false destre

  • Nelle forche caudine delle false alternative

     

     

    di Julio Loredo

    In diversi momenti negli ultimi duecento anni, i cattolici tradizionalisti o contro-rivoluzionari sono stati costretti ad affrontare delle scelte fondamentalmente viziate: optare fra due possibilità ambedue inaccettabili. Nella sua lunga vita pubblica, Plinio Corrêa de Oliveira fu particolarmente attento a non cadere nella trappola delle forche caudine di queste false alternative. Insieme ad altri autori, egli usava l’espressione “false destre” per designare quelle correnti che, presentandosi come un’alternativa alla Rivoluzione, in realtà assorbono le reazioni buone, le sviano, le svuotano e le rendono quindi inutili, o comunque meno efficaci.

    Il Ralliement: inizio dell’equivoco

    Per non andare più indietro, possiamo fissare l’inizio di questo equivoco nella politica chiamata Ralliement lanciata da Leone XIII nel 1890.

    La Rivoluzione francese non fu soltanto antimonarchica ma anche anticattolica. La persecuzione contro la Chiesa non fu meno implacabile di quella contro la nobiltà. Il bagno di sangue che ne conseguì svegliò bruscamente una società che si era lasciata addormentare, innescando una reazione che, consolidandosi, costituirà la Contro-Rivoluzione. Dovendo affrontare il comune nemico, Trono e Altare si unirono in difesa dell’Ordine.

    Nei decenni successivi, mentre gli epigoni della Rivoluzione francese sostenevano le varie repubbliche partorite dal 1789, i contro-rivoluzionari, fedeli alla Chiesa e alla Tradizione e che si proclamavano “cattolici-monarchici”, si rifiutavano di riconoscerle. Era la posizione nota come “intransigente”. Per i cattolici intransigenti, la difesa della Fede contro il liberalismo comprendeva naturalmente il rifiuto della forma di governo che lo incarnava. Mentre i cattolici tendevano a essere monarchici, i liberali erano solitamente repubblicani.

    Intransigente fu la linea di Gregorio XVI e di Pio IX. Leone XIII adottò invece una linea pastorale diversa. In una mossa che poi egli stesso deplorerà amaramente, decise di dialogare con la Rivoluzione. Questa politica, nota come Ralliement, fu inaugurata il 12 novembre 1890 col celebre toast d’Alger che il cardinale Charles Lavigerie offrì agli ufficiali della flotta mediterranea, quasi tutti monarchici. Facendo intendere che l’ordine veniva dall’alto, il porporato disse che essi avrebbero dovuto riconciliarsi con la Repubblica. Il 16 febbraio 1892, Leone XIII conferiva un fondamento dottrinale alla sua politica con l’enciclica Au milieu des sollicitudes.

    È difficile esagerare la portata di questa svolta. Come la Rivoluzione francese fu uno spartiacque nella storia dell’umanità, il Ralliement fu uno spartiacque nella storia del cattolicesimo contemporaneo. Mentre fino ad allora la linea di fedeltà alla Chiesa era stata molto chiara – opposizione al liberalismo e alle sue conseguenze, anche temporali – il Ralliement spaccò il campo cattolico. I cattolici democratici, liberali e modernisti plaudirono la politica di Leone XIII. Altri, disorientati, accettarono senza farsi troppe domande, in spirito di fedeltà al Sommo Pontefice. Per i cattolici fedeli alla Tradizione, invece, si pose un gravissimo problema di coscienza. Dovevano accettare la linea politica del Papa, sconfessando perciò la loro militanza contro-rivoluzionaria? Oppure dovevano prendere la via della contestazione?

    Taluni fecero notare che il Papa è infallibile solo quando parla ex cathedra in rebus fidei et morum; privilegio che, però, non si estende ai suoi atti diplomatici. I cattolici erano, dunque, liberi di rifiutare il Ralliement, senza perciò compromettere la loro fedeltà alla Cattedra di Pietro. Perfettamente fondata dal punto di vista teologico, tale distinzione lasciava tuttavia i cattolici fedeli alla Tradizione vulnerabili all’accusa di essere ribelli alla linea del Pontefice.

    Sorgono le false destre

    Impediti concretamente di essere “cattolici-monarchici”, i fedeli alla Tradizione furono messi di fronte a una scelta cruciale: alcuni sceglieranno di fare i “cattolici”, e saranno quindi attratti da correnti inquinate da idee liberali, come Le Sillon; altri invece preferiranno fare i “monarchici”, essendo al contrario attratti da correnti inquinate da idee positiviste e nazionaliste, come l’Action Française

    Fu allora che, presentandosi come l’alternativa di “destra”, sorsero movimenti contro-rivoluzionari di nuovo stampo, fondati non più sull’ideale cattolico di restaurazione della civiltà cristiana, bensì su quello nazionalista o identitario.

    È il caso della summenzionata Action Française, fondata nel 1899 da Henri Vaugeois e Maurice Pujo, entrambi provenienti dalla sinistra repubblicana, e in seguito guidata da Charles Maurras. Di ispirazione positivista e nazionalista, l’Action Française difendeva il cattolicesimo non come verità soprannaturale, bensì come “religione storica del popolo francese”, e la Chiesa cattolica non come il Corpo mistico di Cristo, ma come una “componente politica” che, storicamente, aveva plasmato alcune caratteristiche della nazione francese. Parimenti, la sua difesa della monarchia non si fondava su ragioni metafisiche o religiose, bensì pragmatiche. L’Action Française sosteneva la monarchia come una venerabile istituzione francese che si era dimostrata adatta a mantenere l’ordine e la tradizione. Politique d’abord! La politica prima di tutto! Ecco il motto di Maurras.

    In assenza di un movimento cattolico contro-rivoluzionario che potesse soddisfare sia le esigenze della Fede sia quelle della militanza monarchica, molti cattolici scelsero di militare nell’Action Française, assimilandone quindi il nazionalismo positivista. Situazione non del tutto differente da quella che dovettero affrontare i cattolici italiani vent’anni dopo, costretti a scegliere fra il Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, cattolico ma di stampo murriano, e il Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, anticomunista ma non cattolico.

    Evitando le forche caudine

    Plinio Corrêa de Oliveira iniziò la sua vita pubblica nel 1928, quando entrò nelle Congregazioni Mariane, di cui divenne presto il leader. Il problema delle false destre si presentava allora con forza.

    Il trauma provocato dalla rivoluzione bolscevica del 1917 aveva avuto come contraccolpo la nascita, un po’ ovunque, di movimenti “nazionalisti”, che si imponevano come alternativa all’avanzata rossa. Privi, in molti casi, di un indirizzo di segno anticomunista, non pochi cattolici si lasciarono sedurre da questi movimenti, che sostituivano il culto dello Stato o della razza all’ideale di restaurazione cristiana.

    Il Fascismo, per esempio, si presentò come valida alternativa al caos comunista del “biennio rosso”. Infatti, fu lo stesso Vittorio Emanuele III a chiamare Mussolini al Governo per rimettere ordine in Italia. Mussolini ebbe l’accortezza di avvicinare la Chiesa, perfino firmando con essa i Patti Lateranensi che chiusero la “questione romana”, e fu lodato perciò da Pio XI come “l’uomo della Provvidenza”. Nel suo famoso Diario, Galeazzo Ciano così condensava il “vero fascismo delle origini”: “Le origini erano antibolsceviche, tradizionalistiche, in difesa della famiglia e della proprietà, in rispetto della Chiesa”. Un credo che un cattolico tradizionalista avrebbe potuto sottoscrivere. Eppure, si trattava di una falsa destra.

    Da parte sua, Hitler si presentava come alternativa al caos provocato dalla Repubblica di Weimar e, più profondamente, come reazione alla decadenza liberale borghese. Egli intendeva restaurare la Civiltà cristiana, e in concreto il Reich carolingio, una forma di Sacro Romano Impero. Non mancava chi lo paragonasse a Gesù Cristo e lo ritenesse, anzi, großer als Christ. Scrisse allora Plinio Corrêa de Oliveira: “Per corrispondere ai desideri di innumerevoli persone assetate dei valori della Civiltà Cristiana, apparve in Germania un partito che fu imitato altrove, il quale si proponeva l’insediamento di un nuovo mondo cristiano. A prima vista, nulla di più simpatico”. Non sorprende, quindi, che Hitler contasse con l’appoggio di molti cattolici, anche altolocati, come il cardinale di Vienna Theodor Innitzer. La sua ascesa al potere fu resa possibile solo con l’appoggio del partito cattolico guidato da Franz von Papen.

    Dimostrando grande indipendenza intellettuale, Plinio Corrêa de Oliveira si trovò dunque a difendere il movimento cattolico non solo dall’attacco aperto del movimento comunista, ma anche dall’infiltrazione di tendenze ed idee di stampo nazista: “I cattolici devono essere anticomunisti, antinazisti, antiliberali, antisocialisti, antimassoni... appunto perché cattolici”. Riguardo al nazismo, egli andava oltre le apparenze: “A prima vista, nulla di più simpatico. Tuttavia, se si riflettesse attentamente sul lato concreto di questa ideologia, un lato che la machiavellica propaganda rivelava solo a piccoli passi agli iniziati, che terribile delusione si sarebbe subita! Un’ideologia confusa, impregnata di evoluzionismo e materialismo storico, satura di influenze filosofiche e ideologiche pagane, un programma politico ed economico radicale e tipicamente socialista, dagli intollerabili pregiudizi razzisti. Insomma, dietro ai bramiti anticomunisti del nazismo, era proprio il comunismo che si voleva instaurare. Un comunismo insidioso, mascherato da cristiano. Un comunismo mille volte peggiore, perché mobilitava contro la Chiesa le armi sataniche dell’astuzia invece di quelle innocue ed impotenti della forza bruta. Cominciava con l’esaltare gli animi per mezzo di alcune verità, quindi li metteva in delirio con il pretesto dell’entusiasmo per tali verità, e dopo li attirava ai più terribili errori. Dunque, un comunismo che non significava la neutralizzazione dei cattivi, bensì dei buoni; la più terribile macchina di perdizione e di falsificazione che il demonio abbia generato nel corso della storia”.

    Plinio Corrêa de Oliveira trasmise questo sapiente atteggiamento alla sua opera spirituale, le Società per la difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà. In più di sessant’anni di storia, le TFP hanno dovuto affrontare non poche forche caudine, riuscendo sempre a superarle senza cadere nella trappola.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.   

  • Nelle forche caudine delle false alternative

    di Julio Loredo

    In diversi momenti negli ultimi duecento anni, i cattolici tradizionalisti o contro-rivoluzionari sono stati costretti ad affrontare delle scelte fondamentalmente viziate: optare fra due possibilità ambedue inaccettabili. Nella sua lunga vita pubblica, Plinio Corrêa de Oliveira fu particolarmente attento a non cadere nella trappola delle forche caudine di queste false alternative. Insieme ad altri autori, egli usava l’espressione “false destre” per designare quelle correnti che, presentandosi come un’alternativa alla Rivoluzione, in realtà assorbono le reazioni buone, le sviano, le svuotano e le rendono quindi inutili, o comunque meno efficaci.

    Il Ralliement: inizio dell’equivoco

    Per non andare più indietro, possiamo fissare l’inizio di questo equivoco nella politica chiamata Ralliement lanciata da Leone XIII nel 1890.

    La Rivoluzione francese non fu soltanto antimonarchica ma anche anticattolica. La persecuzione contro la Chiesa non fu meno implacabile di quella contro la nobiltà. Il bagno di sangue che ne conseguì svegliò bruscamente una società che si era lasciata addormentare, innescando una reazione che, consolidandosi, costituirà la Contro-Rivoluzione. Dovendo affrontare il comune nemico, Trono e Altare si unirono in difesa dell’Ordine.

    Nei decenni successivi, mentre gli epigoni della Rivoluzione francese sostenevano le varie repubbliche partorite dal 1789, i contro-rivoluzionari, fedeli alla Chiesa e alla Tradizione e che si proclamavano “cattolici-monarchici”, si rifiutavano di riconoscerle. Era la posizione nota come “intransigente”. Per i cattolici intransigenti, la difesa della Fede contro il liberalismo comprendeva naturalmente il rifiuto della forma di governo che lo incarnava. Mentre i cattolici tendevano a essere monarchici, i liberali erano solitamente repubblicani.

    Intransigente fu la linea di Gregorio XVI e di Pio IX. Leone XIII adottò invece una linea pastorale diversa. In una mossa che poi egli stesso deplorerà amaramente, decise di dialogare con la Rivoluzione. Questa politica, nota come Ralliement, fu inaugurata il 12 novembre 1890 col celebre toast d’Alger che il cardinale Charles Lavigerie offrì agli ufficiali della flotta mediterranea, quasi tutti monarchici. Facendo intendere che l’ordine veniva dall’alto, il porporato disse che essi avrebbero dovuto riconciliarsi con la Repubblica. Il 16 febbraio 1892, Leone XIII conferiva un fondamento dottrinale alla sua politica con l’enciclica Au milieu des sollicitudes.

    È difficile esagerare la portata di questa svolta. Come la Rivoluzione francese fu uno spartiacque nella storia dell’umanità, il Ralliement fu uno spartiacque nella storia del cattolicesimo contemporaneo. Mentre fino ad allora la linea di fedeltà alla Chiesa era stata molto chiara – opposizione al liberalismo e alle sue conseguenze, anche temporali – il Ralliement spaccò il campo cattolico. I cattolici democratici, liberali e modernisti plaudirono la politica di Leone XIII. Altri, disorientati, accettarono senza farsi troppe domande, in spirito di fedeltà al Sommo Pontefice. Per i cattolici fedeli alla Tradizione, invece, si pose un gravissimo problema di coscienza. Dovevano accettare la linea politica del Papa, sconfessando perciò la loro militanza contro-rivoluzionaria? Oppure dovevano prendere la via della contestazione?

    Taluni fecero notare che il Papa è infallibile solo quando parla ex cathedra in rebus fidei et morum; privilegio che, però, non si estende ai suoi atti diplomatici. I cattolici erano, dunque, liberi di rifiutare il Ralliement, senza perciò compromettere la loro fedeltà alla Cattedra di Pietro. Perfettamente fondata dal punto di vista teologico, tale distinzione lasciava tuttavia i cattolici fedeli alla Tradizione vulnerabili all’accusa di essere ribelli alla linea del Pontefice.

    Sorgono le false destre

    Impediti concretamente di essere “cattolici-monarchici”, i fedeli alla Tradizione furono messi di fronte a una scelta cruciale: alcuni sceglieranno di fare i “cattolici”, e saranno quindi attratti da correnti inquinate da idee liberali, come Le Sillon; altri invece preferiranno fare i “monarchici”, essendo al contrario attratti da correnti inquinate da idee positiviste e nazionaliste, come l’Action Française

    Fu allora che, presentandosi come l’alternativa di “destra”, sorsero movimenti contro-rivoluzionari di nuovo stampo, fondati non più sull’ideale cattolico di restaurazione della civiltà cristiana, bensì su quello nazionalista o identitario.

    È il caso della summenzionata Action Française, fondata nel 1899 da Henri Vaugeois e Maurice Pujo, entrambi provenienti dalla sinistra repubblicana, e in seguito guidata da Charles Maurras. Di ispirazione positivista e nazionalista, l’Action Française difendeva il cattolicesimo non come verità soprannaturale, bensì come “religione storica del popolo francese”, e la Chiesa cattolica non come il Corpo mistico di Cristo, ma come una “componente politica” che, storicamente, aveva plasmato alcune caratteristiche della nazione francese. Parimenti, la sua difesa della monarchia non si fondava su ragioni metafisiche o religiose, bensì pragmatiche. L’Action Française sosteneva la monarchia come una venerabile istituzione francese che si era dimostrata adatta a mantenere l’ordine e la tradizione. Politique d’abord! La politica prima di tutto! Ecco il motto di Maurras.

    In assenza di un movimento cattolico contro-rivoluzionario che potesse soddisfare sia le esigenze della Fede sia quelle della militanza monarchica, molti cattolici scelsero di militare nell’Action Française, assimilandone quindi il nazionalismo positivista. Situazione non del tutto differente da quella che dovettero affrontare i cattolici italiani vent’anni dopo, costretti a scegliere fra il Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, cattolico ma di stampo murriano, e il Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, anticomunista ma non cattolico.

    Evitando le forche caudine

    Plinio Corrêa de Oliveira iniziò la sua vita pubblica nel 1928, quando entrò nelle Congregazioni Mariane, di cui divenne presto il leader. Il problema delle false destre si presentava allora con forza.

    Il trauma provocato dalla rivoluzione bolscevica del 1917 aveva avuto come contraccolpo la nascita, un po’ ovunque, di movimenti “nazionalisti”, che si imponevano come alternativa all’avanzata rossa. Privi, in molti casi, di un indirizzo di segno anticomunista, non pochi cattolici si lasciarono sedurre da questi movimenti, che sostituivano il culto dello Stato o della razza all’ideale di restaurazione cristiana.

    Il Fascismo, per esempio, si presentò come valida alternativa al caos comunista del “biennio rosso”. Infatti, fu lo stesso Vittorio Emanuele III a chiamare Mussolini al Governo per rimettere ordine in Italia. Mussolini ebbe l’accortezza di avvicinare la Chiesa, perfino firmando con essa i Patti Lateranensi che chiusero la “questione romana”, e fu lodato perciò da Pio XI come “l’uomo della Provvidenza”. Nel suo famoso Diario, Galeazzo Ciano così condensava il “vero fascismo delle origini”: “Le origini erano antibolsceviche, tradizionalistiche, in difesa della famiglia e della proprietà, in rispetto della Chiesa”. Un credo che un cattolico tradizionalista avrebbe potuto sottoscrivere. Eppure, si trattava di una falsa destra.

    Da parte sua, Hitler si presentava come alternativa al caos provocato dalla Repubblica di Weimar e, più profondamente, come reazione alla decadenza liberale borghese. Egli intendeva restaurare la Civiltà cristiana, e in concreto il Reich carolingio, una forma di Sacro Romano Impero. Non mancava chi lo paragonasse a Gesù Cristo e lo ritenesse, anzi, großer als Christ. Scrisse allora Plinio Corrêa de Oliveira: “Per corrispondere ai desideri di innumerevoli persone assetate dei valori della Civiltà Cristiana, apparve in Germania un partito che fu imitato altrove, il quale si proponeva l’insediamento di un nuovo mondo cristiano. A prima vista, nulla di più simpatico”. Non sorprende, quindi, che Hitler contasse con l’appoggio di molti cattolici, anche altolocati, come il cardinale di Vienna Theodor Innitzer. La sua ascesa al potere fu resa possibile solo con l’appoggio del partito cattolico guidato da Franz von Papen.

    Dimostrando grande indipendenza intellettuale, Plinio Corrêa de Oliveira si trovò dunque a difendere il movimento cattolico non solo dall’attacco aperto del movimento comunista, ma anche dall’infiltrazione di tendenze ed idee di stampo nazista: “I cattolici devono essere anticomunisti, antinazisti, antiliberali, antisocialisti, antimassoni... appunto perché cattolici”. Riguardo al nazismo, egli andava oltre le apparenze: “A prima vista, nulla di più simpatico. Tuttavia, se si riflettesse attentamente sul lato concreto di questa ideologia, un lato che la machiavellica propaganda rivelava solo a piccoli passi agli iniziati, che terribile delusione si sarebbe subita! Un’ideologia confusa, impregnata di evoluzionismo e materialismo storico, satura di influenze filosofiche e ideologiche pagane, un programma politico ed economico radicale e tipicamente socialista, dagli intollerabili pregiudizi razzisti. Insomma, dietro ai bramiti anticomunisti del nazismo, era proprio il comunismo che si voleva instaurare. Un comunismo insidioso, mascherato da cristiano. Un comunismo mille volte peggiore, perché mobilitava contro la Chiesa le armi sataniche dell’astuzia invece di quelle innocue ed impotenti della forza bruta. Cominciava con l’esaltare gli animi per mezzo di alcune verità, quindi li metteva in delirio con il pretesto dell’entusiasmo per tali verità, e dopo li attirava ai più terribili errori. Dunque, un comunismo che non significava la neutralizzazione dei cattivi, bensì dei buoni; la più terribile macchina di perdizione e di falsificazione che il demonio abbia generato nel corso della storia”.

    Plinio Corrêa de Oliveira trasmise questo sapiente atteggiamento alla sua opera spirituale, le Società per la difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà. In più di sessant’anni di storia, le TFP hanno dovuto affrontare non poche forche caudine, riuscendo sempre a superarle senza cadere nella trappola.

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