Leone XIII

  • Cattolici liberali: "L'unica regola di salvezza è stare con il Papa vivente" (purché sia​​uno di loro...)

     

     

    di José Antonio Ureta

    In un precedente articolo abbiamo fugato il malinteso che ha portato alcuni tradizionalisti ad accusare gli ultramontani e un cosiddetto “spirito del Vaticano I“ di essere responsabili della deriva ‘papolatrica’ di certi cattolici che pensano che bisogna obbedire al Papa anche quando agisce contro l'insegnamento tradizionale della Chiesa. Nelle righe che seguono dimostreremo che non furono gli ultramontani, bensì i cattolici liberali ad estendere i limiti dell'infallibilità del Papa ben oltre quelli fissati dalla costituzione dogmatica Pastor Aeternus.

    Questa deriva iniziò durante la politica di ralliement con la Repubblica imposta da papa Leone XIII ai cattolici francesi, una linea di condotta accolta con entusiasmo dai cattolici liberali i quali volevano conciliare la Chiesa con la modernità rivoluzionaria, mentre gli ultramontani si opposero a questa indebita ingerenza del Papa negli affari temporali della Francia sottolineando i limiti del suo potere magisteriale (ndt, in italiano ralliementsi potrebbe tradurre come allineamento).

    L'episodio è stato magistralmente analizzato dal prof. Roberto de Mattei, nel suo libro “Il Ralliement di Leone XIII - Il fallimento di un progetto pastorale”1. Per evitare la separazione tra Chiesa e Stato francese, papa Pecci esortò i cattolici a unirsi alla Repubblica e a combattere le leggi anticlericali all'interno del sistema repubblicano. In questo modo, la diplomazia vaticana voleva ottenere la benevolenza del governo francese per recuperare i territori che il Regno d'Italia aveva sottratto alla Santa Sede.

    La nuova politica di Leone XIII si scontrava con due grosse difficoltà: da una parte, le elezioni avevano portato al potere in Francia governi massonici e laici, che avevano introdotto il divorzio, espulso i gesuiti, proibito a sacerdoti e religiosi di insegnare nelle scuole pubbliche, abolito l'educazione religiosa nelle scuole e imposto ai chierici il servizio militare; dall'altro, essa vanificava le convinzioni monarchiche della maggioranza del clero e dei laici francesi.

    Papa Leone XIII era un intellettuale dai principi solidi ma dal cuore liberale. Ingenuamente credeva che, per disinnescare l'anticlericalismo dei repubblicani, fosse sufficiente convincerli che la Chiesa non si opponeva alla Repubblica, ma solo al loro secolarismo. Al contrario del Papa, i fedeli francesi vedevano chiaramente che il programma di scristianizzazione della Francia non era un elemento accessorio, ma la stessa ragion d'essere del regime repubblicano. Per loro, accettare la Repubblica significava accettare lo “spirito repubblicano", cioè l'impronta egualitaria e antireligiosa dell'ideologia rivoluzionaria del 1789 su tutta la società.

    Il cardinale Lavigerie, arcivescovo di Algeri, fu scelto da Leone XIII come "intermediario autorizzato" tra Parigi e il Vaticano per la realizzazione del ralliement. Ad un ricevimento per gli ufficiali della flotta da guerra francese del Mediterraneo, propose un brindisi per esortarli ad accettare la forma repubblicana di governo, sostenendo che l'unione di tutti i buoni cittadini era il bisogno supremo della Francia e "il primo desiderio della Chiesa e dei suoi Pastori".

    Pochi mesi dopo, Leone XIII stesso entrò nella mischia concedendo un'intervista (la prima mai rilasciata da un Sovrano Pontefice) a un quotidiano parigino filogovernativo, Le Petit Journal, in cui dichiarò: "Ognuno può mantenere le sue preferenze intime, ma nel campo dell'azione, non c'è altro che il governo che la Francia si è dato. La repubblica è una forma di governo legittima come qualsiasi altra". Tre giorni dopo uscì la sua enciclica Au Milieu des sollicitudes, seguita poco dopo dalla lettera apostolica Notre consolation a été grande, in cui il Papa insisteva sulla sua idea di "accettare senza seconde intenzioni, con quella perfetta lealtà che si addice a un cristiano, il potere civile nella forma in cui esiste di fatto".

    Il problema di coscienza che questa svolta poneva ai cattolici abituati a combattere la Repubblica massonica era simile, in termini attuali, a quello sollevato dal cardinale Joseph Zen e dai cattolici della Chiesa clandestina di fronte al nefasto accordo firmato tra la Santa Sede e il regime comunista cinese.

    La maggioranza dell'episcopato francese dell'epoca accolse freddamente questa politica di ralliement, e alcune note figure della corrente ultramontana, come Mons. Charles-Émile Freppel, vescovo di Angers, vi si opposero apertamente. Il cardinale Lavigerie aprì allora il ballo del "magisterialismo", cioè, l'errore di conferire più importanza agli insegnamenti e ai gesti del pontefice del momento che a quelli della Tradizione. Accusando gli "intransigenti" che si appellavano a Pio IX per opporsi a Leone XIII, dichiarò: «La sola regola di salvezza e di vita nella Chiesa è quella di essere dalla parte del Papa, del Papa vivente. Chiunque esso sia»2.

    La stessa istruzione arrivò ben presto dal Papa stesso in relazione a una lettera del cardinale Giovanni Battista Pitra, uno dei principali rappresentanti del "partito piano" (partito di Pio IX). Un corrispondente olandese pubblicò il testo che aveva ricevuto dal cardinale, il quale nella sua parte più importante difendeva i giornalisti ultramontani e lodava l'espansione cattolica avvenuta sotto Pio IX, senza dire una parola sul suo successore. Una campagna di stampa si scatenò contro il vecchio cardinale, accusandolo di voler opporre una politica personale a quella di Leone XIII. Un giornale belga arrivò ad accusarlo di essere "il capo scismatico di una piccola chiesa che vuole dare lezioni al papa, atteggiandosi a più papista di lui". La stampa laica si unì ai giornali cattolici liberali nel chiedere la punizione del cardinale.

    Su istigazione del cardinale Lavigerie, il Papa fece pubblicare sull'Osservatore Romanouna lettera che aveva scritto al cardinale arcivescovo di Parigi, in cui esigeva l'obbedienza dei fedeli in una questione esclusivamente politica che non aveva nulla a che fare con la fede, la morale o la disciplina ecclesiastica. Sarebbe come se Papa Francesco imponesse le sue convinzioni sull'immigrazione o sul cambiamento climatico come obbligatorie. L'abuso di potere magisteriale manifestato nella lettera di Leone XIII meriterebbe di essere trascritto per intero, ma ciò supererebbe le dimensioni di un articolo. Ecco alcuni degli estratti più significativi (i commenti in corsivo e tra parentesi quadre sono nostri):

    "Non è difficile vedere che tra i cattolici ci sono alcuni, forse a causa dei tempi sventurati, che, non contenti del ruolo di sottomissione assegnato loro nella Chiesa, pensano di poterne assumere uno nel suo governo. Per dire il meno, immaginano di poter esaminare e giudicare gli atti dell’autorità secondo il loro modo di vedere le cose. Questo sarebbe un grave disordine se dovesse prevalere nella Chiesa di Dio, dove, per espressa volontà del suo divino Fondatore, sono stati stabiliti due ordini chiaramente distinti: la Chiesa docente e la Chiesa discente (ndt, la Chiesa che insegna e quella che viene istruita), i Pastori e il gregge, e tra i Pastori, uno di loro che è per tutti il Capo e il Supremo Pastore. Ai soli pastori è stato dato il pieno potere di insegnare, di giudicare, di dirigere; ai fedeli è stato imposto il dovere di seguire questi insegnamenti, di sottomettersi con docilità a questi giudizi, di lasciarsi governare, correggere e condurre alla salvezza. [Certamente è così in materia di fede, morale e disciplina ecclesiastica, ma non in tutto il resto, in cui i fedeli sono liberi di avere un'opinione personale].

    "Così, è assolutamente necessario che i semplici fedeli si sottomettano nella mente e nel cuore ai propri pastori, e questi con loro al Capo e Pastore Supremo. Da questa subordinazione, da questa obbedienza, dipendono l'ordine e la vita della Chiesa. È la condizione indispensabile per fare del bene e per arrivare felicemente in porto. Se invece i semplici fedeli si attribuiscono un'autorità, se pretendono di erigersi a giudici e dottori; se gli inferiori preferiscono o cercano di far prevalere, nel governo della Chiesa universale, una direzione diversa da quella dell'autorità suprema, si tratta, da parte loro, di capovolgere l'ordine, di arrecare confusione in un gran numero di menti e di abbandonare la retta via. [Il ralliement non riguardava il governo della Chiesa, ma l'atteggiamento politico dei cattolici francesi verso il loro governo; i fedeli non erano dunque obbligati a seguire i loro pastori in questa materia].

    "E non è necessario, per venir meno a un così sacro dovere, fare un atto di aperta opposizione sia ai vescovi che al Capo della Chiesa: basta che questa opposizione venga fatta in modo indiretto, tanto più pericoloso perché si cerca maggiormente di velarla con apparenze contrarie. [Questo era un riferimento agli ultramontani campioni dell'infallibilità papale].

    "È anche un segno di sottomissione insincera stabilire un'opposizione tra Sommo Pontefice e Sommo Pontefice [questo suona familiare…]. Coloro che, tra due diverse direzioni, rifiutano quella del presente attenendosi a quella del passato, non mostrano obbedienza all'autorità, la quale ha il diritto e il dovere di dirigerli, e assomigliano per certi aspetti a coloro che, dopo una condanna, vorrebbero appellarsi a un futuro Concilio o a un Papa più informato. [Un altro attacco agli ultramontani accusandoli di essere diventati conciliaristi].

    E in una manifestazione fino ad allora sconosciuta di centralismo e persino di autoritarismo, Leone XIII aggiunse:

    "Ciò da ritenere su questo punto è che, quindi, nel governo generale della Chiesa, a parte i doveri essenziali del ministero apostolico imposti a tutti i Pontefici, è nella libertà di ciascuno di essi seguire la regola di condotta che, secondo i tempi e le altre circostanze, giudica migliore. In questo egli è l'unico giudice, avendo in questa materia non solo intuizioni speciali, ma anche una conoscenza della situazione generale e dei bisogni della cattolicità, secondo la quale la sua sollecitudine apostolica deve essere regolata. [Ma il Papa è infallibile in tutto ciò che intraprende? Si può avere un giudizio contrario?]Egli è colui che deve procurare il bene della Chiesa universale, al quale è ordinato il bene delle sue varie parti, e tutti coloro che sono soggetti a questo ordinamento devono assecondare l'azione del Direttore Supremo e servire i suoi scopi. [No, se credono in coscienza che sbaglia]Così come la Chiesa è una, il suo Capo è uno solo, e così anche il suo governo, al quale tutti devono conformarsi»3. [L'attuale diritto canonico riconosce il diritto dei fedeli di esprimere il loro disaccordo con il rispetto dovuto ai pastori].

    Sei giorni dopo, uno dei principali parroci di Parigi descriveva così il nuovo clima nella Chiesa: «I vescovi devono riconoscere e proclamare che il Papa ha sempre ragione. I parroci devono proclamare e riconoscere che il loro vescovo ha sempre ragione. I fedeli devono riconoscere e proclamare che il loro parroco, in unione con il suo vescovo e unito al Papa, ha sempre ragione. È come la gendarmeria; ma è poco pratico e la storia testimonia che tutto ciò è stato poco pratico»4.

    Il cardinale Lavigerie, invece, si congratulava con Leone XIII per aver resistito ai venti di malcontento provenienti dai fedeli e dai giornali ultramontani: «Con questo vigoroso atto pontificale, Sua Santità ha condannato un nuovo genere di tirannia, che tentava di imporsi sulla gerarchia cattolica»5.

    Dopo la pubblicazione dell'enciclica Au milieu des sollicitudes, il Papa rafforzò la sua posizione, pur riconoscendo che si trattava di una questione temporale. Così scriveva al vescovo di Grenoble:

    "Ci sono alcuni, dispiace dirlo, che mentre protestano del loro cattolicesimo, si credono in diritto di essere refrattari all’indirizzo dato dal Capo della Chiesa, con il pretesto che sarebbe un indirizzo politico. E beh! Di fronte alle loro pretese erronee noi manteniamo in tutta l’integrità ogni nostro atto precedentemente emanato e diciamo ancora: 'No, senza dubbio, noi non cerchiamo di fare politica, ma quando la politica è strettamente connessa con gli interessi religiosi, come sta accadendo attualmente in Francia, se qualcuno ha la missione di determinare la condotta che può effettivamente salvaguardare gli interessi religiosi, nei quali consiste il fine supremo delle cose, è il Romano Pontefice»6.

    Al momento della pubblicazione dell'enciclica, il sig. Émile Ollivier - tutt'altro che ultramontano giacché era stato ministro dell'imperatore Napoleone III - scrisse quanto segue in una colonna del Figaro:

    «In attesa che il futuro si pronunci tra Pio IX e Leone XIII, la scelta tra le due opinioni è libera; in quanto si può dire, come gli antichi, non de fide, non si tratta di fede. Quanto a coloro che considerano la lettera pontificia una definizione ex cathedra, stare a discutere con loro è come perdere tempo. Bisogna rimandarli a scuola»7.

    L'ex ministro bonapartista non stava per nulla esagerando. Due professori di teologia morale avevano concluso che le direttive papali obbligavano sotto pena di peccato mortale; due giornali cattolici liberali avevano dichiarato che chi continuava a sostenere pubblicamente la monarchia commetteva un peccato grave, e alcuni fedeli erano stati privati dell'assoluzione per aver commesso il "peccato di monarchia". Il cardinale Ferrata, ex nunzio a Parigi, commentò nelle sue memorie che la lettera apostolica Notre consolation"escludeva ormai qualsiasi equivoco: la si doveva accettare o dichiararsi ribelli alle parole del Papa»8.

    Gli ultramontani evitarono entrambe le insidie. Non si schierarono né con la Repubblica massonica, come voleva Leone XIII, né si ribellarono alla sua autorità: semplicemente resistettero, come San Paolo aveva "resistito in faccia" a San Pietro (Gal 2,16).

    Tra l'ottobre 1891 e il febbraio 1894, un piccolo gruppo di religiosi e laici si riunì mensilmente in un'associazione ad hoc che chiamarono Notre-Dame-de-Nazareth per "agire sul prossimo conclave e fare in modo che all'attuale Papa non venga dato un successore che continui i suoi errori liberali e politici, così dannosi per la Chiesa". Il principale leader del gruppo, padre Charles Maignen, lesse nel luglio 1892 un suo scritto "le cui conclusioni sono tali da calmare le inquietudini dei cattolici francesi che rifiutano, per ragioni di coscienza, di aderire a un governo che perseguita la Chiesa". Infatti, asseriva, "Leone XIII non ha agito in virtù del potere spirituale che il Sommo Pontefice può esercitare indirettamente nell'ordine temporale [ratione peccati]; di conseguenza, i suoi insegnamenti, i suoi consigli o anche i suoi ordini non vincolano i cattolici francesi in coscienza". In un altro studio mai pubblicato, intitolato Un pape légitime, peut-il cesser d'être pape? (ndt, Può un papa legittimo cessare di essere papa?), padre Maignen affrontò addirittura il delicato problema del papa eretico9.

    Si può quindi concludere senza esitazione che l'esagerata devozione e sottomissione al Papa, fino al punto di credersi obbligati ad obbedirgli in questioni non legate alla fede o quando insegna o comanda l'errore, non viene da un ultramontanismo esagerato o da un presunto "spirito del Vaticano I" ma, al contrario, dalla corrente cattolico-liberale.

    Del resto, quale fu il risultato di questa politica di «allineamento» (ralliement) verso la Repubblica? Un fallimento totale, riconosciuto dallo stesso Leone XIII. Poco prima della sua morte, concesse un'udienza a Jules Méline, ex presidente del Consiglio francese, al quale disse: "Mi sono sinceramente legato alla Repubblica e ciò non ha impedito al governo attuale di riconoscere i miei sentimenti e di non tenerne alcun conto. Ha scatenato una guerra religiosa che deploro, e che fa ancora più male alla Francia che alla religione»10.

    Presto Papa Francesco dovrà dire la stessa cosa - se sarà sincero come il suo predecessore - del suo accordo con Xi Jinping. E ammettere che era il cardinale Zen ad avere ragione.

     

    Note

    1. Editrice Le Lettere, Firenze 2014, 365 p.
    2. Roberto de Mattei, op. cit.p. 115
    3. https://archidiacre.wordpress.com/2020/05/26/leon-xiii-lettre-epistola-tua-17-juin-1885/
    4. Roberto de Mattei, op. cit.p. 132.
    5. Ibidem,p. 132.
    6. Ibidem,p. 332.
    7. Ibidem, p.186.
    8. Ibidem, p. 191.
    9. Ibidem, p. 276-277-278
    10. Ibidem,p. 250.

     

    Fonte: Onepeterfive, 19 Ottobre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Cattolici liberali: "L'unica regola di salvezza è stare con il Papa vivente" (purché sia​​uno di loro...)

     

     

    di José Antonio Ureta

    In un precedente articolo abbiamo fugato il malinteso che ha portato alcuni tradizionalisti ad accusare gli ultramontani e un cosiddetto “spirito del Vaticano I“ di essere responsabili della deriva ‘papolatrica’ di certi cattolici che pensano che bisogna obbedire al Papa anche quando agisce contro l'insegnamento tradizionale della Chiesa. Nelle righe che seguono dimostreremo che non furono gli ultramontani, bensì i cattolici liberali ad estendere i limiti dell'infallibilità del Papa ben oltre quelli fissati dalla costituzione dogmatica Pastor Aeternus.

    Questa deriva iniziò durante la politica di ralliement con la Repubblica imposta da papa Leone XIII ai cattolici francesi, una linea di condotta accolta con entusiasmo dai cattolici liberali i quali volevano conciliare la Chiesa con la modernità rivoluzionaria, mentre gli ultramontani si opposero a questa indebita ingerenza del Papa negli affari temporali della Francia sottolineando i limiti del suo potere magisteriale (ndt, in italiano ralliementsi potrebbe tradurre come allineamento).

    L'episodio è stato magistralmente analizzato dal prof. Roberto de Mattei, nel suo libro “Il Ralliement di Leone XIII - Il fallimento di un progetto pastorale”1. Per evitare la separazione tra Chiesa e Stato francese, papa Pecci esortò i cattolici a unirsi alla Repubblica e a combattere le leggi anticlericali all'interno del sistema repubblicano. In questo modo, la diplomazia vaticana voleva ottenere la benevolenza del governo francese per recuperare i territori che il Regno d'Italia aveva sottratto alla Santa Sede.

    La nuova politica di Leone XIII si scontrava con due grosse difficoltà: da una parte, le elezioni avevano portato al potere in Francia governi massonici e laici, che avevano introdotto il divorzio, espulso i gesuiti, proibito a sacerdoti e religiosi di insegnare nelle scuole pubbliche, abolito l'educazione religiosa nelle scuole e imposto ai chierici il servizio militare; dall'altro, essa vanificava le convinzioni monarchiche della maggioranza del clero e dei laici francesi.

    Papa Leone XIII era un intellettuale dai principi solidi ma dal cuore liberale. Ingenuamente credeva che, per disinnescare l'anticlericalismo dei repubblicani, fosse sufficiente convincerli che la Chiesa non si opponeva alla Repubblica, ma solo al loro secolarismo. Al contrario del Papa, i fedeli francesi vedevano chiaramente che il programma di scristianizzazione della Francia non era un elemento accessorio, ma la stessa ragion d'essere del regime repubblicano. Per loro, accettare la Repubblica significava accettare lo “spirito repubblicano", cioè l'impronta egualitaria e antireligiosa dell'ideologia rivoluzionaria del 1789 su tutta la società.

    Il cardinale Lavigerie, arcivescovo di Algeri, fu scelto da Leone XIII come "intermediario autorizzato" tra Parigi e il Vaticano per la realizzazione del ralliement. Ad un ricevimento per gli ufficiali della flotta da guerra francese del Mediterraneo, propose un brindisi per esortarli ad accettare la forma repubblicana di governo, sostenendo che l'unione di tutti i buoni cittadini era il bisogno supremo della Francia e "il primo desiderio della Chiesa e dei suoi Pastori".

    Pochi mesi dopo, Leone XIII stesso entrò nella mischia concedendo un'intervista (la prima mai rilasciata da un Sovrano Pontefice) a un quotidiano parigino filogovernativo, Le Petit Journal, in cui dichiarò: "Ognuno può mantenere le sue preferenze intime, ma nel campo dell'azione, non c'è altro che il governo che la Francia si è dato. La repubblica è una forma di governo legittima come qualsiasi altra". Tre giorni dopo uscì la sua enciclica Au Milieu des sollicitudes, seguita poco dopo dalla lettera apostolica Notre consolation a été grande, in cui il Papa insisteva sulla sua idea di "accettare senza seconde intenzioni, con quella perfetta lealtà che si addice a un cristiano, il potere civile nella forma in cui esiste di fatto".

    Il problema di coscienza che questa svolta poneva ai cattolici abituati a combattere la Repubblica massonica era simile, in termini attuali, a quello sollevato dal cardinale Joseph Zen e dai cattolici della Chiesa clandestina di fronte al nefasto accordo firmato tra la Santa Sede e il regime comunista cinese.

    La maggioranza dell'episcopato francese dell'epoca accolse freddamente questa politica di ralliement, e alcune note figure della corrente ultramontana, come Mons. Charles-Émile Freppel, vescovo di Angers, vi si opposero apertamente. Il cardinale Lavigerie aprì allora il ballo del "magisterialismo", cioè, l'errore di conferire più importanza agli insegnamenti e ai gesti del pontefice del momento che a quelli della Tradizione. Accusando gli "intransigenti" che si appellavano a Pio IX per opporsi a Leone XIII, dichiarò: «La sola regola di salvezza e di vita nella Chiesa è quella di essere dalla parte del Papa, del Papa vivente. Chiunque esso sia»2.

    La stessa istruzione arrivò ben presto dal Papa stesso in relazione a una lettera del cardinale Giovanni Battista Pitra, uno dei principali rappresentanti del "partito piano" (partito di Pio IX). Un corrispondente olandese pubblicò il testo che aveva ricevuto dal cardinale, il quale nella sua parte più importante difendeva i giornalisti ultramontani e lodava l'espansione cattolica avvenuta sotto Pio IX, senza dire una parola sul suo successore. Una campagna di stampa si scatenò contro il vecchio cardinale, accusandolo di voler opporre una politica personale a quella di Leone XIII. Un giornale belga arrivò ad accusarlo di essere "il capo scismatico di una piccola chiesa che vuole dare lezioni al papa, atteggiandosi a più papista di lui". La stampa laica si unì ai giornali cattolici liberali nel chiedere la punizione del cardinale.

    Su istigazione del cardinale Lavigerie, il Papa fece pubblicare sull'Osservatore Romanouna lettera che aveva scritto al cardinale arcivescovo di Parigi, in cui esigeva l'obbedienza dei fedeli in una questione esclusivamente politica che non aveva nulla a che fare con la fede, la morale o la disciplina ecclesiastica. Sarebbe come se Papa Francesco imponesse le sue convinzioni sull'immigrazione o sul cambiamento climatico come obbligatorie. L'abuso di potere magisteriale manifestato nella lettera di Leone XIII meriterebbe di essere trascritto per intero, ma ciò supererebbe le dimensioni di un articolo. Ecco alcuni degli estratti più significativi (i commenti in corsivo e tra parentesi quadre sono nostri):

    "Non è difficile vedere che tra i cattolici ci sono alcuni, forse a causa dei tempi sventurati, che, non contenti del ruolo di sottomissione assegnato loro nella Chiesa, pensano di poterne assumere uno nel suo governo. Per dire il meno, immaginano di poter esaminare e giudicare gli atti dell’autorità secondo il loro modo di vedere le cose. Questo sarebbe un grave disordine se dovesse prevalere nella Chiesa di Dio, dove, per espressa volontà del suo divino Fondatore, sono stati stabiliti due ordini chiaramente distinti: la Chiesa docente e la Chiesa discente (ndt, la Chiesa che insegna e quella che viene istruita), i Pastori e il gregge, e tra i Pastori, uno di loro che è per tutti il Capo e il Supremo Pastore. Ai soli pastori è stato dato il pieno potere di insegnare, di giudicare, di dirigere; ai fedeli è stato imposto il dovere di seguire questi insegnamenti, di sottomettersi con docilità a questi giudizi, di lasciarsi governare, correggere e condurre alla salvezza. [Certamente è così in materia di fede, morale e disciplina ecclesiastica, ma non in tutto il resto, in cui i fedeli sono liberi di avere un'opinione personale].

    "Così, è assolutamente necessario che i semplici fedeli si sottomettano nella mente e nel cuore ai propri pastori, e questi con loro al Capo e Pastore Supremo. Da questa subordinazione, da questa obbedienza, dipendono l'ordine e la vita della Chiesa. È la condizione indispensabile per fare del bene e per arrivare felicemente in porto. Se invece i semplici fedeli si attribuiscono un'autorità, se pretendono di erigersi a giudici e dottori; se gli inferiori preferiscono o cercano di far prevalere, nel governo della Chiesa universale, una direzione diversa da quella dell'autorità suprema, si tratta, da parte loro, di capovolgere l'ordine, di arrecare confusione in un gran numero di menti e di abbandonare la retta via. [Il ralliement non riguardava il governo della Chiesa, ma l'atteggiamento politico dei cattolici francesi verso il loro governo; i fedeli non erano dunque obbligati a seguire i loro pastori in questa materia].

    "E non è necessario, per venir meno a un così sacro dovere, fare un atto di aperta opposizione sia ai vescovi che al Capo della Chiesa: basta che questa opposizione venga fatta in modo indiretto, tanto più pericoloso perché si cerca maggiormente di velarla con apparenze contrarie. [Questo era un riferimento agli ultramontani campioni dell'infallibilità papale].

    "È anche un segno di sottomissione insincera stabilire un'opposizione tra Sommo Pontefice e Sommo Pontefice [questo suona familiare…]. Coloro che, tra due diverse direzioni, rifiutano quella del presente attenendosi a quella del passato, non mostrano obbedienza all'autorità, la quale ha il diritto e il dovere di dirigerli, e assomigliano per certi aspetti a coloro che, dopo una condanna, vorrebbero appellarsi a un futuro Concilio o a un Papa più informato. [Un altro attacco agli ultramontani accusandoli di essere diventati conciliaristi].

    E in una manifestazione fino ad allora sconosciuta di centralismo e persino di autoritarismo, Leone XIII aggiunse:

    "Ciò da ritenere su questo punto è che, quindi, nel governo generale della Chiesa, a parte i doveri essenziali del ministero apostolico imposti a tutti i Pontefici, è nella libertà di ciascuno di essi seguire la regola di condotta che, secondo i tempi e le altre circostanze, giudica migliore. In questo egli è l'unico giudice, avendo in questa materia non solo intuizioni speciali, ma anche una conoscenza della situazione generale e dei bisogni della cattolicità, secondo la quale la sua sollecitudine apostolica deve essere regolata. [Ma il Papa è infallibile in tutto ciò che intraprende? Si può avere un giudizio contrario?]Egli è colui che deve procurare il bene della Chiesa universale, al quale è ordinato il bene delle sue varie parti, e tutti coloro che sono soggetti a questo ordinamento devono assecondare l'azione del Direttore Supremo e servire i suoi scopi. [No, se credono in coscienza che sbaglia]Così come la Chiesa è una, il suo Capo è uno solo, e così anche il suo governo, al quale tutti devono conformarsi»3. [L'attuale diritto canonico riconosce il diritto dei fedeli di esprimere il loro disaccordo con il rispetto dovuto ai pastori].

    Sei giorni dopo, uno dei principali parroci di Parigi descriveva così il nuovo clima nella Chiesa: «I vescovi devono riconoscere e proclamare che il Papa ha sempre ragione. I parroci devono proclamare e riconoscere che il loro vescovo ha sempre ragione. I fedeli devono riconoscere e proclamare che il loro parroco, in unione con il suo vescovo e unito al Papa, ha sempre ragione. È come la gendarmeria; ma è poco pratico e la storia testimonia che tutto ciò è stato poco pratico»4.

    Il cardinale Lavigerie, invece, si congratulava con Leone XIII per aver resistito ai venti di malcontento provenienti dai fedeli e dai giornali ultramontani: «Con questo vigoroso atto pontificale, Sua Santità ha condannato un nuovo genere di tirannia, che tentava di imporsi sulla gerarchia cattolica»5.

    Dopo la pubblicazione dell'enciclica Au milieu des sollicitudes, il Papa rafforzò la sua posizione, pur riconoscendo che si trattava di una questione temporale. Così scriveva al vescovo di Grenoble:

    "Ci sono alcuni, dispiace dirlo, che mentre protestano del loro cattolicesimo, si credono in diritto di essere refrattari all’indirizzo dato dal Capo della Chiesa, con il pretesto che sarebbe un indirizzo politico. E beh! Di fronte alle loro pretese erronee noi manteniamo in tutta l’integrità ogni nostro atto precedentemente emanato e diciamo ancora: 'No, senza dubbio, noi non cerchiamo di fare politica, ma quando la politica è strettamente connessa con gli interessi religiosi, come sta accadendo attualmente in Francia, se qualcuno ha la missione di determinare la condotta che può effettivamente salvaguardare gli interessi religiosi, nei quali consiste il fine supremo delle cose, è il Romano Pontefice»6.

    Al momento della pubblicazione dell'enciclica, il sig. Émile Ollivier - tutt'altro che ultramontano giacché era stato ministro dell'imperatore Napoleone III - scrisse quanto segue in una colonna del Figaro:

    «In attesa che il futuro si pronunci tra Pio IX e Leone XIII, la scelta tra le due opinioni è libera; in quanto si può dire, come gli antichi, non de fide, non si tratta di fede. Quanto a coloro che considerano la lettera pontificia una definizione ex cathedra, stare a discutere con loro è come perdere tempo. Bisogna rimandarli a scuola»7.

    L'ex ministro bonapartista non stava per nulla esagerando. Due professori di teologia morale avevano concluso che le direttive papali obbligavano sotto pena di peccato mortale; due giornali cattolici liberali avevano dichiarato che chi continuava a sostenere pubblicamente la monarchia commetteva un peccato grave, e alcuni fedeli erano stati privati dell'assoluzione per aver commesso il "peccato di monarchia". Il cardinale Ferrata, ex nunzio a Parigi, commentò nelle sue memorie che la lettera apostolica Notre consolation"escludeva ormai qualsiasi equivoco: la si doveva accettare o dichiararsi ribelli alle parole del Papa»8.

    Gli ultramontani evitarono entrambe le insidie. Non si schierarono né con la Repubblica massonica, come voleva Leone XIII, né si ribellarono alla sua autorità: semplicemente resistettero, come San Paolo aveva "resistito in faccia" a San Pietro (Gal 2,16).

    Tra l'ottobre 1891 e il febbraio 1894, un piccolo gruppo di religiosi e laici si riunì mensilmente in un'associazione ad hoc che chiamarono Notre-Dame-de-Nazareth per "agire sul prossimo conclave e fare in modo che all'attuale Papa non venga dato un successore che continui i suoi errori liberali e politici, così dannosi per la Chiesa". Il principale leader del gruppo, padre Charles Maignen, lesse nel luglio 1892 un suo scritto "le cui conclusioni sono tali da calmare le inquietudini dei cattolici francesi che rifiutano, per ragioni di coscienza, di aderire a un governo che perseguita la Chiesa". Infatti, asseriva, "Leone XIII non ha agito in virtù del potere spirituale che il Sommo Pontefice può esercitare indirettamente nell'ordine temporale [ratione peccati]; di conseguenza, i suoi insegnamenti, i suoi consigli o anche i suoi ordini non vincolano i cattolici francesi in coscienza". In un altro studio mai pubblicato, intitolato Un pape légitime, peut-il cesser d'être pape? (ndt, Può un papa legittimo cessare di essere papa?), padre Maignen affrontò addirittura il delicato problema del papa eretico9.

    Si può quindi concludere senza esitazione che l'esagerata devozione e sottomissione al Papa, fino al punto di credersi obbligati ad obbedirgli in questioni non legate alla fede o quando insegna o comanda l'errore, non viene da un ultramontanismo esagerato o da un presunto "spirito del Vaticano I" ma, al contrario, dalla corrente cattolico-liberale.

    Del resto, quale fu il risultato di questa politica di «allineamento» (ralliement) verso la Repubblica? Un fallimento totale, riconosciuto dallo stesso Leone XIII. Poco prima della sua morte, concesse un'udienza a Jules Méline, ex presidente del Consiglio francese, al quale disse: "Mi sono sinceramente legato alla Repubblica e ciò non ha impedito al governo attuale di riconoscere i miei sentimenti e di non tenerne alcun conto. Ha scatenato una guerra religiosa che deploro, e che fa ancora più male alla Francia che alla religione»10.

    Presto Papa Francesco dovrà dire la stessa cosa - se sarà sincero come il suo predecessore - del suo accordo con Xi Jinping. E ammettere che era il cardinale Zen ad avere ragione.

     

    Note

    1. Editrice Le Lettere, Firenze 2014, 365 p.
    2. Roberto de Mattei, op. cit.p. 115
    3. https://archidiacre.wordpress.com/2020/05/26/leon-xiii-lettre-epistola-tua-17-juin-1885/
    4. Roberto de Mattei, op. cit.p. 132.
    5. Ibidem,p. 132.
    6. Ibidem,p. 332.
    7. Ibidem, p.186.
    8. Ibidem, p. 191.
    9. Ibidem, p. 276-277-278
    10. Ibidem,p. 250.

     © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • La teologia della storia, l’insegnamento di Leone XIII e il pensiero di Plinio Corrêa De Oliveira

    Il 19 marzo ricorrono i 120 anni della Lettera apostolica Annum ingressi, di Leone XIII, che analizza magistralmente le radici profonde della crisi contemporanea. Si tratta di un documento straordinario, oggi purtroppo dimenticato, che ebbe profonda influenza sul pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira.

     

     

    di Nelson R. Fragelli

    Studioso assiduo dei documenti del Magistero ecclesiastico, dove trovava gli argomenti necessari alla sua lotta ideologica nel Movimento Cattolico (1), Plinio Corrêa de Oliveira ebbe un particolare apprezzamento per la Lettera apostolica di Leone XIII Annum ingressi, nota in italiano come Vigesimo quinto anno, o Parvenu à la vingt-cinquième année, titolo originale in francese (2).

    La Lettera fu pubblicata il 19 marzo 1902 in occasione del 25° anno del Pontificato. Il dott. Plinio le dedicò diversi articoli sul Legionário, il settimanale cattolico da lui diretto (3), e in seguito anche sul mensile Catolicismo (4). Questo documento rappresenta uno degli insegnamenti più importanti di papa Pecci sugli eventi storici dei tempi moderni. Ogni credente, zelante per le sorti della Chiesa, dovrebbe rallegrarsi di questi ammaestramenti trovandovi validi principi di teologia della storia insegnati da un Pontefice che si accorse della terribile tempesta in cui navigava la Barca di Pietro. Purtroppo, questa Lettera apostolica, qualificata da Plinio Corrêa de Oliveira “tanto monumentale quanto ignorata”, fu oggetto di una vera e propria campagna di silenzio.

    Penetrazione delle massime rivoluzionarie del 1789

    Il Papa apre facendo appello al senso storico dei cattolici. Le vicende sociali e politiche del tempo, scrive, si comprendono solo avendo una chiara visione degli avvenimenti dei popoli. Questa visione è assolutamente necessaria soprattutto per il cattolico militante che voglia modellare la società secondo i principi della sua religione.

    Lungo l’Ottocento, le idee della Rivoluzione francese erano man mano penetrate negli ambienti ecclesiastici. I liberali allora iniziavano a tendere la mano ai cattolici, proponendo loro un’intesa: passata la bufera rivoluzionaria, i fedeli avrebbero potuto pregare in pace, frequentare le loro chiese e compiere le loro devozioni purché si fossero astenuti dall’intervenire nelle questioni politiche e ideologiche del tempo. Le centinaia di migliaia di martiri della ghigliottina e delle guerre della Vandea sarebbero stati dimenticati, e tutti avrebbero potuto vivere in pace.

    Sebbene tale tattica avrebbe chiaramente favorito la corrente rivoluzionaria vittoriosa in Francia nel 1789, l’invito ai cattolici sembrava comunque allettante. Essi avrebbero avuto pace e tranquillità, le loro chiese non sarebbero state minacciate né i loro seminari chiusi. L’idea implicava una vera e propria “eresia dell’azione” perché avrebbe permesso, nel concreto, la libera circolazione delle massime rivoluzionarie nelle scuole, negli istituti di formazione giovanile, nelle università, nelle fabbriche, nelle associazioni commerciali e bancarie, e via dicendo. Di per sé inaccettabile per un cattolico, l’idea trovò purtroppo simpatizzanti nei ranghi della Chiesa. 

    La necessità di saldi principi dottrinali

    Per Plinio Corrêa de Oliveira, l’appello di Leone XIII ai cattolici ad avere una teologia della storia e, di conseguenza, uno spirito militante di fronte ai problemi del tempo, aveva una ricaduta immediata sull’apostolato concreto. Infatti, la proposta liberale conteneva un invitante corollario travestito da agnello. Togliendo ai cattolici la grande visione della storia, e richiudendoli quindi nelle sacrestie, la proposta liberale mirava a instillare nella gioventù cattolica una disposizione d’animo secondo cui l’ideale di un giovane o di una ragazza del Movimento Cattolico doveva essere quello di conoscersi onestamente e di sposarsi, salvo poi praticare la religione nella tranquillità del focolare, concentrandosi sull’educazione dei propri figli. Era un invito implicito ad abbandonare lo spirito militante e l’attivismo contro i mali del tempo. Semmai, sarebbero state le future generazioni a occuparsene…

    Un altro pericolo in agguato per i giovani cattolici del suo tempo, secondo Plinio Corrêa de Oliveria, era quello di essere etichettati come "bocchettoni", cioè di devoti timidi e apatici, il cui orizzonte mentale non va oltre le pareti delle sacrestie; uno “scemo” incapace di avere nozioni chiare sui temi di attualità; un “debole” inetto a intervenire nelle polemiche del tempo. Insomma, una persona dolce e buonista, disposta a ogni sorta di cedimenti che, invariabilmente, lo porta verso sinistra.

    La Lettera apostolica di Leone XIII, ricordava il dottor Plinio, equivaleva a un potente richiamo a studiare la storia e le questioni ideologiche, sociali e politiche del tempo; conteneva anche un richiamo alla lotta, cioè un invito a scontrarsi con lo spirito del mondo. Il documento sollecitava i cattolici ad avere saldi principi dottrinali e una concezione della società alla luce del Magistero della Chiesa. Il Legionário rispondeva all’appello pontificio con un possente Eccomi!

    “La Croce resta salda mentre il mondo gira”

    Nessun’altra autorità ha una parola così privilegiata come quella di un Romano Pontefice per evocare il senso della storia. Nessun’altra istituzione occupa un posto così centrale negli affari umani come la Roma dei Papi.

    La storia si svolge ai piedi della Croce secondo il motto certosino Stat Crux dum volvitur orbis (la Croce resta salda mentre il mondo gira). È, quindi, nello studio della storia della Chiesa e della Civiltà Cristiana che possiamo trovare l’unica vera chiave interpretativa degli eventi di ogni tempo. Per noi cristiani, la storia della Chiesa è un trattato di vita spirituale in cui scorgere tracce di eroismo, d’intelligenza e di creatività come in nessun altro racconto. La Lettera apostolica Annum ingressi offre un’analisi chiara e succinta delle radici profonde della crisi contemporanea.

    Dalle pagine del Legionário, Plinio Corrêa de Oliveira aveva spesso manifestato la sua immensa preoccupazione per i cambiamenti sociali rapidi, a volte folli, specie dopo il secondo dopoguerra. Nel 1902, la Lettera apostolica di Leone XIII apparve come un raggio di Luce e di Verità. Mezzo secolo dopo, Plinio Corrêa de Oliveira mostrò al mondo che quella Luce era perenne e che, in contrasto con quella Verità era possibile riconoscere gli errori contenuti in quei cambiamenti.

    Tre tappe nel processo di distruzione della Civiltà Cristiana

    Ponendo affianco due scene, una dei “tempi in cui la filosofia del Vangelo governava gli Stati”, cioè il Medioevo, e l’altra della società odierna, la domanda sorge spontanea: come è stata possibile una tale trasformazione? Come mai i principi del Vangelo sono stati così radicalmente negati?

    Il documento di Leone XIII presenta le linee generali di questa negazione. In realtà è un’unica negazione in tre tappe successive. La prima tappa fu la negazione di Lutero, anche questa triplice: negazione del Papato, negazione del ruolo centrale della Madonna nella storia della salvezza, negazione della Santa Eucaristia. La seconda grande tappa storica fu la Rivoluzione francese. Essa portò a compimento i principi ugualitari della rivolta luterana applicandoli nel campo sociale. I rivoluzionari del 1789 si sollevarono contro il Re, come Lutero si era ribellato al Papa, proclamando la sovranità popolare proprio alla stregua di quanto fatto da alcune sette protestanti. Poi venne la terza tappa, il comunismo, che applicava gli stessi principi nel campo economico e politico.

    Leone XIII fa notare che, in fondo, si tratta di un’implacabile guerra condotta contro la Santa Chiesa e contro la Civiltà Cristiana. Perché distruggere il cristianesimo medievale, che ha portato “frutti che più preziosi non si potrebbe pensare” (5), si chiede il Pontefice.

    Il Papa si chiede ancora, stabilendo un parallelo tra la storia della Chiesa e la vita del suo Divino Fondatore: “Chi offese mai, o in che demeritò il divin Redentore? Disceso tra gli uomini per impulso di carità infinita, aveva insegnato una dottrina immacolata, confortatrice, efficacissima ad affratellare l’umanità nella pace e nell’amore; non aveva agognato né grandezze terrene, né onori, non aveva usurpato il diritto di alcuno: era stato invece sommamente pietoso ai deboli, ai malati, ai poveri, ai peccatori, agli oppressi, onde la sua vita non fu che un passaggio per seminare tra gli uomini a larga mano il benefizio”. Tuttavia, Egli fu crocefisso. Non sorprende, quindi, che la Chiesa cattolica, continuatrice della sua missione divina e depositaria incorruttibile della sua verità, abbia trovato la stessa sorte del suo Maestro.

    L’egualitarismo, sostrato comune delle tre rivoluzioni

    Nel suo capolavoro Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Plinio Corrêa de Oliveira sviluppa il concetto di Rivoluzione proposto da papa Leone XIII, che la definisce “opera perniciosa e sleale... la cui ragione d’essere consiste nella guerra a Dio e alla sua Chiesa”. Il pensatore brasiliano mostra come il substrato della Rivoluzione, in tutte le sue tappe e manifestazioni, sia l’egualitarismo: uguaglianza ecclesiastica nel protestantesimo, uguaglianza sociale nella Rivoluzione francese, uguaglianza economica nel regime comunista.

    L’egualitarismo costituisce un principio tendente a dissolvere la Civiltà Cristiana. Leone XIII parla di una “società al rovescio”. Essa proclama l’assoluta uguaglianza delle persone, l’uguaglianza dei sessi, l’uguaglianza nell’abbigliamento, l’uguaglianza anche tra la Religione Cattolica e i culti pagani. Poiché Dio, secondo quanto spiega S. Tommaso, ha creato gli uomini ineguali, l’imposizione dell’uguaglianza nella società assume il carattere di un vero e proprio odio contro di Lui. Negando le naturali differenze, il caos si diffonde ampiamente in tutti gli aspetti della società, preparando un’esplosione di vendetta della natura violata.

    Silenzio incomprensibile su un documento pontificio così rilevante

    La Lettera apostolica del Papa, contenente principi vitali per il mondo cattolico, fu largamente ignorata negli ambienti ecclesiastici. Di essa si parlò poco. Nelle numerose associazioni cattoliche d’inizio Novecento, il documento non costituì tema di studio né di dibattito. I commenti non andarono oltre alle reazioni pro forma. Sulla Lettera calò un silenzio incomprensibile tanto più che essa conteneva l’unica vera soluzione per i mali che affliggevano la Chiesa e la Civiltà Cristiana. Plinio Corrêa de Oliveira era convinto che la Lettera contenesse un programma percorribile di riscossa cattolica.

    Non si possono giudicare le intenzioni, ma è lecito domandarsi perché tanto disprezzo per un documento pontificio di così tanta rilevanza. La risposta più plausibile sembra essere che la Lettera apostolica Annun ingressi conteneva un’interpretazione dei fatti storici che cozzava frontalmente con le tendenze che, purtroppo, già allora stavano disegnando ciò che poi sarebbe stato chiamato Modernismo (tanto teologico quanto sociale), padre della Nouvelle Théologie e poi della Teologia della liberazione. Queste tendenze eretiche, oggi dominanti nella Chiesa, propongono un’interpretazione storica agli antipodi rispetto a quella di papa Leone XIII.

    È opinione di Plinio Corrêa de Oliveira che se i cattolici si fossero mobilitati attorno all’insegnamento di papa Leone XIII, il caos rivoluzionario in cui piombò il secolo XX si sarebbe potuto evitare.

     

    Note

    1. “Movimento cattolico” era il nome dato in Brasile all’insieme dei movimenti laicali. Plinio Corrêa de Oliveira era il leader delle Congregazioni Mariane, la punta di diamante del Movimento.

    2. La Lettera fu scritta originariamente in francese e italiano, e poi tradotta in tedesco. Solo in seguito ne uscì il testo latino.

    3. Nova et Vetera. “Parvenu à la vingt-cinquième année”, Legionário, 18 marzo 1945, n° 658; “As encíclicas de Leão XIII”, Legionário, 20 luglio 1941, n° 462; “Um recuo estratégico”, Legionário, 15 ottobre 1944, n° 636; “Partidos, Candidatos, Eleições”, Legionário, n° 694, 25 novembre 1945.

    4. “O século da guerra, da morte e do pecado”, Catolicismo nº 2, febbraio 1951; “Heresiarcas de hoje e de outrora”, Catolicismo nº 16, aprile 1952.

    5. Leone XIII, Enciclica Immortale Dei, dell’1-11-1885, in ASS, vol. XVIII, p. 169.

     

    Fonte: Rivista Tradizione Famiglia Proprietà, Febbraio-Marzo 2022.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Nelle forche caudine delle false alternative

     

     

    di Julio Loredo

    In diversi momenti negli ultimi duecento anni, i cattolici tradizionalisti o contro-rivoluzionari sono stati costretti ad affrontare delle scelte fondamentalmente viziate: optare fra due possibilità ambedue inaccettabili. Nella sua lunga vita pubblica, Plinio Corrêa de Oliveira fu particolarmente attento a non cadere nella trappola delle forche caudine di queste false alternative. Insieme ad altri autori, egli usava l’espressione “false destre” per designare quelle correnti che, presentandosi come un’alternativa alla Rivoluzione, in realtà assorbono le reazioni buone, le sviano, le svuotano e le rendono quindi inutili, o comunque meno efficaci.

    Il Ralliement: inizio dell’equivoco

    Per non andare più indietro, possiamo fissare l’inizio di questo equivoco nella politica chiamata Ralliement lanciata da Leone XIII nel 1890.

    La Rivoluzione francese non fu soltanto antimonarchica ma anche anticattolica. La persecuzione contro la Chiesa non fu meno implacabile di quella contro la nobiltà. Il bagno di sangue che ne conseguì svegliò bruscamente una società che si era lasciata addormentare, innescando una reazione che, consolidandosi, costituirà la Contro-Rivoluzione. Dovendo affrontare il comune nemico, Trono e Altare si unirono in difesa dell’Ordine.

    Nei decenni successivi, mentre gli epigoni della Rivoluzione francese sostenevano le varie repubbliche partorite dal 1789, i contro-rivoluzionari, fedeli alla Chiesa e alla Tradizione e che si proclamavano “cattolici-monarchici”, si rifiutavano di riconoscerle. Era la posizione nota come “intransigente”. Per i cattolici intransigenti, la difesa della Fede contro il liberalismo comprendeva naturalmente il rifiuto della forma di governo che lo incarnava. Mentre i cattolici tendevano a essere monarchici, i liberali erano solitamente repubblicani.

    Intransigente fu la linea di Gregorio XVI e di Pio IX. Leone XIII adottò invece una linea pastorale diversa. In una mossa che poi egli stesso deplorerà amaramente, decise di dialogare con la Rivoluzione. Questa politica, nota come Ralliement, fu inaugurata il 12 novembre 1890 col celebre toast d’Alger che il cardinale Charles Lavigerie offrì agli ufficiali della flotta mediterranea, quasi tutti monarchici. Facendo intendere che l’ordine veniva dall’alto, il porporato disse che essi avrebbero dovuto riconciliarsi con la Repubblica. Il 16 febbraio 1892, Leone XIII conferiva un fondamento dottrinale alla sua politica con l’enciclica Au milieu des sollicitudes.

    È difficile esagerare la portata di questa svolta. Come la Rivoluzione francese fu uno spartiacque nella storia dell’umanità, il Ralliement fu uno spartiacque nella storia del cattolicesimo contemporaneo. Mentre fino ad allora la linea di fedeltà alla Chiesa era stata molto chiara – opposizione al liberalismo e alle sue conseguenze, anche temporali – il Ralliement spaccò il campo cattolico. I cattolici democratici, liberali e modernisti plaudirono la politica di Leone XIII. Altri, disorientati, accettarono senza farsi troppe domande, in spirito di fedeltà al Sommo Pontefice. Per i cattolici fedeli alla Tradizione, invece, si pose un gravissimo problema di coscienza. Dovevano accettare la linea politica del Papa, sconfessando perciò la loro militanza contro-rivoluzionaria? Oppure dovevano prendere la via della contestazione?

    Taluni fecero notare che il Papa è infallibile solo quando parla ex cathedra in rebus fidei et morum; privilegio che, però, non si estende ai suoi atti diplomatici. I cattolici erano, dunque, liberi di rifiutare il Ralliement, senza perciò compromettere la loro fedeltà alla Cattedra di Pietro. Perfettamente fondata dal punto di vista teologico, tale distinzione lasciava tuttavia i cattolici fedeli alla Tradizione vulnerabili all’accusa di essere ribelli alla linea del Pontefice.

    Sorgono le false destre

    Impediti concretamente di essere “cattolici-monarchici”, i fedeli alla Tradizione furono messi di fronte a una scelta cruciale: alcuni sceglieranno di fare i “cattolici”, e saranno quindi attratti da correnti inquinate da idee liberali, come Le Sillon; altri invece preferiranno fare i “monarchici”, essendo al contrario attratti da correnti inquinate da idee positiviste e nazionaliste, come l’Action Française

    Fu allora che, presentandosi come l’alternativa di “destra”, sorsero movimenti contro-rivoluzionari di nuovo stampo, fondati non più sull’ideale cattolico di restaurazione della civiltà cristiana, bensì su quello nazionalista o identitario.

    È il caso della summenzionata Action Française, fondata nel 1899 da Henri Vaugeois e Maurice Pujo, entrambi provenienti dalla sinistra repubblicana, e in seguito guidata da Charles Maurras. Di ispirazione positivista e nazionalista, l’Action Française difendeva il cattolicesimo non come verità soprannaturale, bensì come “religione storica del popolo francese”, e la Chiesa cattolica non come il Corpo mistico di Cristo, ma come una “componente politica” che, storicamente, aveva plasmato alcune caratteristiche della nazione francese. Parimenti, la sua difesa della monarchia non si fondava su ragioni metafisiche o religiose, bensì pragmatiche. L’Action Française sosteneva la monarchia come una venerabile istituzione francese che si era dimostrata adatta a mantenere l’ordine e la tradizione. Politique d’abord! La politica prima di tutto! Ecco il motto di Maurras.

    In assenza di un movimento cattolico contro-rivoluzionario che potesse soddisfare sia le esigenze della Fede sia quelle della militanza monarchica, molti cattolici scelsero di militare nell’Action Française, assimilandone quindi il nazionalismo positivista. Situazione non del tutto differente da quella che dovettero affrontare i cattolici italiani vent’anni dopo, costretti a scegliere fra il Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, cattolico ma di stampo murriano, e il Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, anticomunista ma non cattolico.

    Evitando le forche caudine

    Plinio Corrêa de Oliveira iniziò la sua vita pubblica nel 1928, quando entrò nelle Congregazioni Mariane, di cui divenne presto il leader. Il problema delle false destre si presentava allora con forza.

    Il trauma provocato dalla rivoluzione bolscevica del 1917 aveva avuto come contraccolpo la nascita, un po’ ovunque, di movimenti “nazionalisti”, che si imponevano come alternativa all’avanzata rossa. Privi, in molti casi, di un indirizzo di segno anticomunista, non pochi cattolici si lasciarono sedurre da questi movimenti, che sostituivano il culto dello Stato o della razza all’ideale di restaurazione cristiana.

    Il Fascismo, per esempio, si presentò come valida alternativa al caos comunista del “biennio rosso”. Infatti, fu lo stesso Vittorio Emanuele III a chiamare Mussolini al Governo per rimettere ordine in Italia. Mussolini ebbe l’accortezza di avvicinare la Chiesa, perfino firmando con essa i Patti Lateranensi che chiusero la “questione romana”, e fu lodato perciò da Pio XI come “l’uomo della Provvidenza”. Nel suo famoso Diario, Galeazzo Ciano così condensava il “vero fascismo delle origini”: “Le origini erano antibolsceviche, tradizionalistiche, in difesa della famiglia e della proprietà, in rispetto della Chiesa”. Un credo che un cattolico tradizionalista avrebbe potuto sottoscrivere. Eppure, si trattava di una falsa destra.

    Da parte sua, Hitler si presentava come alternativa al caos provocato dalla Repubblica di Weimar e, più profondamente, come reazione alla decadenza liberale borghese. Egli intendeva restaurare la Civiltà cristiana, e in concreto il Reich carolingio, una forma di Sacro Romano Impero. Non mancava chi lo paragonasse a Gesù Cristo e lo ritenesse, anzi, großer als Christ. Scrisse allora Plinio Corrêa de Oliveira: “Per corrispondere ai desideri di innumerevoli persone assetate dei valori della Civiltà Cristiana, apparve in Germania un partito che fu imitato altrove, il quale si proponeva l’insediamento di un nuovo mondo cristiano. A prima vista, nulla di più simpatico”. Non sorprende, quindi, che Hitler contasse con l’appoggio di molti cattolici, anche altolocati, come il cardinale di Vienna Theodor Innitzer. La sua ascesa al potere fu resa possibile solo con l’appoggio del partito cattolico guidato da Franz von Papen.

    Dimostrando grande indipendenza intellettuale, Plinio Corrêa de Oliveira si trovò dunque a difendere il movimento cattolico non solo dall’attacco aperto del movimento comunista, ma anche dall’infiltrazione di tendenze ed idee di stampo nazista: “I cattolici devono essere anticomunisti, antinazisti, antiliberali, antisocialisti, antimassoni... appunto perché cattolici”. Riguardo al nazismo, egli andava oltre le apparenze: “A prima vista, nulla di più simpatico. Tuttavia, se si riflettesse attentamente sul lato concreto di questa ideologia, un lato che la machiavellica propaganda rivelava solo a piccoli passi agli iniziati, che terribile delusione si sarebbe subita! Un’ideologia confusa, impregnata di evoluzionismo e materialismo storico, satura di influenze filosofiche e ideologiche pagane, un programma politico ed economico radicale e tipicamente socialista, dagli intollerabili pregiudizi razzisti. Insomma, dietro ai bramiti anticomunisti del nazismo, era proprio il comunismo che si voleva instaurare. Un comunismo insidioso, mascherato da cristiano. Un comunismo mille volte peggiore, perché mobilitava contro la Chiesa le armi sataniche dell’astuzia invece di quelle innocue ed impotenti della forza bruta. Cominciava con l’esaltare gli animi per mezzo di alcune verità, quindi li metteva in delirio con il pretesto dell’entusiasmo per tali verità, e dopo li attirava ai più terribili errori. Dunque, un comunismo che non significava la neutralizzazione dei cattivi, bensì dei buoni; la più terribile macchina di perdizione e di falsificazione che il demonio abbia generato nel corso della storia”.

    Plinio Corrêa de Oliveira trasmise questo sapiente atteggiamento alla sua opera spirituale, le Società per la difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà. In più di sessant’anni di storia, le TFP hanno dovuto affrontare non poche forche caudine, riuscendo sempre a superarle senza cadere nella trappola.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.   

  • Nelle forche caudine delle false alternative

    di Julio Loredo

    In diversi momenti negli ultimi duecento anni, i cattolici tradizionalisti o contro-rivoluzionari sono stati costretti ad affrontare delle scelte fondamentalmente viziate: optare fra due possibilità ambedue inaccettabili. Nella sua lunga vita pubblica, Plinio Corrêa de Oliveira fu particolarmente attento a non cadere nella trappola delle forche caudine di queste false alternative. Insieme ad altri autori, egli usava l’espressione “false destre” per designare quelle correnti che, presentandosi come un’alternativa alla Rivoluzione, in realtà assorbono le reazioni buone, le sviano, le svuotano e le rendono quindi inutili, o comunque meno efficaci.

    Il Ralliement: inizio dell’equivoco

    Per non andare più indietro, possiamo fissare l’inizio di questo equivoco nella politica chiamata Ralliement lanciata da Leone XIII nel 1890.

    La Rivoluzione francese non fu soltanto antimonarchica ma anche anticattolica. La persecuzione contro la Chiesa non fu meno implacabile di quella contro la nobiltà. Il bagno di sangue che ne conseguì svegliò bruscamente una società che si era lasciata addormentare, innescando una reazione che, consolidandosi, costituirà la Contro-Rivoluzione. Dovendo affrontare il comune nemico, Trono e Altare si unirono in difesa dell’Ordine.

    Nei decenni successivi, mentre gli epigoni della Rivoluzione francese sostenevano le varie repubbliche partorite dal 1789, i contro-rivoluzionari, fedeli alla Chiesa e alla Tradizione e che si proclamavano “cattolici-monarchici”, si rifiutavano di riconoscerle. Era la posizione nota come “intransigente”. Per i cattolici intransigenti, la difesa della Fede contro il liberalismo comprendeva naturalmente il rifiuto della forma di governo che lo incarnava. Mentre i cattolici tendevano a essere monarchici, i liberali erano solitamente repubblicani.

    Intransigente fu la linea di Gregorio XVI e di Pio IX. Leone XIII adottò invece una linea pastorale diversa. In una mossa che poi egli stesso deplorerà amaramente, decise di dialogare con la Rivoluzione. Questa politica, nota come Ralliement, fu inaugurata il 12 novembre 1890 col celebre toast d’Alger che il cardinale Charles Lavigerie offrì agli ufficiali della flotta mediterranea, quasi tutti monarchici. Facendo intendere che l’ordine veniva dall’alto, il porporato disse che essi avrebbero dovuto riconciliarsi con la Repubblica. Il 16 febbraio 1892, Leone XIII conferiva un fondamento dottrinale alla sua politica con l’enciclica Au milieu des sollicitudes.

    È difficile esagerare la portata di questa svolta. Come la Rivoluzione francese fu uno spartiacque nella storia dell’umanità, il Ralliement fu uno spartiacque nella storia del cattolicesimo contemporaneo. Mentre fino ad allora la linea di fedeltà alla Chiesa era stata molto chiara – opposizione al liberalismo e alle sue conseguenze, anche temporali – il Ralliement spaccò il campo cattolico. I cattolici democratici, liberali e modernisti plaudirono la politica di Leone XIII. Altri, disorientati, accettarono senza farsi troppe domande, in spirito di fedeltà al Sommo Pontefice. Per i cattolici fedeli alla Tradizione, invece, si pose un gravissimo problema di coscienza. Dovevano accettare la linea politica del Papa, sconfessando perciò la loro militanza contro-rivoluzionaria? Oppure dovevano prendere la via della contestazione?

    Taluni fecero notare che il Papa è infallibile solo quando parla ex cathedra in rebus fidei et morum; privilegio che, però, non si estende ai suoi atti diplomatici. I cattolici erano, dunque, liberi di rifiutare il Ralliement, senza perciò compromettere la loro fedeltà alla Cattedra di Pietro. Perfettamente fondata dal punto di vista teologico, tale distinzione lasciava tuttavia i cattolici fedeli alla Tradizione vulnerabili all’accusa di essere ribelli alla linea del Pontefice.

    Sorgono le false destre

    Impediti concretamente di essere “cattolici-monarchici”, i fedeli alla Tradizione furono messi di fronte a una scelta cruciale: alcuni sceglieranno di fare i “cattolici”, e saranno quindi attratti da correnti inquinate da idee liberali, come Le Sillon; altri invece preferiranno fare i “monarchici”, essendo al contrario attratti da correnti inquinate da idee positiviste e nazionaliste, come l’Action Française

    Fu allora che, presentandosi come l’alternativa di “destra”, sorsero movimenti contro-rivoluzionari di nuovo stampo, fondati non più sull’ideale cattolico di restaurazione della civiltà cristiana, bensì su quello nazionalista o identitario.

    È il caso della summenzionata Action Française, fondata nel 1899 da Henri Vaugeois e Maurice Pujo, entrambi provenienti dalla sinistra repubblicana, e in seguito guidata da Charles Maurras. Di ispirazione positivista e nazionalista, l’Action Française difendeva il cattolicesimo non come verità soprannaturale, bensì come “religione storica del popolo francese”, e la Chiesa cattolica non come il Corpo mistico di Cristo, ma come una “componente politica” che, storicamente, aveva plasmato alcune caratteristiche della nazione francese. Parimenti, la sua difesa della monarchia non si fondava su ragioni metafisiche o religiose, bensì pragmatiche. L’Action Française sosteneva la monarchia come una venerabile istituzione francese che si era dimostrata adatta a mantenere l’ordine e la tradizione. Politique d’abord! La politica prima di tutto! Ecco il motto di Maurras.

    In assenza di un movimento cattolico contro-rivoluzionario che potesse soddisfare sia le esigenze della Fede sia quelle della militanza monarchica, molti cattolici scelsero di militare nell’Action Française, assimilandone quindi il nazionalismo positivista. Situazione non del tutto differente da quella che dovettero affrontare i cattolici italiani vent’anni dopo, costretti a scegliere fra il Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, cattolico ma di stampo murriano, e il Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, anticomunista ma non cattolico.

    Evitando le forche caudine

    Plinio Corrêa de Oliveira iniziò la sua vita pubblica nel 1928, quando entrò nelle Congregazioni Mariane, di cui divenne presto il leader. Il problema delle false destre si presentava allora con forza.

    Il trauma provocato dalla rivoluzione bolscevica del 1917 aveva avuto come contraccolpo la nascita, un po’ ovunque, di movimenti “nazionalisti”, che si imponevano come alternativa all’avanzata rossa. Privi, in molti casi, di un indirizzo di segno anticomunista, non pochi cattolici si lasciarono sedurre da questi movimenti, che sostituivano il culto dello Stato o della razza all’ideale di restaurazione cristiana.

    Il Fascismo, per esempio, si presentò come valida alternativa al caos comunista del “biennio rosso”. Infatti, fu lo stesso Vittorio Emanuele III a chiamare Mussolini al Governo per rimettere ordine in Italia. Mussolini ebbe l’accortezza di avvicinare la Chiesa, perfino firmando con essa i Patti Lateranensi che chiusero la “questione romana”, e fu lodato perciò da Pio XI come “l’uomo della Provvidenza”. Nel suo famoso Diario, Galeazzo Ciano così condensava il “vero fascismo delle origini”: “Le origini erano antibolsceviche, tradizionalistiche, in difesa della famiglia e della proprietà, in rispetto della Chiesa”. Un credo che un cattolico tradizionalista avrebbe potuto sottoscrivere. Eppure, si trattava di una falsa destra.

    Da parte sua, Hitler si presentava come alternativa al caos provocato dalla Repubblica di Weimar e, più profondamente, come reazione alla decadenza liberale borghese. Egli intendeva restaurare la Civiltà cristiana, e in concreto il Reich carolingio, una forma di Sacro Romano Impero. Non mancava chi lo paragonasse a Gesù Cristo e lo ritenesse, anzi, großer als Christ. Scrisse allora Plinio Corrêa de Oliveira: “Per corrispondere ai desideri di innumerevoli persone assetate dei valori della Civiltà Cristiana, apparve in Germania un partito che fu imitato altrove, il quale si proponeva l’insediamento di un nuovo mondo cristiano. A prima vista, nulla di più simpatico”. Non sorprende, quindi, che Hitler contasse con l’appoggio di molti cattolici, anche altolocati, come il cardinale di Vienna Theodor Innitzer. La sua ascesa al potere fu resa possibile solo con l’appoggio del partito cattolico guidato da Franz von Papen.

    Dimostrando grande indipendenza intellettuale, Plinio Corrêa de Oliveira si trovò dunque a difendere il movimento cattolico non solo dall’attacco aperto del movimento comunista, ma anche dall’infiltrazione di tendenze ed idee di stampo nazista: “I cattolici devono essere anticomunisti, antinazisti, antiliberali, antisocialisti, antimassoni... appunto perché cattolici”. Riguardo al nazismo, egli andava oltre le apparenze: “A prima vista, nulla di più simpatico. Tuttavia, se si riflettesse attentamente sul lato concreto di questa ideologia, un lato che la machiavellica propaganda rivelava solo a piccoli passi agli iniziati, che terribile delusione si sarebbe subita! Un’ideologia confusa, impregnata di evoluzionismo e materialismo storico, satura di influenze filosofiche e ideologiche pagane, un programma politico ed economico radicale e tipicamente socialista, dagli intollerabili pregiudizi razzisti. Insomma, dietro ai bramiti anticomunisti del nazismo, era proprio il comunismo che si voleva instaurare. Un comunismo insidioso, mascherato da cristiano. Un comunismo mille volte peggiore, perché mobilitava contro la Chiesa le armi sataniche dell’astuzia invece di quelle innocue ed impotenti della forza bruta. Cominciava con l’esaltare gli animi per mezzo di alcune verità, quindi li metteva in delirio con il pretesto dell’entusiasmo per tali verità, e dopo li attirava ai più terribili errori. Dunque, un comunismo che non significava la neutralizzazione dei cattivi, bensì dei buoni; la più terribile macchina di perdizione e di falsificazione che il demonio abbia generato nel corso della storia”.

    Plinio Corrêa de Oliveira trasmise questo sapiente atteggiamento alla sua opera spirituale, le Società per la difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà. In più di sessant’anni di storia, le TFP hanno dovuto affrontare non poche forche caudine, riuscendo sempre a superarle senza cadere nella trappola.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.