi del Covid ha colpito i contratti futures e il consumo del petrolio, sconvolgendo i programmi di produzione. Una massiccia offensiva mediatica sta rendendo il verde sempre più popolare tra gli ambientalisti "woke".

    Il più grande pericolo per l'industria petrolifera è la piccola pillola verde del suicidio. La mentalità della resa è entrata nei consigli di amministrazione del settore energetico, spingendoli ad adottare misure un tempo impensabili.

     

    Il motore n. 1 si accende contro la Exxon

    Qualcosa di prima impensabile è successo proprio di recente, quando un piccolo hedge fund, dal nome poco ecologico di Engine No. 1 (Motore n° 1), ha messo il sistema aziendale contro sé stesso, presentando una lista verde di quattro candidati per l'elezione al consiglio di 12 membri della Exxon. Tre di loro sono stati eletti e promettono di spingere la loro agenda al centro della scena.

    Non sorprende che il minuscolo fondo con una partecipazione infinitesimale nelle azioni della Exxon abbia fatto causa comune con i massicci fondi pensione degli stati democratici (New York e California) che hanno votato per i suoi candidati. Questi fondi giganti non vedono alcuna ipocrita incoerenza nel detenere un gran numero di azioni in energia sporca mentre capitalizzano sui loro dubbi profitti petroliferi.

    Big Money si è radunata per l'eco-assalto. Vanguard, State Street e Black Rock, con una proprietà combinata di oltre un quinto di tutte le azioni Exxon, hanno sostenuto parte della lista verde.

     

    Le idee della sinistra radicale sull'ecologia

    La prospettiva dei Verdi si è sempre inserita nelle zone più radicali dello spettro della sinistra e si armonizza perfettamente con le ossessioni egualitarie marxiste. Marx rifiutava la disuguaglianza di reddito e metteva una classe contro l'altra, alla ricerca di una sempre sfuggente fratellanza nell’uguaglianza.

    L'ideologia verde fa un passo avanti nell’utopia dell'uguaglianza, contestando il dominio dell'umanità sulla Creazione e rivelando un evidente problema con il mandato divino per cui Dio mise tutta la natura al servizio dell'umanità (vedi Gn. 1, 28). Per i Verdi, tutte le cose - animali, piante e minerali (e infine l'uomo) - hanno uguali diritti che prevalgono sullo sviluppo e sul progresso umano. Alcuni radicali dell'ecologia profonda arrivano al punto di dichiarare l'umanità un virus nocivo che deve essere eliminato.

    Così, i Verdi promuovono un'agenda anti-umana che prende di mira le popolazioni mondiali e la civiltà. Si dilettano con i temi del crollo demografico, della decrescita economica e delle cinture industriali arrugginite, esaltano il loro ideale di armonia da "buon selvaggio" nei rapporti con la natura che ridurrebbe l'umanità allo stato primitivo e ai numeri più bassi. Aziende come la Exxon e il suo establishment di supporto sono ostacoli che vanno eliminati in modo che i Verdi possano realizzare i loro sogni irrimediabilmente idilliaci di vita tribale primitiva.

     

    Il suicidio dell'Occidente

    L'autodistruzione della Big Oil fa parte dell'eco-suicidio dell'Occidente e di tutta la sua infrastruttura filosofica, sociale e morale. Un editoriale del Wall Street Journal (10 giugno 2021) riconosce questo disastro dicendo che "Gli Stati Uniti stanno andando verso una delle più grandi ferite autoinflitte della loro storia".

    Difendere la Exxon non sarebbe il modo per fermare questo crollo. La Big Oil, come tanti giganteschi conglomerati, è un freddo, impersonale prodotto razionalizzato della modernità. Le strutture economiche troppo massicce non ispirano nessuno a nobili azioni in difesa di principi forti.

    La rigenerazione dell'Occidente avverrà solo con un ritorno alle sue radici cristiane. Ciò che è necessario è il contro-paradigma di una società basata su un ordine organico e personale, corrispondente alla natura umana. Tale ordine rappresenterebbe la vera armonia con la natura, seguendo il mandato biblico di governare la Creazione e di costruire una splendida civiltà che dia gloria a Dio.

     

    Note

    1. L'effetto bastone da hockey è caratterizzato da un forte aumento o diminuzione dei punti dati dopo un lungo periodo piatto. Viene illustrato utilizzando un grafico a linee che ricorda una mazza da hockey.

     

    Fonte: Return to Order, Giugno 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Il fallimento della cattura del carbonio sta inacidendo il Green New Deal

     

     

    di John Horvat*

    La cattura del carbonio è una componente chiave per raggiungere gli obiettivi utopici degli Accordi di Parigi sul clima. Ovunque, le imprese si stanno dando da fare per ridurre le loro impronte di carbonio comprando i crediti equivalenti per compensare le loro inevitabili emissioni.

    La cattura del carbonio comporta processi per cui le industrie possono filtrare l'anidride carbonica dalle loro emissioni, specialmente nella produzione di energia. Questi progetti possono consistere in investimenti multimiliardari in tempo, capitale e macchinari. Tuttavia, non producono profitti.

    Nel corso degli anni, gli esperti hanno sviluppato i mezzi per catturare il carbonio dalle ciminiere, dai rifiuti e dall'aria aperta. Gli investitori affamati di verde sostengono con trepidazione questi sforzi per i loro portafogli azionari. Desiderosi di mostrare un impegno nelle politiche del cambiamento climatico, i governi forniscono finanziamenti, sussidi e retorica per una causa così meritevole.

    Eppure, lo schema non sta funzionando. La maggior parte dei progetti sembrano essere piuttosto capaci nel processo di cattura. Il problema è cosa fare con il carbonio una volta catturato. Non c'è un uso economico per il prodotto, e quindi i progetti falliscono.

    Nel 2016, la NRG Energy Inc. per esempio, ha lanciato con grande fanfara un progetto di cattura del carbonio da 1 miliardo di dollari collegato alla sua centrale a carbone in Texas. Dopo pochi anni, il progetto è stato abbandonato perché nessuno è riuscito a capire cosa fare con il carbonio. Impianti simili, spesso con massicci finanziamenti governativi, hanno anch’essi abbandonato questo green new deal andato a male.

    Il Wall Street Journal del 7 febbraio scorso1 riporta che oltre l'80% dei progetti commerciali di cattura del carbonio proposti in tutto il mondo sono falliti per lo stesso motivo. Anche con le sovvenzioni, si rivelano troppo costosi per funzionare o presentano problemi tecnici che non soddisfano le aspettative.

    E poi c'è il problema del carbonio catturato....

    Ironicamente, l'unico uso possibile per il carbonio è un processo che produce più carbonio. Le compagnie energetiche hanno scoperto che pompare anidride carbonica in giacimenti di petrolio declinanti aiuta a far uscire più gas e petrolio. Tuttavia, questo nuovo gas e questo nuovo petrolio verranno avviati nel mercato producendo più emissioni di carbonio. L'uso può aiutare i profitti delle compagnie energetiche, ma vanifica lo scopo della cattura del carbonio.

    Così, la maggior parte dei progetti di cattura del carbonio, con l’eccezione suddetta dell'uso nei pozzi di petrolio, rappresentano spese che tagliano profitti. Negli affari ciò non ha senso. La maggior parte delle aziende usa questi sforzi come uno stratagemma di pubbliche relazioni per soddisfare investitori eco-ossessionati o per impressionare i liberalche si ritengono sulla cresta dell’onda delle ultime eco-tendenze. Tuttavia, uno dopo l'altro, molti di questi progetti vanno offline.

    Essendo i loro obiettivi basati sull'eco-religione piuttosto che sull'economia, il fallimento totale della cattura del carbonio non ha scoraggiato i guerrieri del cambiamento climatico. I leader aziendali sono altrettanto ansiosi di portare avanti la lotta. La questione non sta nell'uso economicamente redditizio del carbonio, ma nella destrezza politica per tirare i fili del governo. Più soldi dal governo sono una soluzione rapida a tutti questi problemi. I contributi rendono redditizi tutti i progetti falliti.

    Le cateratte di denaro del governo si stanno aprendo di nuovo. Le industrie possono contare su 12,1 miliardi di dollari di finanziamenti grazie alla recente legge sulle infrastrutture da mille miliardi di dollari che il presidente Biden ha firmato nel 2021. Le compagnie petrolifere, chimiche, energetiche e di biocarburanti si stanno allineando alle nuove proposte per catturare più carbonio inutilizzabile senza colpire i profitti. I dollari per le infrastrutture li aiuteranno a costruire le attrezzature necessarie per catturare il gas, ma faranno poco per smaltirlo.

    Per questo motivo, queste industrie stanno proponendo ancora più dollari dal governo, sotto forma di crediti fiscali, che pagherebbero loro per seppellire il carbonio catturato o immagazzinarlo in modo sicuro. I portavoce dicono che seppellire il materiale richiederà sussidi fiscali estesi ad almeno 85 dollari al metro per il carbonio delle ciminiere e fino a 180 dollari per il carbonio all'aria aperta. Essi prevedono anche la costruzione di una vasta rete di condutture per pompare tutto questo carbonio sia verso siti di sepoltura che di pompaggio di petrolio in tutto il paese.  

    Anche espandendo tutta la capacità di cattura del carbonio, il mondo non raggiungerà il suo obiettivo di emissioni zero entro il 2070. Le industrie dovrebbero aumentare la loro capacità da 50 a 100 volte di più rispetto agli attuali piani di sviluppo.

    Gli attivisti e i funzionari liberalnon si scoraggiano; aumenta solo l'urgenza di produrre carbonio inutile e accelerare gli sforzi in questo senso, indipendentemente dal costo. Costringere le aziende a produrre beni inutili è uno spreco di risorse e la via rapida al suicidio economico. Far pagare i governi per il fallimento è buttare buoni soldi dei contribuenti in un buco maligno.

     

    *John Horvat è uno studioso, ricercatore, educatore, oratore internazionale e autore del libro "Ritorno all'ordine". Vive a Spring Grove, Pennsylvania, dove è vicepresidente della Società Americana per la Difesa della Tradizione, della Famiglia e della Proprietà.

     

    Note

    1. Projects to Capture Carbon Emissions Get New Boost Despite Dismal Record

     

    Fonte: Carbon-Capture Failure Is the Green New Deal, 14 Febbraio 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte. 

  • La guerra di Biden all'energia americana

     

     

    di John Horvat

    La guerra della Russia all’Ucraina sta cambiando la geopolitica del mondo. La delicata situazione richiede agilità e improvvisazione per adattarsi a una crisi che potrebbe rapidamente diventare brutta. L'amministrazione Biden e l'Europa occidentale hanno imposto sanzioni come parte di una strategia per porre fine alla guerra.

    Tuttavia, l'amministrazione sta simultaneamente applicando "sanzioni" all'industria energetica americana in ossequio all'ideologia sinistrorsa del cambiamento climatico. L'America non potrà vincere nessuna guerra se combatte contro sé stessa.

    Il presidente Biden sta facendo una guerra all'energia americana, e la sua amministrazione fa tutto il possibile per scoraggiare la produzione. Non può ignorare che cosa sta facendo.

    Una decisione devastante della SEC

    Una recente decisione della Securities and Exchange Commission (SEC) è un caso emblematico. L'organismo dominato dai democratici ha votato per portare avanti la proposta di una nuova regola che porterà scompiglio fra i produttori di energia, proprio quando hanno più bisogno di aumentare la produzione per compensare le forniture russe sanzionate.

    La nuova regola proposta dalla SEC espanderà il requisito che tutte le aziende pubbliche rivelino i rischi climatici che possono causare le loro operazioni. Questo requisito, un tempo assennato, è stato ora reso completamente irragionevole.

    La legge attuale copre i cosiddetti eventi e rischi "materiali", definiti come informazioni ritenute importanti per qualsiasi persona ragionevole. Tali comunicazioni sono di solito molto limitate a quelle cose che hanno un impatto sull'ambiente e che gli investitori avrebbero bisogno di sapere.  

    Tuttavia, il presidente della SEC, Gary Gensler, e i suoi colleghi democratici, hanno votato 3-1 per ridefinire il concetto di "materialità" al fine di farlo significare qualsiasi cosa si voglia. La nuova proposta di 510 pagine amplia le esigenze di divulgazione pubblica dei rischi a ogni aspetto collegato al carbonio e alla politica del cambiamento climatico e in qualsiasi fase della produzione.

    Aperta contradizione dello scopo della SEC

    Non c'è mai stata una proposta come questa nella storia della SEC. La regola scarica una montagna di procedure burocratiche su aziende già in difficoltà. Contraddice la legge sui titoli e la sana pratica normativa. Queste esigenze favoriscono gli investitori progressisti che cercano di strangolare il petrolio e gli investimenti energetici privandoli di credito e di capitale. La divulgazione di queste informazioni fornisce munizioni agli investitori “woke” che possono eliminare le aziende non in regola.

    La SEC esiste per assicurare che gli investitori abbiano informazioni rilevanti sulle imprese quotate in borsa e per nient’altro. Non è mai stata pensata per essere un'agenzia che fa politica e che impone un'ideologia. Il suo scopo è quello di assicurare l'equità nei mercati dei titoli, proteggendo gli investitori dalle frodi.

    La SEC fu fondata dopo il crollo del mercato azionario nel 1929 per cercare di ripristinare la fiducia degli investitori fermando le pratiche di vendita ingannevoli e le manipolazioni all’origine del crollo. La commissione stabilì delle regole, una supervisione e proibì l'uso sleale di informazioni non pubbliche sulle azioni durante il trading.

    Una regola con un'agenda ideologica

    La nuova regola usa questa esigenza di divulgazione completa per richiedere informazioni sulle emissioni di gas serra e altri dati riguardanti l'ideologia del clima. I nuovi requisiti sono pesantissimi. Lo zelo fanatico dei promotori del green-new-deal ignora ancora una volta la realtà per favorire la decrescita e l'eco-fantasia.

    Il nuovo rapporto richiesto deve includere tutte le fasi della produzione. Questo inizia con le emissioni di gas serra causate direttamente dalle operazioni degli impianti aziendali e dal loro consumo energetico. Le aziende dovranno anche riferire sulle emissioni Scope 3, cioè sui dati relativi alle catene di fornitura e all'utilizzo da parte dei clienti.

    Anche se tutti i produttori dovranno sentire la mano pesante dello stato normativo, questi requisiti draconiani prendono di mira soprattutto le compagnie petrolifere, che saranno tenute a stimare le emissioni delle piattaforme, delle petroliere e delle condotte che trasportano petrolio e gas. Sul lato dei prodotti, le emissioni emesse dal consumo dei motori a combustione, dalla plastica e da altri materiali a base di petrolio verranno monitorate.   

    La cosa peggiore delle emissioni Scope 3 è che la SEC ammette che non esiste una definizione precisa. La commissione "non ha proposto una soglia quantitativa chiara per la determinazione della materialità". Tutto dipende dai fatti e dalle circostanze che circondano ogni caso. Così, il potenziale di arbitrarietà nell'applicazione delle regole è enorme. Tutto quello che serve è che un regolatore molto zelante determini un eco-fattore rilevante all’ipotetico fine che un eventuale investitore lo venga sapere.

    Molestie su larga scala

    La nuova regola ha lo scopo di intimidire. La commissione ha l'autorità di rivelare solo quelle cose che sono "necessarie o appropriate nel pubblico interesse o per la protezione degli investitori". La decisione della SEC non ha fornito alcuna prova che le informazioni richieste dall'ideologia verde rendano necessaria la divulgazione pubblica. 

    La SEC sostiene che la nuova regola "promuoverà l'efficienza, la concorrenza e la formazione di capitale". In realtà, aggiungerà un altro strato di regolamentazione governativa al già eccessivo fardello portato dalle aziende. La minaccia di tali pubblicazioni esaustive scoraggerà le aziende dall'andare nel settore pubblico e incoraggerà il riacquisto di azioni per tornare nel settore privato.

    Inoltre, costringerà i partner privati della catena di approvvigionamento a rivelare informazioni sul clima che di solito non sarebbero tenuti a riferire. Tutte queste informazioni dovranno essere certificate e controllate e le aziende saranno responsabili per eventuali imprecisioni.

    Questo enorme sforzo sembra fatto per aiutare gli investitori “woke” ed ecologici, come BlackRock e i fondi pensione pubblici, a fiutare i "trasgressori" del clima, il cui unico "crimine" sarà quello di usare carbonio come ogni essere umano in America.

    La regola proposta sarà ora aperta a dibattito per 60 giorni prima di essere approvata. Molti Stati, come il West Virginia, si sono ripromessi di fare causa alla SEC per molestie alla loro industria energetica. Tuttavia, diversi analisti hanno notato giustamente che il danno è già stato fatto. Un colpo è stato sferrato sul settore energetico. Anche se i tribunali federali rifiuteranno il regolamento finale, il messaggio è stato inviato. La guerra all'energia è stata dichiarata. Investitori, fatte attenzione, perché siete un bersaglio dei Democratici e dei loro estremisti militanti verdi.

    Il messaggio equivale a sanzioni contro l'industria per aver fatto il suo lavoro. Il presidente Biden sta dichiarando guerra all'energia americana in un momento di crisi. L'amministrazione lo sa eppure continua a distruggere la nazione.

     

    Fonte: American Thinker, Marzo 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.  

  • Perché la "Cathonomics" non è né cattolica né economicamente valida

     

     

    di John Horvat

    Il titolo del libro Cathonomics: How Catholic Tradition Can Create a More Just Economy è intrigante, poiché mette in evidenzia il fatto che la Chiesa avrebbe molto da offrire in campo economico. L'autore cerca di fondere due campi che generalmente non si mescolano, anche se dovrebbero. 

    Tuttavia, una cosa è collegare i due soggetti, un'altra è fondere prospettive contrastanti. Così il libro attira alla lettura con il suo drammatico titolo, ma poi vi si trova una fusione forzata di vecchio e nuovo, religioso ed ecologico, San Tommaso d'Aquino e Papa Francesco. In nome della "tradizione" emerge un ibrido “catto-economico” che è uno spettacolare scontro degli opposti, finendo per non essere né una cosa né l'altra.  

    L'autore, il dottor Anthony Annett, sembra divertirsi con paradossi che sconvolgono le sensibilità tradizionali. Leggendo il suo lavoro scattano ovunque bandiere rosse (ed eco-verdi). Di origine irlandese, si vanta di aver lavorato per vent'anni al Fondo Monetario Internazionale. L'economista liberal Jeffrey Sachs, noto per il suo sostegno all'aborto e al controllo demografico, ha scritto la prefazione. Una entusiasta Georgetown University Press (università gesuita, ndr) ha pubblicato e promosso il libro (2022) con commenti entusiasti di notabili personaggi liberal.

    L'obiettivo impossibile del libro è quello di mettere insieme ciò che si potrebbe chiamare un'ermeneutica della continuità economica senza che ci sia però la continuità. L'autore, per esempio, espone ragionevolmente l'insegnamento tradizionale della Chiesa (che lui chiama la “vecchia roba”). Critica, anche brillantemente, le squallide teorie economiche dell'illuminismo e del liberalismo che hanno distrutto la cristianità.

    Tuttavia, le cose si complicano quando cerca di integrare le proposte di giustizia sociale, gli obiettivi del Green New Deal e la teoria economica keynesiana nei modelli cattolici tradizionali. L'autore sostiene prima una parte e poi l'altra, ma insiste che il tessuto strappato risultante da questi punti di vista abbia l’aspetto di un unico indumento inconsutile.

    Ci sono tre grandi errori nella presentazione della Cathonomics che impediscono alla paradossale proposta di fornire valide soluzioni.

    Il primo errore è che, non essendo cattolica, il dottor Annett cita autori, papi e documenti cattolici. Usa alcuni concetti cattolici, specialmente sussidiarietà e solidarietà.  Tuttavia, non è necessario essere cattolici, praticare le virtù cattoliche, o anche credere in Dio per essere parte della Cathonomics. La sua proposta si rivolge alla "persona umana" e quindi è destinata ad applicarsi a tutti indistintamente. Il tema potrebbe essere meglio denominato "economia umana".

    Così, la nuova scienza è estremamente limitata poiché deve esprimersi in termini laici e naturalistici rivolgendosi "al più pieno sviluppo di tutta la persona e di tutti i popoli". L'autore sembra pensare che fare appello a "un bene comune con un destino comune, che comporta la protezione della nostra casa comune" basti per motivare le persone a sacrificarsi a beneficio degli altri. Inoltre, egli incentiva una solidarietà ecologica che si estende attraverso le diverse specie viventi legate dalla "nozione che tutte le creature hanno un valore e un diritto intrinseco".

    Il libro, che inizia con sublimi espressioni teologiche della "vecchia roba", a un tratto si trasforma utilizzando il moderno gergo economico, sociologico ed ecologico. Senza un fine soprannaturale o trascendentale, l'appello alla solidarietà è tutt'altro che convincente. Così, il libro finisce per avere quel “fascino” della retorica naturalistica che si trova nei documenti delle Nazioni Unite o nella piattaforma del Partito Democratico.  

    In effetti, l'autore presenta le diciassette mete liberal degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell'ONU quasi come una rinnovata serie di comandamenti che introducono un nuovo paradigma economico "con inclusione sociale e protezione della natura". Suggerisce "un'autorità mondiale" per attuare le decisioni che richiederebbe "una riforma delle Nazioni Unite orientata verso la giustizia e la fraternità universale invece di essere cooptata dai potenti".

    Questa ampia piattaforma porta al secondo errore di Cathonomics. Tranne che il suo fantasioso nome, non c'è davvero nulla di nuovo in questo programma. Vi si trova solo un'ampia rimasticatura di considerazioni economiche inefficaci, ripetendo con la solita mancanza di originalità che il nemico è il "neoliberalismo".

    L'autore descrive tutti gli effetti di un'economia sbilanciata ma non la loro causa. Come l'analisi marxista che informa la maggior parte dell'economia di sinistra, tutto è nelle strutture che costringono le persone a vivere in miseria e niente sulla miseria della natura umana caduta che costruisce strutture peccaminose. In questo modo, non vi si trova nessuna chiamata alla conversione personale nel senso tradizionale della parola.

    L'invito del Dr. Annett è perché tutte le nazioni diventino “scandinave”, con tasse elevate e ampi progetti di welfare sociale, ricolmi di solidarietà e di sussidiarietà. Il programma riflette molto più Thomas Piketty che santo Tommaso d'Aquino. C'è poi una condanna ossessiva di tutte le disuguaglianze, anche quando esse sono proporzionate.

    Così, una proposta esplicita della Cathonomicssono le "tasse alte e progressive" come mezzo che "potrebbe inculcare la virtù, data l'evidenza di meno solidarietà, generosità ed empatia nei ricchi delle società più diseguali". La Cathonomics chiede anche di punire con “aliquote fiscali confiscatorie" specialmente i miliardari. Infine, afferma che saranno necessarie significative tasse di successione per sostenere il bene comune e lo sviluppo umano integrale.

    Lo Stato gioca un ruolo importante in queste proposte, sia come datore di lavoro di ultima istanza che come fornitore di reddito supplementare.  Il modo preferito per risolvere i problemi sembra essere quello di gettarci sopra il denaro altrui.  Il Dr. Annett lascia cadere casualmente nel discorso cifre "insignificanti" che risolverebbero tanti problemi. Si potrebbe venire a capo di tutto stanziando 100 miliardi di dollari all'anno per un programma, un trilione di dollari per un altro e 50 miliardi di dollari per un altro ancora. "La linea di fondo è che, nel contesto di un'economia [mondiale] di 128 trilioni di dollari, questi importi sono piccoli, a volte addirittura minuscoli".

    Particolarmente notevole è la forte componente ecologica della Cathonomics,che rivela un particolare malanimo verso il settore del petrolio e del gas (il quale dovrà essere sostituito a tutti i costi). Mentre l'autore ammette che è difficile quantificare il numero di morti a causa del cambiamento climatico, fa di tutto per dipingere il peggior quadro possibile basato su modelli e stime. Così, al lettore viene detto che i problemi mentali causati dal cambiamento climatico sono responsabili di una stima di 59.000 suicidi in India, molti dei quali sono contadini poveri. Le morti premature dovute all'inquinamento vengono stimate in cinque milioni di persone all'anno. Gli esperti prevedono "un numero impressionante di 200 milioni di rifugiati climatici solo entro il 2050, con una stima elevata di un miliardo".

    Queste argomentazioni “alla Greta Thunberg” sono al massimo discutibili, ma difficilmente possono essere dogmi assoluti. Inoltre, non c'è nulla di nuovo nelle soluzioni del Green New Deal che la Cathonomics propone.

    Infine, il terzo errore, il più grande è l'assenza di Dio nella Cathonomics. Non si fa nessun appello all'amore di Dio come mezzo per ottenere una rifioritura umana. Dio non ha bisogno di essere coinvolto nello sviluppo delle sue creature. In un libro sull'economia cattolica, si dovrebbe dire qualcosa sulla Divina Provvidenza che metta in evidenza la amorevole cura di Dio per l'umanità, anche di fronte ad un eco-disastro. Tuttavia, non c'è nulla che suggerisca un interesse di Dio per l'umanità... e anche viceversa.

    Nel libro si parla tanto della solidarietà che dovrebbe unire tutti, ma niente su ciò che deve stare al centro di essa. La solidarietà diventa impossibile senza l'amore di Dio. Tutti sono chiamati ad amare il prossimo come se stessi per amore di Dio, che è la motivazione più alta. Perciò gli Obiettivi/Comandamenti per lo Sviluppo Sostenibile dell'ONU, per esempio, diventano vuoti appelli filantropici per porre fine alla povertà, alla fame e ad altri bisogni, giacché non hanno nulla di trascendente per sostenerli. L'interesse personale e la natura decaduta (anch'essa mai menzionata) vinceranno sempre quando Dio non è posto al centro delle cose.

    Allo stesso modo, la Cathonomics non trova nessun spazio per la grazia, che illumina l'intelletto e rafforza la volontà in modo che le persone diventino capaci di realizzare opere (inclusi atti economici e opere di carità) le quali vadano oltre la mera natura umana. La visione ristretta dell'autore consiste invece in un programma freddo e meccanico, che esclude il soprannaturale e restringe tutto allo Stato.

    Nel mondo della Cathonomics il peccato personale non ha conseguenze. Quindi, si fa un inquietante silenzio sull'aborto o su altri peccati che trascinano la società e l'economia verso il basso e diminuiscono l'amore di Dio che deve sostenere tutto. Anche il ruolo della preghiera e del condurre una vita virtuosa, libera dal peccato, non può essere sottovalutato come potente forza per ottenere la prosperità umana. Tuttavia, tutti questi fattori, essenziali per un'economia cattolica, sono del tutto assenti nella Cathonomics.

    Eloquente della prospettiva dell'autore è la sua citazione finale tratta dal discorso di Papa Francesco del 2015 all'Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari: "il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e dell’élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; e nella loro capacità di organizzarsi". L’approccio naturalistico è il problema della Cathonomics. Qualsiasi futuro dell'umanità (e dell'economia) deve essere messo nelle mani di Dio, non dell'umanità. Quando l'umano si mette al centro, è una ricetta veloce per il disastro.

    L'autore dimentica un altro elemento importante. Ahimè, come si può chiamare qualcosa di cattolico senza menzionare la Madonna? La Madre ha in mente il benessere materiale di tutti. La Madonna a Fatima l'ha detto meglio: l'umanità deve smettere di offendere Dio. Solo allora il mondo troverà pace e prosperità.

     

    Fonte: Crisis Magazine, 11 Aprile 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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