Lepanto

  • Come Lepanto ci insegna a confidare nella Madonna

     

     

    di Principe Bertrand di Orleans-Braganza

    Quando si considera il caos attuale, la prima parola che viene in mente è Lepanto. Dobbiamo ricordare Lepanto perché questa grande battaglia è una lezione per il nostro tempo. Siamo nel 450° anniversario di quella famosa battaglia navale, svoltasi al largo della Grecia il 7 ottobre 1571. Le forze della cristianità, in inferiorità numerica, affrontarono la potente flotta turca.

    Questa battaglia è allo stesso tempo simile e diversa alla lotta dei nostri giorni. Guardando la crisi che colpisce sia la società che la Chiesa facilmente scopriamo dei paralleli.

     

    Le somiglianze

    Il futuro della cristianità dipendeva dai risultati di Lepanto. Oggi, il nostro futuro cattolico dipende dalla nostra lotta contro la Rivoluzione per difendere quel poco che resta della Fede.

    L'odio che guida la lotta della sinistra contro i resti della Civiltà Cristiana oggi è lo stesso odio che cercò di distruggere la Cristianità nel XVI secolo.

    A Lepanto, i difensori della Chiesa dovettero combattere l'indifferenza, l'inerzia e persino il tradimento di coloro che anteponevano i loro interessi e piaceri a quelli di Cristo. Oggi, anche noi dobbiamo affrontare l'apatia, la letargia e il tradimento da parte di coloro che hanno più da perdere dal non combattere.

     

    La grande sproporzione

    Ci sono anche differenze tra Lepanto e noi. La più grande differenza è che i nemici del cristianesimo oggi sono molto più poderosi di quelli di Lepanto. I nemici sono ovunque, in tutti i campi della società.

    Come afferma il prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel magistrale saggio Rivoluzione e Controrivoluzione, siamo di fronte a una Rivoluzioneche è universale, una, totale, dominante e processuale.

    E le nostre forze sono molto, molto più piccole. Siamo una Contro-Rivoluzione che non è proporzionale al nemico dominante. Non abbiamo il potere schiacciante e il peso che ha l'altra parte.

     

    Il flagello del rispetto umano

    La seconda differenza è che gli eroi di Lepanto godevano delle lodi e degli applausi dei cattolici di tutto il mondo. Tutti pregavano per il loro successo. Tuttavia, noi affrontiamo l'opposizione sia all'interno che all'esterno della Chiesa. Dobbiamo vedercela con il mondo, la carne e il diavolo in tutte le loro manifestazioni rivoluzionarie, affrontando il ridicolo, l'indifferenza e il disprezzo.

    Il rispetto umano fa sì che le persone si preoccupino di ciò che gli altri pensano di loro. Pertanto, le persone si rifiutano di protestare contro la blasfemia o di pregare sulla pubblica piazza perché temono il pubblico disprezzo.

    Di conseguenza, il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira asseriva che ci vuole molto più coraggio oggi per andare nelle strade ostili che per combattere tra le gloriose acclamazioni di Lepanto.

     

    La crisi nella Chiesa

    La terza differenza è che gli eroi di Lepanto non dovettero affrontare una grave crisi all'interno della Chiesa. Avevano a capo un santo. Papa San Pio V organizzò le forze contro l'Islam. Che differenza con la nostra situazione di oggi.

    Oggi, affrontiamo la persecuzione dei pastori che dovrebbero proteggerci mentre combattiamo contro i più grandi nemici della Chiesa, l'Islam compreso. Affrontiamo la tragedia dei pastori che aiutano la causa dell'altra parte contro di noi.

    Mai la Chiesa ha visto una tale situazione. Questa situazione è il motivo per cui dobbiamo guardare a Lepanto, perché ci fornisce una lezione di fronte a situazioni impossibili e la speranza di un risultato finale che ci dà il coraggio di andare avanti.

     

    Il miracolo di Lepanto

    Consideriamo quanto accadde nella battaglia di Lepanto. Le due flotte si scontrarono e poi rimasero incastrate. Il mare divenne un enorme campo di battaglia galleggiante con soldati che combattevano e morivano sui ponti delle navi.

    Poiché la flotta cattolica era in inferiorità numerica, l'esito della battaglia era a forte rischio. Sembrava che tutto fosse perduto, e la causa cattolica fosse in pericolo di essere sopraffatta. La situazione era disperata. Ma nonostante ciò si continuò a combattere.

    Le moderne fonti cattoliche progressiste non menzionano un fatto cruciale che accadde al culmine della battaglia. Tuttavia, alcune antiche fonti musulmane raccontano di un evento straordinario. Improvvisamente, quando meno se lo aspettavano, testimoni musulmani riferirono di aver visto nel cielo una signora vestita come una regina, che li guardava con uno sguardo così terrificante che persero coraggio e fuggirono.

    Questo fatto ha una lezione preziosa per noi. Quando tutto sembra perduto, dobbiamo confidare nella Madonna. Noi serviamo la stessa Regina che vinse la battaglia di Lepanto e possiamo oggi vincere se confidiamo in Lei. Lei può trasformare le situazioni più disperate in vittoria. Lei trasformerà il nostro caos attuale nel trionfo del suo Cuore Immacolato promesso a Fatima!

     

    Lepanto, l’aspetto più eroico

    Commentando la vittoria di Lepanto, il Prof. Plinio Corrêa de Oliviera diceva che il più grande eroismo di coloro che combatterono a Lepanto non fu lottare contro i turchi. Ci voleva ovviamente molto coraggio, ma tutte le battaglie richiedono coraggio.

    Secondo lui, il più grande eroismo di quei cattolici fu l'eroismo di credere che la battaglia sarebbe stata vinta dalla Madonna quando tutto sembrava perduto. Quell'atto di fiducia era un atto di fedeltà in cui la voce interiore della grazia invitava ciascuno a confidare e a pregare che Lei avrebbe dato la vittoria.

    E Lei diede una vittoria spettacolare oltre ogni aspettativa!

    Il noto pensatore cattolico ha detto che a volte "lungo tutta la storia succede che la buona causa si trovi in una situazione simile a quella degli eroi cattolici a Lepanto. Umanamente parlando, tutto sembra perduto, ma la Madonna mette una speranza nelle nostre anime che sarà Ella a vincere la battaglia per la maggior gloria di Dio".

     

    Confidare nella voce della grazia

    Il vero eroismo significa fidarsi di questa voce. Dobbiamo essere fedeli a questa voce di grazia che ci unisce. Quando siamo tentati di non credere, dobbiamo rispondere: "Più la situazione peggiora, più siamo vicini al Suo intervento. La Madonna non mente. Questa voce che parla in me è la Sua voce!".

    Quando siamo scoraggiati dall'intensità della lotta intorno a noi, pensiamo a Lepanto. Ascoltiamo la voce della grazia e andiamo avanti. Crediamo nella nostra moderna Lepanto, una battaglia un milione di volte più disperata, il che aumenta solo la nostra certezza di vittoria.

     

    Fonte: tfp.org, 31 Ottobre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Il significato storico della battaglia di Lepanto:
    Cristianità, Occidente e Islam

    Qual'é stato il significato della battaglia di Lepanto per la Chiesa, per l’Europa e per la storia? Lo spiega il prof. Massimo de Leonardis, già direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

     

     

    di Massimo de Leonardis

     

    La battaglia navale di Lepanto è uno degli eventi più importanti della storia, il cui significato trascende il semplice aspetto militare ed è ricco di insegnamenti anche religiosi. La rivoluzione ecclesiale generata dal Concilio Vaticano II ha però gettato un velo di oblio su un avvenimento che costituisce una delle glorie del papato, in nome di un pacifismo assoluto in contrasto con il Magistero della Chiesa, che anche nei documenti più recenti ha riaffermato la liceità della “guerra giusta”.

    Pacificatrice non pacifista

    Infatti, il Catechismo della Chiesa cattolica (1) elencando le condizioni di una «legittima difesa con la forza militare», osserva: «questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”»(n. 2309). «La legittima difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del bene comune» (n. 2321). Il concetto è integralmente ripreso nel successivo Compendio della dottrina sociale della Chiesa: «Le esigenze della legittima difesa giustificano l’esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace» (2), ammettendo altresì «un’azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un’aggressione stia per essere sferrata», «sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, […] identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un’ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato» (3).

    La Chiesa dunque è pacificatrice, ma respinge il pacifismo. Il Venerabile Pio XII affermava nel 1952: «La Chiesa deve tener conto delle potenze oscure che hanno sempre operato nella storia. Questo è anche il motivo per cui essa diffida di ogni propaganda pacifista nella quale si abusa della parola di pace per dissimulare scopi inconfessati» (4). Il pacifismo assoluto è più che mai una pericolosa utopia, come più volte riaffermò il Cardinale Joseph Ratzinger.

    Nel discorso pronunciato in Normandia il 4 giugno 2004 alle celebrazioni del 60° anniversario dello sbarco alleato, egli affermò: «Se mai si è verificato nella storia un bellum justum è qui che lo troviamo, nell’impegno degli Alleati, perché il loro intervento operava nei suoi esiti anche per il bene di coloro contro il cui Paese era condotta la guerra. Questa constatazione […] mostra, sulla base di un evento storico, l’insostenibilità di un pacifismo assoluto» (5). In una lettera al Presidente del Senato Marcello Pera, il Cardinale Ratzinger sostenne poi: «Sul fatto che un pacifismo che non conosce più valori degni di essere difesi e assegna a ogni cosa lo stesso valore sia da rifiutare come non cristiano siamo d’accordo: un modo di “essere per la pace” così fondato, in realtà, significa anarchia; e nell’anarchia i fondamenti della libertà si sono persi» (6).

    Tale concetto fu ribadito e precisato in un discorso pronunciato il 1° aprile 2005, poche settimane prima dell’elezione a Sommo Pontefice: «La pace e il diritto, la pace e la giustizia sono inseparabilmente interconnessi. […] Certamente la difesa del diritto può e deve, in alcune circostanze, far ricorso a una forza commisurata. Un pacifismo assoluto, che neghi al diritto l’uso di qualunque mezzo coercitivo, si risolverebbe in una capitolazione davanti all’iniquità, ne sanzionerebbe la presa del potere e abbandonerebbe il mondo al diktat della violenza. […] Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo».

    Asceso al soglio pontificio, Benedetto XVI in più occasioni si è occupato specificamente del tema della pace e della guerra ribadendo questi concetti. Nel messaggio (7) per la consueta Giornata della Pace del 1° gennaio 2006, il Papa, affermò che «il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace».

    In nome di un irenismo e di un ecumenismo spinti all’eccesso, molti hanno voluto negare il carattere intrinsecamente bellicoso dell’Islam, richiamato invece dal Santo Padre nel mirabile discorso di Ratisbona del settembre 2006: «Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d’inverno del 1391 presso Ankara, ebbe [un dialogo] con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”» (8). Maometto è in realtà l’unico fondatore di una religione che fu anche un capo guerriero; fin dall’inizio l’Islam si espanse con la violenza e la “guerra santa” è uno dei precetti fondamentali della dottrina e della prassi musulmana.

    Una guerra difensiva

    Altri hanno proposto una lettura assolutamente parziale dei rapporti tra Islam e Cristianesimo, evidenziando i momenti di dialogo e quasi cancellando secoli di aggressività musulmana. In una demitizzazione esasperata di pagine gloriose nella storia militare della Cristianità, ci si è spinti a negare sia valore strategico sia legittimità religiosa a battaglie come quelle di Poitiers e di Lepanto. È dunque opportuno a rileggere il giudizio autorevole di Fernand Braudel: «Se, anziché badare soltanto a ciò che seguì a Lepanto, si pensasse alla situazione precedente, la vittoria apparirebbe come la fine di una miseria, la fine di un reale complesso d’inferiorità della Cristianità, la fine di un’altrettanto reale supremazia della flotta turca [...] Prima di far dell’ironia su Lepanto, seguendo le orme di Voltaire, è forse ragionevole considerare il significato immediato della vittoria. Esso fu enorme» (9).

    Un maestro della storia militare, il britannico John Keegan, elenca Lepanto tra le quindici battaglie navali decisive della storia, da Salamina tra greci e persiani nel 480 a. C., al Golfo di Leyte tra americani e giapponesi nel 1944; ove per decisiva s’intende «d’importanza duratura e non puramente locale». Lepanto segna la fine del potere navale ottomano ed «arresta l’avanzata musulmana nel Mediterraneo occidentale», che da allora fu salvo dalla minaccia strategica dell’espansione turca, così come l’assedio di Vienna del 1683 ne bloccò l’avanzata terrestre (10). L’insigne storico Angelo Tamborra afferma che «con Lepanto», anche se non ebbe «immediate conseguenze strategiche», «prende fine [...] stabilmente, quello stato d’animo di rassegnazione e quasi di paura ossessiva che aveva prostrato l’Occidente, preso dal “mito” della invincibilità del Turco» ed afferma che con tale battaglia si ebbe il «definitivo declino della talassocrazia turca del Mediterraneo». Poche righe prima, lo stesso autore scrive che «la Cristianità, già frammentata in nazioni in lotta di predominio le une contro le altre – taluna delle quali non aveva esitato a ricercare il compromesso o addirittura l’alleanza con il Turco – aveva visto ricomporsi, per un momento e almeno in parte, la sua unità contro il nemico comune» (11).

    Va rilevato l’uso di due termini diversi per definire la civiltà europea: “Cristianità” ed “Occidente”. Lepanto fu una battaglia navale; ma fu soprattutto uno scontro tra la Croce e la mezzaluna, tra Cristianità ed Islam. Una Cristianità divisa, perché Lepanto si colloca pressoché a metà di quel secolo e mezzo che dalla fine del ‘400 alla pace di Westfalia del 1648 vide la laicizzazione delle relazioni internazionali; alla Respublica Christiana medievale si sostituì l’Europa degli equilibri. Non solo la riforma protestante spezzò definitivamente l’unità religiosa dell’Europa, ma l’interesse nazionale prevaleva talora sulle motivazioni religiose anche per gli Stati cattolici. I Re cristianissimi di Francia strinsero intese con il turco in funzione antiasburgica e le loro navi non furono presenti a Lepanto. I veneziani, che pure a Lepanto furono in prima fila, rimproverati in un’occasione per il loro scarso entusiasmo per l’idea di crociata, risposero: «siamo veneziani, poi cristiani». Va anche però ricordato che la Regina Elisabetta I d’Inghilterra, scismatica, alcuni anni prima, aveva indetto preghiere di ringraziamento per la fine dell’assedio turco a Malta, eroicamente difesa dai Cavalieri Gerosolimitani.

    Il ruolo di S. Pio V

    Tanto più grandioso appare quindi il ruolo di S. Pio V nel radunare gran parte di una Cristianità divisa per una battaglia d’importanza militare, civile e religiosa. Il Papa fu l’artefice della coalizione che vinse a Lepanto. Inviò Nunzi ai Principi italiani, al Doge di Venezia, ai Re di Polonia e di Francia. Per finanziare lo sforzo bellico, dopo aver autorizzato La Vallette, Gran Maestro dell’Ordine di Malta, ad ipotecare, per 50.000 scudi d’oro, le commende di Francia e di Spagna, il Papa impose la decima sulle rendite dei monasteri, tre decime al clero napoletano, riscosse dagli impiegati della corte papale 40.000 scudi d’oro in pena delle loro malversazioni e ne ricavò altri 13.000 dalla vendita di pietre preziose, accordò ai veneziani la facoltà di togliere 100.000 scudi sulle rendite ecclesiastiche e rinnovò in favore degli spagnoli il privilegio della Cruzada.

    Come scrive un maestro della storiografia, Nicolò Rodolico: «Al di sopra di interessi materiali, di ambizioni, di possessi e di ricchezze, vi era un Crociato che chiamava a raccolta la Cristianità: Pio V. Non era Cipro dei Veneziani in pericolo, ma la Croce di Cristo nell’Europa era minacciata. La parola commossa del Papa riuscì a conciliare Veneziani e Spagnoli» (12). Fu firmata a Roma il 20 maggio 1571 una Lega, cui aderirono il Papa, il Re di Spagna, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova, il Granduca di Toscana, il Duca di Savoia, l’Ordine di Malta, la Repubblica di Lucca, il Marchese di Mantova, il Duca di Ferrara e il Duca di Urbino. «Le differenze che possono insorgere tra i contraenti – prevedeva il trattato di alleanza – saranno risolte dal Papa. Nessuna delle parti alleate potrà conchiudere pace o tregua da sé o per mezzo di intermediari, senza il consenso o la partecipazione delle altre». Accanto all’azione diplomatica, il Papa ordinò solenni preghiere, in particolare la recita del Santo Rosario, e processioni di penitenza, alle quali prese parte personalmente. Il Sultano ebbe ad esclamare: «Temo più le preghiere di questo Papa, che tutte le milizie dell’imperatore».

    La battaglia e le sue conseguenze

    Il mattino del 7 ottobre 1571 iniziò lo scontro tra le flotte cristiana e musulmana al largo di Lepanto (oggi Nafpaktos), allo sbocco del golfo di Corinto ed a nord di quello di Patrasso. La flotta cristiana era sotto il comando supremo di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale del defunto Imperatore Carlo V, ai cui ordini stavano i veneziani Sebastiano Veniero ed Agostino Barbarigo, il romano Marcantonio Colonna, il genovese Gian Andrea Doria, ed era composta in totale da circa 280 bastimenti, sui quali trovavano posto 1.800 pezzi d’artiglieria, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 43.000 vogatori. La flotta turca, al comando dell’ammiraglio Alì-Mouezzin Pascià, contava circa 230 galee e una sessantina di bastimenti minori, per un totale di circa 290 legni, 750 cannoni, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 41.000 rematori (in buona parte schiavi cristiani, per lo più greci). La vittoria cristiana fu netta. Gli alleati della Lega contarono circa 7.500 morti, uccisi o annegati, in gran parte soldati, e circa 20.000 feriti e persero 12 galee. I turchi ebbero 30.000 morti e 10.000 prigionieri, circa 100 navi bruciate o affondate e 130 catturate; 15.000 schiavi cristiani furono liberati.

    S. Pio V attribuì il trionfo di Lepanto all’intercessione della Vergine: volle che nelle Litanie Lauretane si aggiungesse l’invocazione “Auxilium Christianorum, ora pro nobis”, e fissò al 7 ottobre la festa in onore di nostra Signora della Vittoria. Pio VI fissò infine il 24 maggio la festa di Maria Ausiliatrice, in memoria della battaglia di Lepanto e della propria liberazione a Savona.

    Quella del secolo XVI era un’Europa divisa sul piano politico-diplomatico e religioso. Per certi versi era però più spiritualmente salda di quella di oggi. In essa persisteva, ancora notevole, anche a livello popolare, lo spirito di crociata. Il Re di Francia trattava col Sultano in termini diplomatici, ma non pensava certo che il suo Dio fosse lo stesso dei musulmani, non costruiva moschee, anzi, con le capitolazioni i sovrani francesi si preoccupavano di tutelare i cristiani nell’Impero ottomano; le poche apostasie a favore dell’Islam erano esecrate. La Chiesa cattolica con la Riforma Tridentina era più che mai salda nella dottrina e nella disciplina. Nel ‘500 l’aggressione islamica era solo militare; fu affrontata con una forza militare, saldamente fondata sulla fede e con fiducia nell’aiuto soprannaturale. Oggi la sfida islamica è molto più complessa e non può essere vinta solo con mezzi militari, contro un avversario “non clausewitziano”, che usa la violenza in modo lontano dalla nostra razionalità. La storia dimostra che l’Islam avanza quando la Chiesa vacilla ed i cristiani si abbandonano agli errori ed al lassismo spirituale. Se l’Occidente non ritorna ad essere Cristianità l’esito del confronto è incerto. Il gesto di Paolo VI nel 1967 di restituire alla Turchia una bandiera conquistata a Lepanto è stato ripagato nel 2020 convertendo nuovamente in moschea la basilica di Santa Sofia.

    Un volume che ripercorre 1.400 anni di scontri militari tra Cristianità ed Islam. ricordando le figure di condottieri, difensori dell’Europa cristiana dall’Islam, come d’Aviano, Giovanni Hunyadi ed il francescano San Giovanni da Capistrano commenta giustamente: «Nati in un’età di ferro, la loro vita avventurosa e tormentata può forse scandalizzare la maggior parte dei cristiani contemporanei, sicuramente più mansueti e pacifici: eppure la pace e la libertà che permettono questa mitezza sono conseguenza diretta di quelle battaglie» (13).

     

    Note

    1. Catechismo della Chiesa cattolica. Testo integrale e commento teologico, a cura di Mons. R. Fisichella, Casale Monferrato, 1993, pp. 426-27.

    2. Ibi, n. 502.

    3. Ibi, n. 501.

    4. Pio XII, Allocuzione al Movimento «Pax Christi», 15-9-52, in Insegnamenti pontifici, a cura dei Monaci di Solesmes, vol. V, La pace internazionale, parte prima, La guerra moderna, Roma, 1958, p. 561.

    5. La traduzione dal francese del discorso con il titolo L’Occidente, l’islam e i fondamenti della pace in Vita e Pensiero, n. 5 (settembre-ottobre) 2004.

    6. J. Ratzinger, Lettera a Marcello Pera, in M. Pera-J. Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, Cristianesimo, Islam, Milano, 2004, pp. 97-98.

    7. http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages /peace/documents/hf_ben-xvi_mes_20051213_xxxix-world-day-peace_it.html.

    8. Benedetto XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, 12 settembre 2006, in https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg.html.

    9. F. Braudel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, tr. it., Torino, 1999, vol. II, p. 1182.

    10. J. Keegan, La grande storia della guerra. Dalla preistoria ai giorni nostri, tr. it., Milano, 1994, pp. 67, 69-70, 338-39.

    11. A. Tamborra, Gli Stati italiani, l’Europa e il problema turco dopo Lepanto, Firenze, 1961.

    12. N. Rodolico, Storia degli italiani. Dall’Italia del mille all’Italia del Piave, Firenze, 1964, p. 319.

    13. A. Leoni, La Croce e la mezzaluna, Milano, 2002, p. 152.

     

    Fonte: Rivista Tradizione Famiglia Prorpietà. Anno 29, n. 91 - Ottobre 2021

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  • L’eroismo di San Pio V

    In che senso si può dire che Papa san Pio V sia stato un eroe, e perché è importante riconoscere il suo eroismo? 

     

     

    di Plinio Corrêa de Oliveira

     

    La situazione in Europa nel secolo XVI

    Il santo Pontefice vedeva con preoccupazione la costante crescita del potere ottomano. C’era il pericolo che gli ottomani invadessero l’Europa, con consequenze perfino più rovinose dell’invasione araba della Spagna nell’alto Medioevo.

    Il pericolo era tanto più reale perché l’Europa, già divisa nel secolo XI tra cattolici e scismatici, si era ulteriormente divisa tra cattolici e protestanti. Queste deplorevoli divisioni avevano molto indebolito il campo cattolico. Dobbiamo inoltre ricordare che il protestantesimo a quel tempo aveva un vigore incomparabilmente maggiore di quello che ha oggi, era ancora nella sua fase di espansione, nella sua fase di lotta. E c'era un grande timore che i protestanti avrebbero potuto approfittare dell’aggressione maomettana contro l’Europa per invadere, a loro volta, i paesi cattolici.

    La casa d’Austria, che governava vasti possedimenti e alla quale abitualmente toccava per elezione il Sacro Romano Impero, si era già trovata più volte in difficoltà a causa della convergenza tra i protestanti all’interno e gli ottomani all'esterno. L’obiettivo delle forze del male era forzare la capitolazione della casa d’Austria salvo poi liquidare il cattolicesimo.

    Per la Santa Sede, la minaccia ottomana era quindi molto più preoccupante di quella araba nell’alto Medioevo, poiché allora i cattolici formavano un blocco unico, mentre nel secolo XVI si presentavano divisi.

    In questa situazione san Pio V dovette appellarsi all’uomo che era allora il sostegno temporale della Chiesa, Filippo II re di Spagna. Tale sostegno non poteva venire dall’Imperatore, alle prese con le divisioni religiose dell’Impero. Non poteva venire nemmeno dalla Francia, corrosa dalle guerre di religione e alleata dei turchi in chiave anti-imperiale. D’altronde, la Francia non aveva più il fervore religioso della Spagna.

    Non potendo contare né sulla Francia né sull’Impero, il Papa si appelò quindi a Filippo II. Egli fece appello anche alla Serenissima Repubblica di Venezia, una repubblica aristocratica con ampio sviluppo in tutto il Mediterraneo, e alla Repubblica di Genova, un’altra potenza marinara.

    Purtroppo – e questo tutti gli storici lo ammettono, perfino quelli che, come me, ammirano Filippo II – il Re di Spagna era un uomo molto indeciso e titubante. Dovendo risolvere una situazione, camminava avanti e indietro. Il Papa dovette mandare un'ambasciata dietro l'altra per vincere la tremenda indecisione di Filippo.

    Un vero eroe

    Immaginate la provazione di san Pio V! Il destino dell’Europa e della Cristianità si giocava in una stanza dell’Escorial! Se Filippo II si fosse rifiutato, o se avesse preso troppo tempo, l’orda maomettana si sarebbe scatenata sull’Europa. Sarebbe stata la fine della civiltà cristiana in Occidente. Non sarebbe stata la fine della Chiesa perché essa è immortale, ma sarebbe stata comunque un colpo quasi mortale.

    Lo storico tedesco Ludwig von Pastor racconta i difficili rapporti di san Pio V con Filippo II, affermando che costituirono per il Pontefice un vero e proprio martirio. Il Re di Spagna mise molte condizioni, di carattere politico, finanziario e militare, e il Pontefice dovette accettarle tutte. Tra queste, per esempio, l’esigenza che la Santa Sede partecipasse con le sue proprie navi. S. Pio V dovette quindi incaricare il principe Marcantonio Colonna di preparare la flotta pontificia.

    Se non fosse stato per l’impegno di san Pio V, non ci sarebbe stata la Santa Lega e non si sarebbe svolta la battaglia di Lepanto. Tutti gli storici riconoscono che, in tale situazione di estrema afflizione, san Pio V si comportò da vero eroe, combattendo fino all’ultimo momento.

    Io credo che la famosa visione che egli ebbe sull’esito della battaglia sia stata una ricompensa della Provvidenza per i suoi sforzi. San Pio V era in una riunione con alcuni dignitari della Curia. A un certo punto si alzò e iniziò a pregare, sollecitando i prelati a unirsi a lui. Aveva avuto una mozione interiore che in quel momento si stesse decidendo una grande battaglia tra cattolici e maomettani. Poi, guardando dalla finestra, ebbe la visione della Madonna Ausiliatrice, che gli rivelò che la battaglia di Lepanto era stata vinta. Rivolgendosi ai prelati esclamò: “Signori, abbiamo riportato una grande vittoria!”. Fu chiaramente una rivelazione soprannaturale, poi confermata giorni dopo con l’arrivo della notizia.

    Ora perché proprio a lui? Prima di tutto perché era il capo della Cristianità. Ma anche perché era stato un vero eroe che aveva fatto uno sforzo uguale o maggiore di quello dei combattenti di Lepanto. Era stato un vero eroe, come lo fu Don Giovanni d’Austria e come lo furono gli altri grandi guerrieri che vinsero a Lepanto.

    Qualcuno potrà obiettare: “Dottor Plinio, non la capisco. Egli non ha rischiato la vita, è rimasto comodamente a Roma in attesa che arrivassero notizie. Se non ha rischiato la vita e non ha combattuto, non può essere un eroe”.

    Questo è un falso criterio che dobbiamo toglierci dalla testa. Certamente chi combatte armi in mano è un eroe. Ma la dottrina cattolica non ha mai ammesso che questa sia l’unica forma di eroismo.

    Che cos’è l’eroismo?

    L’eroismo non è solo l’atto con cui l’uomo affronta il rischio di perdere la vita o l’integrità fisica. L’eroismo è l’atto con cui l’uomo affronta ogni grande dolore, o ogni grande sventura. Questo caratterizza l’eroe. E ci sono dolori morali come ci sono dolori fisici. E talvolta i dolori morali tormentano incomparabilmente più dei dolori fisici. Affrontare il dolore morale è spesso incomparabilmente più pesante che affrontare il dolore fisico.

    Abbiamo un esempio di questa eroicità nella passione di Nostro Signore Gesù Cristo. La passione di Nostro Signore Gesù Cristo si divide in due parti: l’agonia e poi la passione propriamente detta, nella quale Egli fu imprigionato, torturato e alla fine crocifisso.

    In questa prima parte, Egli diede mostra di un vero e perfetto eroismo, nel senso più alto del termine. Patì tutta la sofferenza morale causata dai peccati dell’umanità, dall’ingratitudine dell’umanità, ecc. Al punto che chiese a Dio se fosse possibile rimuovere il calice. Il Signore sudò sangue di fronte alla prospettiva di tutto ciò che sarebbe successo.

    Portare a tal punto l’accettazione precoce del dolore e della sofferenza è un vero e proprio eroismo, anche se Egli non combattè fisicamente contro nessuno. Peggio ancora: accettò questo tremendo dolore nonostante ne conoscesse l’inutilità per coloro che avrebbero in seguito rifiutato la grazia, perdendo quindi l’anima. Questa deliberazione è eroica e comporta un dolore genuino, anche se fisicamente non stesse combattendo.

    Qualcuno dirà: “Egli ha offerto il rischio della propria vita, e questo è un elemento dell’eroismo”.

    Certamente, ma la Madonna non l’ha offerto. Nessuno l’ha toccata. La sua sofferenza è stata, dall’inizio alla fine, esclusivamente morale. Eppure, Ella è invocata dalla Chiesa come Regina Martirum. Sebbene non abbia sofferto fisicamente, nessuno dopo Nostro Signore Gesù Cristo, in tutta la storia del mondo, ha sofferto ciò che ha sofferto la Madonna, per la passione e morte di suo Figlio.

    Avere la forza d’animo per resistere alle cose più terribili, alle delusioni, alle calunnie, alle frustrazioni, insomma per resistere a tutto ciò che l’uomo può sopportare nella vita, questo è vero eroismo.

    E' l’opposto dell’atteggiamento buonista e sdolcinato di un certo cattolicesimo contemporaneo, per il quale non esiste la lotta morale. San Pio V è stato il contrario.

    Papa Ghislieri era già anziano. Egli avrebbe potuto pensare che non valesse la pena misurarsi con Filippo II e realizzare tutto quello sforzo titanico per mettere insieme la Santa Lega. Tanto, sarebbe morto da lì a poco... Poteva godersi tranquillamente le commodità del Palazzo Apostolico, fare passeggiate distensive per i giardini vaticani mentre si prendeva cura dei fiori, lasciando il governo della Chiesa ai suoi collaboratori. Ovviamente questo non è un eroe. È un buonista che non combina niente. San Pio V fece il contrario, egli affrontò la situazione di petto. Fu un vero eroe.

    Allora, cos’è l’eroismo? È l’accettazione energica, ferma, nello spirito di fede, di ogni sofferenza, qualunque essa sia, fisica o morale, per il bene della mia anima, per il bene della Chiesa, per il bene della Civiltà cristiana.

    Noi dobbiamo essere disposti a versare il nostro sangue per la Chiesa. Sarà una cosa splendida, magnifica, un desiderio di donazione totale. Non ho abbastanza parole per lodare questo atteggiamento. Ma questa non è l’unica forma di eroismo. Altre forme di lotta per la Chiesa sono pure vero e autentico eroismo. E sono proprio queste forme che fanno di san Pio V un eroe.

     

    Fonte:Brani della conferenza di Plinio Corrêa de Oliveira per soci e cooperatori della TFP brasiliana, 7 ottobre 1975. Tratto dalla registrazione magnetofonica, senza revisione dell’autore. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà - Italia.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • La Santa Casa di Loreto. Il maggiore santuario mariano della cristianità

     

     

    di Javier Navascués

    Federico Catani è giornalista e laureato in scienze politiche e scienze religiose. Membro della TFP, ha pubblicato un altro libro insieme a Florian Kolfhaus: Il Cuore che non ha mai smesso di battere, difendendo la tesi che la Madonna non sarebbe morta. In questa intervista ci racconta il suo libro Il miracolo della Santa Casa di Loreto(Edizioni Luci sull’Est).

     

    Perché un libro sulla casa di Loreto, secondo la tradizione la casa della Beata Vergine?

    Quello di Loreto è stato per secoli il santuario mariano più importante della Cristianità. Negli ultimi tempi purtroppo è caduto un po’ nel dimenticatoio, con una riduzione notevole del numero di pellegrini. Ho pensato pertanto di scrivere questo libro perché la Santa Casa di Loreto è la casa della Madonna, ovvero di nostra Madre, e dunque è anche un po’ casa di tutti noi, suoi figli. Lì infatti è iniziata la nostra redenzione: l’Incarnazione del Verbo.

    E proprio perché casa nostra, è quanto mai doveroso difenderne l’autenticità e soprattutto la verità storica della sua miracolosa Traslazione, negata da oltre trent’anni proprio da quanti dovrebbero invece custodirne la memoria.

    Il libro è stato pensato come una guida per il pellegrino e dunque offre una visione generale, dal racconto e dimostrazione delle Traslazioni miracolose della Santa Casa (sono state cinque tra il 1291 e il 1296), ai miracoli avvenuti tra quelle pareti, sino alle vicende dei santi e dei grandi della storia che vi si sono recati e altro ancora.

     

    Una casa che non ha fondamenta che attira l’attenzione...

    Ebbene sì, proprio questa è una delle caratteristiche più sorprendenti della Casa Santa. Consiste di tre pareti (la quarta era in realtà una grotta, che si trova ancora a Nazareth) che non hanno fondamenta. Tanto che gli abitanti del luogo, temendo che non potesse sostenersi, vi costruirono intorno un muro, ma miracolosamente, come attestano le cronache, questo si staccò dalle pareti, come a voler testimoniare con una prova ulteriore il “miracolo vivente” della dimora della Vergine.

     

    Perché possiamo affermare con certezza che è proprio la casa della Vergine?

    Innanzitutto le pietre della Santa Casa provengono dalla Palestina e risalgono al tempo della Sacra Famiglia. In secondo luogo, le misure delle tre pareti e lo spessore dei muri coincidono con le fondamenta della casa di Nazareth. Non possiamo quindi dimenticare tutti i miracoli, fisici e spirituali, avvenuti nella Santa Casa di Loreto, a testimonianza che questa non era solo una casa in più tra le altre. In diverse rivelazioni private la Vergine stessa ha affermato che questa è la casa dove fu concepita, nacque e ricevette l'annuncio dell'Arcangelo Gabriele, concependo Gesù nel suo grembo.

     

    Potrebbe descrivere com'è la casa e in che condizioni è conservata?

    Come ho già accennato, la casa è costituita da tre mura, rimaste sostanzialmente intatte nel corso dei secoli, nonostante alcune modifiche, come l'apertura delle due porte voluta da papa Clemente VII per facilitare il flusso dei fedeli e la chiusura dell'unica porta originale. Degno di nota è anche l'altare che si trova all'interno della Santa Casa, noto come Altare degli Apostoli. Secondo la tradizione si tratta dell'altare che gli Apostoli fecero costruire nella Santa Casa di Nazareth e dove san Pietro celebrò la prima messa.

     

    La casa fu traslata dagli angeli. Possiamo provarlo?

    Nel corso dei secoli i grandi nemici della Santa Casa e delle sue miracolose Traslazioni sono stati prima i protestanti, poi gli illuministi e infine i modernisti. Oggi purtroppo – e questo la dice lunga sulla crisi della Chiesa che stiamo vivendo – sono le stesse autorità ecclesiastiche a minimizzare o negare il tutto, tanto che ormai è opinione comune tra i fedeli che la Santa Casa sia stata smontata pietra su pietra e portata via mare a Loreto. Ma non vi è nessuna prova storica che lo dimostri. Nessuna! Oltretutto, se così fosse, non si spiega per quale motivo la Madonna di Loreto sia stata proclamata patrona degli aviatori il 24 marzo 1920 e perché mai nel 2020, a cento anni di distanza, sia stato indetto un Giubileo per ricordare tale provvedimento di papa Benedetto XV…

    Probabilmente, quanti minimizzano o negano il miracolo pensano di rendere il tutto più accettabile dai fedeli. Oppure lo fanno perché semplicemente non hanno più fede. Infatti, se crediamo che Dio ha creato l’universo e si è fatto uomo (proprio nella Santa Casa) e che si rende presente nell’Eucaristia, perché mai dovremmo avere difficoltà a credere che possa spostare delle pareti? Girando un po’ per presentare il libro mi rendo conto che la gente ha sete di soprannaturale, vuole i miracoli e non sa che farsene di una pseudo-religione meramente umanitaria. I nostri pastori se ne rendono conto? Oppure scientemente stanno lavorando per distruggere il Cattolicesimo?

    In realtà, ci vuole molta più fede per credere al trasporto umano piuttosto che nel miracolo, avvalorato da Papi, santi e innumerevoli prove storico-scientifiche.

    In estrema sintesi, basti pensare che la malta che tiene unite le pietre della Casa di Maria presenta caratteristiche chimiche particolari risalenti alla Palestina dell’epoca di Gesù. Gli scavi archeologici hanno confermato poi che l’edificio risulta posato sulla nuda terra, senza fondamenta e nel bel mezzo di una pubblica strada, dove ovviamente all’epoca dei fatti era vietato costruire. Addirittura una parte sporge sul vuoto di un fosso e un cespuglio spinoso, che si trovava sul bordo della strada nel momento in cui la Casa si posò, vi rimase imprigionato.

    L'architetto Giuseppe Sacconi (1854-1905) dichiarò, ad esempio, di aver verificato che "la Santa Casa sta parte appoggiata sopra l'estremità di un’antica strada e parte sospesa sopra il fosso attiguo". Ha anche detto che senza entrare in questioni storiche o religiose, si doveva ammettere che la Santa Casa non poteva essere costruita, così com'è, nel luogo in cui si trova. Un altro illustre architetto, Federico Mannucci (1848-1935), nella sua Relazione del 1923, scriveva che è "assurdo solo pensare" che possa essere stata trasportata "con mezzi meccanici". E aggiungeva che “è sorprendente e straordinario il fatto che l'edificio della Santa Casa, pur non avendo alcun fondamento, situato sopra un terreno di nessuna consistenza e disciolto e sovraccaricato, seppure parzialmente, del peso della volta costruitavi in luogo del tetto, si conservi inalterato, senza il minimo cedimento e senza una benché minima lesione sui muri”.

     

    La Chiesa non ha dubbi, cosa hanno detto i papi e i santi?

    Tutti i Papi, a cominciare da Niccolò IV, hanno ufficialmente riconosciuto l'autenticità della Santa Casa e delle sue miracolose Traslazioni, al punto da stabilire la festa liturgica del 10 dicembre, data dell'arrivo delle tre sante pareti in Italia. Questa festa, oggi nota come Festa della Madonna di Loreto, è sempre stata tradizionalmente chiamata Festa della Traslazione Santa Casa nei libri liturgici. Tra i documenti pontifici, particolarmente significativa è la bolla Inter Omnia del 26 agosto 1852, nella quale papa Pio IX dà per provata che “a Loreto, infatti, si venera quella Casa di Nazareth, tanto cara al cuore di Dio, e che, fabbricata nella Galilea, fu più tardi divelta dalle fondamenta e, per la potenza divina, fu trasportata oltre i mari, prima in Dalmazia [nell'attuale Croazia] e poi in Italia."

    E tra gli innumerevoli santi che si recarono in pellegrinaggio a Loreto, voglio ricordare in particolare che fu tra le sante mura della Santa Casa che San Luigi Maria Grignion de Montfort ebbe l’ispirazione per scrivere il suo Trattato della Vera Devozione a Maria: e infatti, quale luogo più adatto per scegliere di vivere la schiavitù d’amore alla Madonna? Non è un caso che il grande santo francese raccomandasse agli schiavi di Maria di celebrare con particolare solennità il 25 marzo, festa dell’Annunciazione. Infatti, come Gesù, incarnandosi nel grembo di Maria, si è reso a Lei completamente dipendente, così anche chi vive la consacrazione predicata dal Montfort si dona totalmente alla Madre di Dio.

     

    Perché Loreto fu un baluardo della cristianità contro l'islam?

    Oggi a causa della dittatura del politicamente corretto non se ne parla, ma il santuario di Loreto ha avuto un ruolo essenziale nella difesa della Cristianità contro l’aggressione islamica. Le battaglie di Lepanto e Vienna sono state vinte grazie all’intercessione della Madonna invocata nella sua Santa Casa, come spiego nel libro. Prendo solo l’esempio di Lepanto. Marcantonio Colonna, comandante della flotta pontificia, si recò a Loreto prima della battaglia, lasciò sua moglie a pregare nel santuario durante lo scontro navale e vi tornò poi a ringraziare la Madre di Dio per la vittoria. Non solo. I prigionieri cristiani liberati dalla schiavitù turca donarono al santuario le loro catene, che vennero fuse e utilizzate per costruire cancelli e balaustre delle cappelle laterali della basilica.

    Ma non finisce qui. La Provvidenza ha infatti disposto che i difensori del papato e della Chiesa contro il “nuovo turco” del liberalismo e dell’agnosticismo offrissero la loro vita sotto lo sguardo amorevole della Madonna di Loreto, il 18 settembre 1860, nella battaglia di Castelfidardo. I soldati pontifici si avviarono alla battaglia con in testa una delle bandiere sottratte ai Turchi a Lepanto, prelevata dal tesoro del santuario, dove era stata collocata da Marcantonio Colonna.

     

    Quali grandi personaggi si sono recati in pellegrinaggio in questo luogo santo?

    Sono innumerevoli, tra imperatori, sovrani e principi, ma è probabilmente interessante per il pubblico spagnolo riferirsi a due in particolare: Cristoforo Colombo e Don Giovanni d'Austria.

    Cristoforo Colombo conosceva molto bene il santuario e non è escluso che vi si fosse recato da giovane marinaio, attraversando l'Adriatico tra il 1465 e il 1475. Sembra che, il 13 febbraio 1493, quando Colombo tornò in Spagna dallo storico viaggio che portò alla scoperta del nuovo continente americano, la sua flotta fu investita da una violenta tempesta. Il mare, fece notare Colombo, divenne così minaccioso che le onde, mentre si alzavano, sembravano inseguire le due navi superstiti, la “Niña” e la “Pinta”. Le onde si fecero spaventose. La "Pinta" rimase in balia del vento, scomparve alla vista e deviò dalla sua rotta. Di fronte al pericolo, Colombo e i suoi marinai si affidarono all'intercessione della Madonna, alla quale fecero tre promesse collettive. Poi, misero in un cappello tanti ceci quanti erano i marinai della “Niña”. Di tutti i ceci, tre erano segnati con una croce e chi li avesse estratti avrebbe dovuto recarsi in pellegrinaggio ai tre santuari mariani. Nella prima e nella terza estrazione, il cece segnato fu estratto dallo stesso Colombo, che promise di andare al santuario spagnolo di Santa María de Guadalupe, in Estremadura e a quello di Santa Clara a Moguer. Il secondo cece fu estratto da un marinaio, Pedro de Villa, al quale Colombo promise il denaro per le spese del viaggio "a Santa Maria di Loreto, che si trova nella Marca di Ancona, nello Stato del Papa, che è la Casa dove la Santissima Vergine ha fatto e fa ancora molti e grandi miracoli”. Dopo aver espresso i tre voti, la tempesta si placò gradualmente e l'equipaggio riuscì finalmente a sbarcare sulla costa spagnola. Il pittore Cesare Maccari ha rappresentato l'adempimento del voto fatto da Cristoforo Colombo sulla cupola della Basilica di Loreto.

    Nel 1576 Don Juan de Austria arrivò a Loreto per adempiere alla promessa che aveva fatto alla Madonna cinque anni prima, quando si era recato alla battaglia di Lepanto. Il ritardo nell'adempimento della sua promessa era dovuto al fatto che aveva dovuto affrontare questioni politiche e militari urgenti. In pieno inverno e a cavallo, arrivò a Loreto da Napoli. Non appena Don Giovanni d'Austria vide il Santuario, si fermò, si inchinò e si scoprì il capo in segno di riverenza. “Poiché alla benedetta Cella pervenne – racconta il padre Arenio d’Ascoli –, fatta una generale confessione, alla Madonna grazie infinite rendette; né di ciò appagato, aggiunse allora al voto adempiuto un ricco dono di danari. Come ebbe soddisfatto al voto ed alla pietà, a Napoli ritornò, seco portando un gran desiderio di quella amabilissima Signora di Loreto”.

     

    Quali sono i principi non negoziabili a cui allude nell'appendice del libro?

    Quello di Loreto dovrebbe essere il santuario per eccellenza dei princìpi non negoziabili. Nella Santa Casa è stata concepita ed è nata la Madonna ed è stato concepito anche Gesù (difesa del diritto alla vita sin dal concepimento). Tra quelle pareti probabilmente è morto San Giuseppe, tra le braccia di Gesù e Maria (difesa della vita sino al suo termine naturale). Infine, lì Gesù è cresciuto ed è stato educato dai suoi genitori (diritto dei genitori di educare i figli in base ai principi in cui credono). Se i nostri vescovi avessero un po’ di interesse e di coraggio, dovrebbero promuovere pubbliche preghiere e incontri annuali a Loreto proprio sulla difesa di questi princìpi.

     

    Perché raccomanderebbe di recarsi in pellegrinaggio in questo luogo santo e quali frutti spirituali hai ottenuto lì?

    Il professor Plinio Corrêa de Oliveira spiegava che a muovere la Rivoluzione sono principalmente l’orgoglio e la sensualità: “Se non fosse per l’orgoglio e la sensualità – scriveva – la Rivoluzione come movimento organizzato nel mondo intero non esisterebbe, non sarebbe possibile”. Sulla base di questa considerazione viene allora da pensare che nessun luogo al mondo è più ostile alla Rivoluzione – e dunque più conforme alla Controrivoluzione – della Santa Casa di Loreto, poiché in nessun altro ambiente hanno regnato l’umiltà e la purezza più perfette. Tra quelle sacre pareti, infatti, Gesù si è sottomesso totalmente a Maria e Giuseppe; la Madonna è stata concepita immacolata, è rimasta perpetuamente vergine e con somma umiltà ha accettato i disegni divini; san Giuseppe è stato il castissimo sposo di Maria.

    Nella Santa Casa di Loreto ha avuto inizio la Redenzione del genere umano tramite l’Incarnazione del Verbo. In mezzo a quelle mura, l’Eterno è entrato nel tempo, Dio si è fatto uomo grazie al consenso pronunciato dalla Vergine Santissima. Tutto ciò rende ancora più chiaro il motivo per cui quel luogo benedetto può essere considerato il centro propulsivo della Contro-Rivoluzione. In effetti, se la prima Rivoluzione è stata quella di Lucifero e degli angeli ribelli che, accecati di orgoglio, hanno gridato a Dio il loro Non serviam, nella Santa Casa, invece, una creatura immacolata ha iniziato a schiacciare la testa del demonio con il suo umile e convinto “Fiat”. Il dottor Plinio definiva la Rivoluzione con i due aggettivi di gnostica ed egualitaria. Ebbene, ciò che lo gnosticismo di tutti i tempi rifiuta è proprio l’Incarnazione. Gli gnostici non possono concepire un Dio che si abbassa ad essere umano, che si umilia assumendo una carne ed un corpo mortali. Oltretutto, secondo vari Padri della Chiesa, Lucifero si ribellò proprio quando gli fu preannunciato che avrebbe dovuto adorare Dio fattosi uomo. Per superbia, gli angeli ribelli non vollero accettare l’unione ipostatica del Verbo con la natura umana, di per sé inferiore a quella angelica. A maggior ragione non potevano accettare che una donna, Maria Santissima, umile creatura, fosse il mezzo attraverso cui questa unione si realizzasse. Di fatto, al centro del pensiero gnostico sta l’idea prometeica dell’uomo che si ribella all’ordine della creazione e che, in ultima istanza, si fa Dio. Ma se Cristo è Dio che si fa uomo, allora l’uomo che si fa Dio è l’Anti-Cristo. Ecco quindi delineato lo scontro tra i due stendardi, quello di Cristo e quello di Satana; in definitiva, lo scontro tra la Rivoluzione e la Controrivoluzione.

     

    Come si può acquistare il libro?

    Può essere ordinato sul sito dell’associazione Luci sull’Est alla pagina https://www.lucisullest.it/materiali-libro-loreto// 

     

    Fonte: Infocatolica, 3 Dicembre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

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  • Lepanto e lo spirito di crociata

    Relazione letta al convegno “Lepanto: 450 anni”, Milano, 23 ottobre 2021

     

    di Julio Loredo

    In Spagna esiste l’espressione “espíritu de Lepanto” come sinonimo di spirito di crociata. Per esempio, si dice che lo spirito di Lepanto soffiò nella guerra del 36-39 che, appunto, fu chiamata Cruzada Nacional. Quel 7 ottobre 1571 qualcosa rifulse a Lepanto con tale splendore che segnò i secoli futuri in un modo che altre battaglie, perfino più importanti dal punto di vista strategico, come la battaglia di Vienna nel 1683, non fecero. Credo non sia azzardato definire questo spirito come una grazia provvidenziale, una riverberazione di quella “grazia nova” di cui parla San Bernardo nell’ incipit a De laude novae militiae ad milites Templi, e che diede origine alla Cavalleria.

    Crisi della Cristianità medievale

    Nel 1571 la Cristianità medievale non c’era più. Corrosa dallo spirito umanista e rinascimentale, spaccata prima dallo scisma d’Oriente e poi dall’eresia luterana, indebolita dalle politiche machiavelliche, in balìa dei godimenti sensuali che la nascente modernità offriva, l’Europa sembrava un frutto marcio pronto a cadere nelle mani dell’Impero Ottomano.

    Anche nella Chiesa era penetrato questo marciume, dando luogo a una serie di Pontefici dediti più alla cura dell’arte e alle scienze umanistiche che non alla difesa della Fede e della Cristianità. Mi vengono in mente le parole dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere; ti si crede viva e invece sei morta. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire” (Apoc. 3, 1-2).

    Nessuno parlava più di crociata. La stessa Cavalleria, in altri tempi una delle più alte espressioni dell’austerità cristiana, era diventata prima amorosa e sentimentale, e poi meramente mondana. È indicativo che nella battaglia di Alcacer Quibir, combattuta nel 1578 dal Re Dom Sebastião contro i musulmani del Marocco, il reggimento di élite, che radunava il fior fiore della nobiltà portoghese, si chiamava Os Namorados, Gli Innamorati. Lo scontro finì con la totale sconfitta dei cristiani. Os Namorados furono sterminati.

    Gli eroi dell’epoca non erano più San Luigi né San Ferdinando, bensì Giovanni delle Bande Nere, Bayard, Gaston de Foix, o lo stesso Muzio Attendolo, a cui Milano tanto deve. Guerrieri magnifici, ma in cui l’ideale specificamente cattolico era ormai pressoché assente.

    Le stesse guerre di contenimento del nemico islamico, per esempio nell’Adriatico, erano dettate più da motivi politici e commerciali che religiosi. Lo spirito mercantilista aveva soppiantato l’idealismo crociato. Conosciamo bene la frase “Siamo veneziani, poi cristiani”. Ma lo stesso si poteva dire di quasi tutti i popoli europei.

    La Francia, figlia primogenita della Chiesa e anima delle crociate – al punto che, fino ad oggi, i musulmani chiamano i cristiani “franchi” – era alleata del Turco, in chiave anti-imperiale. E anche se così non fosse stato, era talmente dilaniata dalle guerre di religione, che difficilmente avrebbe potuto partecipare a uno sforzo congiunto.

    Lo stesso Filippo II – che poi sarà l’asse dell’alleanza cristiana – temporeggiò a lungo. Tutti gli storici lo ammettono, perfino quelli che lo ammirano: il Re di Spagna era un uomo molto indeciso e titubante. Dovendo risolvere una situazione, camminava lungamente avanti e indietro. Papa san Pio V dovette mandare un’ambasciata dopo l’altra per vincere la tremenda indecisione di Filippo. Secondo alcuni storici, fu proprio questa indecisione a provocare il disastro dell’Armata Invincibile nel 1587. Gli si rinfaccia, per esempio, l’aver scelto uomini molli, come Luis de Requesens, inviato a Lepanto come aiutante di campo di Don Giovanni d’Austria, ma in realtà per controllare gli “eccessi” di zelo del giovane condottiero. Infatti, nel consiglio di guerra tenutosi la vigilia della battaglia sulla nave ammiraglia La Real, Andrea Doria e Luis de Requesens opinarono per una ritirata strategica. Seccato, Don Giovanni d’Austria li rimproverò: “¡Ya no es tiempo de debate sino de combate!”.      

    Un soffio rigeneratore

    Potremmo andare avanti per ore, elencando i molteplici segni di debolezza e di decadenza di cui l’Europa dava allora mostra. Eppure, quando Papa Ghislieri lanciò l’appello che culminò nella formazione della Lega Santa, qualcosa di profondamente medievale soffiò in tutto il continente, non tanto nelle classi dirigenti quanto nella popolazione. Abbondano le memorie dell’epoca che raccontano il giubilo che accolse la notizia della convocazione, e lo slancio con cui si arruolarono i volontari. È frequente, almeno in Spagna, parlare di Lepanto come “un gran acontecimiento sentimental”, un grande evento sentimentale, vale a dire un evento che andò oltre gli aspetti politici e sociali, toccando il più profondo dell’anima europea. Lo stesso Miguel de Cervantes Saavedra, di spirito piuttosto liberale come più tardi vedremo, si arruolò e partecipò alla battaglia, perdendo perfino una mano. Per questo motivo è sopranominato il Monco di Lepanto.

    Questo soffio rigeneratore, che prescindeva dalla titubanza interessata dei capi – che perdevano tempo a litigare tra loro – si propagò per mezza Europa, e in particolare nei Paesi latini cattolici. Gli autori ispanici – quelli che ho maggiormente letto a questo riguardo – sono concordi nel dire che l’appello di Papa san Pio V fece balenare nell’anima di molti un risorgimento dello spirito di crociata. Questo entusiasmo si propagò agli Ordini di cavalleria, quasi fosse un’opportunità per risuscitare vecchie glorie. Nella sua celebre Histoire des Croisades, lo storico Joseph François Michaud afferma: “La battaglia fra cristiani e turchi [a Lepanto] ricordava in certo modo lo spirito e l’entusiasmo delle crociate” (Libro XIX, p. 553).

    È degno di nota ricordare l’acceso fervore religioso con cui la flotta si preparò a Messina. Le cronache raccontano che quasi tutti gli ottantamila marinai e soldati si accostarono alla Confessione e alla Comunione. Abbondarono i casi di conversione e di cambio di vita. Un piccolo esercito di figli di Sant’Ignazio di Loyola, alloggiati nel Collegio dei gesuiti presso la chiesa di San Giovanni Battista, diede manforte ai cappellani militari delle galee. I sacerdoti lavoravano a turni 24 ore su 24. San Pio V aveva chiesto esplicitamente a Don Giovanni d’Austria di licenziare i soldati che mostrassero cattive abitudini, promettendogli in questo modo la vittoria.

    In aperto contrasto con lo spirito umanista dell’epoca, l’epopea di Lepanto fu intrisa d’ideale religioso. San Pio V affidò l’impresa alla Madonna, ordinò preghiere speciali e consegnò a Don Giovanni d’Austria il Gonfalone di San Pietro, issato sulla nave ammiraglia, il cui mastro centrale portava l’enorme Cristo di Lepanto, che possiamo ancora venerare nella cattedrale di Barcellona. Don Giovanni d’Austria portava sul suo petto una reliquia della Santa Croce. Una cronaca dell’epoca descrive le due flotte mentre si approssimavano: mentre da quella turca provenivano urla e gemiti animaleschi, da quella cristiana si innalzava un soave mormorio di preghiera. Lepanto non fu una battaglia moderna. Fu una battaglia medievale.

    La figura centrale dell’epopea di Lepanto, direi il parafulmine di questa grazia di crociata, fu senz’altro Papa san Pio V. Se non fosse stato per il suo impegno non ci sarebbe stata la Lega Santa. San Pio V si comportò da vero eroe, combattendo fino all’ultimo momento. Si può supporre che la famosa visione che egli ebbe sull’esito della battaglia sia stata una ricompensa della Provvidenza per i suoi sforzi. San Pio V era in riunione con alcuni dignitari della Curia. A un certo punto si alzò e iniziò a pregare, sollecitando i prelati a unirsi a lui. Poi, guardando dalla finestra, ebbe la visione della Madonna Ausiliatrice, che gli rivelò che la battaglia di Lepanto era stata vinta. Rivolgendosi ai prelati esclamò: “Signori, abbiamo riportato una grande vittoria!”. Fu chiaramente una rivelazione soprannaturale, poi confermata giorni dopo con l’arrivo della notizia. Ora perché proprio a lui? Prima di tutto perché era il capo della Cristianità. Ma anche perché era stato un vero eroe che aveva fatto uno sforzo uguale o maggiore di quello dei combattenti di Lepanto.

    Protagonista di questa grazia di crociata fu anche la Spagna. Essa veniva da otto secoli di lotta contro i musulmani, l’ormai leggendaria Reconquista, e passò senza soluzione di continuità alla conquista del Nuovo Mondo, portandovi lo stesso spirito di crociata. Usando un’espressione coniata da Guilbert de Tournai nel 1260, e poi ripresa dal beato Raimondo Lullo, si passò dalla crux cismarina alla crux ultramarina. La Reconquista fu definita una crociata dai Papi dell’epoca. Anzi, la Spagna fu la prima a ottenere il privilegio di crociata, vale a dire le indulgenze legate alla guerra contro gli infedeli, da Papa Alessandro II, nel 1063, ben trent’anni prima che il beato Urbano II predicasse la prima crociata a Clermont. Nel 1102, Papa Pasquale II equiparò la Reconquista alle crociate in Terra Santa, proibendo agli ispanici di recarsi in Medio Oriente per non disperdere le forze. Quando san Luigi IX di Francia chiese a suo cugino san Ferdinando III di Castiglia aiuto per la sua crociata nell’Africa settentrionale, costui rispose: “Hartos moros tengo yo en España – Ne ho abbastanza di mori qui in Spagna”.

    È riconosciuto dagli storici che il passare dalla Reconquista alla Conquista senza soluzione di continuità, preservò largamente la Spagna dalla decadenza in cui era precipitata buona parte dell’Europa. Sicché essa poté portare a Lepanto lo spirito di crociata che ancora animava le sue armate.

    Una parola a margine. Si parla tanto della “flotta spagnola”, brillantemente comandata da Don Álvaro de Bazán, marchese di Santa Cruz. In realtà, essa era composta anche da navi siciliane, pugliesi e napoletane, senza dimenticare la flotta calabrese agli ordini del principe Gaspare Toraldo di Tropea. E non possiamo non menzionare la galea Lomellina, al comando di Agostino Canevari. E anche le truppe imbarcate erano in buona parte italiane. Dal Tercio di Napoli, agli ordini di Don Pedro de Padilla, imbarcato sulle navi napoletane e messinesi, al Tercio di Sicilia, agli ordini di Don Diego Enríquez, imbarcato sulle galee siciliane.

    La controffensiva

    La Rivoluzione non poteva rimanere inerte di fronte a un tale risveglio dello spirito di crociata. E partì dunque la controffensiva. Parlando della Spagna, proprio a quell’epoca inizia una sorta di rivoluzione culturale che, attraverso soprattutto la letteratura e la musica, attua profondi cambiamenti nella mentalità delle persone. Nasce, per esempio, la commedia picaresca, che introduce uno spirito frivolo, gaio e spensierato che spazza via l’austera serietà dei tempi antichi, fondamento dello spirito di crociata.

    Alcuni autori sollevano l’ipotesi che il celebre romanzo Don Quijote de la Mancha, di Miguel de Cervantes, sia stato scritto con questa finalità. Esso racconta, infatti, la storia di un idalgo che, a forza di leggere romanzi di cavalleria, “usciva di senno”. Il Chisciotte è la perfetta caricatura del cavaliere. Allo stesso tempo lo glorifica e ne celebra il funerale. Dopo il Chisciotte, lo spirito di cavalleria non sarà mai più lo stesso. Qualsiasi sfoggio d’idealismo sarà ipso facto deriso come una “chisciottata”. Qualsiasi desiderio di lottare contro la Rivoluzione sarà schernito come un “caricare mulini a vento”.

    È possibile questo soffio rigeneratore oggi?

    Mi avvio alla conclusione sollevando una domanda: è possibile un tale soffio rigeneratore nei giorni nostri? È possibile che lo spirito di Lepanto si manifesti ancora? Tutto sembrerebbe indicare una risposta negativa.

    Tanto per cominciare, non abbiamo un beato Urbano II, né un san Pio V, né un beato Innocenzo XI. Non abbiamo nemmeno un Giovanni d’Austria, un Eugenio di Savoia o un Jan Sobieski.

    Tuttavia, se analizziamo dal punto di vista teologico questa grazia che ho chiamato “spirito di Lepanto”, vediamo che essa ha come caratteristica principale l’essere concessa proprio in momenti di grande decadenza. Nel 1571 la Cristianità medievale non c’era più. Eppure, questa grazia fu concessa e ci fu la vittoria. Nel 1936, la Chiesa in Spagna era decadente. Eppure, come scrisse il cardinale Isidro Gomá y Tomás, Primate di Spagna, “la guerra ebbe il merito di trasformare una Chiesa decadente in una Chiesa martire”. E anche qui ci fu la vittoria.

    Chiediamo alla Divina Provvidenza che, in questo auge delle tenebre, ci conceda la grazia che mosse i guerrieri a Lepanto, affinché anche questa volta ci sia la vittoria. Una vittoria in realtà scontata, poiché a Fatima la Madonna promise il trionfo del suo Cuore Immacolato.

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • Lepanto e lo spirito di crociata

    Relazione letta al convegno “Lepanto: 450 anni”, Milano, 23 ottobre 2021

     

    di Julio Loredo

    In Spagna esiste l’espressione “espíritu de Lepanto” come sinonimo di spirito di crociata. Per esempio, si dice che lo spirito di Lepanto soffiò nella guerra del 36-39 che, appunto, fu chiamata Cruzada Nacional. Quel 7 ottobre 1571 qualcosa rifulse a Lepanto con tale splendore che segnò i secoli futuri in un modo che altre battaglie, perfino più importanti dal punto di vista strategico, come la battaglia di Vienna nel 1683, non fecero. Credo non sia azzardato definire questo spirito come una grazia provvidenziale, una riverberazione di quella “grazia nova” di cui parla San Bernardo nell’ incipit a De laude novae militiae ad milites Templi, e che diede origine alla Cavalleria.

    Crisi della Cristianità medievale

    Nel 1571 la Cristianità medievale non c’era più. Corrosa dallo spirito umanista e rinascimentale, spaccata prima dallo scisma d’Oriente e poi dall’eresia luterana, indebolita dalle politiche machiavelliche, in balìa dei godimenti sensuali che la nascente modernità offriva, l’Europa sembrava un frutto marcio pronto a cadere nelle mani dell’Impero Ottomano.

    Anche nella Chiesa era penetrato questo marciume, dando luogo a una serie di Pontefici dediti più alla cura dell’arte e alle scienze umanistiche che non alla difesa della Fede e della Cristianità. Mi vengono in mente le parole dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere; ti si crede viva e invece sei morta. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire” (Apoc. 3, 1-2).

    Nessuno parlava più di crociata. La stessa Cavalleria, in altri tempi una delle più alte espressioni dell’austerità cristiana, era diventata prima amorosa e sentimentale, e poi meramente mondana. È indicativo che nella battaglia di Alcacer Quibir, combattuta nel 1578 dal Re Dom Sebastião contro i musulmani del Marocco, il reggimento di élite, che radunava il fior fiore della nobiltà portoghese, si chiamava Os Namorados, Gli Innamorati. Lo scontro finì con la totale sconfitta dei cristiani. Os Namorados furono sterminati.

    Gli eroi dell’epoca non erano più San Luigi né San Ferdinando, bensì Giovanni delle Bande Nere, Bayard, Gaston de Foix, o lo stesso Muzio Attendolo, a cui Milano tanto deve. Guerrieri magnifici, ma in cui l’ideale specificamente cattolico era ormai pressoché assente.

    Le stesse guerre di contenimento del nemico islamico, per esempio nell’Adriatico, erano dettate più da motivi politici e commerciali che religiosi. Lo spirito mercantilista aveva soppiantato l’idealismo crociato. Conosciamo bene la frase “Siamo veneziani, poi cristiani”. Ma lo stesso si poteva dire di quasi tutti i popoli europei.

    La Francia, figlia primogenita della Chiesa e anima delle crociate – al punto che, fino ad oggi, i musulmani chiamano i cristiani “franchi” – era alleata del Turco, in chiave anti-imperiale. E anche se così non fosse stato, era talmente dilaniata dalle guerre di religione, che difficilmente avrebbe potuto partecipare a uno sforzo congiunto.

    Lo stesso Filippo II – che poi sarà l’asse dell’alleanza cristiana – temporeggiò a lungo. Tutti gli storici lo ammettono, perfino quelli che lo ammirano: il Re di Spagna era un uomo molto indeciso e titubante. Dovendo risolvere una situazione, camminava lungamente avanti e indietro. Papa san Pio V dovette mandare un’ambasciata dopo l’altra per vincere la tremenda indecisione di Filippo. Secondo alcuni storici, fu proprio questa indecisione a provocare il disastro dell’Armata Invincibile nel 1587. Gli si rinfaccia, per esempio, l’aver scelto uomini molli, come Luis de Requesens, inviato a Lepanto come aiutante di campo di Don Giovanni d’Austria, ma in realtà per controllare gli “eccessi” di zelo del giovane condottiero. Infatti, nel consiglio di guerra tenutosi la vigilia della battaglia sulla nave ammiraglia La Real, Andrea Doria e Luis de Requesens opinarono per una ritirata strategica. Seccato, Don Giovanni d’Austria li rimproverò: “¡Ya no es tiempo de debate sino de combate!”.      

    Un soffio rigeneratore

    Potremmo andare avanti per ore, elencando i molteplici segni di debolezza e di decadenza di cui l’Europa dava allora mostra. Eppure, quando Papa Ghislieri lanciò l’appello che culminò nella formazione della Lega Santa, qualcosa di profondamente medievale soffiò in tutto il continente, non tanto nelle classi dirigenti quanto nella popolazione. Abbondano le memorie dell’epoca che raccontano il giubilo che accolse la notizia della convocazione, e lo slancio con cui si arruolarono i volontari. È frequente, almeno in Spagna, parlare di Lepanto come “un gran acontecimiento sentimental”, un grande evento sentimentale, vale a dire un evento che andò oltre gli aspetti politici e sociali, toccando il più profondo dell’anima europea. Lo stesso Miguel de Cervantes Saavedra, di spirito piuttosto liberale come più tardi vedremo, si arruolò e partecipò alla battaglia, perdendo perfino una mano. Per questo motivo è sopranominato il Monco di Lepanto.

    Questo soffio rigeneratore, che prescindeva dalla titubanza interessata dei capi – che perdevano tempo a litigare tra loro – si propagò per mezza Europa, e in particolare nei Paesi latini cattolici. Gli autori ispanici – quelli che ho maggiormente letto a questo riguardo – sono concordi nel dire che l’appello di Papa san Pio V fece balenare nell’anima di molti un risorgimento dello spirito di crociata. Questo entusiasmo si propagò agli Ordini di cavalleria, quasi fosse un’opportunità per risuscitare vecchie glorie. Nella sua celebre Histoire des Croisades, lo storico Joseph François Michaud afferma: “La battaglia fra cristiani e turchi [a Lepanto] ricordava in certo modo lo spirito e l’entusiasmo delle crociate” (Libro XIX, p. 553).

    È degno di nota ricordare l’acceso fervore religioso con cui la flotta si preparò a Messina. Le cronache raccontano che quasi tutti gli ottantamila marinai e soldati si accostarono alla Confessione e alla Comunione. Abbondarono i casi di conversione e di cambio di vita. Un piccolo esercito di figli di Sant’Ignazio di Loyola, alloggiati nel Collegio dei gesuiti presso la chiesa di San Giovanni Battista, diede manforte ai cappellani militari delle galee. I sacerdoti lavoravano a turni 24 ore su 24. San Pio V aveva chiesto esplicitamente a Don Giovanni d’Austria di licenziare i soldati che mostrassero cattive abitudini, promettendogli in questo modo la vittoria.

    In aperto contrasto con lo spirito umanista dell’epoca, l’epopea di Lepanto fu intrisa d’ideale religioso. San Pio V affidò l’impresa alla Madonna, ordinò preghiere speciali e consegnò a Don Giovanni d’Austria il Gonfalone di San Pietro, issato sulla nave ammiraglia, il cui mastro centrale portava l’enorme Cristo di Lepanto, che possiamo ancora venerare nella cattedrale di Barcellona. Don Giovanni d’Austria portava sul suo petto una reliquia della Santa Croce. Una cronaca dell’epoca descrive le due flotte mentre si approssimavano: mentre da quella turca provenivano urla e gemiti animaleschi, da quella cristiana si innalzava un soave mormorio di preghiera. Lepanto non fu una battaglia moderna. Fu una battaglia medievale.

    La figura centrale dell’epopea di Lepanto, direi il parafulmine di questa grazia di crociata, fu senz’altro Papa san Pio V. Se non fosse stato per il suo impegno non ci sarebbe stata la Lega Santa. San Pio V si comportò da vero eroe, combattendo fino all’ultimo momento. Si può supporre che la famosa visione che egli ebbe sull’esito della battaglia sia stata una ricompensa della Provvidenza per i suoi sforzi. San Pio V era in riunione con alcuni dignitari della Curia. A un certo punto si alzò e iniziò a pregare, sollecitando i prelati a unirsi a lui. Poi, guardando dalla finestra, ebbe la visione della Madonna Ausiliatrice, che gli rivelò che la battaglia di Lepanto era stata vinta. Rivolgendosi ai prelati esclamò: “Signori, abbiamo riportato una grande vittoria!”. Fu chiaramente una rivelazione soprannaturale, poi confermata giorni dopo con l’arrivo della notizia. Ora perché proprio a lui? Prima di tutto perché era il capo della Cristianità. Ma anche perché era stato un vero eroe che aveva fatto uno sforzo uguale o maggiore di quello dei combattenti di Lepanto.

    Protagonista di questa grazia di crociata fu anche la Spagna. Essa veniva da otto secoli di lotta contro i musulmani, l’ormai leggendaria Reconquista, e passò senza soluzione di continuità alla conquista del Nuovo Mondo, portandovi lo stesso spirito di crociata. Usando un’espressione coniata da Guilbert de Tournai nel 1260, e poi ripresa dal beato Raimondo Lullo, si passò dalla crux cismarina alla crux ultramarina. La Reconquista fu definita una crociata dai Papi dell’epoca. Anzi, la Spagna fu la prima a ottenere il privilegio di crociata, vale a dire le indulgenze legate alla guerra contro gli infedeli, da Papa Alessandro II, nel 1063, ben trent’anni prima che il beato Urbano II predicasse la prima crociata a Clermont. Nel 1102, Papa Pasquale II equiparò la Reconquista alle crociate in Terra Santa, proibendo agli ispanici di recarsi in Medio Oriente per non disperdere le forze. Quando san Luigi IX di Francia chiese a suo cugino san Ferdinando III di Castiglia aiuto per la sua crociata nell’Africa settentrionale, costui rispose: “Hartos moros tengo yo en España – Ne ho abbastanza di mori qui in Spagna”.

    È riconosciuto dagli storici che il passare dalla Reconquista alla Conquista senza soluzione di continuità, preservò largamente la Spagna dalla decadenza in cui era precipitata buona parte dell’Europa. Sicché essa poté portare a Lepanto lo spirito di crociata che ancora animava le sue armate.

    Una parola a margine. Si parla tanto della “flotta spagnola”, brillantemente comandata da Don Álvaro de Bazán, marchese di Santa Cruz. In realtà, essa era composta anche da navi siciliane, pugliesi e napoletane, senza dimenticare la flotta calabrese agli ordini del principe Gaspare Toraldo di Tropea. E non possiamo non menzionare la galea Lomellina, al comando di Agostino Canevari. E anche le truppe imbarcate erano in buona parte italiane. Dal Tercio di Napoli, agli ordini di Don Pedro de Padilla, imbarcato sulle navi napoletane e messinesi, al Tercio di Sicilia, agli ordini di Don Diego Enríquez, imbarcato sulle galee siciliane.

    La controffensiva

    La Rivoluzione non poteva rimanere inerte di fronte a un tale risveglio dello spirito di crociata. E partì dunque la controffensiva. Parlando della Spagna, proprio a quell’epoca inizia una sorta di rivoluzione culturale che, attraverso soprattutto la letteratura e la musica, attua profondi cambiamenti nella mentalità delle persone. Nasce, per esempio, la commedia picaresca, che introduce uno spirito frivolo, gaio e spensierato che spazza via l’austera serietà dei tempi antichi, fondamento dello spirito di crociata.

    Alcuni autori sollevano l’ipotesi che il celebre romanzo Don Quijote de la Mancha, di Miguel de Cervantes, sia stato scritto con questa finalità. Esso racconta, infatti, la storia di un idalgo che, a forza di leggere romanzi di cavalleria, “usciva di senno”. Il Chisciotte è la perfetta caricatura del cavaliere. Allo stesso tempo lo glorifica e ne celebra il funerale. Dopo il Chisciotte, lo spirito di cavalleria non sarà mai più lo stesso. Qualsiasi sfoggio d’idealismo sarà ipso facto deriso come una “chisciottata”. Qualsiasi desiderio di lottare contro la Rivoluzione sarà schernito come un “caricare mulini a vento”.

    È possibile questo soffio rigeneratore oggi?

    Mi avvio alla conclusione sollevando una domanda: è possibile un tale soffio rigeneratore nei giorni nostri? È possibile che lo spirito di Lepanto si manifesti ancora? Tutto sembrerebbe indicare una risposta negativa.

    Tanto per cominciare, non abbiamo un beato Urbano II, né un san Pio V, né un beato Innocenzo XI. Non abbiamo nemmeno un Giovanni d’Austria, un Eugenio di Savoia o un Jan Sobieski.

    Tuttavia, se analizziamo dal punto di vista teologico questa grazia che ho chiamato “spirito di Lepanto”, vediamo che essa ha come caratteristica principale l’essere concessa proprio in momenti di grande decadenza. Nel 1571 la Cristianità medievale non c’era più. Eppure, questa grazia fu concessa e ci fu la vittoria. Nel 1936, la Chiesa in Spagna era decadente. Eppure, come scrisse il cardinale Isidro Gomá y Tomás, Primate di Spagna, “la guerra ebbe il merito di trasformare una Chiesa decadente in una Chiesa martire”. E anche qui ci fu la vittoria.

    Chiediamo alla Divina Provvidenza che, in questo auge delle tenebre, ci conceda la grazia che mosse i guerrieri a Lepanto, affinché anche questa volta ci sia la vittoria. Una vittoria in realtà scontata, poiché a Fatima la Madonna promise il trionfo del suo Cuore Immacolato.

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  • Loreto e Lepanto: un intimo legame

    Un filo d’oro lega il Santuario della Madonna di Loreto alla battaglia di Lepanto. Papa S. Pio V aveva, infatti, messo l’impresa proprio sotto la protezione della Vergine di Loreto. Don Giovanni d’Austria, Marcantonio Colonna, e poi gli schiavi cristiani liberati durante la battaglia, si recarono al Santuario per ringraziare la Madonna per la brillante vittoria. In questo modo Loreto confermò la sua vocazione di baluardo della Cristianità contro l’islam.

     

     

    di Federico Catani

     

    Il santuario della Santa Casa di Loreto ha svolto un ruolo essenziale nella secolare lotta della Cristianità contro l’aggressione islamica. Di fronte agli attacchi del mondo musulmano, la Vergine Lauretana è stata invocata a protezione del Papato, della Chiesa Cattolica e, in generale, dell’identità cristiana europea. Tra i tanti esempi che si potrebbero fare per dare un’idea dell’importanza di Loreto, basti considerare la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571).

    L’intervento della Madonna di Loreto

    Come scrive padre Arsenio d’Ascoli nel suo I Papi e la Santa Casa (1969), «San Pio V aveva messo sotto la protezione della Vergine di Loreto l’esito della grande battaglia che le Nazioni cristiane combattevano contro i Turchi, che stavano facendo per mare gli ultimi sforzi per aprirsi un varco nel Mediterraneo Occidentale e colpire al cuore la Chiesa Cattolica. Il Santo Pontefice aveva ordinato preghiere continue nella Santa Casa di Loreto, per tutto il periodo dell’ultima grande crociata».

    Come è noto, per ottenere la vittoria il santo Pontefice si affidò alla Madonna e al Rosario, percorrendo in processione a piedi nudi le strade di Roma e invocando la misericordia e l’aiuto di Dio. Ma non si fermò alla sola preghiera. Si attivò infatti per promuovere un’alleanza militare degli Stati cattolici europei, la Lega Cristiana, sottoscritta il 25 maggio 1571. Ed è alla Santa Casa, dove si era recato nel 1566, che il papa rivolse il suo pensiero. «Perciò il Papa veramente pio, diedesi con private e pubbliche orazioni a conciliarsi il grande Iddio e principalmente ordinò che nella santissima Cella di Loreto continuamente si porgessero caldi prieghi alla Madonna ch’Ella si degnasse di prestar il favore suo ai Cristiani, nel maggior pericolo e bisogno. Né vana fu la speranza del Pontefice Pio e delle altre pie persone» (cf. Martorelli, Teatro istorico della Santa Casa Nazarena della B. Vergine Maria e sua ammirabile Traslazione in Loreto, vol. I, p.531).

    Va notato che, prima della battaglia di Lepanto, il comandante della flotta pontificia Marcantonio Colonna si recò nella Santa Casa con la sposa, Donna Felice Orsini, per mettere nelle mani di Maria la sorte della guerra. Mentre partiva per l’Oriente, la moglie restò a Loreto insieme ad altre nobildonne a pregare per lo sposo e per la vittoria, passando giorni e notti tra le sante pareti.

    Le cronache narrano che la sera della battaglia, il 7 ottobre 1571, improvvisamente, quasi mosso da un impulso irresistibile, San Pio V si alzò dal suo tavolo di lavoro e si accostò a una finestra fissando lo sguardo verso l’oriente, quasi estatico; poi, tutto gioioso, esclamò che era il momento di rendere grazie a Dio per la vittoria ottenuta dalla flotta cristiana sui Turchi.

    Il ringraziamento per la vittoria

    La festa della Madonna del Rosario, istituita da Pio V e fissata per il 7 ottobre, è quindi intimamente legata a Loreto, perché fu principalmente in questo santuario, all’epoca il più importante della Cristianità, che si pregò per il buon esito dello scontro navale. E fu dopo Lepanto che l’invocazione Auxilium Christianorum venne aggiunta alle Litanie Lauretane. Non solo. Come ricordo e come riconoscenza, nei medaglioni degli Agnus Dei Pio V fece porre l’immagine di Loreto con sopra le magnifiche parole Vera Domus florida quae fuit in Nazareth. E sotto dispose che si scrivesse: Sub tuum praesidium per far comprendere a tutti a chi era da attribuirsi il merito della vittoria, ovvero alla Madonna. Inoltre donò al santuario una pianeta e un pallio.

    Roma preparò un ingresso trionfale al condottiero dell’armata papale, ma Marcantonio Colonna, riconoscendo che il merito della vittoria non era suo, bensì della Virgo Lauretana, posticipò il ritorno alla capitale e si recò prima a Loreto a ringraziare la Madonna. Tutta l’armata papale approdò a Porto Recanati. Il comandante, gli ufficiali e i cristiani liberati dai Turchi, a piedi, con il capo scoperto, cantando inni di gioia e di ringraziamento, salirono al colle lauretano.

    Nell’inverno del 1576 andò a Loreto a cavallo, partendo da Napoli, anche Don Giovanni d’Austria, il grande eroe di Lepanto, leader della Lega Cristiana. Egli sciolse così il voto fatto cinque anni prima alla Madonna, quando partì per la battaglia. Fino ad allora ne era stato sempre impedito da altri affari politici e militari. Appena vide da lontano il Santuario, si fermò, s’inchinò e si scoprì il capo in segno di riverenza. «Poiché alla benedetta Cella pervenne, fatta una generale confessione, alla Madonna grazie infinite rendette; né di ciò appagato, aggiunse allora al voto già adempiuto un ricco dono di danari. Come ebbe soddisfatto al voto ed alla pietà, a Napoli ritornò, seco portando un gran desiderio di quella amabilissima Signora di Loreto» (Martorelli, vol. I, pp.433-434).

    Circa 40.000 erano i rematori dell’armata turca a Lepanto. Molti erano cristiani e, come raccontano gli storici, «è assai noto che nella medesima giornata [della battaglia di Lepanto ndr], prima che al fatto si desse principio, gli schiavi cristiani dai Turchi posti alle catene per vogare, si votarono a Santa Maria di Loreto per la libertà loro» (Martorelli, vol. I, p.431). In 15.000 furono liberati nella grande battaglia e riportati in Europa sulle navi cristiane. Tutti poi, o in gruppo o individualmente, vollero venire a Loreto a sciogliere il loro voto. «E vollero che quivi restasse di tanto celeste beneficio qualche memoria: lasciarono alla loro Liberatrice le catene che ai remi gli tenevano legati» (Martorelli, vol. I, 431). Tali catene servirono per fabbricare le cancellate dei dodici altari della navata centrale della Basilica, dove rimasero per quasi due secoli. Infine, «essendosi poste alle dette Cappelle li balaustri di marmo, furono levati quei cancelli, e quel ferro commisto indistintamente con altro fu impiegato in occorrenze di varie fabbriche spettanti all’istesso Santuario» (Martorelli, vol. II, p.134). Oltre alle suddette cancellate, le catene fuse servirono per la costruzione dei quattro cancelli della Santa Casa che ancora si conservano al loro posto per ricordo. Mentre con le grandi lance fu fatto un recinto alla fontana del Maderno e con le frecce una caratteristica cancellata a una Cappella della Basilica. Tuttavia alla fine vennero tutti asportati, perché corrosi dalla ruggine e soprattutto perché un’altra linea artistica s’imponeva nelle cappelle.

    «Fu davvero simpatico – scrive padre Arsenio d’Ascoli – il gesto di questi schiavi che vollero donare le loro catene alla loro Liberatrice come segno di riconoscenza e di amore. I quattro cancelli della Santa Casa, anche se semplici e rozzi, stanno lì a cantare le glorie e le vittorie della Vergine e a ricordare a tutti coloro che sono schiavi delle passioni a spezzare le loro catene ai piedi di Maria e a risollevarsi liberi e puri».

     

    Fonte: Rivista Tradizione Famiglia Prorpietà.. Anno 29, n. 91 - Ottobre 2021

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