Occidente

  • 2001 – 2021: l’Occidente nella tenaglia

     

     

    Nel 2001 due eventi scossero l’Occidente. A luglio, l’ondata di violenza selvaggia a Genova, in occasione della riunione dei capi di Stato del G8, perpetrata da gruppi anarchici “no global”, tra i quali i Black Block, che avevano già messo a ferro e fuoco diverse città europee e americane. A settembre, l’attentato terroristico alle Torri Gemelle di New York, che portò sullo scenario mondiale la jihad islamista. L’Occidente fu preso nella morsa di una tenaglia: mentre un nemico interno sgretolava le sue istituzioni, un nemico interno lo assaliva militarmente. Due movimenti convergenti con un identico scopo: distruggere ciò che resta della civiltà occidentale e cristiana.

    Vent’anni dopo, ecco che si ripresenta uno scenario non molto diverso. Da una parte la violenza di movimenti anarchici come Black Lives Matter, Woke e Cancel Culture, la cui idea base è quella di cancellare la cultura occidentale, distruggendone i simboli. Dall’altra parte, la ritirata americana dall’Afghanistan, con la ricostituzione di un Emirato islamico.

    Proponiamo in merito un articolo pubblicato sulla rivista Tradizione Famiglia Proprietà, novembre 2001. Mutatis mutandis, sembra scritto proprio per i nostri giorni.

     

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    Addio al buonismo

     

    di Julio Loredo

     

    Dicono che quando venne varato il Titanic, quel favoloso palazzo galleggiante che fu un po’ il paradigma del nascente secolo XX, qualcuno commentò: “Neppure Dio lo affonda!” Ma Dio non si sfida. Il mitico transatlantico andò a fondo proprio durante il suo viaggio inaugurale…

    Poco tempo dopo, la stessa frivola e rutilante Belle Époque naufragava nel gorgo della I Guerra mondiale. Si apriva cosà il secolo forse più sanguinoso della storia.

    Immemore di queste lezioni, allo scoccare del Capodanno 2000, un mondo in delirio salutava l’ingresso nel secolo XXI con sfarzosi festeggiamenti, quasi intendesse auspicare un futuro gaudioso all’insegna di una post-modernità secolarizzata e tecnologicamente avanzata. Invece…

    Il sogno del secolo XX è svanito nel 1914. Quello del secolo XXI è durato molto meno.

    A luglio, abbiamo assistito stupefatti all’inaudita violenza di orde neobarbariche, le quali, piombate sulla città di Genova, l’hanno messa a ferro e fuoco in nome di una non meglio precisata ideologia “no-global”. La devastante violenza dei rivoltosi, l’odio tenebroso dei Black Block, il delirio distruttivo dei manifestanti, ci hanno risvegliato a quella che è la dura ed inquietante realtà: la Rivoluzione è scesa nuovamente in piazza.

    Ancora sotto shock per i fatti di Genova, ecco che l’11 settembre i canali televisivi ci trasmettono in diretta una scena inverosimile, apocalittica, quasi surreale se non fosse tragicamente reale: due Boeing dirottati da terroristi musulmani fanatici si schiantano contro le Torri Gemelle del World Trade Center, nel cuore di Manhattan, abbattendoli come birilli assieme ad altri cinque grattacieli. Era scoppiata la prima guerra del nuovo millennio!

    Cogliendo il senso profondo dell’avvenimento, un importante uomo d’affari italiano sospirava: “Contemplando il crollo di quelle torri ho visto crollare il mio mondo!”.

    Oltre a distruggere le due torri, quegli aerei hanno infatti polverizzato più di un mito sui quali poggiava una certa mentalità ritenuta moderna. Una prima “vittima eccellente” dell’attentato dell’11 settembre è stato senz’altro il buonismo, ossia l’illusione di poter costruire un mondo di pace a prescindere dall’esistenza di quel “mistero di iniquità” frutto del peccato originale, e rinunciando quindi a combatterlo in ogni sua manifestazione. Frutto di questo buonismo sono stati l’irenismo, il pacifismo, il multiculturalismo, l’ecumenismo ed altri “ismi” che hanno minato l’Occidente cristiano, rendendolo vulnerabile.

    Possiamo considerare il laicismo un’altra di queste vittime. Quelle due torri non sono state abbattute da un’ideologia politica, ma da una religione. Piaccia o meno ai pontefici laici del “politiccally correct”, alle soglie del Terzo Millennio, secondo l’opinione di molti, ci troviamo davanti a quello che essi vorrebbero fosse appena una reminiscenza del medioevo: una guerra di religione. Prima o poi, l’Occidente si accorgerà che per vincerla dovrà ricordare le sue radici.

    A questo proposito vengono in mente le opportune parole del cardinale Giacomo Biffi, di Bologna: “L’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. (…) Questa cultura del niente non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam, che non mancherà. Solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto”.

    A questo punto sorge la domanda di fondo: ci sono le avvisaglie di questa risurrezione? Chi vivrà vedrà!

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  • Cattolici e conservatori non siano più zaristi dello zar

     

     

    di don Angelo Citati

    La recente omelia in cui il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, ha lasciato trapelare in filigrana una sua «benedizione» alla guerra mossa da Putin all’Ucraina, alla quale ha attribuito addirittura un «significato metafisico», ha rimesso sul tappeto una questione che viene spesso agitata quando a contrapporsi in un conflitto armato non sono soltanto due nazioni, ma due culture diverse: questa guerra è anche, e magari soprattutto, una guerra di religione e uno scontro tra civiltà? E, se lo è, da quale parte dovrebbe schierarsi una persona legata ai valori tradizionali della Chiesa?

    Nella Chiesa, non è un mistero e non è una novità, esistono due sensibilità diverse, che con un linguaggio tolto alla politica – e con un’etichettatura non molto corretta, ma di innegabile praticità – sono generalmente qualificate l’una come conservatrice, come progressista l’altra. Se l’area progressista, in questo caso, ha reagito in modo piuttosto unanime – condanna senza riserve dell’attacco russo e pieno appoggio alla linea dell’asse atlantico, guidato, del resto, in questo momento proprio da un cattolico progressista, Joe Biden –, il fronte tradizionalista appare meno compatto. A sinistra, certo, non mancano quelli che nel loro sostegno incondizionato a Zelensky finiscono con l’essere più papisti del papa – che alcuni hanno criticato, ad esempio, per la scelta, dal sapore molto tradizionale per il richiamo alla mariofania di Fatima, di consacrare la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, nonché per aver sì condannato con fermezza la guerra, ma senza schierarsi esplicitamente contro la Russia, conformemente alla saggia tradizione diplomatica del Vaticano; ma a destra oggi la tentazione sembra invece essere quella, per una malintesa fedeltà ai valori tradizionali, di diventare più zaristi dello zar.

    Ciò che può sedurre maggiormente coloro che si sentono vicini ai valori tradizionali della Chiesa è proprio il fatto che, mentre l’Occidente si trova rappresentato oggi da un presidente degli Stati Uniti democratico, Joe Biden, e da un papa riformista e innovatore, Francesco, e mentre il capo dello stesso governo ucraino è un progressista, la Russia sembra invece presentarsi come il baluardo di quel sistema di valori – famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, difesa della sovranità popolare e dei confini, difesa delle tradizioni della propria terra – tipico delle società tradizionali. Lo scontro in atto, secondo questa prospettiva, andrebbe ben al di là delle rivendicazioni degli ucraini russofoni del Donbass e della difesa della propria sovranità territoriale da parte del governo ucraino; si tratterebbe di un vero e proprio scontro di civiltà: da una parte l’Occidente corrotto e decaduto delle «parate gay» e della schiavitù finanziaria, dall’altra i sani princìpi che furono un tempo dell’Occidente e che oggi sopravvivrebbero in Russia, unico fronte di resistenza al «nuovo ordine mondiale». Se accetta acriticamente questa narrativa, il theoconservative, che è sempre stato schierato, quasi costituzionalmente, sul fronte atlantico, si sentirà inevitabilmente attratto da Putin e – abbagliato dal fascino degli alti princìpi di cui è presentato come il difensore – anche dalla tentazione di difendere, di conseguenza, la politica estera del «nuovo zar».

    Quest’approccio è errato, per due ordini di motivi. Il primo è di natura etica: può mai essere moralmente accettabile, di fronte ad una guerra che miete vittime innocenti, decidere il proprio posizionamento su basi ideologiche? Si può mai appoggiare l’illegittima invasione di uno stato sovrano solo perché – anche se fosse realmente così – l’invasore ha in altri campi idee che approviamo, mentre il governo del paese invaso e quelli dei suoi alleati sono schierati politicamente dalla parte opposta alla nostra? Ma c’è di più. La vera domanda da porsi è la seguente: è davvero questa la linea dello «zar»? Oppure è solo una rappresentazione geopolitica degli zaristi, di cui lo «zar» si serve artatamente per i suoi scopi? 

    La chiave di lettura che proietta sul conflitto russo-ucraino uno scontro di civiltà, lo scontro (finale?) tra la Tradizione e il Nuovo Ordine Mondiale, è in realtà prigioniera di sovrastrutture ideologiche che, se forse costituiscono lo sfondo remoto su cui si muovono gli attori di questa vicenda, certamente non ne rappresentano il movente. Uno sfondo, peraltro, dai confini molto più sfumati di quanto i putiniani occidentali non siano disposti a vedere: basti pensare che tra i paesi che militano più attivamente sul fronte filo-ucraino figura anche la cattolicissima Polonia (che certamente non riterrà di star così difendendo le parate gay), e che contro la Russia si è schierato anche il paese che finora era, tra quelli europei, il più vicino a Putin, l’Ungheria di Viktor Orbán, oltretutto ancorato – molto di più e molto più sinceramente di Putin – proprio alla ‘visione tradizionale’ della società caratteristica dei conservatori (e da molti di loro, infatti, preso spesso come punto di riferimento). Mentre invece gli unici che si sono apertamente schierati in favore di Putin, votando contro la risoluzione ONU di condanna dell’attacco all’Ucraina, sono stati (oltre alla più ambigua Cina, che si è invece astenuta) Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea e Siria: piuttosto imbarazzante come fronte di resistenza al «nuovo ordine mondiale» e baluardo dei valori cristiani…

    Riferimento principale di chi vede in Putin il salvatore dei valori tradizionali è, invece, un filosofo russo le cui citazioni stanno circolando molto in Europa occidentale in questo periodo: Aleksandr Dugin. Proprio a questo controverso intellettuale, studioso di Julius Evola e padre della cosiddetta «quarta teoria politica» (secondo cui, dopo la fine del liberalismo, del nazifascismo e del comunismo, l’ideologia dominante del XXI secolo è destinata ad essere un neocomunitarismo patriottico e gerarchico, che passa – naturalmente – per Mosca e per la sua estensione «eurasiatica»), si deve in buona parte la proiezione sul conflitto russo-ucraino delle sovrastrutture ideologiche della guerra di civiltà. E, poiché Dugin viene spesso presentato come l’ideologo della politica di Putin, se ne trae la conseguenza che la Russia di Putin sia appunto il baluardo di questo grande progetto di civiltà. In realtà, Dugin è un filosofo non particolarmente noto in Russia e molto sopravvalutato in Occidente; queste sue proiezioni ideologiche fanno molta più presa in ambienti europei, generalmente di estrema destra, che non nella sua madrepatria. E lo stesso si può dire del patriarca Kirill: i suoi inviti alla «crociata metafisica» solleticano le simpatie dei tradizionalisti occidentali, ma ben poco quelle del popolo russo. 

    Né Dugin né Kirill sono gli ideologi di Putin, e in nessun modo la sua politica estera si può inquadrare in questo fantomatico «progetto di civiltà» dal significato metafisico. Di questa sua politica forse è più realistico (e certamente più prudente) ripetere, mutatis mutandis, quello che della Russia disse un politico – una figura che, questa sì, dovrebbe essere cara ai conservatori – che la politica estera la conosceva molto bene, Winston Churchill: «Non posso prevedere le mosse della Russia. È un rebus avvolto in un mistero dentro un enigma. Ma forse una chiave c’è: è l’interesse nazionale russo». E, non a caso, chi è che invece si compiace nel vedere in Putin non un freddo calcolatore che pur di fare gli interessi della sua nazione non esita a calpestare i diritti delle altre, ma bensì «lo zar», l’uomo cioè del ritorno allo zarismo dopo la parentesi sovietica? Sono proprio quelli che leggono l’attuale conflitto con il filtro delle sovrastrutture ideologiche della battaglia di civiltà: da una parte l’intellighenzia liberal, dall’altra i conservatori sedotti da Putin. In questo, gli acerrimi nemici si incontrano.

    Ma se a muovere Putin non sono ideologie particolari né battaglie metafisiche, come si spiega lo spazio che trovano – come si è detto, molto più in Occidente che in Russia – queste teorie? La risposta è che «se le autorità governative russe (dalla presidenza sino ai singoli ministeri o enti pubblici) nel corso degli anni hanno supportato la promozione di queste teorie, ciò non è certo accaduto perché in esse si trovino i reali princìpi della politica estera di Mosca, bensì perché la loro diffusione risulta utile a stimolare un sentimento filorusso in alcuni ambienti politici europei e a coltivare schiere di “utili idioti” convinti che, servendo acriticamente la causa della Russia, stiano servendo le proprie idee e la propria patria». 

    Questa lettura ideologica è, d’altronde, esattamente speculare – e quindi funzionale – a quella liberal che in questo conflitto vede, di nuovo, non un conflitto tra due paesi ma una battaglia di civiltà, nella quale stavolta però i buoni starebbero a sinistra, in difesa dei «valori» dell’Occidente di oggi: le teorie gender, i diritti LGBT, la cancel culture, il multiculti. Nella prospettiva liberal, insomma, supportare l’Ucraina nella sua difesa dall’attacco russo non significa semplicemente soccorrere un paese che è stato ingiustamente invaso da un altro, ma significa difendere quel sistema di valori contro quelli «tradizionalisti» di Putin: proprio come pensano anche, ma sul fronte specularmente opposto, i putiniani d’Occidente. Senza rendersene conto, quindi, chi appoggia, o comunque manifesta una certa ambiguità nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina in nome di presunti valori conservatori incarnati dalla Russia di Putin, porta detrimento proprio a questi valori, perché avalla così una lettura ideologica condivisa dai progressisti: questa reazione, cioè, li radica ulteriormente nella convinzione di trovarsi ingaggiati in una lotta che trascende la geopolitica e avrebbe invece – proprio come sostiene il loro «nemico» Kirill – un significato metafisico. 

    Certamente, non si può negare che molte prese di posizione di parte conservatrice verrebbero, in Russia, percepite come molto meno «politicamente scorrette» di quanto non avvenga oggi nella maggior parte dei paesi occidentali – caratteristica che la Russia condivide, peraltro, con molti dei paesi ex sovietici. Indagare sulle ragioni antropologiche, storiche, economiche e culturali che hanno contribuito a questa diversificazione tra Europa occidentale ed orientale sarebbe senz’altro un terreno di ricerca molto interessante; quel ch’è certo è che trarne la conseguenza che si tratti di posizioni assunte scientemente e ideologicamente nel quadro di uno scontro di civiltà sarebbe una lettura estremamente fuorviante. 

    Per fare un esempio: anche in Italia alla metà del secolo scorso si potevano leggere manifesti del PCI che recitavano (con foto di famiglia tradizionale in bella posa): «Il Partito Comunista difende la famiglia!». Tuttavia, nessuno ne trarrebbe la conclusione che il comunismo sia una corrente di pensiero ideologicamente schierata in difesa della famiglia naturale. Era, semplicemente, la realtà sociale e culturale dell’Italia (di tutta l’Italia) del Dopoguerra. La società russa contemporanea, questo forse lo si può affermare, somiglia di più all’Europa occidentale di allora che a quella di oggi. Da sinistra lo si deplorerà («sono rimasti indietro»), da destra se ne tesserà l’elogio («sono rimasti ancorati ai princìpi del diritto naturale»), ma comunque la si veda è semplicemente la realtà delle cose e non un’ideologia. Fare per questo della Russia il baluardo dei valori tradizionali e, quel ch’è peggio, appoggiare in nome di questo una politica estera guerrafondaia è una tentazione alla quale i cattolici e i conservatori non possono assolutamente permettersi di cedere.   

    E in fondo, se tornano alle loro radici e ai loro (veri) riferimenti culturali, si accorgeranno che non solo non se lo possono permettere, ma che in realtà neppure ne hanno bisogno: non hanno bisogno di cercare in nuove ideologie ciò che la nostra tradizione ci insegna già. La vera «battaglia metafisica» dell’Occidente cristiano l’ha ricordata, ad esempio, con la sua consueta finezza e profondità di teologo, Joseph Ratzinger nella storica omelia del 18 aprile 2005 – la vigilia della sua elezione al soglio pontificio – in occasione della Missa pro eligendo Romano Pontifice, divenuta poi una sorta di programma del suo pontificato:

    «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cfr. Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fededobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità si realizza nella carità».  

    In questo delicato frangente storico, cattolici e conservatori hanno quindi il dovere di non proiettare su questo conflitto categorie ideologiche inappropriate e di guardarlo per quello che è realmente, senza attribuirgli una portata metafisica che non ha – anche perché la situazione è già sufficientemente grave da non averne davvero bisogno. Certo, alcuni punti fermi l’etica cristiana li impone. Il primo è la chiara condanna, senza ambiguità, dell’invasione russa, perché nessuna guerra offensiva e di espansione può mai essere moralmente lecita. Il secondo è il sostegno ai civili vittime della guerra e l’accoglienza dei rifugiati (azione umanitaria, quest’ultima, che sta vedendo in prima linea proprio i paesi che, come la Polonia, fino a poco tempo fa i vertici europei accusavano di ostilità verso gli immigrati). Il terzo punto fermo è evitare e condannare ogni sentimento anti-russo che possa sorgere dalla pur doverosa condanna dell’attacco di Putin: stigmatizzare in nome di questo la cultura russa nel suo insieme è, infatti, un atteggiamento profondamente sbagliato, che rischia solo di fomentare altro odio. Quarto punto fermo: l’uso delle armi per difendersi in guerra (e quindi anche fornirle a chi si sta difendendo) è moralmente legittimo, come insegna chiaramente il Catechismo della Chiesa Cattolica e come ha ribadito recentemente anche il cardinale Parolin. 

    Su tutto il resto – se l’invio di armi agli ucraini sia, oltre che legittimo, anche opportuno; quante e quali siano le responsabilità dei paesi di area atlantica in questo conflitto; se la strategia difensiva scelta dal presidente Zelensky sia la migliore; se l’Italia avrebbe dovuto giocare un ruolo più da mediatore che da parte in causa; se tutte le sanzioni economiche irrogate alla Russia siano realmente lo strumento più efficace; se l’informazione dei media occidentali si stia rivelando all’altezza della situazione – la coscienza cristiana può scegliere liberamente, secondo le proprie personali opinioni e propensioni: in dubiis libertas. Ma non sbagli, almeno, da che parte della storia stare: stare da quella di chi proprio questa libertas non la garantisce al suo popolo sarebbe un errore madornale e controproducente.Certo, che quell’Occidente che, per dirla con Croce, «non può non dirsi cristiano», si presenti a questo appuntamento con la storia disarmato proprio di quei valori, tra i quali quelli cristiani, che più di tutti lo avrebbero reso credibile e coeso nella sfida ai sistemi autoritari, resta una realtà triste e deplorevole. Ma questo non autorizza i cattolici a cadere nel tranello di schierarsi dall’altra parte, e all’interno di questa giocare il ruolo di «utili idioti» più zaristi dello zar. Pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, la sfera atlantica resta oggettivamente, per cattolici e conservatori, l’unica alternativa credibile e possibile (il che non significa approvare tutte le scelte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea). Pertanto, allo sguaiato interventismo o all’incomprensibile ‘putinismo’ di certi imprudenti prelati, tutti coloro che, credenti o no, si sentono legati ai valori tradizionali della Chiesa non smettano di preferire la linea diplomatica della Santa Sede; alle seduzioni dei filosofemi evoliani di Dugin, la grande tradizione filosofica dell’Occidente cristiano, dalla Scolastica medievale fino ai maggiori filosofi cattolici del Novecento, come Jacques Maritain, Etienne Gilson e Augusto Del Noce; alla tentazione di vedere in Putin un difensore dei valori cristiani antepongano i veri statisti cristiani a cui dovrebbero ispirarsi i politici contemporanei, come don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer; all’ambigua e strumentalizzata «battaglia dal significato metafisico» del patriarca ortodosso Kirill preferiscano la grande, la vera battaglia metafisica del cristiano, ricordata con pregnanza e finezza da Joseph Ratzinger, cioè quella contro il relativismo e i «venti di dottrina»: siano, questi venti, quelli di decadenza dell’Occidente o quelli dell’imperialismo di Putin.

     

    Attribuzione immagine: By Antonio Cruz/Agência Brasil, CC BY 3.0 br, via Wikimedia.

    Fonte: Nazione Futura, 22 Marzo 2022.

  • CORREGGERE E NON SOLO DIFENDERE LE SOCIETA’ APERTE

    Lo scontro inevitabile tra società aperta e Autorità morale, su clima, capitalismo e Cina

     

     

    di Ettore Gotti Tedeschi

    “Difendere le società aperte” titola Angelo Panebianco il suo editoriale sul Corriere di lunedì 22. Il significato di questo richiamo sta nell’opinione un po’ sdegnata, in crescita soprattutto dopo Glasgow, che rileva che le proteste per il clima non sono verso la Cina (società chiusa), il maggior inquinatore al mondo che non vuole fare accordi sul clima. Ma dette proteste (modello Greta) sono espresse in chiave anticapitalistica verso l’Occidente (società aperta), accusato di aver violentato l’ambiente. Da qui l’invito a difender le società aperte.

    Certo, le società aperte vanno difese, soprattutto se l’alternativa sono società chiuse, ma le società aperte vanno anche corrette per omissione di valutazione strettamente morale delle sue decisioni.

    E dovrebbe esser l’autorità morale a farlo, ma ciò non sembra avvenire come dovrebbe. In realtà il problema di deterioramento dell’ambiente legato al modello capitalistico occidentale è un tema   un po’ più complesso e sono certo che non ci sia una visione comune in proposito.

    Il problema ambientale negli ultimi trenta anni nasce proprio nel mondo occidentale che, rifiutando relativisticamente i criteri morali riferiti alla vita e alle nascite, è stato costretto a compensare il crollo della crescita del Pil (dovuto al crollo della natalità in Occidente) con la crescita dei consumi individuali (consumismo) che, per crescere il potere di acquisto, ha necessariamente generato la delocalizzazione produttiva in Asia (Cina) per ragioni di bassi costi necessari a sostenere gli alti consumi crescenti.

    Crescente consumismo di massa in Occidente e produzioni a sempre più basso costo e conseguente attenzione all’ambiente in Asia, ha generato il problema ambientale. Ma chi in realtà oggi contesta il modello capitalistico che, secondo l’accusa, ha provocato impatto sul clima, non è solo il modello Greta, è anche l’autorità morale cattolica, persino con documenti di magistero. Pur essendo un’autorità morale oggi molto meno assolutista, meno “nemica” della società aperta, eppure più in contrasto nelle posizioni verso capitalismo ed ambiente.

    La società aperta è quella sognata e progettata da Henry Bergson, Karl Popper e poi attuata dal loro discepolo Soros. Questa società aperta si fonda sul correttissimo principio che tutti i componenti della società devono partecipare ai processi decisionali che li riguardano. Ma, attenzione, la loro società aperta dice che, poiché l’umanità non ha una verità assoluta, deve dare la massima libertà di espressione ai suoi individui. In più Soros auspica che la verità vada cercata solo scientificamente. E questo è il punto più complesso da capire e realizzare e dovrebbe essere l’inevitabile punto di scontro con l’autorità morale di una fede assolutista.

    Invece lo scontro è altrove. La società aperta difende il capitalismo occidentale, “inventato” dalla cultura cristiana, mentre l’attuale maggior critico del modello capitalistico occidentale è proprio l’attuale autorità morale cattolica. Autorità morale che in più difende proprio  la Cina «quale miglior realizzatrice della Dottrina Sociale della Chiesa». Di fatto, dimostrando un po’ di stanchezza nel voler difendere i valori assoluti, benedicendola quale società aperta, più aperta di quella occidentale .

    Infatti mons. Sanchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle scienze, “esalta la Cina come paese dove il bene comune è il valore primario, dove non ci sono baraccopoli, né droghe, dove si rispetta l’ambiente. Non come gli Usa di Trump” (P.Bernardo Cervellera-PIME. AsiaNews 07-02-2018). Non tutti quindi son d’accordo che sia la Cina a non rispettare l’ambiente ed a essere una società chiusa.

    L’Occidente va difeso nei suoi unici valori storici di cui tutta l’umanità ha beneficiato, ma oggi deve correggersi e ritrovare la sua anima se vuole servire e non cedere all’Oriente il potere economico morale-pragmatico. La crisi economica degli ultimi decenni, che ha concorso a generare la crisi ambientale, ha cause morali. Quelle stesse cause morali che la citata società aperta pretenderebbe negare perché non deve esserci verità assoluta se non scientificamente approvata. E quelle stesse cause che l’autorità morale fatica a voler difendere a tutti i costi.

    Solo se si esalta una società aperta anche ai valori morali, frutto di verità assolute, riusciremo a riaffermare la civiltà occidentale che si fonda su radici cristiane. Se insistiamo a negarlo da una parte o ignorarlo dall’altra parte, io temo che la porta della società aperta sia destinata ad aprirsi ad ogni errore umano e chiudersi ad ogni valore oggi più che mai necessario.

    Perciò difendiamo certamente le società aperte anche a valori morali. Correttamente nell’articolo citato si richiama una considerazione di Joseph Schumpeter per diffidare di quegli intellettuali, allevati nella civiltà occidentale, che si son attribuiti il compito di contribuire a distruggerla. Lo stesso vale per i teologi? Diceva infatti Albert Camus che l’intellettuale è un uomo la cui mente osserva sé stessa e Jaques Prevért raccomandava di non lasciar giocare gli intellettuali con i fiammiferi. Altrimenti incendiano o confondono. Ugualmente i teologi?

     

    Fonte: La Verità, 28 Novembre 2021.

  • Dall’altra sponda dell’Occidente: Il 2021 passato in rivista

    AUTODISTRUZIONE ACCELERATA DI OGNI ISTITUZIONE MENTRE UNA SINISTRA ESAUSTA SI CONFRONTA CON UNA DESTRA RINVIGORITA

     

     

    di James Bascom

    Se ci fosse una sola immagine per riassumere tutto il 2021, questa potrebbe essere il grande aereo americano C-17 che decolla dalla pista dell'aeroporto di Kabul circondato da centinaia di civili afgani. In un patetico tentativo di sfuggire ai talebani e salvare le loro vite, alcuni riuscirono ad afferrare l'aereo e a decollare nel cielo, solo per andare incontro a morte certa alcune centinaia di metri più in là. Dopo vent'anni e oltre 2 trilioni di dollari spesi in Afghanistan, gli Stati Uniti d'America - il paese più potente del mondo - sono stati sconfitti e umiliati davanti al mondo intero da poche migliaia di uomini primitivi armati di AK-47.

    Questa potente immagine ha portato molti a paragonare Kabul a Saigon dell'aprile 1975, quando migliaia di vietnamiti disperati rischiarono la morte per sfuggire alle armate comuniste del Vietnam del Nord.

    Così come per la caduta del Vietnam del Sud, la caduta dell'Afghanistan in mano ai Talebani non è avvenuta per una sconfitta degli Stati Uniti sul campo di battaglia. Al contrario, gli USA, in entrambe le guerre non ha mai perso una battaglia. Non è successo nemmeno per mancanza di denaro. Infatti, pochi mesi dopo, il presidente Joe Biden e i democratici approvavano una legge sulle infrastrutture da mille miliardi di dollari e adesso sono alla ricerca di altri mille miliardi. Né è successo per necessità militari. Gli Stati Uniti hanno conservato truppe in un ruolo di non combattimento per decenni in molti paesi, tra cui la Corea del Sud, la Germania, il Giappone e l'Iraq. Il comando militare americano aveva da tempo avvertito che un ritiro completo e unilaterale avrebbe causato il collasso del governo afgano.

    Piuttosto, gli Stati Uniti si sono ritirati a causa dell'ossessione del governo Biden di farlo a qualsiasi prezzo, anche se ciò significava sprecare vent'anni di sangue e ricchezze, causando un grave e perdurante danno al prestigio americano nel mondo. Infatti, si è trattato di nient’altro che di un atto di suicidio diplomatico e militare.

    Il ritiro ha avuto una carica particolarmente simbolica perché avvenuto meno di un mese prima del ventesimo anniversario degli attacchi terroristici dell'11 settembre. All’epoca gli Stati Uniti reagirono con determinazione per punire i terroristi islamici responsabili di aver ucciso quasi 3.000 persone sul suolo americano. Ci fu una potente risposta bellica e di unità che i terroristi non si aspettavano.

    Questa volta il governo americano, e in una certa misura l'opinione pubblica americana, hanno mostrato indifferenza, persino apatia, davanti alla propria autodistruzione. Anche se i sondaggi mostrano che la maggior parte degli americani vede la decisione di ritirarsi dall'Afghanistan come quella giusta, la stragrande maggioranza è stata contraria al modo in cui il governo Biden l'ha attuata1.

    In realtà, la caduta dell'Afghanistan è un evento che, per molti versi, simboleggia lo stato della civiltà occidentale. Le istituzioni di ciò che resta dell'Occidente cristiano non stanno tanto morendo quanto autodistruggendosi. Come un virus che va corrodendo la cellula che ha infettato, la sinistra radicale ha occupato queste istituzioni trasformandole in armi della guerra culturale, mentre le va distruggendo nel processo.

    La sinistra si è infiltrata, ha polarizzato e fratturato ogni istituzione in ogni campo, dalla politica all'economia fino alla cultura e persino la stessa Chiesa Cattolica.

    Questa autodistruzione universale non è un incidente, ma la conseguenza inevitabile del processo multisecolare di Rivoluzione, come definito dal grande scrittore e leader cattolico brasiliano professor Plinio Corrêa de Oliveira. Fin dagli aneliti anarchici di Jean-Jacques Rousseau, i rivoluzionari sognano un'utopia in cui la civiltà, l'ordine, la legge, la morale e la proprietà sarebbero scomparsi, per essere sostituiti da una società egualitaria, tribale, primitiva, naturalistica, in cui la religione, la famiglia e la patria spariscono. È la tappa finale del liberalismo, del progressismo, del socialismo e del comunismo.

    Allo stesso tempo, la reazione contro questo processo autodistruttivo della Rivoluzione non è mai stata così grande. Un gran numero di persone in tutto l'Occidente è stupefatta dai progressi radicali del "wokismo" (chiamato anche “cancel culture”, una ideologia che contesta tutta la civiltà occidentale, ndt). In risposta, sempre più persone rifiutano i totem del liberalismo e guardano alla tradizione - specialmente al cattolicesimo tradizionale - per avere risposte. È innegabile che la destra stia crescendo ovunque, mentre la sinistra, sebbene radicale, sta perdendo il sostegno popolare. Sorprendentemente, questa tendenza è più evidente nelle giovani generazioni.

    La "sinodalità" e l'autodemolizione della Chiesa Cattolica

    L'esempio più chiaro di questa tendenza autodistruttiva nel mondo di oggi è quello che sta accadendo all'interno della Chiesa Cattolica. Papa Francesco non solo sta seminando confusione, ma favorendo divisioni e persino lo scisma con le sue parole e azioni.

    Dal 2019, il cosiddetto Cammino Sinodale - un nuovo tipo di struttura di governo della Chiesa in Germania - cerca di rendere la Chiesa cattolica più egualitaria e "democratica". Il Sinodo tedesco è un'assemblea parlamentare di clero e laici che pretende di cambiare gli insegnamenti della Chiesa sulla moralità sessuale, il sacerdozio, il ruolo delle donne e la natura gerarchica della Chiesa.

    In maggio, la Chiesa cattolica in Germania e la Chiesa luterana tedesca hanno partecipato a una cerimonia ecumenica di "intercomunione" a Francoforte, in cui i cattolici sono stati invitati a partecipare a una "cena evangelica" con i protestanti, i quali, a loro volta, sono stati reciprocamente invitati a ricevere la Santa Comunione in una messa cattolica. Il vescovo Georg Bätzing, presidente della conferenza episcopale tedesca, aveva detto il mese prima che "chiunque sia protestante e partecipi all’Eucaristia può ricevere la Comunione" al suddetto evento ecumenico. "Vogliamo fare passi verso l'unità", ha detto, aggiungendo che "chi crede in coscienza ciò che si celebra nell'altra denominazione potrà avvicinarsi [all'altare] e non sarà respinto". Ha detto che la pratica è già "vigente dappertutto nel paese" e non è in realtà "nulla di nuovo"2.

    Il vescovo Bätzing ha anche affermato il suo sostegno alla possibilità di ordinare le donne al sacerdozio, dicendo che gli argomenti teologici contro tale proposta "non sono più accettati"3.

    L'aperta eresia e il sacrilegio nella Chiesa tedesca grazie al Cammino Sinodale stanno portando a ciò che molti temono da tempo: uno scisma nella Chiesa Cattolica. A marzo, quando gli obiettivi radicali del Sinodo divennero più evidenti, il vescovo Philip Egan di Portsmouth, Inghilterra, disse che il Cammino Sinodale avrebbe portato a uno "scisma de facto". Disse: "La mia preoccupazione è che siamo molto vicini al punto di non ritorno con questa via sinodale in cui vescovi e popolo promuoveranno posizioni in contrasto con il magistero universale e la disciplina della Chiesa, per esempio, l'ordinazione delle donne, l'intercomunione ecc.”4.

    Papa Francesco, tuttavia, rimane in silenzio di fronte a questa aperta promozione dell'eresia nella Chiesa. E ribadisce che vuole attuare più pienamente la "sinodalità". Il 7 settembre, il Vaticano ha rilasciato il documento preparatorio di 22 pagine per il “Sinodo sulla Sinodalità”, intitolato "Per una Chiesa sinodale: Comunione, Partecipazione e Missione", che è iniziato in ottobre e culminerà con un Sinodo dei Vescovi nel 20235.

    Anche noti progressisti vedono il Cammino Sinodale come un percorso verso lo scisma. Il 23 settembre, il cardinale Walter Casper, ex presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha detto che il Cammino Sinodale proposto dai vescovi tedeschi è uno sforzo per "reinventare la Chiesa", che alcune delle dichiarazioni del Sinodo contraddicono la "comprensione sacramentale della Chiesa e dell'episcopato" e che "molti si chiedono se tutto questo sia ancora interamente cattolico"6.

    Curiosamente, dopo aver adottato diverse dichiarazioni che sfidano la dottrina della Chiesa, il vescovo George Bätzing ha chiuso il 2 ottobre all’improvviso il Sinodo tedesco, sostenendo che alla riunione mancava il quorum. Poche settimane dopo, il cardinale Kasper criticava nuovamente il percorso sinodale tedesco, affermando che il Sinodo "si è trasformato in una farsa di sinodo" per aver scartato le opinioni di una minoranza di vescovi che si opponevano alle proposte di drastici cambiamenti nell'insegnamento e nella disciplina della Chiesa7.  Che un ecclesiastico progressista di primo piano come il Cardinale Kasper si sia opposto al Sinodo è un segno delle profonde divisioni e degli ostacoli nella Chiesa tedesca sui documenti proposti che contraddicono gli insegnamenti tradizionali della Chiesa.

    Rivoluzione LGBT dentro la Chiesa

    Papa Francesco ha trascorso tutto il suo pontificato minando gli insegnamenti tradizionali della Chiesa sull'omosessualità. Ha sostenuto attivisti omosessuali, si è incontrato con omosessuali conclamati e ha esplicitamente sostenuto movimenti che cercano di normalizzare il peccato omosessuale nella società. Vescovi cattolici, sacerdoti e laici che promuovono la sodomia sono promossi o comunque autorizzati a continuare il loro ministero, mentre quelli che vi si oppongono sono messi a tacere o perseguitati.

    Il 25 gennaio, il cardinale Joseph Tobin, uno dei più stretti consiglieri di Papa Francesco, e ad altri nove vescovi, hanno firmato un documento intitolato "Dio sta dalla tua parte: una dichiarazione di vescovi cattolici per proteggere la gioventù LGBT", che condanna il "bullismo" contro giovani LGBT8.

    A febbraio, il vescovo Peter Kohlgraf di Mainz ha rilasciato un'intervista in cui dice che non ci si può aspettare che le "coppie" omosessuali vivano castamente, e che la Chiesa deve riconoscere questa realtà. Ha chiesto che la Chiesa cambi la sua posizione sul peccato omosessuale e riconosca le "coppie" omosessuali come una forma legittima di matrimonio. "Parecchie persone che hanno attrazioni omosessuali appartengono alla Chiesa e sono veramente pie nel miglior senso della parola", ha detto. Altri vescovi tedeschi che hanno chiesto di cambiare la posizione della Chiesa includono il cardinale Reinhard Marx di Monaco, il vescovo Franz-Josef Bode di Osnabrück, il vescovo Heinrich Timmerervers di Dresda-Meißen e il vescovo Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca9.

    Così, con grande sorpresa, il 15 marzo la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) ha risposto ai vescovi tedeschi con una "Nota esplicativa" contro il "matrimonio" omosessuale. La CDF ha spiegato che "la Chiesa non dispone, né può disporre del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso" e che "non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a unioni anche stabili, che implicano un prassi sessuale fuori del matrimonio, come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso"10.

    È difficile credere che Papa Francesco abbia approvato volentieri la pubblicazione di quel documento. Nell'ottobre 2020, egli apparve nel documentario "Francesco" - prodotto da un omosessuale ucraino – dove approva le unioni civili per "coppie" omosessuali. "Le persone omosessuali hanno il diritto di stare in una famiglia", disse. "Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia... Quello che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo, sono legalmente coperti"11.

    Subito dopo la pubblicazione della "Nota esplicativa" da parte del Vaticano, esplosero le proteste dei vescovi progressisti di tutto il mondo. Il vescovo Johann Bonny di Anversa, Belgio, espresse la sua "incomprensione intellettuale e morale" al documento tacciandolo come "una vergogna per la mia Chiesa"12. Il cardinale Christoph Schönborn di Vienna disse che la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede "non preclude le benedizioni date alle singole persone con inclinazioni omosessuali". "Se è davvero richiesta la benedizione di Dio per un percorso di vita che due persone, in qualsiasi situazione, stanno cercando di percorrere", spiegò, "allora non sarà loro negata questa benedizione"13. Il vescovo Paul Dempsey di Achonry, Irlanda, affermò che il documento del Vaticano era "profondamente offensivo" e che molte persone con relazioni omosessuali hanno "arricchito la vita della Chiesa e continuano a farlo nelle parrocchie di tutto il mondo"14. E molti altri vescovi ancora, dappertutto nel mondo, condannarono il documento.

    In realtà, gli effetti della "Nota esplicativa" del Vaticano non sono stati quelli di fermare l'accettazione del peccato omosessuale e di altre eresie nella Chiesa, ma di dare loro un nuovo impulso. Il 10 maggio, circa 100 parrocchie cattoliche tedesche hanno partecipato a una cerimonia di benedizione per "coppie" dello stesso sesso, sfidando la Santa Sede. Il cardinale tedesco in pensione Walter Brandmüller ha definito le benedizioni del 10 maggio "un enorme scandalo, un segno terrificante di eresia, scisma e collasso della Chiesa"15.

    A maggio, scoppiò uno scandalo nel sistema scolastico cattolico dell'Ontario, in Canada, quando un distretto scolastico votò di sventolare la bandiera arcobaleno fuori dalle scuole cattoliche durante il "Mese dell'Orgoglio" per "assicurare che gli studenti della comunità LBGTQ+ vengano sostenuti"16. Molti genitori si opposero e protestarono contro il distretto scolastico. Il cardinale Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, rilasciò una dichiarazione in cui disse di preferire la croce come simbolo più adeguato di inclusione, ma non condannò la bandiera arcobaleno, invitando invece al dialogo17.

    In Italia, il governo ha cercato di far passare una legge contro l'"omofobia". L'Italia è l'ultimo grande paese europeo senza una legge simile, e i gruppi omosessuali italiani cercano di farla passare da anni. La cosiddetta legge Zan (dal nome di Alessandro Zan, il legislatore apertamente omosessuale che l'ha introdotta) è passata l'anno scorso alla Camera bassa italiana e attendeva di passare solo al Senato. Se approvata, la legge sarebbe stata usata come arma per punire e mettere a tacere i cristiani contrari all'omosessualità e all’'ideologia gender. Una coalizione di gruppi conservatori e cattolici ha combattuto per bloccare la legge.

    Sorprendentemente, il 22 giugno, il Segretario di Stato Vaticano, l'arcivescovo Paul Gallagher, invocando il diritto del Vaticano ai sensi del Trattato del Laterano del 1929, inviava una nota diplomatica al governo italiano esprimendo preoccupazione per la norma. La nota si opponeva verbalmente al disegno di legge come una minaccia alla libertà della Chiesa di insegnare la verità su genere, matrimonio e famiglia. Il giorno seguente, il primo ministro italiano Mario Draghi rispondeva dicendo che l'Italia "è uno stato laico, quindi non è uno stato confessionale" e che il parlamento italiano "è libero" di approvare leggi come meglio crede18.

    Una settimana dopo, l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, lamentava l’"errore" del Vaticano di sollevare qualsiasi preoccupazione per la pendente legislazione italiana. L'Arcivescovo Paglia, che già aveva causato polemiche quando fece dipingere un murale omoerotico nella sua cattedrale di Terni, aggiungeva che il “problema” dell'omofobia “esista è ovvio" e "che vada combattuto è ancora più ovvio"19. Ma la pressione contro la legge da parte delle organizzazioni pro-famiglia in Italia, come Pro Vita & Famiglia, è stata forte e il 27 ottobre è fallita al Senato con 154 voti a 13120.

    Nel 2021 Papa Francesco è intervenuto personalmente per sostenere noti attivisti pro-LGBT. Il 28 giugno, durante il "Mese dell'Orgoglio", ha inviato una lettera scritta a mano al noto attivista pro-LGBT, il prete gesuita James Martin. Il presule è noto per il suo libro Un ponte da costruire: Chiesa e Persone LGBT, una relazione nuova.Papa Francesco lo ha ringraziato per il suo zelo pastorale e “la sua capacità di essere vicino alla gente, con quella vicinanza che aveva Gesù e che riflette la vicinanza di Dio". Ha elogiato padre Martin per "aver cercato di imitare questo stile di Dio. Sei un sacerdote per tutti e tutte. (…) Prego per te affinché continui così, essendo vicino, compassionevole e con molta tenerezza"21.

    In agosto, Papa Francesco ha inviato una lettera a Michael O'Loughlin, il corrispondente nazionale apertamente omosessuale della rivista dei gesuiti America. O'Loughlin ha scritto della lettera in un articolo del New York Timesintitolato: "Papa Francesco mi ha mandato una lettera. Mi dà speranza come cattolico gay". Nella sua lettera, Papa Francesco ha elogiato O'Loughlin "per aver fatto luce sulla vita e testimoniato i molti sacerdoti, religiosi e laici che hanno scelto di accompagnare, sostenere e aiutare i loro fratelli e sorelle malati di HIV e AIDS con grande rischio per la loro professione e reputazione"22.

    Papa Francesco ha inoltre inviato altre due lettere al New Ways Ministry, un gruppo cattolico dissidente pro-LGBT negli Stati Uniti co-fondato da suor Jeannine Gramick e dal defunto padre Robert Nugent. Nel 1999, la Congregazione per la Dottrina della Fede condannò sia Suor Gramick che Padre Nugent per i loro "errori ed ambiguità" sulla moralità sessuale e li proibì di esercitare il loro ministero presso gli omosessuali. Nelle sue due lettere inviate a maggio e giugno, Papa Francesco ha elogiato invece suor Gramick e il lavoro del New Ways Ministry. "So quanto lei ha sofferto", scrive il Papa. "È una donna coraggiosa che prende le sue decisioni nella preghiera"23.

    Rapporto sugli abusi sessuali in Francia

    Nel 2018, la Conferenza episcopale francese istituì la Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (CIASE) per studiare la storia di tali abusi nella Chiesa transalpina. Il 5 ottobre 2021, la detta commissione pubblicava un rapporto di 2.500 pagine in cui calcolava che più di 300.000 minori erano stati abusati da 3.000 ecclesiastici o laici dal 1950. Con la stima che l'80% delle vittime erano giovani ragazzi, la commissione suggeriva chiaramente che si trattava di omosessualità e pederastia.

    L'enorme numero di presunti colpevoli e vittime provocò un tumulto mediatico contro la Chiesa cattolica e i vescovi francesi. "Migliaia di pedofili nella Chiesa francese", titolò la BBC News24. L'arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale francese, espresse la sua "vergogna e orrore" per le scoperte. "Il mio desiderio oggi è di chiedere perdono a ciascuno di voi", disse in una conferenza stampa25. Nella sua udienza generale del 7 ottobre, Papa Francesco affermò: “Desidero esprimere alle vittime la mia tristezza e il mio dolore per i traumi che hanno subito e la mia vergogna, la nostra vergogna, la mia vergogna, per la troppo lunga incapacità della Chiesa di metterle al centro delle sue preoccupazioni, assicurando loro la mia preghiera. E prego e preghiamo insieme tutti: “A te Signore la gloria, a noi la vergogna”: questo è il momento della vergogna"26.

    In un'intervista a Franceinfo del 6 ottobre, venne chiesto all'arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort se il sigillo della Confessione aveva la precedenza sulle leggi della Repubblica francese. "Il sigillo della confessione si impone a noi, e in questo, è più forte delle leggi della Repubblica", disse. Per tutta risposta il ministro dell'Interno francese, Gérald Darmanin, "invitò" l'arcivescovo per dare spiegazioni nella sede del ministero a Parigi il 12 ottobre, provocando molta rabbia e paura tra i cattolici francesi circa l'integrità dei sacramenti. Il Codice di Diritto Canonico impone la pena della scomunica automatica per qualsiasi sacerdote che rompa il sigillo della Confessione.

    In una ulteriore dichiarazione pubblicata dopo l'incontro con il ministro, l'arcivescovo de Moulins-Beaufort fece marcia indietro sul sigillo della Confessione e "chiesto perdono" a coloro che erano rimasti "scioccati" dalle sue parole. Adottando il falso dilemma tra il benessere dei bambini e l'integrità del sacramento della confessione, scrisse che il rapporto sugli abusi sessuali sui minori richiede alla Chiesa di "conciliare la natura della confessione con la necessità di proteggere i bambini" e che i vescovi e i fedeli cattolici dovrebbero lavorare per la protezione dei bambini "in stretta collaborazione con le autorità francesi", lasciando aperta la possibilità che la Chiesa possa fare un compromesso sul sacramento27. Gérald Darmanin, da parte sua, parlando dopo la riunione col vescovo, lodò all'Assemblea Nazionale Francese "il coraggio della Chiesa francese" sottolineando però che "non c'è nessuna legge superiore alle leggi dell'Assemblea Nazionale e del Senato e nessuna legge superiore a quelle della Repubblica"28.

    Poco dopo la pubblicazione del rapporto, alcuni osservatori espressero alcuni dubbi sull'accuratezza dei suoi risultati. Otto rappresentanti della prestigiosa Académie Catholique de Francepubblicarono una critica di 15 pagine al rapporto, in cui si sostiene che manca di "rigore scientifico". La commissione avrebbe fatto solo uno studio approfondito di 1.600 casi e 10.000 incidenti, estrapolando il numero totale da quei casi. Anche gli autori della commissione ammettono che il numero finale potrebbe essere sbagliato di 50.000 unità. La critica sottolinea inoltre che la maggior parte dei casi sono impossibili da provare o confutare a causa della distanza di tempo e che la maggior parte dei presunti colpevoli sono morti da parecchio.

    Per giunta, le "raccomandazioni" del rapporto CIASE sembrano favorire come soluzione una ristrutturazione progressista della Chiesa. "La valutazione sproporzionata di questo flagello alimenta la narrazione di un carattere 'sistemico' e pone le basi per proposte di abbattimento della Chiesa-istituzione", affermano i summenzionati osservatori. Il rapporto CIASE chiede anche che alla Chiesa di ammorbidire il sigillo della Confessione per permettere la denuncia dei crimini confessati allo Stato francese29.

    Rivoluzione indigenista in Canada

    Il Sinodo Pan-Amazzonico ospitato da Papa Francesco in Vaticano nell'ottobre 2019 è stato il punto di partenza per una rivoluzione sociale, economica e religiosa mirante a fornire un "volto amazzonico" alla Chiesa universale. Cioè, si tratta di usare la questione indigena per attaccare la civiltà occidentale e portare in Occidente tribalismo, povertà, socialismo ed egualitarismo usando argomenti religiosi e sfoderando una pseudo-simpatia per gli indiani delle Americhe. Nelle parole del vescovo brasiliano Pedro Casaldáliga, un noto attivista indigenista, questa rivoluzione "trans-comunista" sarebbe riuscita dove il comunismo di tipo sovietico aveva fallito.

    In Canada, questa rivoluzione indigenista ha fatto un grande balzo in avanti nel 2021. In giugno, i media hanno pubblicato notizie sensazionali sulla "scoperta" di diversi cimiteri indiani che contenevano i resti di migliaia di bambini indigeni. Questi bambini erano iscritti nelle scuole istituite dal governo canadese nel XIX secolo e gestite dalle chiese, compresa la Chiesa Cattolica. I media hanno accusato la Chiesa di aver abusato e persino ucciso questi bambini, dipingendo le scuole come campi di concentramento e i cimiteri come "fosse comuni"30.

    I vescovi canadesi si sono affrettati a esprimere immediatamente "il più profondo dolore" per le "fosse comuni". Dopo la scoperta, Papa Francesco ha espresso il suo stupore e ha chiesto una "guarigione". Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha chiesto le scuse della Chiesa cattolica. In conferenza stampa ha detto: "Come cattolico, sono profondamente deluso dalla posizione che la Chiesa Cattolica ha preso ora e negli ultimi anni", minacciando persino un'azione legale per ottenere i documenti dalla Chiesa31.

    Il 29 giugno, Trudeau rivelò di aver parlato con Papa Francesco. "Ho parlato personalmente e direttamente con Sua Santità, Papa Francesco, per fargli capire quanto sia importante non solo che porga delle scuse, ma che lo faccia ai canadesi indigeni sul suolo canadese", ha detto32. A ottobre, Papa Francesco ha accettato di recarsi in Canada nel 2022 per fare "un pellegrinaggio di guarigione e riconciliazione".

    In mezzo al clamore dei media, la Chiesa Cattolica canadese ha subito un'ondata di incendi dolosi e di vandalismo. Decine di templi, molti situati nelle riserve indiane, sono stati incendiati in circostanze misteriose. Molte decine di altre chiese hanno avuto le finestre rotte, le statue distrutte e le porte imbrattate da slogan satanici o anti-cattolici. La maggior parte di questi attacchi, se non tutti, sono stati compiuti non da indiani ma da terroristi radicali di sinistra. I leader indigeni in Canada hanno persino supplicato i colpevoli di non bruciare le loro chiese. "Bruciare le chiese non è solidarietà verso noi indigeni. Come ho detto, noi non distruggiamo i luoghi di culto della gente", ha affermato un leader indigeno33.

    Immediatamente, molti osservatori hanno cominciato a vedere l'agenda politica dietro la propaganda sulle Scuole Residenziali (ndt, le scuole religiose che ammettevano allievi indigeni). In effetti, i media stavano deliberatamente ignorando i fatti per spingere una narrativa di sinistra. Un rapporto del Dr. Scott Hamilton del Dipartimento di Antropologia della Lakehead University in Ontario, Canada, ha mostrato effettivamente alcuni casi di abuso sui bambini nel sistema delle Scuole Residenziali. Tuttavia, la maggior parte dei problemi e degli abusi non erano colpa della Chiesa Cattolica bensì del Dipartimento canadese per gli Affari Indiani, soprattutto a causa della mancanza di fondi e della negligenza dei governi. I cimiteri non erano "fosse comuni" ma cimiteri regolari dove anche gli insegnanti e gli altri amministratori venivano sepolti insieme ai bambini, in un periodo in cui i bambini piccoli avevano un tasso di mortalità molto più alto.

    La cosa più importante è che la tempistica del clamore mediatico illustra la malafede dei media e dei gruppi che stanno accusando la Chiesa. Gli abusi e i problemi con le scuole residenziali indiane erano già studiati e ben noti in Canada da decenni. Non è stato scoperto nulla di nuovo, eppure i media sono esplosi in una campagna di odio molto ben coordinata contro la Chiesa cattolica e le scuole residenziali. Il primo ministro Trudeau, un sostenitore radicale dei "diritti" all'aborto, ha partecipato a questa sceneggiata posando in uno di questi cimiteri, inginocchiato a terra, con un orsacchiotto34.

    La ragione dell'improvviso clamore mediatico non è dovuta alla tragica ma esagerata esistenza di alcuni abusi sui bambini indigeni nelle scuole residenziali del Canada. I sinistrorsi rivoluzionari rifiutano la nozione stessa di assimilazione, preferendo che gli indiani in Canada (e in tutte le Americhe) rimangano poveri, non sviluppati e separati dalla società occidentale tradizionale. Si tratta di promuovere la rivoluzione indigenista promessa dal Sinodo Panamazzonico. Cioè, prima denigrare, umiliare e smantellare la civiltà occidentale e poi promuovere un nuovo modello sociale, economico e culturale per l'Occidente basato sul primitivismo e paganesimo indigeno precristiano. Questo clamore mediatico in Canada è il primo grande passo verso la realizzazione del sogno di Papa Francesco di una Chiesa e di una società dal "volto amazzonico".

    Vittoria di Pirro di Joe Biden e il dibattito sull'aborto negli Stati Uniti

    L'elezione di Joe Biden e la sua cerimonia di insediamento il 20 gennaio scorso hanno segnato una svolta importante nella politica mondiale del 2021. Molti hanno visto la vittoria di Biden come un ripudio del "trumpismo", o meglio, della fine della reazione conservatrice negli Stati Uniti che Trump rappresentava. Molti hanno visto in Biden l'ascesa della sinistra cattolica al potere. In realtà, il movimento conservatore negli Stati Uniti è più forte che mai. Joe Biden è di gran lunga il presidente più debole da oltre un secolo. Il movimento pro-vita sta causando seri problemi alla Rivoluzione negli Stati Uniti.

    A parte la presidenza, le elezioni del 2020 sono state un disastro per i democratici. I sondaggi dicevano che avrebbero vinto più di 15 seggi alla Camera dei Rappresentanti, ma invece ne hanno persi dodici e quasi perso la maggioranza. I democratici hanno vinto tre seggi al Senato, ma non sono riusciti a ottenere la maggioranza senza il voto del vicepresidente. I Democratici hanno fallito anche a livello degli Stati. Non sono riusciti a strappare ai repubblicani il controllo di una sola legislatura statale e ne hanno perse due a favore dei repubblicani. Nelle parole del New York Times, "l'Onda Blu (ndt, colore dei democratici) si è schiantata nelle sedi dei governi statali di tutto il paese"35.

    Anche se Joe Biden si è presentato come un centrista che avrebbe portato "unità" al paese, i democratici hanno intrapreso una corsa verso l'estrema sinistra. Hanno spinto una piattaforma “woke”, radicale e comunista, di abolizione della polizia, dando supporto alla "Teoria critica della razza", alla nazionalizzazione dell'assistenza sanitaria, all’immigrazione illegale senza restrizioni, alla teoria del gender e all'eliminazione delle restrizioni sul "diritto" all'aborto. Joe Biden non ha fatto nulla per fermare questa marcia radicale verso l'estrema sinistra. Di conseguenza, il suo indice di approvazione è sceso dal 56% di gennaio al 44,7% di ottobre, il più grande e più rapido calo di approvazione di qualsiasi presidente americano dalla Seconda Guerra Mondiale36.

    Joe Biden, il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti, ha fatto della sua fede cattolica una parte importante della sua immagine pubblica. La sua cerimonia di insediamento del 20 gennaio era piena di influenti leader della sinistra cattolica americana. Ha nominato un gran numero di cattolici di sinistra nel suo governo. Nel suo discorso inaugurale, Biden ha persino parafrasato lo slogan del "grido dei poveri" e il "grido della terra" dell'ex frate francescano e teologo della liberazione Leonardo Boff. Molti osservatori dicono che Biden rappresenta la sinistra cattolica al potere negli Stati Uniti.

    Il conflitto tra la fede di Biden e il suo sostegno all'aborto ha provocato una reazione massiccia del movimento pro-vita prevalentemente cattolico. Molti cattolici si sono detti indignati che Joe Biden, un peccatore pubblico e sostenitore dell'aborto, continui a ricevere la Santa Comunione senza essere sanzionato dai vescovi.

    L'arcivescovo José Gómez di Los Angeles, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (USCCB), sebbene favorevole a molte delle posizioni di sinistra di Biden sui migranti e sulla sanità, si è visto costretto a rilasciare una dichiarazione critica sul suo sostegno all'aborto. "È grave che uno dei primi atti ufficiali del presidente Biden promuova attivamente la distruzione di vite umane nelle nazioni in via di sviluppo... Questo ordine esecutivo è antitetico alla ragione, viola la dignità umana ed è incompatibile con l'insegnamento cattolico", ha affermato37.

    Questo ha portato a mesi di dibattito senza precedenti e persino di polemica all'interno dell'episcopato americano. Alcuni ecclesiastici, come il cardinale Blaise Cupich di Chicago, il cardinale Tobin di Newark, il vescovo Robert McElroy di San Diego e il vescovo John Stowe di Lexington, Ky., hanno attaccato l'arcivescovo Gómez per aver criticato le posizioni pro-aborto di Biden. Il vescovo McElroy ha detto che i cattolici dovrebbero essere "orgogliosi collaboratori"38 dell'amministrazione Biden e che era "distruttivo" negare a Biden la Santa Comunione.

    Papa Francesco è intervenuto più volte nel dibattito. Sul suo volo di ritorno a Roma dalla Slovacchia, il 15 settembre, ha detto che "l'aborto è un omicidio" ma ha fatto sapere che "non ho mai rifiutato l'Eucaristia a nessuno". "Cosa deve fare un pastore?", ha chiesto il Papa. E ha risposto: "Essere un pastore; non andare a condannare"39. Il presidente Biden ha fatto visita a Papa Francesco in Vaticano il 29 ottobre e dopo ha dichiarato ai giornalisti: "Abbiamo solo parlato del fatto che lui era felice che io fossi un buon cattolico e che dovessi continuare a ricevere la Comunione"40.

    Altri vescovi americani, tra cui l'arcivescovo Salvatore Cordileone di San Francisco, il vescovo Joseph Strickland di Tyler, Texas, e l'arcivescovo Joseph Naumann di Kansas City, Kans, hanno scritto lettere pastorali e si sono espressi fortemente contro i politici cattolici pro-aborto, anche se non hanno chiesto di negargli la comunione. L'arcivescovo Naumann, in un'intervista, ha detto: "Ovviamente, il presidente non crede in ciò che noi crediamo sulla sacralità della vita umana, o non starebbe facendo le azioni che sta facendo... E tuttavia, continua a ricevere l'Eucaristia. Non possiamo giudicare il suo cuore. Ma consideriamo l'azione stessa un grave male morale"41 . Il cardinale Raymond Burke ha detto che i funzionari pubblici cattolici che promuovono l'aborto sono apostati e probabilmente anche eretici. "La ricezione della Santa Comunione da parte di coloro che pubblicamente e ostinatamente violano la legge morale nei suoi precetti più fondamentali è una forma particolarmente grave di sacrilegio... Chiaramente, nessun sacerdote o vescovo può concedere il permesso di ricevere la Santa Comunione a una persona che è pubblicamente e ostinatamente in peccato grave"42.

    Nella loro assemblea plenaria di giugno, i vescovi hanno votato per redigere un documento sulla "Coerenza Eucaristica", approvato e pubblicato nella loro riunione di novembre. Il documento ripeteva alcune delle dottrine della Chiesa riguardo al peccato e alla dignità di ricevere la Santa Comunione, ma non affrontava la questione del rifiuto della Comunione per i politici cattolici pro-aborto come Joe Biden o Nancy Pelosi. Un articolo del New York Times ha affermato che "i vescovi cattolici romani degli Stati Uniti si sono tirati indietro da un conflitto diretto con il presidente Biden"43. Anche se l'USCCB ha evitato di prendere una posizione ferma nei confronti dei cattolici pro-aborto, l'intensa pressione dei cattolici pro-vita ad agire rimarrà sicuramente e persino aumenterà.

    Proteste contro il Pass sanitario per Covid

    Molti governi in tutto il mondo, ma soprattutto in Europa, hanno imposto i pass sanitari nel 2021 che segregano e puniscono le persone che non hanno preso il vaccino Covid-19. In Francia, ben 250.000 persone hanno protestato ogni fine settimana per più di due mesi dopo che quel paese ha introdotto il pass sanitario per ristoranti e altri luoghi pubblici44.

    Molte decine di migliaia di persone hanno protestato e persino inscenato rivolte in Belgio, Austria, Paesi Bassi, Croazia, Italia e Regno Unito quando questi governi hanno imposto l'obbligo del vaccino per lavorare o per fare acquisti nei negozi45. A novembre, il governo austriaco ha imposto il primo blocco al mondo per le persone non vaccinate, scatenando enormi proteste a Vienna46. Altre centinaia di migliaia hanno protestato contro simili mandati in Bulgaria, Repubblica Ceca, Australia, Irlanda del Nord e altrove. Quando il presidente Biden ha imposto un mandato ai datori di lavoro per esigere il vaccino, migliaia di americani hanno protestato da New York alla California.

    Una dichiarazione pubblicata nell'ottobre 2020 dalle TFP e organizzazioni consorelle di tutto il mondo descriveva l’uso della pandemia di Covid-19 come uno strumento nelle mani della Rivoluzione per distruggere ciò che resta della civiltà cristiana occidentale. Nel 2021, i mandati di vaccinazione non hanno raggiunto il loro scopo di far vaccinare tutta la popolazione. Piuttosto, si sono ritorti contro, causando rabbia, divisione, risentimento, polarizzazione, conflitto sociale e persino la minaccia di una guerra civile47.

    Un grande spostamento a destra nell'opinione pubblica di tutto il mondo

    L'elezione di Donald Trump, Jair Bolsonaro, il voto della Brexit e l'ascesa dei movimenti e dei partiti di destra in tutto il mondo occidentale negli ultimi dieci anni hanno scioccato e fatto arrabbiare i commentatori di sinistra. Quando Donald Trump ha perso la rielezione nel 2020, molti pensavano che lo spostamento a destra sarebbe cessato. Al contrario, questa tendenza ha continuato e persino si è accelerata. Forse, in nessun momento della storia moderna il mondo occidentale ha sperimentato un movimento così massiccio dell'opinione pubblica verso destra.

    A maggio, un think tank francese chiamato Fondation pour L'innovation Politique ha pubblicato un importante studio su quattro paesi europei, Francia, Germania, Regno Unito e Italia, rivelando che in tutti e quattro i paesi, l'opinione pubblica si è spostata profondamente a destra su questioni economiche, immigrazione e Islam. Il segmento della popolazione che più probabilmente si identifica come di destra è quello dei giovani (18-34)48.

    In Francia, l'ascesa del giornalista di destra Éric Zemmour e la sua decisione di correre per la presidenza nel 2022 rappresenta un massiccio spostamento a destra di quel paese. Un articolo di Le Figaro di ottobre descrive questo spostamento con il seguente titolo: "Sei mesi prima delle elezioni presidenziali, la società francese è più di destra che mai"49. Solo negli ultimi quattro anni, il numero di francesi che si identificano come di destra è aumentato dal 33% al 37%, mentre quelli che si identificano come di sinistra sono scesi dal 25% al 20%. La maggior parte di questo cambiamento è dovuto alla preoccupazione per il crimine, l'immigrazione e l'Islam.

    Un grande e analogo spostamento “a destra” è avvenuto anche nella Chiesa Cattolica. Le Messe tradizionali in latino sono cresciute esponenzialmente negli ultimi decenni, specialmente (e paradossalmente) sotto Papa Francesco. Dall'inizio della pandemia di Covid-19, la partecipazione a Messe in latino si è raddoppiata o addirittura triplicata. Un sondaggio di Crisis Magazine stima che la frequenza alle Messe tradizionali negli Stati Uniti è aumentata del 71% dal gennaio 201950. Questo spostamento verso la tradizione è particolarmente degno di nota perché è soprattutto un fenomeno di giovani cattolici nati molto dopo l'introduzione del Novus Ordo Missae. La tendenza conservatrice si sta verificando anche nel clero. Un rapporto del 2021 del Survey of American Catholic Priests mostra che, negli ultimi venti anni, i preti americani sono significativamente più tradizionali e ortodossi dei preti degli anni Settanta e Ottanta. "I preti cattolici ordinati a partire dall'anno 2000 tendono ad essere i più conservatori", dice il rapporto51.

    A questo, Papa Francesco ha risposto perseguitando la Messa Tradizionale. Il 16 luglio, ha pubblicato la lettera apostolica in forma di motu proprio Traditionis Custodesche impone restrizioni alla celebrazione della liturgia tradizionale.52 La lettera di accompagnamento spiega che le ragioni per limitare l'uso del Rito Tridentino sono dovute al "rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”53. Alcuni vescovi in diverse parti del mondo hanno iniziato a porre restrizioni alla celebrazione del Rito Tridentino, ma la maggior parte, specialmente in Nord America e in Europa, si sono sentiti nel bisogno di mantenere lo status quo. Anche se Papa Francesco ha cercato di ostacolare la crescita del movimento tradizionalista nella Chiesa, è molto improbabile che riesca a fermare quella che sembra essere chiaramente una grazia tra i fedeli cattolici.

    La Madonna di Fatima e gli eventi

    Con la Rivoluzione che distrugge le istituzioni in ogni campo, minacciando guerre interne ed esterne, persecuzioni e le forme più radicali di socialismo, sommosse e persino satanismo, il messaggio della Madonna di Fatima diventa più attuale che mai. Gli "errori della Russia", come ha avvertito la Madonna, sono come le metastasi di un cancro che sta raggiungendo il suo stadio finale. Il socialismo, il comunismo, la teoria del gender, la sodomia, la blasfemia, il satanismo e la sanguinosa persecuzione della Chiesa stanno minacciando di distruggere le nazioni del mondo.

    La Russia stessa, insieme alla Cina comunista, minaccia guerre contro l'Occidente. Mentre il 2021 volge al termine, i russi hanno ammassato quasi 200.000 soldati al confine con l'Ucraina, e la Cina sta anche aumentando le sue forze in preparazione di un'invasione di Taiwan. Qualsiasi guerra futura da parte della Russia o della Cina probabilmente coinvolgerà gli Stati Uniti e forse altre grandi potenze in Europa e in Asia.

    Una guerra tra gli Stati Uniti e la Russia o la Cina non sarebbe semplicemente un conflitto tra grandi potenze come quello del XIX secolo. Piuttosto, sarà un conflitto di modelli: tra il liberalismo rivoluzionario e la "democrazia" da una parte, rappresentata dagli Stati Uniti, e il nazionalismo autoritario rappresentato da Russia e Cina. La reazione conservatrice in Occidente ha, alla sua radice, una generale stanchezza e persino un rifiuto del modello dominante in Occidente, cioè, quello della democrazia liberale. Poiché la democrazia liberale porta la società alla disintegrazione e alla distruzione attraverso l'immigrazione di massa e la teoria del gender, la gente è alla ricerca di nuovi modelli e ideologie.

    Né la democrazia liberale né il nazionalismo autoritario sono la soluzione alla crisi. Piuttosto, dobbiamo tornare alla Casa del Padre, cioè un ritorno alla Chiesa cattolica e ai principi della civiltà cristiana. Nel suo libro, Ritorno all'Ordine, John Horvat descrive questo ordine come una società cristiana organica, così come fiorì nell'Europa medievale e i cui resti si possono trovare ancora oggi in Occidente.

    In mezzo alla sofferenza, al caos, alla corruzione e alla confusione del nostro tempo, molti cattolici sono tentati di disperarsi e di cercare soluzioni politiche al di fuori della Chiesa. Al contrario, la grande crisi dei nostri tempi è soprattutto religiosa e la soluzione può essere trovata solo nel magistero tradizionale della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica.

    Dobbiamo avere inoltre una fiducia illimitata nella Madonna e nelle sue promesse fatte a Fatima. Il caos, le guerre e le sofferenze del nostro tempo sono state previste più di un secolo fa in un'apparizione profetica della Madre di Dio in Portogallo. Solo ascoltando il suo messaggio e aggrappandoci al suo manto possiamo sperare di attraversare i tempi apocalittici che stanno arrivando.

     

    Note

    1. https://thehill.com/policy/defense/573028-majority-of-voters-disapprove-of-execution-of-afghanistan-withdrawal
    2. https://www.ncregister.com/news/catholics-and-protestants-share-communion-at-german-ecumenical-convention
    3. https://catholicphilly.com/2021/05/news/world-news/germany-seeks-church-reform-worrying-some-catholics/
    4. https://www.catholicnewsagency.com/news/246901/english-catholic-bishop-fears-germanys-synodal-path-will-lead-to-de-facto-schism
    5. https://www.catholicnewsagency.com/news/248897/vatican-releases-synod-on-synodality-preparatory-documents
    6. https://www.ncregister.com/news/cardinal-kasper-on-german-synod-many-wonder-whether-all-this-is-still-entirely-catholic
    7. https://www.catholicnewsagency.com/news/249541/cardinal-kasper-synodal-way-s-original-sin-was-to-set-aside-evangelization
    8. https://tylerclementi.org/press-release-catholic-bishops-join-with-the-tyler-clementi-foundation-to-protect-lgbt-youth-against-bullying/
    9. https://www.catholicworldreport.com/2021/02/23/german-catholic-bishops-call-for-change-to-catechism-on-homosexuality/
    10. https://press.vatican.va/content/salastampa/en/bollettino/pubblico/2021/03/15/210315b.html
    11. https://www.bbc.com/news/world-europe-54627625
    12. https://abcnews.go.com/International/wireStory/belgian-bishop-lashes-vatican-gay-unions-decree-76507227
    13. https://catholicherald.co.uk/cardinal-schonborn-same-sex-blessings-will-not-be-denied/
    14. https://www.thetablet.co.uk/news/14001/priests-take-aim-at-outdated-cdf-on-lgbt-people
    15. https://www.wsj.com/articles/catholic-priests-in-germany-bless-gay-couples-defying-pope-11620662111
    16. https://www.catholicnewsagency.com/news/247585/catholic-school-district-in-canada-mandates-lgbt-pride-month-awareness-staff-training
    17. https://www.catholicnewsagency.com/news/247655/as-catholic-school-district-promotes-pride-flag-toronto-archdiocese-says-cross-the-best-symbol-of-inclusion
    18. https://cruxnow.com/church-in-europe/2021/06/italian-pm-rejects-vatican-complaint-over-anti-homophobia-bill
    19. https://cruxnow.com/church-in-europe/2021/06/vatican-note-on-anti-homophobia-law-was-a-mistake-archbishop-says
    20. https://www.catholicnewsagency.com/news/249424/italian-senate-blocks-controversial-anti-homophobia-bill
    21. https://cruxnow.com/church-in-the-americas/2021/06/pope-applauds-martins-outreach-to-lgbtq-catholics-in-webinar
    22. https://www.nytimes.com/2021/11/15/opinion/pope-francis-lgbt-community.html
    23. https://www.ncronline.org/news/people/pope-francis-thanks-new-ways-ministry-recent-correspondence
    24. https://www.bbc.com/news/world-europe-58781265
    25. https://www.theguardian.com/world/2021/oct/05/french-catholic-priests-abused-children-report
    26. https://www.vatican.va/content/francesco/en/audiences/2021/documents/papa-francesco_20211006_udienza-generale.html
    27. https://eglise.catholique.fr/wp-content/uploads/sites/2/2021/10/CP_12octobre2021_Mgr-de-Moulins-Beaufort-1.pdf
    28. https://www.lefigaro.fr/actualite-france/pedocriminalite-les-pretres-doivent-denoncer-les-faits-a-la-justice-estime-darmanin-20211012
    29. https://www.ncregister.com/cna/french-catholic-academy-critiques-landmark-abuse-report
    30. https://www.cbc.ca/news/canada/british-columbia/survivors-faith-leaders-call-on-catholic-church-to-take-responsibility-for-residential-schools-1.6048077
    31. https://www.bbc.com/news/world-us-canada-57358292
    32. https://apnews.com/article/canada-1393993d248c99d7e929448eb4234a31
    33. https://www.ctvnews.ca/canada/not-in-solidarity-with-us-indigenous-leaders-call-for-church-arsons-to-stop-1.5497911
    34. https://www.reuters.com/world/americas/canadian-indigenous-group-takes-charge-child-welfare-services-2021-07-06/
    35. https://www.nytimes.com/2020/11/04/us/election-state-house-legislature-governors.html
    36. https://www.foxnews.com/politics/biden-has-lost-more-approval-at-start-of-term-than-any-president-since-world-war-ii-poll-finds
    37. https://www.usccb.org/news/2021/bishops-decry-executive-order-promotes-abortion-overseas
    38. https://www.ncronline.org/news/people/some-bishops-seek-common-ground-not-confrontation-biden
    39. https://www.catholicculture.org/news/headlines/index.cfm?storyid=52232
    40. https://www.yahoo.com/news/u-president-biden-says-pope-143807134.html
    41. https://www.theatlantic.com/politics/archive/2021/03/archbishop-naumann-biden-abortion/618249/
    42. https://www.cardinalburke.com/presentations/statement-reception-of-holy-communion
    43. https://www.nytimes.com/2021/11/17/us/catholic-bishops-biden-communion.html
    44. https://www.france24.com/en/europe/20210911-turnout-down-slightly-for-french-protests-against-covid-19-health-pass
    45. https://www.bbc.com/news/world-europe-59363256
    46. https://www.bbc.com/news/world-europe-59625302
    47. https://www.washingtonpost.com/outlook/2021/07/31/biden-mandate-covid-vaccine-hesitancy/
    48. https://www.fondapol.org/en/study/the-conversion-of-europeans-to-right-wing-values/
    49. https://www.lefigaro.fr/elections/presidentielles/a-six-mois-de-la-presidentielle-la-societe-francaise-plus-a-droite-que-jamais-20211026
    50. https://www.crisismagazine.com/2021/the-growth-of-the-latin-mass-a-survey
    51. https://www.catholicnewsagency.com/news/249725/survey-priesthood-trends-morale-conservative
    52. https://www.vatican.va/content/francesco/en/motu_proprio/documents/20210716-motu-proprio-traditionis-custodes.html
    53. https://www.vatican.va/content/francesco/en/letters/2021/documents/20210716-lettera-vescovi-liturgia.html

     

    Fonte: tfp.org, 29 Dicembre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • I russi sono sintonizzati con il messaggio di Fatima?

     

     

    di John Horvat  

    La guerra in Ucraina ha catapultato il Messaggio di Fatima al centro delle discussioni.

    I misteriosi riferimenti della Madre di Dio del 1917 alla Russia e ai suoi errori fanno da sfondo al bilancio di morte e distruzione in Ucraina: "Se si ascolteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e si avrà pace; diversamente, diffonderà i suoi errori nel mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa; i buoni saranno martirizzati, il Santo Padre dovrà soffrire molto, diverse nazioni saranno annientate".

    La Madonna ha anche parlato della conversione finale della Russia dopo la consacrazione della nazione al suo Cuore Immacolato. Molti hanno giustamente affermato che gli errori della Russia erano quelli del comunismo. La Russia li ha effettivamente diffusi in tutto il mondo dal 1917 in poi.

    Una conversione controversa

    A partire dal crollo dell'Unione Sovietica del 1991, tuttavia, tra i cattolici occidentali cominciò a circolare un'opinione errata, secondo cui questa era la conversione della Russia prevista dalla Madonna. La narrazione della conversione si è rafforzata sotto Vladimir Putin.

    La narrativa della conversione si riferisce alla caduta del comunismo e ai successivi tentativi di ristabilire una parvenza di ordine nella terra devastata da sette decenni di dominio ateo. Alcuni vedono nell'aumento post guerra fredda della professione religiosa (anche se non della pratica) una sorta di conversione in corso.

    Alcuni cattolici sono fin troppo pronti a inserire questi sviluppi nel messaggio di Fatima. Non importa quanto piccolo un gesto sia, essi lo interpretano immediatamente come parte di un processo di conversione.  Inoltre, sono ben soddisfatti di vedere l’Ortodossia russa, non la Chiesa Cattolica, come lo strumento di Dio in questa conversione. Come se questo non facesse nessuna differenza.

    Tutti questi punti sono oggetto di discussione tra coloro che in Occidente sostengono quella che si potrebbe chiamare la narrativa della conversione della Russia alla luce di Fatima. La discussione spesso include una contro-narrazione, che afferma che anche le nazioni occidentali decadenti e moralmente corrotte hanno bisogno di convertirsi, forse più della Russia.

    La narrativa si estende ancora

    Il problema con la narrativa della conversione della Russia è che deve avere luogo all'interno del Messaggio di Fatima. Gli eventi devono corrispondere alla realtà se si vuole credere alla detta narrativa. Non c'è spazio per variabili utilizzando fatti distorti.

    Qualsiasi situazione può essere adattata a una narrativa, purché assomigli alla trama generale. Tuttavia, una narrativa può essere allungata solo fino a un certo punto. Quando gli elementi chiave non si adattano più, l'intera struttura cade. Questo è il caso della narrativa della conversione della Russia. Allunga troppo le cose e i fatti non corrispondono più al copione.

    Questa Russia in via di conversione sembra in realtà incline alla decadenza come altri paesi europei. Un'indagine sulle nazioni dell'Europa orientale, per esempio, mostra che i cattolici sono molto più propensi degli ortodossi russi a partecipare alle funzioni settimanali (42% in Polonia contro il 7% della Russia), a digiunare durante i tempi sacri (72% in Croazia contro il 27% in Russia) o a impegnarsi nella preghiera quotidiana (44% in Croazia contro il 18% in Russia). I dati delle Nazioni Unite rivelano che la Russia ha il più alto tasso di aborto pro capite del mondo, quasi il triplo di quello americano. La Russia continua ad avere uno dei più alti livelli di consumo di alcol nel mondo. Anche altri indicatori sociali come i tassi di suicidio e i livelli di prostituzione sono estremamente alti.

    Una conversione indesiderata

    Tuttavia, il fatto che funziona maggiormente contro la narrativa della conversione è che la maggior parte dei russi si identifica con la Chiesa Ortodossa russa, non con la Chiesa Cattolica romana. Perciò rifiutano la narrativa di Fatima essendo questa cattolica. La storia della conversione russa inciampa sul fatto che i russi non vogliono essere convertiti da Fatima.

    Questo non significa che i russi non abbiano desiderato essere liberi dal giogo sovietico. Significa solo che i russi non vedono questa liberazione venire dalla Madonna di Fatima. Purtroppo, essi non inquadrano i cambiamenti che avvengono in Russia come parte di un trionfo universale del Cuore Immacolato di Maria.

    La narrativa della conversione della Russia incontra ulteriori difficoltà. I gerarchi ortodossi russi tendono a vedere le apparizioni di Fatima come una montatura cattolica finalizzata a invadere quello che essi sostengono essere esclusivamente “territorio canonico” ortodosso e area di influenza. Visto alla luce del Grande Scisma del 1054, quando la Chiesa orientale lasciò Roma, il messaggio di Fatima viene rifiutato. Gli ortodossi hanno a lungo perseguitato i cattolici in Russia e inibito la pratica della vera Fede.

    Invece di abbracciare il Messaggio di Fatima come un aiuto mandato dal cielo per incoraggiare i russi in questo momento di grande bisogno spirituale, la Chiesa Ortodossa russa lo guarda con risentimento. Essa sostiene che la Russia non ha bisogno di conversione, poiché è cristiana da più di mille anni. Non c'è bisogno di consacrazione perché il popolo russo ha già riconosciuto la Madonna come la Madre di Dio, la Theotokos.

    Insomma, la Chiesa Ortodossa russa si auto-esclude dal Messaggio di Fatima perché i suoi gerarchi non credono che venga dal cielo.

    Così viene rifiutato il più grande sostegno

    C'è quindi un grande e ombroso silenzio su Fatima nelle vaste distese della Russia. La Chiesa russa e i funzionari civili non fanno appello a questo potentissimo alleato soprannaturale che ha promesso loro la liberazione dai mali moderni. Di conseguenza, la Russia non si è convertita e langue nella corruzione morale e nel peccato che dominano il mondo.

    Nemmeno l'Occidente si è convertito, certo. Non ha nemmeno ascoltato il Messaggio di Fatima quando poteva trarne così tanto vantaggio. Se il Messaggio di Fatima non fosse stato respinto, l'appello universale della Madonna alla preghiera, alla penitenza e all'emendamento della vita avrebbe prodotto meraviglie tali che avrebbero trasformato il mondo.

    Una narrazione che non è finita

    Il Messaggio di Fatima è ancora attuale. Tuttavia, perché abbia senso, si deve assumere una posizione veramente equilibrata, ammettendo che sia l'Oriente che l'Occidente non hanno ascoltato il Messaggio di Fatima. Il mondo intero ha bisogno di conversione perché l'errore domina ancora ovunque. Sia l'Oriente che l'Occidente hanno adottato una posizione altra rispetto a quella richiesta dalla Madre di Dio a Fatima e, dunque, abbracciano un mondo peccaminoso e moderno. Poiché il Messaggio della Madonna non è stato ascoltato, sia l'Oriente che l'Occidente sono diretti verso un castigo senza precedenti nella storia del mondo.

    Non è il momento di puntare il dito l'uno contro l'altro, ma di battersi il petto in segno di pentimento. Ora più che mai il mondo ha bisogno di Fatima. Ha bisogno di pentimento. La sua unica speranza di sopravvivenza è la Madonna.

     

    Fonte: Tfp.org, 3 Marzo 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.  

  • Il drago prevedibile*

    Non bastasse il conflitto in Ucraina, ecco che i tamburi di guerra cominciano a risuonare anche in estremo Oriente, con la possibile invasione di Taiwan da parte del regime di Xi Jinping. A volte tendiamo a dimenticare che la Cina è un paese ufficialmente comunista, che non ha rinunciato né all’ideologia marxista-leninista né all’espansionismo imperialista mondiale a essa inerente. Per troppo tempo abbiamo nutrito la Cina, cibandola con i nostri soldi e la nostra tecnologia, salvo poi scoprire che è una minaccia per il mondo. Forse è arrivato il momento di ripensare, ab imis fundamentis, i nostri rapporti con la Cina, prima che sia troppo tardi. Dal lontano 1937 il prof. Plinio Corrêa de Oliveira ammoniva sul corso suicida che stava seguendo la politica occidentale nei confronti del comunismo giallo.

     

     

    di Julio Loredo

    “Saremo costretti a rivedere i nostri rapporti”

    “Saremo costretti a rivedere i nostri rapporti”. Ecco il ricatto che la Cina sfoggia sempre quando qualcuno osa mettere in dubbio le sue politiche.

    Lo subì nel 2020 anche Donald Trump, ostinato nel chiamare “virus cinese” il COVID-19. L’esuberante presidente degli Stati Uniti d’America, leader della maggiore potenza economica e militare della storia, dovette sottomettersi: via l’aggettivo “cinese”… Poco prima, ad abbassare la testa era stato il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, reo di aver detto che il coronavirus proveniva dalla Cina. Non poteva permettersi di perdere il mercato cinese. Prima di lui, e per lo stesso motivo, il presidente argentino Alberto Fernández aveva dovuto bloccare un’indagine sugli accordi segreti con la Cina sottoscritti dal governo precedente.

    E non parliamo poi dei nostri sfibrati governanti europei, troppo premurosi nel piegarsi alle imposizioni di Pechino, come ha fatto di recente il presidente francese Emmanuel Macron. Brandendo la sua supremazia economica con una tracotanza che ha del surreale, la Cina vuole imporre la sua volontà.

    Uno dei grandi enigmi della nostra epoca – un vero mistero d’iniquità – è come l’Occidente, che si vanta del suo carattere democratico e liberale, abbia potuto sottomettersi in modo così servile a un governo dittatoriale dominato da un Partito Comunista. E come i tycoon dell’industria e della finanza, che si vantavano di aver creato la civiltà più ricca della storia, abbiano poi lasciato che quella ricchezza – insieme al potere che essa comporta – passasse nelle mani di una potenza nemica. Pur di far più soldi l’Occidente ha posto – coscientemente e volontariamente – la testa nella ghigliottina. Può adesso meravigliarsi che il boia tiri la leva?

    Una voce profetica

    Eppure, questa situazione era perfettamente prevedibile e quindi evitabile. Essa è conseguenza della politica cieca e suicida dell’Occidente nei confronti del comunismo cinese, contro la quale, già negli anni Trenta del secolo scorso, si alzò la voce di Plinio Corrêa de Oliveira.

    Nel lontano 1937, il leader cattolico denunciava come gli Stati Uniti stessero improvvidamente armando i comunisti cinesi, insieme ai sovietici: “Il Dipartimento di Stato annuncia che le licenze per esportare armi e materiale bellico in Cina nel mese di novembre hanno raggiunto un totale di 1.702.970 dollari. Pure per l’URSS, le licenze di esportazione per materiale bellico hanno raggiunto la somma di 805.612 dollari. (…) Non capiamo come gli Stati Uniti vendano armi ai comunisti, il nemico più pericoloso e abominevole della civiltà”.

    Nel 1943, quando ormai la disfatta del nazismo era solo questione di tempo, egli indicava i nemici futuri: il comunismo e l’islam. Il suo sguardo profetico, però, andava oltre: “Il pericolo musulmano è immenso e l’Occidente sembra non accorgersene, come d’altronde sembra pure chiudere gli occhi di fronte al paganesimo giallo”.

    Nel dopoguerra, l’Occidente continuò a ignorare tale pericolo, lasciando che il comunismo prendesse il controllo della Cina. Due fazioni si contendevano quell’immenso territorio: il Kuomintang, di orientamento nazionalista, guidato da Chiang-Kai-Shek, e il Partito Comunista Cinese, guidato da Mao-Tse-Tung. Quest’ultimo era appoggiato dall’Unione Sovietica. Nel 1945, Plinio Corrêa de Oliveira denunciò l’ingerenza dell’URSS in Cina: “Se ci fossero dubbi sull’insincerità dell’Unione Sovietica, basta vedere cosa succede in Cina. A scapito di tutto ciò che prometteva, la Russia ha riacceso la guerra civile in Cina, nonostante si fosse impegnata diversamente nel trattato di pace firmato con Chiang-Kai-Shek. (…) Dobbiamo sottolineare la gravità internazionale di questa aggressione. (…) Questo atteggiamento da parte della Russia comunista costituisce un nuovo shock contro la pacificazione del mondo. Non possiamo non rilevare quanto il Partito Comunista cinese sia un giocattolo dell’imperialismo russo, che lo usa con la più aperta sfacciataggine per raggiungere i suoi obiettivi internazionali”.

    Secondo Plinio Corrêa de Oliveira, l’unica politica coerente sarebbe stata quella di sconfiggere i comunisti, senza se e senza ma. Invece, pur di non infastidire l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti adottarono un approccio diverso, che si sarebbe poi dimostrato disastroso: “La politica americana in Cina mira a forzare l’unificazione attraverso un governo di coalizione democratica tra Kuomintang e comunisti. Ma non potrà mai esserci una vera coalizione tra il Kuomintang e i comunisti. L’obiettivo dei comunisti non è quello di rendere la Cina una nazione democratica unificata, ma di farne una provincia sotto il giogo del totalitarismo comunista. È quindi necessario aiutare Chiang ad estendere la sovranità del governo centrale su tutta la Cina, cosa che si può fare solo distruggendo la sovranità del governo ribelle comunista e liquidando i suoi attributi di potere indipendente, esercito, polizia, amministrazione politica, sistema finanziario”.

    Con l’appoggio dei sovietici, che occuparono pure la Manciuria, nel 1949 Mao-Tse-Tung sbaragliò definitivamente Chiang-Kai-Shek e stabilì la Repubblica Popolare Cinese, iniziando quindi l’espansione verso il Tibet e il sudest asiatico. Nel frattempo, mostrando una spaventosa imprevidenza, l’Occidente lasciò il nord della Corea in mano ai comunisti, una mossa che ebbe conseguenze catastrofiche. A metà giugno del 1950, appoggiati dalla Cina e dall’URSS, i comunisti invasero il sud, dando inizio alla guerra di Corea. Dopo un momento di sconcerto, il generale Douglas McArthur, comandante delle forze alleate, capì che la guerra si giocava non a Pyongyang bensì a Pechino e a Mosca, e propose una guerra totale contro i comunisti, che comprendeva il bombardamento delle basi comuniste in Cina. Venne sommariamente destituito dal presidente Harry Truman, che scelse invece la via del cedimento e del compromesso.

    In un lungo articolo pubblicato nel gennaio del 1951, Plinio Corrêa de Oliveira elencò “Gli errori di Roosevelt nella seconda Guerra mondiale”, tra cui: “Di fronte all’espansionismo comunista, il Dipartimento di Stato, invece di opporvi una resistenza energica, la favorì indirettamente col suo atteggiamento remissivo. (…) In Asia, le cose andarono peggio. Il presidente Truman decise di continuare la politica di fidarsi del comunismo cinese, come aveva fatto il suo predecessore. (…) Con tale cedimento, la sorte dell’Estremo Oriente era ormai segnata”.

    Negli anni Sessanta, l’URSS e la Cina iniziarono una messinscena, simulando una rottura per depistare l’Occidente. Plinio Corrêa de Oliveira non credette mai a tale manovra. Egli scrisse nel 1963: “Si tratta appena di una trappola, che finirà per inghiottire l’uomo occidentale, scemo e ridente, superficiale, agitato e debole, che vive nel mondo delle apparenze. (…) I comunisti saranno molto grati di questa straordinaria avventatezza degli occidentali”. E nel 1967: “La divisione tra ‘linea russa’ e ‘linea cinese’ non è altro che un bluff”. Sordo a tali ammonizioni, l’Occidente continuò la politica, cieca e suicida, di favorire la Cina in chiave anti-sovietica.

    La “settimana che cambiò il mondo”

    Di cedimento in cedimento, si arrivò al grande colpo di scena: il viaggio del presidente Richard Nixon in Cina nel febbraio del 1972, a cui il pensatore cattolico brasiliano attribuì un’importanza epocale. Il pretesto fu di acquisire una posizione dominante in Cina, tale da poter contro-bilanciare l’Unione Sovietica. Plinio Corrêa de Oliveira lo considerò, invece, l’inizio del cedimento finale. Nixon stesso definì il suo viaggio “la settimana che cambiò il mondo”.

    Saputa la notizia del viaggio, il 17 luglio 1971 il leader cattolico brasiliano tenne una conferenza analizzandone la portata e, con sorprendente lungimiranza, ne predisse le conseguenze:

    - Questo viaggio cambierà sostanzialmente la percezione dell’opinione pubblica occidentale nei confronti della Cina comunista, presentandola sotto un profilo più amichevole: “Cadranno le barriere ideologiche nei confronti del comunismo cinese”;

    - La Cina sarà ammessa nelle Nazioni Unite, spodestando Taiwan, e poi sarà nominata membro permanente del Consiglio di Sicurezza, assumendo quindi il ruolo di potenza mondiale;

    - “La guerra del Vietnam viene liquidata, in uno spirito di cedimento e di tradimento da parte degli Stati Uniti. Col viaggio di Nixon in Cina, gli Stati Uniti hanno accettato un’umiliazione enorme che lascia intravvedere un cedimento anche in Vietnam. Secondo me, la guerra finirà con la resa incondizionata degli Stati Uniti”;

    - “Le potenze anticomuniste dell’Estremo Oriente saranno abbandonate alla propria sorte (…) Nixon sembra intenzionato a smantellare inesorabilmente il sistema anticomunista in Estremo Oriente. (…) Ciò costringerà i Paesi della zona ad appoggiarsi su Pechino, anziché su Washington”;

    - “Hong Kong entrerà in agonia. Io credo che tra non molto tempo l’Inghilterra riaprirà i rapporti con Pechino e consegnerà Hong Kong ai cinesi”.

    Alla fine, Plinio Corrêa de Oliveira si domandava: “Chi può dire che l’espansione cinese non continuerà?”. Ovviamente, la sua convinzione era che, una volta iniziata, l’espansione gialla non si sarebbe più fermata. Tanto più che gli Stati Uniti non avevano messo nessuna condizione politica o militare.

    Sulla scia del viaggio del presidente Nixon, gli Stati Uniti firmarono con la Cina la Dichiarazione di Shanghai, di cooperazione fra i due Paesi. Plinio Corrêa de Oliveira dedicò all’Accordo un’intera conferenza, in conclusione della quale commentò: “Vista l’ingenuità liberale degli americani, e l’astuzia comunista dei cinesi, l’Accordo avrà un esito molto conveniente per i comunisti. Essi approfitteranno di ogni occasione per avanzare. D’ora in poi i rapporti fra la Cina e l’Occidente si svolgeranno su questa base: i cinesi sapranno approfittarsene, mentre gli occidentali no”.

    Il leader brasiliano riteneva l’Accordo di Shanghai la peggiore catastrofe politica del secolo XX: “Yalta fu una calamità maggiore di Monaco. Fu Monaco moltiplicato per Monaco. L’Accordo di Shanghai è Yalta moltiplicata per Yalta! Dove ci porterà? Io non lo so. Ma una cosa è certa: l’Occidente ha già perso questa guerra”.

    Va detto che questa era la linea del Governo americano, e più concretamente della Segreteria di Stato. Nel pubblico, invece, vi furono consistenti reazioni alle quali Plinio Corrêa de Oliveira dedicò alcune riunioni e articoli di giornale.

    Dopo la morte di Mao-Tse-Tung nel 1976, prese il potere Teng-Xiao-Ping, che avviò la cosiddetta “primavera di Pechino”, la prima timida apertura del sistema cinese al capitalismo, senza mai rinnegare l’ideologia comunista. Il tutto nello spirito dell’Accordo di Shanghai. L’Occidente iniziò quindi a investire in Cina. Plinio Corrêa de Oliveira avvertì che il flusso di aiuti occidentali avrebbe fornito alla Cina i mezzi necessari per perseguire i suoi scopi espansionistici: “Può la Cina aspirare a controllare la regione, salvo poi espandersi? Non gli mancano l’estensione territoriale, la popolazione sovrabbondante e l’appetito di conquista. Tuttavia, per un così grande impegno, avrà bisogno di un notevole potenziale industriale e militare, cosa che il comunismo non gli ha dato. La Cina comunista potrà svilupparsi e raggiungere la condizione di superpotenza imperialista solo con l’aiuto delle nazioni capitaliste”.

    Tralascio le pesantissime responsabilità dell’Ostpolitik vaticana nei confronti della Cina comunista, che andò a braccetto con quella americana e che, proprio sotto il pontificato di Francesco, ha raggiunto eccessi allarmanti. Aprirebbe orizzonti talmente rilevanti che meriterebbero un trattamento a parte.

    Un progetto di dominazione imperiale

    Plinio Corrêa de Oliveira morì nel 1995, e non vide dunque il pieno compimento delle sue previsioni. Oggi possiamo dire con rammarico: tutto ciò che egli aveva previsto si è purtroppo avverato nel peggior modo possibile.

    Nel 1980, il reddito pro capite cinese era inferiore a quello delle nazioni africane più povere. Oggi, la Cina produce il 50% di tutti i beni industriali del mondo. Tutto ciò, va ribadito, con i soldi e il know-how dell’Occidente, improvvidamente trasferiti in Cina seguendo la logica – o meglio la mancanza di logica – del capitalismo selvaggio e della globalizzazione. Mentre gli occidentali riempivano la Cina di soldi e di tecnologia, i cinesi seguivano scrupolosamente ciò che un analista occidentale definì una “politica bismarkiana”, cioè un progetto ben definito di dominazione imperale.

    Tale progetto è ben esaminato da Michael Pillary, uno dei maggiori esperti americani sulla Cina, nel suo libro: «The Hundred-Year Marathon.Chinas’s secret Strategy to Replace the U.S. as the World Superpower». Egli mostra come la politica americana di riempire la Cina di soldi e di tecnologia, perfino militare, nell’ingenua speranza che essa sarebbe diventata un partner affidabile, si è dimostrata un boomerang: per tutto questo tempo i cinesi hanno giocato la partita con seconde intenzioni, approfittandosi dell’ingenuità occidentale per acquisire una posizione dominante, che oggi cominciano a brandire come arma di dominio globale.

    Un altro libro interessante è quello del giornalista britannico Martin Jacques «When China Rules the World: The End of the Western World and the Birth of a New Global Order». Basato su studi di mercato, proiezioni geopolitiche e analisi storica, Jacques mostra – se dovesse continuare l’attuale trend – come la Cina sarà la potenza egemonica nel secolo XXI, declassando gli Stati Uniti e introducendo una “nuova modernità” diversa da quella attuale. La Cina, secondo Jacques, non è uno “Stato-Nazione”, bensì uno “Stato-Civiltà” con vocazione imperiale, abituato a esercitare un potere incontrastato.

    Ripensare la Cina

    Le recenti minacce belliche di Pechino potrebbero cambiare le carte in tavola.

    Di fronte ai ruggiti di un drago che, finalmente, inizia a spaventare l’Occidente, molte persone iniziano a domandarsi se non abbiamo sbagliato strada.

    Forse Dio ci sta dicendo qualcosa con questa situazione. Forse è arrivato il momento di ripensare ab imis fondamentis la nostra strategia nei confronti della Cina comunista. Domani sarà troppo tardi. Potremmo, per esempio, ripensare la politica europea di imporre le auto elettriche, pur sapendo che la Cina controlla il mercato mondiale delle batterie. Potremmo favorire il rimpatrio di industrie che si erano trasferite in Cina. Potremmo evitare la concorrenza sleale imponendo alla Cina le stesse condizioni lavorative che esistono da noi. Potremmo escogitare modi per contrastare la penetrazione cinese in America Latina e in Africa. Potremmo, potremmo, potremmo…

    Ma per fare ciò serve coraggio. Un coraggio che non verrà dalle nostre forze naturali, siano esse di natura politica, economica o culturale. Qui ci vuole l’intervento della grazia divina sulle anime. Io mi domando: di fronte alla possibilità di un’ecatombe mondiale, non è arrivato il momento di gridare al Cielo: Perdono! Perdono! Perdono! Sono sicuro che il Cielo ci risponderà: Penitenza! Penitenza! Penitenza! Conversione! Conversione! Conversione! E, in mezzo al frastuono degli elementi scatenati, si sentirà una voce, dolce come un favo di miele, dire: “Fiducia figli miei! Infine il mio Cuore Immacolato trionferà!”.

    (*) Versione aggiornata del articolo “Ripensare la Cina”, pubblicato sulla rivista Tradizione Famiglia Proprietà, maggio 2020.

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  • Il giorno in cui l’Occidente morì

    di Julio Loredo

    Ci sono certi eventi che echeggiano nella storia e nell’eternità come solenni rintocchi di campane. Alcuni sono festosi, come la proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria, il 1° novembre 1950. Altri, invece, sono rintocchi a morto, come la caduta di Costantinopoli, il 29 maggio 1453, che segnò la fine dell’Impero bizantino e aprì le porte dell’Europa all’islam.

    Il 15 agosto 2021, giorno dell’ingresso dei talebani a Kabul, sarà ricordato nella storia come il giorno in cui l’Occidente morì. Non nel senso che abbia tout court smesso di esistere come entità politica, economica e culturale, ma nel senso che si è reso palese che non ha nessuna voglia di vivere. Sembra che il “declino americano” – in realtà occidentale – abbia toccato il fondo.

    L’Occidente già non aveva voglia di vivere quando, a Doha, l’amministrazione Trump patteggiava con i talebani il ritiro delle truppe americane. Anche se l’ex presidente Trump e il suo Segretario di Stato Pompeo dicono che quegli accordi prevedevano una ritirata in ordine, e non lo scempio che abbiamo visto, e che avrebbero salvato le vite umane che andavano salvate ed evitato di lasciare in mano ai terroristi un arsenale moderno e letale, rimane il fatto di essersi fidati delle promesse di estremisti islamisti disposti a tutto, pronti a praticare la taqiyya islamica che permette di ingannare la controparte senza nessun limite quando si tratta di favorire la propria causa, il che mostra quanto gli occidentali abbiamo perso l’avvedutezza che una volta li caratterizzava.

    Oggi l’Occidente si lamenta che il nuovo Emirato non abbia incluso alcuna donna al governo e, anzi, che stia restringendo sempre di più la loro libertà. “Non sembra la formazione inclusiva e rappresentativa in termini di ricca diversità etnica e religiosa dell’Afghanistan che speravamo di vedere e che i talebani avevano promesso nelle ultime settimane”, ha affermato Peter Stano, portavoce dell’ufficio per la politica estera dell’UE. Davvero? Una delle due: o sapevano che sarebbe andata così e, quindi, sono da ritenere degli ipocriti; oppure non lo sapevano, e quindi sono da ritenere degli sprovveduti che non meritano di avere in mano la politica estera europea.

    Ben diceva il deputato britannico Sir Iain Duncan: “Questo è una vergogna per gli Stati Uniti e per tutto l’Occidente”. Un Paese che non prova più vergogna è un Paese pronto a essere inghiottito dalla storia.

    La caduta dell’Afghanistan è un chiaro segnale al terrorismo islamista: avete le mani libere! Con la ricostituzione del “Califfato che minaccia l’Occidente” (Massimo Giannini, su La Stampa), si ripresenta in tutta la sua pericolosità la sfida islamista, precisamente vent’anni dopo quell’11 Settembre.

    La fuga dall’Afghanistan segna la ritirata dell’Occidente come potenza egemonica. Ne hanno approfittato Russia e Cina che, contrariamente a quanto fatto dai paesi occidentali, non hanno chiuso le proprie ambasciate. Anzi, la Russia era perfettamente preparata a questa eventualità. Nonostante i talebani siano ancora nella lista nera del Governo, prevedendo la ritirata americana, il Cremlino ha cominciato a trattare con loro. “Manteniamo contatti con i talebani da più di sette anni, abbiamo discusso molte questioni – ha dichiarato l’inviato speciale del Cremlino in Afghanistan Zamir Kabulov – Noi vediamo i talebani come una forza che giocherà un ruolo di primo piano”. Un mese prima della caduta di Kabul, una delegazione afghana di alto livello si è recata a Mosca per assicurare i russi che i loro interessi non correvano nessun rischio. “Abbiamo eccellenti rapporti con la Russia”, ha dichiarato Mohammad Sohail Shaheen, portavoce dei talebani.

    E anche la Cina alza i toni. A metà agosto, un portavoce del governo di Pechino ha avvertito: “La caduta dell’Afghanistan prepara quella di Taiwan. Siamo sicuri che l’Occidente non la difenderà”. Il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian ha più volte paragonato la ritirata dall’Afghanistan alla caduta di Saigon, che aprì le porte del Sudest asiatico al comunismo. Mentre il suo collega Hua Chunying ha definito gli Stati Uniti “distruttivi”, aggiungendo che “ovunque gli Stati Uniti mettono piede... vediamo turbolenze, divisioni, famiglie distrutte, morti e altre cicatrici”. Non sorprende, dunque, che i leader della regione siano molto preoccupati. “Tutti stiamo guardando agli Stati Uniti per vedere come si riposizionano”, ha dichiarato il Primo Ministro di Singapore, Lee Hsien.

    Taiwan, Corea del Sud e Giappone – i principali alleati USA nella regione – non sono certo l’Afghanistan. La ritirata di agosto, però, ha gettato un’alone di dubbio sull’affidabilità degli americani nel continuare a giocare un ruolo mondiale. E il viaggio in Oriente di Kamala Harris per rassicurare gli alleati non l’ha affatto dissipata.

    L’Occidente non sembra disposto a difendere l’Oriente come non sta difendendo l’America Latina. Dopo un periodo di relativa tranquillità, il comunismo – quello vero, stalinista e amico della guerriglia – si sta riprendendo il continente. Negli ultimi due anni, sei paesi della regione sono caduti nelle mani di regimi ispirati a forme di marxismo-leninismo, senza che l’Occidente se ne sia nemmeno accorto. L’ultimo è stato il Perù, dove è salita al potere un’alleanza di ex-terroristi guevaristi. È come se in Italia governassero le Brigate Rosse insieme a Lotta Continua. Questi regimi di estrema sinistra sono alleati geopolitici della Russia e della Cina, che così rafforzano enormemente la loro presenza nel continente.

    E mentre i nemici dell’Occidente attaccano, quest’ultimo si preoccupa di trovare forme sempre più efficaci per suicidarsi: aborto, eutanasia, omosessualismo… Si racconta che i teologi di Bisanzio discutessero sul sesso degli angeli mentre i turchi assalivano le mura della città. Che cosa dirà la posterità di un mondo che discute se un uomo è un uomo e una donna, una donna?

    Già indeboliti da una crisi d’identità, sin dal 2019 gli Stati Uniti sono scossi da una ribellione anarchico-comunista – che va sotto diversi nomi, come Black Lives Matter, Wokee Cancel Culture – la cui idea base è quella di cancellare la cultura occidentale, distruggendone i simboli. Questo movimento si è esteso ad altri Paesi, come lGran Bretagna, Cile e Colombia.

    Riflette Gennaro Malgieri: “Mi torna alla memoria un gran libro del 1964 sul quale, purtroppo, si è depositata la polvere:Il suicidio dell’Occidente. Un saggio sul significato e sul destino del liberalismo americano. L’autore è James Burnham, vecchio trotzkista divenuto guru del conservatorismo americano nel dopoguerra. Gridava ancora quel libro alla nostra ignavia e ci metteva in guardia dai barbari che premono alle frontiere. I barbari del pensiero e delle idee che si sarebbero trasformati in miserabili delinquenti appostati dietro le formulette ideologiche pronti a colpire brutalmente il loro e il nostro mondo. Il ‘suicidio’ da tempo si è manifestato in forme particolarmente crudeli. Ma soltanto oggi con l’attentato sistematico e violento alla nostra memoria ne prendiamo contezza davanti alla vile pretesa di abbattere i simboli stessi dell’Occidente, come se demolendo una statua si possa cancellare un’intera civiltà”.

    Black Lives Matter e Woke sono, infatti, solo la punta dell’iceberg di un profondo malessere che corrode l’Occidente e lo porta verso l’autodistruzione.

    Se tutto questo fosse vero, ma la Chiesa fosse salda, potremmo dire con tranquillità: Stat Crux dum volbitur orbis! Purtroppo, anche la Santa Chiesa di Dio ha raggiunto un grado di autodistruzione mai sognato prima. Col motu proprio Traditiones custodes Papa Francesco ha palesato ancor di più il proposito di distruggere quanto possa rimanere in piedi della società spirituale.

    Ma la Provvidenza ha le sue vie…

    Nel 1571 la Cristianità medievale non c’era più. Corrosa dallo spirito umanista e rinascimentale, spaccata dallo scisma luterano, indebolita dalle politiche machiavelliche, in balìa dei godimenti sensuali che la nascente modernità offriva, l’Europa sembrava un frutto marcio pronto a cadere nelle mani di un popolo guerriero e credente, anche se nell’errore: l’Impero Ottomano. Nessuno parlava più di crociata. Le stesse guerre di contenimento contro il nemico musulmano, per esempio nell’Adriatico, erano dettate più da motivi politici e strategici che religiosi. Le crociate erano ormai un ricordo scomodo del passato.

    Eppure, qualcosa risuonò nel più profondo dell’anima europea. Un vento di crociata soffiò impetuoso. Papa San Pio V lanciò un nuovo appello Deus vult! Se ne fecero eco alcuni principi cristiani, in primis Filippo II di Spagna, allora signore anche di parte dell’Italia. Il 7 ottobre 1571 si combatté la battaglia navale di Lepanto, “la più grande giornata che videro i secoli”, nelle parole dello scrittore Miguel de Cervantes, che vi prese parte, perdendo perfino una mano. Motivo per il quale è chiamato “il monco di Lepanto”. Alla fine della giornata, contro ogni previsione, i cristiani avevano riportato una vittoria così schiacciante da fermare definitivamente l’avanzata marittima dei turchi. Non mancò chi intravedesse una rinascita dell’antica cavalleria.

    La battaglia, piena di miracoli e di fatti prodigiosi, si combatté sotto la protezione di Maria Ausiliatrice. Papa San Pio V vide misticamente l’esito dello scontro mentre si trovava in Vaticano, e aggiunse l’invocazione “Auxilium Christianorum” alla Litania lauretana. Lepanto fu un trionfo di Maria. E questo fu riconosciuto da tutti. Nella Sala del Consiglio, nel Palazzo ducale di Venezia, si può ammirare un immenso dipinto della battaglia con sopra le parole: “Non virtus, non arma non duces sed Maria Rosarii victores nos fecit”- Non il valore, non le armi non i condottieri, bensì Maria del Rosario ci ha dato la vittoria.

    Nel commemorare i 450 anni della battaglia, preghiamo Maria Santissima che faccia soffiare un nuovo vento di crociata perché possiamo combattere i nemici odierni della Chiesa e della Civiltà cristiana, mille volte peggiori e più insidiosi dei musulmani turchi di allora.

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  • Il significato storico della battaglia di Lepanto:
    Cristianità, Occidente e Islam

    Qual'é stato il significato della battaglia di Lepanto per la Chiesa, per l’Europa e per la storia? Lo spiega il prof. Massimo de Leonardis, già direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

     

     

    di Massimo de Leonardis

     

    La battaglia navale di Lepanto è uno degli eventi più importanti della storia, il cui significato trascende il semplice aspetto militare ed è ricco di insegnamenti anche religiosi. La rivoluzione ecclesiale generata dal Concilio Vaticano II ha però gettato un velo di oblio su un avvenimento che costituisce una delle glorie del papato, in nome di un pacifismo assoluto in contrasto con il Magistero della Chiesa, che anche nei documenti più recenti ha riaffermato la liceità della “guerra giusta”.

    Pacificatrice non pacifista

    Infatti, il Catechismo della Chiesa cattolica (1) elencando le condizioni di una «legittima difesa con la forza militare», osserva: «questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”»(n. 2309). «La legittima difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del bene comune» (n. 2321). Il concetto è integralmente ripreso nel successivo Compendio della dottrina sociale della Chiesa: «Le esigenze della legittima difesa giustificano l’esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace» (2), ammettendo altresì «un’azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un’aggressione stia per essere sferrata», «sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, […] identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un’ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato» (3).

    La Chiesa dunque è pacificatrice, ma respinge il pacifismo. Il Venerabile Pio XII affermava nel 1952: «La Chiesa deve tener conto delle potenze oscure che hanno sempre operato nella storia. Questo è anche il motivo per cui essa diffida di ogni propaganda pacifista nella quale si abusa della parola di pace per dissimulare scopi inconfessati» (4). Il pacifismo assoluto è più che mai una pericolosa utopia, come più volte riaffermò il Cardinale Joseph Ratzinger.

    Nel discorso pronunciato in Normandia il 4 giugno 2004 alle celebrazioni del 60° anniversario dello sbarco alleato, egli affermò: «Se mai si è verificato nella storia un bellum justum è qui che lo troviamo, nell’impegno degli Alleati, perché il loro intervento operava nei suoi esiti anche per il bene di coloro contro il cui Paese era condotta la guerra. Questa constatazione […] mostra, sulla base di un evento storico, l’insostenibilità di un pacifismo assoluto» (5). In una lettera al Presidente del Senato Marcello Pera, il Cardinale Ratzinger sostenne poi: «Sul fatto che un pacifismo che non conosce più valori degni di essere difesi e assegna a ogni cosa lo stesso valore sia da rifiutare come non cristiano siamo d’accordo: un modo di “essere per la pace” così fondato, in realtà, significa anarchia; e nell’anarchia i fondamenti della libertà si sono persi» (6).

    Tale concetto fu ribadito e precisato in un discorso pronunciato il 1° aprile 2005, poche settimane prima dell’elezione a Sommo Pontefice: «La pace e il diritto, la pace e la giustizia sono inseparabilmente interconnessi. […] Certamente la difesa del diritto può e deve, in alcune circostanze, far ricorso a una forza commisurata. Un pacifismo assoluto, che neghi al diritto l’uso di qualunque mezzo coercitivo, si risolverebbe in una capitolazione davanti all’iniquità, ne sanzionerebbe la presa del potere e abbandonerebbe il mondo al diktat della violenza. […] Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo».

    Asceso al soglio pontificio, Benedetto XVI in più occasioni si è occupato specificamente del tema della pace e della guerra ribadendo questi concetti. Nel messaggio (7) per la consueta Giornata della Pace del 1° gennaio 2006, il Papa, affermò che «il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace».

    In nome di un irenismo e di un ecumenismo spinti all’eccesso, molti hanno voluto negare il carattere intrinsecamente bellicoso dell’Islam, richiamato invece dal Santo Padre nel mirabile discorso di Ratisbona del settembre 2006: «Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d’inverno del 1391 presso Ankara, ebbe [un dialogo] con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”» (8). Maometto è in realtà l’unico fondatore di una religione che fu anche un capo guerriero; fin dall’inizio l’Islam si espanse con la violenza e la “guerra santa” è uno dei precetti fondamentali della dottrina e della prassi musulmana.

    Una guerra difensiva

    Altri hanno proposto una lettura assolutamente parziale dei rapporti tra Islam e Cristianesimo, evidenziando i momenti di dialogo e quasi cancellando secoli di aggressività musulmana. In una demitizzazione esasperata di pagine gloriose nella storia militare della Cristianità, ci si è spinti a negare sia valore strategico sia legittimità religiosa a battaglie come quelle di Poitiers e di Lepanto. È dunque opportuno a rileggere il giudizio autorevole di Fernand Braudel: «Se, anziché badare soltanto a ciò che seguì a Lepanto, si pensasse alla situazione precedente, la vittoria apparirebbe come la fine di una miseria, la fine di un reale complesso d’inferiorità della Cristianità, la fine di un’altrettanto reale supremazia della flotta turca [...] Prima di far dell’ironia su Lepanto, seguendo le orme di Voltaire, è forse ragionevole considerare il significato immediato della vittoria. Esso fu enorme» (9).

    Un maestro della storia militare, il britannico John Keegan, elenca Lepanto tra le quindici battaglie navali decisive della storia, da Salamina tra greci e persiani nel 480 a. C., al Golfo di Leyte tra americani e giapponesi nel 1944; ove per decisiva s’intende «d’importanza duratura e non puramente locale». Lepanto segna la fine del potere navale ottomano ed «arresta l’avanzata musulmana nel Mediterraneo occidentale», che da allora fu salvo dalla minaccia strategica dell’espansione turca, così come l’assedio di Vienna del 1683 ne bloccò l’avanzata terrestre (10). L’insigne storico Angelo Tamborra afferma che «con Lepanto», anche se non ebbe «immediate conseguenze strategiche», «prende fine [...] stabilmente, quello stato d’animo di rassegnazione e quasi di paura ossessiva che aveva prostrato l’Occidente, preso dal “mito” della invincibilità del Turco» ed afferma che con tale battaglia si ebbe il «definitivo declino della talassocrazia turca del Mediterraneo». Poche righe prima, lo stesso autore scrive che «la Cristianità, già frammentata in nazioni in lotta di predominio le une contro le altre – taluna delle quali non aveva esitato a ricercare il compromesso o addirittura l’alleanza con il Turco – aveva visto ricomporsi, per un momento e almeno in parte, la sua unità contro il nemico comune» (11).

    Va rilevato l’uso di due termini diversi per definire la civiltà europea: “Cristianità” ed “Occidente”. Lepanto fu una battaglia navale; ma fu soprattutto uno scontro tra la Croce e la mezzaluna, tra Cristianità ed Islam. Una Cristianità divisa, perché Lepanto si colloca pressoché a metà di quel secolo e mezzo che dalla fine del ‘400 alla pace di Westfalia del 1648 vide la laicizzazione delle relazioni internazionali; alla Respublica Christiana medievale si sostituì l’Europa degli equilibri. Non solo la riforma protestante spezzò definitivamente l’unità religiosa dell’Europa, ma l’interesse nazionale prevaleva talora sulle motivazioni religiose anche per gli Stati cattolici. I Re cristianissimi di Francia strinsero intese con il turco in funzione antiasburgica e le loro navi non furono presenti a Lepanto. I veneziani, che pure a Lepanto furono in prima fila, rimproverati in un’occasione per il loro scarso entusiasmo per l’idea di crociata, risposero: «siamo veneziani, poi cristiani». Va anche però ricordato che la Regina Elisabetta I d’Inghilterra, scismatica, alcuni anni prima, aveva indetto preghiere di ringraziamento per la fine dell’assedio turco a Malta, eroicamente difesa dai Cavalieri Gerosolimitani.

    Il ruolo di S. Pio V

    Tanto più grandioso appare quindi il ruolo di S. Pio V nel radunare gran parte di una Cristianità divisa per una battaglia d’importanza militare, civile e religiosa. Il Papa fu l’artefice della coalizione che vinse a Lepanto. Inviò Nunzi ai Principi italiani, al Doge di Venezia, ai Re di Polonia e di Francia. Per finanziare lo sforzo bellico, dopo aver autorizzato La Vallette, Gran Maestro dell’Ordine di Malta, ad ipotecare, per 50.000 scudi d’oro, le commende di Francia e di Spagna, il Papa impose la decima sulle rendite dei monasteri, tre decime al clero napoletano, riscosse dagli impiegati della corte papale 40.000 scudi d’oro in pena delle loro malversazioni e ne ricavò altri 13.000 dalla vendita di pietre preziose, accordò ai veneziani la facoltà di togliere 100.000 scudi sulle rendite ecclesiastiche e rinnovò in favore degli spagnoli il privilegio della Cruzada.

    Come scrive un maestro della storiografia, Nicolò Rodolico: «Al di sopra di interessi materiali, di ambizioni, di possessi e di ricchezze, vi era un Crociato che chiamava a raccolta la Cristianità: Pio V. Non era Cipro dei Veneziani in pericolo, ma la Croce di Cristo nell’Europa era minacciata. La parola commossa del Papa riuscì a conciliare Veneziani e Spagnoli» (12). Fu firmata a Roma il 20 maggio 1571 una Lega, cui aderirono il Papa, il Re di Spagna, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova, il Granduca di Toscana, il Duca di Savoia, l’Ordine di Malta, la Repubblica di Lucca, il Marchese di Mantova, il Duca di Ferrara e il Duca di Urbino. «Le differenze che possono insorgere tra i contraenti – prevedeva il trattato di alleanza – saranno risolte dal Papa. Nessuna delle parti alleate potrà conchiudere pace o tregua da sé o per mezzo di intermediari, senza il consenso o la partecipazione delle altre». Accanto all’azione diplomatica, il Papa ordinò solenni preghiere, in particolare la recita del Santo Rosario, e processioni di penitenza, alle quali prese parte personalmente. Il Sultano ebbe ad esclamare: «Temo più le preghiere di questo Papa, che tutte le milizie dell’imperatore».

    La battaglia e le sue conseguenze

    Il mattino del 7 ottobre 1571 iniziò lo scontro tra le flotte cristiana e musulmana al largo di Lepanto (oggi Nafpaktos), allo sbocco del golfo di Corinto ed a nord di quello di Patrasso. La flotta cristiana era sotto il comando supremo di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale del defunto Imperatore Carlo V, ai cui ordini stavano i veneziani Sebastiano Veniero ed Agostino Barbarigo, il romano Marcantonio Colonna, il genovese Gian Andrea Doria, ed era composta in totale da circa 280 bastimenti, sui quali trovavano posto 1.800 pezzi d’artiglieria, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 43.000 vogatori. La flotta turca, al comando dell’ammiraglio Alì-Mouezzin Pascià, contava circa 230 galee e una sessantina di bastimenti minori, per un totale di circa 290 legni, 750 cannoni, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 41.000 rematori (in buona parte schiavi cristiani, per lo più greci). La vittoria cristiana fu netta. Gli alleati della Lega contarono circa 7.500 morti, uccisi o annegati, in gran parte soldati, e circa 20.000 feriti e persero 12 galee. I turchi ebbero 30.000 morti e 10.000 prigionieri, circa 100 navi bruciate o affondate e 130 catturate; 15.000 schiavi cristiani furono liberati.

    S. Pio V attribuì il trionfo di Lepanto all’intercessione della Vergine: volle che nelle Litanie Lauretane si aggiungesse l’invocazione “Auxilium Christianorum, ora pro nobis”, e fissò al 7 ottobre la festa in onore di nostra Signora della Vittoria. Pio VI fissò infine il 24 maggio la festa di Maria Ausiliatrice, in memoria della battaglia di Lepanto e della propria liberazione a Savona.

    Quella del secolo XVI era un’Europa divisa sul piano politico-diplomatico e religioso. Per certi versi era però più spiritualmente salda di quella di oggi. In essa persisteva, ancora notevole, anche a livello popolare, lo spirito di crociata. Il Re di Francia trattava col Sultano in termini diplomatici, ma non pensava certo che il suo Dio fosse lo stesso dei musulmani, non costruiva moschee, anzi, con le capitolazioni i sovrani francesi si preoccupavano di tutelare i cristiani nell’Impero ottomano; le poche apostasie a favore dell’Islam erano esecrate. La Chiesa cattolica con la Riforma Tridentina era più che mai salda nella dottrina e nella disciplina. Nel ‘500 l’aggressione islamica era solo militare; fu affrontata con una forza militare, saldamente fondata sulla fede e con fiducia nell’aiuto soprannaturale. Oggi la sfida islamica è molto più complessa e non può essere vinta solo con mezzi militari, contro un avversario “non clausewitziano”, che usa la violenza in modo lontano dalla nostra razionalità. La storia dimostra che l’Islam avanza quando la Chiesa vacilla ed i cristiani si abbandonano agli errori ed al lassismo spirituale. Se l’Occidente non ritorna ad essere Cristianità l’esito del confronto è incerto. Il gesto di Paolo VI nel 1967 di restituire alla Turchia una bandiera conquistata a Lepanto è stato ripagato nel 2020 convertendo nuovamente in moschea la basilica di Santa Sofia.

    Un volume che ripercorre 1.400 anni di scontri militari tra Cristianità ed Islam. ricordando le figure di condottieri, difensori dell’Europa cristiana dall’Islam, come d’Aviano, Giovanni Hunyadi ed il francescano San Giovanni da Capistrano commenta giustamente: «Nati in un’età di ferro, la loro vita avventurosa e tormentata può forse scandalizzare la maggior parte dei cristiani contemporanei, sicuramente più mansueti e pacifici: eppure la pace e la libertà che permettono questa mitezza sono conseguenza diretta di quelle battaglie» (13).

     

    Note

    1. Catechismo della Chiesa cattolica. Testo integrale e commento teologico, a cura di Mons. R. Fisichella, Casale Monferrato, 1993, pp. 426-27.

    2. Ibi, n. 502.

    3. Ibi, n. 501.

    4. Pio XII, Allocuzione al Movimento «Pax Christi», 15-9-52, in Insegnamenti pontifici, a cura dei Monaci di Solesmes, vol. V, La pace internazionale, parte prima, La guerra moderna, Roma, 1958, p. 561.

    5. La traduzione dal francese del discorso con il titolo L’Occidente, l’islam e i fondamenti della pace in Vita e Pensiero, n. 5 (settembre-ottobre) 2004.

    6. J. Ratzinger, Lettera a Marcello Pera, in M. Pera-J. Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, Cristianesimo, Islam, Milano, 2004, pp. 97-98.

    7. http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages /peace/documents/hf_ben-xvi_mes_20051213_xxxix-world-day-peace_it.html.

    8. Benedetto XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, 12 settembre 2006, in https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg.html.

    9. F. Braudel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, tr. it., Torino, 1999, vol. II, p. 1182.

    10. J. Keegan, La grande storia della guerra. Dalla preistoria ai giorni nostri, tr. it., Milano, 1994, pp. 67, 69-70, 338-39.

    11. A. Tamborra, Gli Stati italiani, l’Europa e il problema turco dopo Lepanto, Firenze, 1961.

    12. N. Rodolico, Storia degli italiani. Dall’Italia del mille all’Italia del Piave, Firenze, 1964, p. 319.

    13. A. Leoni, La Croce e la mezzaluna, Milano, 2002, p. 152.

     

    Fonte: Rivista Tradizione Famiglia Prorpietà. Anno 29, n. 91 - Ottobre 2021

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.

  • La conversione della Russia

     

     

    di Julio Loredo

    Gli anglosassoni lo chiamano “to frame the issue”, cioè dettare i termini del dibattito. Chi detta i termini di un dibattito, controllando quindi il campo di battaglia, sostanzialmente ha già vinto.

    Dillinger o Al Capone?

    Da secoli, ormai, la Rivoluzione[1] ha affinato questo stratagemma che mira non solo a presentare i propri argomenti in termini seducenti, ma – ed ecco il suo aspetto più insidioso – anche a costringere gli avversari a muoversi in un contesto ideologico e strategico fondamentalmente contraffatto. Il capolavoro di questa vera guerra psicologica rivoluzionaria consiste nel favorire, a volte perfino a fabbricare, delle false opzioni che, mentre raccolgono le reazioni contro la Rivoluzione le sviano e le svuotano. L’opinione pubblica è in questo modo costretta a scegliere fra alternative fondamentalmente viziate, dove non c’è spazio per una vera Contro-Rivoluzione.

    Tale situazione si presentò, per esempio, ai contro-rivoluzionari francesi a cavallo fra Ottocento e Novecento, costretti a scegliere fra Le Sillon (cattolico ma democratico) e l’Action Française (monarchica ma positivista). Si ripresentò agli italiani negli anni Venti, costretti a scegliere fra il Partito Popolare di Don Sturzo (cattolico) e il Partito Nazionale Fascista di Mussolini (anticomunista). E ancora ai tedeschi negli anni Trenta, costretti a scegliere fra Adolf Hitler, che si proponeva come restauratore della Civiltà cristiana e della grandezza tedesca, e la società liberale borghese che affondava nella decadenza e nel nihilismo.

    Plinio Corrêa de Oliveira denunciò questa tattica. Commentando nel 1945 un discorso di Hitler in cui il dittatore invitava il popolo tedesco ad aiutarlo nella lotta contro il bolscevismo, il pensatore brasiliano glossava: “Mi fa pensare a un’ipotetica lotta fra i due maggiori gangster di Chicago. È come se Dillinger, nemico pubblico numero 1, si appellasse ai cittadini per aiutarlo a lottare contro il nemico pubblico numero 2, Al Capone”[2]. E presentava l’unica posizione ragionevole: “I cattolici devono essere anticomunisti, antinazisti, antiliberali, antisocialisti, antimassoni… appunto perché cattolici”[3].

    Liberalismo e Occidente

    Una delle manovre meglio riuscite della guerra psicologica rivoluzionaria è stata quella di aver portato una certa destra su posizioni anti-occidentali, fino a farle proclamare che l’Occidente sarebbe il vero nemico da abbattere. Che la sinistra odi l’Occidente e voglia la sua distruzione, si capisce. È nella sua indole rivoluzionaria e anticristiana. Che una certa destra converga con essa si capisce molto meno. Da dove viene questa posizione?

    In due parole: dicono che la radice del male risiede nel liberalismo che porta alla negazione di ogni principio morale e, quindi, alla decomposizione della società. Nei giorni nostri, questo liberalismo si manifesta soprattutto nella rivoluzione culturale e morale che ormai da decenni devasta i paesi occidentali. Aggiungono che, pur con alcuni errori, in primis l’ateismo, il mondo a lungo dominato dal comunismo (Russia, Cina, Corea del Nord, Cuba e altri) è riuscito a preservarsi dalla peste del liberalismo. La Russia di Putin sarebbe, quindi, per qualcuno, paradossalmente un modello da seguire nella lotta contro i mali dei nostri tempi. Questa posizione si traduce poi non di rado in un radicale anti-americanismo, peraltro non nuovo nel panorama internazionale, e in un non meno radicale anti-capitalismo, nemmeno esso nuovo[4]. Infatti, entrambi facevano parte dell’arsenale psicologico dell’Unione Sovietica. Questo anti-americanismo si traduce poi in un anti-europeismo e, più ampliamente, in un anti-occidentalismo[5]

    È proprio delle reazioni contraffatte dalla propaganda psicologica rivoluzionaria l’avere un nucleo di verità, altrimenti non avrebbero nessuna presa sul pubblico che esse intendono attirare. In questo caso, il nucleo è il rigetto del liberalismo, effettivamente definito dal Magistero della Chiesa la sorgente di tutti i vizi morali e intellettuali, il pozzo avvelenato da dove provengono anche tutti gli errori in campo politico ed economico[6]. Per arrivare da questo nucleo fino a posizioni anti-occidentali, però, si devono stravolgere non pochi passaggi.

    Stando alla visione storica insegnata dal Magistero della Chiesa, e descritta dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira in Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, il mondo oggi è vittima di un processo di decadenza – la Rivoluzione – che dalla caduta del Medioevo sta corrodendo la Civiltà cristiana fino alle fondamenta. Questo processo si è sviluppato per tappe che hanno portato quelle precedenti a un’auge. La Rivoluzione marcia di eccesso in eccesso:  (…) ogni tappa della Rivoluzione, se paragonata a quella precedente, ne è soltanto il compimento o l’esasperazione fino alle estreme conseguenze. L’umanesimo naturalista e il protestantesimo si sono compiuti e sono giunti alle loro estreme conseguenze nella Rivoluzione francese, e questa, a sua volta, si è compiuta ed è giunta alle sue estreme conseguenze nel grande processo rivoluzionario di bolscevizzazione nel mondo contemporaneo”[7].

    L’umanesimo ha generato il protestantesimo, questi il liberalismo, e quest’ultimo il comunismo. A sua volta, già dagli anni ’20 del XX secolo, il comunismo cominciò a tracciare la tappa successiva, poi chiamata genericamente rivoluzione culturale. Basti ricordare che l’idea di una “rivoluzione sessuale” come strumento per instaurare il socialismo fu lanciata dal freudo-marxista Wilhem Reich nel 1936[8]. Dobbiamo pure ad Antonio Gramsci la stessa idea di una rivoluzione culturale come vettore per impiantare il comunismo in Occidente[9].

    Tanto quanto un contro-rivoluzionario deve lottare contro il liberalismo, egli deve lottare con forza e attenzione raddoppiate contro i suoi epigoni radicalizzati, il comunismo e la rivoluzione culturale.

    L’Occidente cristiano

    Anche se è universale, la Rivoluzione si è sviluppata soprattutto in Occidente.  “Questa crisi tocca principalmente l’uomo occidentale e cristiano, cioè l’europeo e i suoi discendenti, l’americano e l’australiano – scrive Plinio Corrêa de Oliveira – Essa colpisce anche gli altri popoli, nella misura in cui il mondo occidentale si estende a essi e in essi ha affondato le sue radici”[10].

    Sbaglia, però, chi identifica l’Occidente con la Rivoluzione. Anzi. Lungi dall’essere un suo naturale sviluppo, questa costituisce un’escrescenza patologica, un cancro non solo diverso dal corpo ma in una lotta mortale contro di esso. Avversare l’Occidente per contrariare la Rivoluzione è come voler uccidere il paziente per liberarlo dal tumore.

    L’Occidente è ciò che resta di quella “dolce primavera della Fede” di cui parla Montalembert nel suo celebre Les moines d’Occident. De Saint Benoit jusqu’à Saint Bernard, che lo descrive come figlio del monachesimo cristiano. L’Occidente è il frutto più compiuto della civiltà cristiana, tanto che si parla normalmente di “civiltà occidentale e cristiana”. L’Occidente è il figlio primogenito della Chiesa, oggi sempre più sfigurato dalla Rivoluzione, ma pur sempre primogenito. L’Occidente è il risultato eminente dell’opera civilizzatrice della Chiesa. Le fondamenta che, ancor oggi, sostengono l’immenso peso di un mondo che va in frantumi, sono opera della Chiesa. Niente è davvero utile se non è stabile. Ciò che resta oggi di stabile e di utile — di civiltà, insomma — è stato edificato dalla Chiesa. Al contrario, i germi che minacciano la nostra esistenza sono nati precisamente dall’inosservanza delle leggi della Chiesa.

    Un europeo che rinnega l’Occidente è come un figlio che ripudia la propria madre. È una situazione patologica, come ebbe a denunciare l’allora cardinale Joseph Ratzinger nella lectio magistralis nella Sala Capitolare del Senato, nel 2004: “C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente non ama più sé stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di sé stessa, se vuole davvero sopravvivere”[11].

    Adesso siamo in una situazione ibrida, in cui quelli che potremmo quasi chiamare resti mortali della civiltà occidentale e cristiana coesistono con numerose istituzioni e costumi rivoluzionari. Di fronte a questa lotta tra una splendida tradizione cristiana in cui ancora palpita la vita, e un’azione rivoluzionaria, è naturale che il vero contro-rivoluzionario sia il difensore nato del tesoro delle buone tradizioni, perché esse sono i valori del passato cristiano ancora esistenti precisamente da salvare. In questo senso, il contro-rivoluzionario agisce come Nostro Signore, che non è venuto a spegnere il lucignolo che ancora fumiga, né a spezzare la canna incrinata.

    Invece di voler distruggere ciò che resta dell’Occidente cristiano, la nostra azione dovrebbe ispirarsi all’appello rivolto da Giovanni Paolo II all’Europa a Santiago di Compostela, nel 1982: “Io, successore di Pietro nella Sede di Roma, Sede che Cristo volle collocare in Europa e che l’Europa ama per il suo sforzo nella diffusione del Cristianesimo in tutto il mondo; io, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica Europa: ‘Ritrova te stessa. Sii te stessa’. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: ‘Lo posso’”[12].

    La conversione della Russia

    A volte, alla decadenza dell’Occidente si contrappone l’esempio della Russia. Con l’invasione dell’Ucraina, questo problema si presenta in tutto il suo peso. Il tema è troppo vasto e complesso per trattarlo in poche righe. È comunque incongruo voler contrastare la 4a Rivoluzione (quella culturale) mentre si esaltano stili e metodi della 3a Rivoluzione, quella stalinista. Vorrei, però, toccare un punto importante.

    Nel 2005 diedi una conferenza a Mosca dal titolo “Il mistero della Russia”, incentrata sul problema della sua conversione alla luce del messaggio della Madonna a Fatima, nel 1917. Come sappiamo, la Russia è menzionata ben due volte nel segreto di Fatima: una come flagello dell’umanità, e un’altra come il Paese la cui conversione segna invece l’inizio del trionfo del Cuore Immacolato di Maria. Nel trattare della Russia dobbiamo avere molto chiaro a quale delle due ci riferiamo: al flagello dell’umanità o alla Russia convertita. Ecco le parole della Madonna:

    «Avete visto l’inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace. La guerra sta per finire; ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il Pontificato di Pio XI ne comincerà un'altra ancora peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta, sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre. Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace»[13]

    È interessante notare che la Madonna si riferisce agli “errori della Russia”, facendo implicitamente una distinzione fra la Russia e l’Unione Sovietica, portabandiera dell’aspetto allora più avanzato del processo rivoluzionario: il comunismo, che era parte del castigo col quale la Provvidenza richiamava l’umanità alla conversione.

    La Madonna prevede la conversione della Russia dopo la sua consacrazione da parte del Santo Padre[14]. Conversione vuol dire una svolta a “U”. Essa implica una conversione religiosa, col ritorno della Russia all’unica vera fede in Cristo, cioè alla Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana; e una conversione temporale, col rigetto del passato comunista e l’affermazione del suo esatto contrario.

    Da stimatore della Russia, dove sono stato diverse volte, devo dire che non vedo nessuna delle due. Anzi, vedo un riaffermarsi dell’ortodossia, a scapito della Chiesa cattolica, sempre più messa all’angolo; e un riaffermarsi con orgoglio del passato stalinista, con la rivendicazione anche dei simboli dell’Unione Sovietica e l’affermazione che la fine di quest’ultima sarebbe stata “la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo”[15].

    Possiamo applicare alla Russia di oggi le parole del gesuita Principe Ivan Sergeevič Gagarin, nato a Mosca nel 1814 da un’illustre casata discendente dai principi di Kiev:

    «L’unica vera lotta è quella che esiste tra il Cattolicesimo e la Rivoluzione. Quando nel 1848 il vulcano rivoluzionario terrorizzava il mondo con i suoi ululati e faceva tremare la società, estirpandone le fondamenta, il partito che si dedicò a difendere l’ordine sociale e a combattere la Rivoluzione non ha esitato a scrivere sulla sua bandiera: Religione, Proprietà, Famiglia, e non ha esitato ad inviare un esercito per riportare sul trono il Vicario di Cristo, costretto dalla Rivoluzione a prendere la via dell’esilio. Aveva perfettamente ragione; non ci sono che due princìpi uno di fronte all’altro: il principio rivoluzionario, che è essenzialmente anti-cattolico e il principio cattolico, che è essenzialmente anti-rivoluzionario. Nonostante tutte le apparenze contrarie, nel mondo non ci sono che due partiti e due bandiere. Da una parte la Chiesa cattolica innalza lo stendardo della Croce, che conduce al vero progresso, alla vera civiltà, e alla vera libertà; dall’altra si leva lo stendardo rivoluzionario, attorno a cui si raccoglie la coalizione di tutti i nemici della Chiesa. Ora, che fa la Russia? Da una parte essa combatte la Rivoluzione, dall’altra combatte la Chiesa cattolica. Sia all’esterno che all’interno, ritroverete la stessa contraddizione. Non esito a dire che ciò che fa il suo onore e la sua forza è di essere l’avversario incrollabile del principio rivoluzionario. Ciò che fa la sua debolezza è di essere, allo stesso tempo, l’avversario del Cattolicesimo. E se essa vuole essere coerente con sé stessa, se vuole veramente combattere la Rivoluzione, non ha che da prendere una decisione, schierarsi dietro lo stendardo cattolico e riconciliarsi con la Santa Sede»[16].

    Evitiamo, quindi, di cadere nella trappola di credere che l’Occidente abbia sempre torto. L’Occidente ha torto soltanto quando si comporta in modo anti-occidentale, ossia quando abbandona il cattolicesimo e abbraccia la Rivoluzione.

     
    Note

    1. Usiamo il termine nel senso spiegato da Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Luci sull’Est, Roma 1998.

    2. “Nazismo versus comunismo?”, O Legionário, 4 febbraio 1945, n. 652. Dillinger era il capo della mafia anglosassone a Chicago, Al Capone di quella italiana.

    3. “Pela grandeza e liberdade da Ação Católica”, O Legionário, 13 gennaio 1939, n. 331.

    4. Cfr. Julio Loredo, “Alle radici dell’anti-americanismo”, Tradizione Famiglia Proprietà, marzo 2004.

    5. Su come la tattica del trasbordo ideologico inavvertito porti persone della destra a simpatizzare col socialismo, si veda Julio Loredo, Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri, Cantagalli, 2014, pp. 28-34.

    6. Leone XIII, enciclica Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888.

    7. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, p. 49.

    8. Wilhelm Reich, Die Sexualität im Kulturkampf.Zur sozialistischen Umstrukturierung des Menschen, Kopenhagen, Sexpol-Verlag, 1936.

    9. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere (6 voll), a cura di Felice Platone, Collana Opere di Antonio Gramsci, Torino, Einaudi, 1948-1951.

    10. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, p. 31.

    11. Joseph Ratzinger, “L’Occidente non si ama più”, Apulia, settembre 2005.

    12. Discorso di Giovanni Paolo II durante l’Atto europeistico a Santiago di Compostela, 9 novembre 1982. https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1982/november/documents/hf_jp-ii_spe_19821109_atto-europeistico.html

    13. Congregazione per la Dottrina della Fede, Il messaggio di Fatima, luglio 2000.

    14. Su questa consacrazione la polemica è ancora aperta. Si veda Antonio Augusto Borelli Machado, Fatima. Messaggio di tragedia o di speranza?, Luci sul’Est, Roma, 1995.

    15. Putin, nostalgie pericolose “Rimpiango l’Unione Sovietica”, La Stampa, 14/12/21. Parole che rivelano tutta la difficoltà del leader russo nel fare i conti con il passato.

    16. Ivan Gagarin, S.J., La Russie sera-t-elle catholique?, Charles Douniol, Paris 1856, pp. 63-65. Grassetti nostri. 

     

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  • La fine della storia è appena finita

     

     

    di John Horvat

    Nel 1992, il politologo americano Francis Fukuyama pubblicò il suo famoso libro, La fine della storia e l'ultimo uomo. L'autore affermava che la caduta della Cortina di ferro aveva segnato una pietra miliare di immensa importanza per l'Occidente.

    Sosteneva che la fine della Guerra Fredda non era solo "il passaggio di un periodo particolare della storia del dopoguerra, ma la fine della storia in quanto tale: cioè, il punto finale dell'evoluzione ideologica dell'umanità e l'universalizzazione della democrazia liberale occidentale come forma finale di governo umano".

    Prendendo in prestito da Hegel e Marx la teoria dell'evoluzione degli eventi, predisse che d'ora in poi la democrazia liberale sarebbe stata la forma finale di governo per tutte le nazioni. Non ci sarebbe stata alcuna progressione successiva verso un sistema alternativo.

    Una narrazione che finora ha zoppicato

    Gli eventi successivi hanno messo in crisi questo suo scenario da “fine della storia”. Il terrorismo, le guerre islamiche, la polarizzazione ideologica, tutto sembrava cospirare contro il Prof. Fukuyama, aggiungendo nuovi capitoli al suo libro di storia da lui chiusa. Tuttavia, per tutto il periodo successivo alla Guerra Fredda, il sistema liberale democratico è rimasto la forma ideale di governo. Il mondo globalizzato ha standardizzato le economie utilizzando la struttura e i protocolli sviluppati nella democrazia liberale. La narrazione di Fukuyama avanzava zoppicando perché nessuna alternativa credibile la contestava.

    Con l'invasione dell'Ucraina, tuttavia, la fine della storia è appena finita. La democrazia liberale appare debole, autodistruttiva, disorientata. Alternative forti non solo sono all'orizzonte, ma stanno avanzando nel panorama sotto forma di carri armati e movimenti di truppe.

    La crisi ucraina è un altro momento fondamentale in cui due visioni del mondo entrano in conflitto: democrazie liberali e regimi autocratici.

    Entrambe le parti sono in crisi

    Il momento che ora arriva ci mostra che entrambe le parti sono in crisi.

    Da un lato, la democrazia liberale è in stato di subbuglio. Le istituzioni di base come la famiglia, la comunità e la fede stanno andando in pezzi, distruggendo il tessuto sociale. L'ala radicale del liberalismo sinistrorso è impegnata in un comportamento suicida, mentre cerca di distruggere le strutture sociali ritenute troppo oppressive. I meccanismi dello stato di diritto che permettono al sistema di risolvere i problemi attraverso processi pacifici e legali si stanno rompendo. Di conseguenza, le cose stanno diventando violente e instabili all'interno dei regimi liberaldemocratici.

    D'altra parte, i regimi autocratici che si oppongono alla democrazia liberale sono ugualmente in crisi. Affrontano implosioni demografiche incombenti a causa di una morale erosa o politiche demografiche draconiane. Le loro strutture sociali sono anche in disordine a causa della corruzione diffusa. Tuttavia, i duri meccanismi del potere governativo sono messi in atto per dare una parvenza di direzione a una società irrimediabilmente in decadenza.

    Due sistemi nati dalla modernità

    Così, uno scontro tra due sistemi in decadenza si mette in moto - riavviando i processi di quella storia che si supponeva conclusa. Tuttavia, sarebbe sbagliato assumere che ambedue i sistemi siano diametralmente opposti. Entrambi sono prodotti della modernità e condividono le stesse filosofie. Possono differire nei metodi ma si trovano d'accordo sulla visione moderna dell'umanità e della storia.

    Entrambi i sistemi hanno camminato sulla strada della decadenza al punto che ora vogliono rovesciare le strutture oppressive che li trattengono. La democrazia liberale intende eliminare le strutture sociali che, come i radicali sostengono, promuovano un'oppressione sistemica. I regimi autocratici vogliono distruggere le strutture politiche internazionali (come la NATO) che sostengono l'ordine post-bellico.

    Così questo conflitto non rivela tanto un disaccordo politico quanto un cambiamento di paradigma verso un mondo antioccidentale.

    Il bersaglio è l'Occidente

    L'obiettivo della guerra ucraina è la distruzione dell'Occidente come concetto. Infatti, tutti i media parlano della distruzione dell'ordine post-Guerra Fredda e raccontano che è una sfida all'egemonia occidentale. Nessuno contesta che sia questo il bersaglio.

    Tuttavia, la maggior parte dei media non allude alle pericolose alternative che potrebbero sostituire l'Occidente. La Russia, la Cina e i loro stati clienti vedono l'Occidente come un sistema ingiusto che va soppiantato da un mondo decostruito, riciclando a questo scopo vecchi errori basati sul nazionalismo, sul marxismo, sullo gnosticismo, aggiungendovi persino certi elementi mistici. Che si tratti del sogno eurasiatico panslavo della Russia (di Aleksandr Dugin) o della "nuova era del socialismo con caratteristiche cinesi" di Xi Jinping, l’enfasi schiacciante è il loro anti-occidentalismo e pro-marxismo.

    Da parte loro, le società liberaldemocratiche stanno mettendo in discussione la loro occidentalità. Per esempio, la Teoria Critica della Razza1 e altre ideologie considerano l'Occidente come la radice di tutti i mali presenti nelle istituzioni.

    Così, l'Occidente affronta nemici interni ed esterni che cercano di abbattere le sue strutture geopolitiche e le alleanze militari che sostengono l'egemonia occidentale. Questi attacchi arrivano in un momento di grande decadenza occidentale, di leadership patetica e di disarmonia pandemica.

    Perché l'Occidente è preso di mira

    La ragione dietro questa attenzione laser sull'Occidente non è arbitraria. Non è una questione di regioni geografiche più o meno equivalenti che combattono tra loro. I regimi autocratici non stanno reagendo alla degenerazione della morale occidentale che merita ogni condanna. In effetti, condividono la stessa depravazione, anche se si manifesta in modo diverso.

    L’ostilità anti-occidentale si concentra sui piccoli resti dell'ordine cristiano che ha costruito l'Occidente. Le radici della civiltà occidentale sono basate sulle istituzioni, la morale e le verità cristiane che rendono possibile il vero ordine e il progresso. Così, l'attuale conflitto si rivolge contro questa struttura morale ora in rovina così come a quelle strutture ispirate dalla Chiesa: lo stato di diritto, la gerarchia, la logica classica e il pensiero sistematizzato che hanno elevato l'Occidente ed esercitano ancora influenza. Finché questa piccola piattaforma esiste, deve essere salvaguardata.

    L'Occidente va difeso. Questo non si fa con il conflitto di due ceppi decadenti della modernità. La loro lotta non risolve nulla. Il vero obiettivo dovrebbe essere quello di difendere i resti dell'ordine cristiano in Occidente come trampolino di lancio per un pieno ritorno all'ordine. L'Occidente deve opporsi, internamente ed esternamente, agli errori decostruzionisti che prendono di mira questi resti e minacciano di gettare il mondo nel caos.

    Tuttavia, la difesa dell'Occidente sarà efficace solo con una rigenerazione morale che deve includere l'azione divina, come previsto dalla Madonna a Fatima.

    La fine della storia è finita. La storia è di nuovo in movimento. L'Occidente tornerà all'ordine?

     

    Note

    1. La teoria critica della razza (CRT) è un movimento intellettuale e sociale interdisciplinare di studiosi e attivisti dei diritti civili che questionano l'intersezione di razza e legge negli Stati Uniti, sfidando i tradizionali approcci liberali alla giustizia razziale.

     

    Fonte: Tfp.org, 24 febbraio 2022.  Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte. 

  • Né pace né onore in Afghanistan

     

     

    di James Bascom

    Le drammatiche immagini della caduta di Kabul in mano ai talebani non possono fare a meno di evocare in maniera stupefacente le scene della sconfitta del Vietnam del Sud 46 anni fa. Folle di persone aggrappate fisicamente agli aeroplani; trionfanti combattenti talebani in posa nel palazzo presidenziale afghano ed elicotteri che strappano gli ultimi funzionari dell'ambasciata dai tetti, sono immagini del tutto analoghe a quello che è successo a Saigon nell'aprile del 1975.

    Due anni prima, il presidente Richard Nixon aveva cercato di assicurare gli americani che gli accordi di pace di Parigi con il Vietnam del Nord comunista avrebbero ottenuto una "pace con onore". Una affermazione che suonò vuota quando essi videro inorriditi cosa stava accadendo il 30 aprile 1975, mentre le truppe nordvietnamite invadevano il palazzo presidenziale a Saigon. Il presidente Gerald Ford, che non voleva e non era in grado di mantenere le promesse americane di sostenere il Vietnam del Sud, volò a Palm Springs, in California, per giocare a golf.

    Se c'è una cosa che il sudest asiatico non ottenne dopo la caduta di Saigon fu la pace. Migliaia di persone morirono nell'unificazione forzata del Vietnam del Sud nei campi di prigionia comunisti vietnamiti dopo la guerra, e milioni nei campi di sterminio della Cambogia (come risultato diretto del ritiro degli Stati Uniti). Altri milioni divennero dei rifugiati. Anche l’onore venne messo in fuga, giacché l'America è ancora alle prese con la vergogna e il trauma sociale di aver perso una guerra che costò 58.000 vite americane.

    Il presidente Biden potrà non essere Gerald Ford, ma recita bene la sua parte in TV. Proprio mentre Kabul cadeva in mano ai talebani, Biden ha deciso di prendersi una vacanza a Camp David. Il 16 agosto è andato a Washington per leggere una dichiarazione preparata in cui ha ribadito la sua decisione di abbandonare l'Afghanistan e, subito dopo, se ne è tornato in quel di Camp David senza rispondere a una sola domanda dei giornalisti. Anche il suo addetto stampa Jen Psaki ha deciso di andare in vacanza. La storia si ripete...

    Violente quasi quanto i talebani sono state le recriminazioni negli Stati Uniti e in tutto l'Occidente. Come all'indomani del Vietnam, un paese emotivamente carico e amaramente diviso sta riversando simili quantità di colpa sulla guerra stessa, sul modo in cui è stata combattuta, sui politici che l'hanno guidata e sul Paese che l'ha combattuta. Lo spettacolo degli Stati Uniti virtualmente senza leadership mentre guardano la propria sconfitta in Afghanistan, sta versando ulteriore benzina sul dibattito interno già acceso e sulla legittimità della stessa democrazia liberale. E qualunque sia la propria posizione personale sulla guerra, l'umiliazione del paese più potente del mondo per mano di barbari con i fucili avrà una grave ripercussione negativa a livello mondiale.

    Proprio come la maggior parte degli americani sostenne la guerra in Vietnam per buone e nobili ragioni (cioè per combattere il comunismo), così ha fatto per l’Afghanistan. Dal commando nel suo santuario afghano, l'11 settembre 2001, Al Qaeda uccise 3.000 americani, ferito altri 25.000 e causato danni per 100 miliardi di dollari. La maggior parte dei paesi occidentali si sarebbe arresa o non avrebbe fatto nulla dopo un simile attacco. È stato un bene che si sia reagito distruggendo il regime talebano ed eliminando Osama bin Laden.

    Dagli ufficiali di medio livello fino agli arruolati, la stragrande maggioranza dei soldati americani ha svolto brillantemente il proprio lavoro. Ancora una volta, gli Stati Uniti hanno mostrato al mondo di avere l'esercito meglio addestrato, meglio equipaggiato e più potente mai visto nella storia. Nessun’altra nazione potrebbe recarsi dall'altra parte del pianeta, conquistare un Paese delle dimensioni del Texas, senza sbocco sul mare, ed eliminare i suoi nemici con la stessa rapidità ed efficienza come fecero gli Stati Uniti nell'ottobre 2001. I 2.420 americani morti in Afghanistan non sono morti invano. Il loro sacrificio ha pagato l’immunità dal terrorismo islamico di cui godiamo ancora oggi. Dato da non dimenticare, gli Stati Uniti non hanno subito un grave attacco terroristico dall'11 settembre.

    La maggior parte della colpa per il fallimento degli Stati Uniti va attribuita a coloro che hanno cercato di trasformare l'Afghanistan in una democrazia liberale di stile occidentale. Gli afghani sono uno dei popoli più primitivi e incivili del mondo. Il paese è diviso in parecchi gruppi etnici, a loro volta divisi in tribù e clan su base familiare. La lealtà di un afghano è verso la propria famiglia e il capo tribù. Come molti soldati americani hanno ben appreso, gli afghani sono anche notoriamente inaffidabili. La meritocrazia è praticamente sconosciuta in Afghanistan e il sostegno proviene dai legami familiari, dalla canna di una pistola o dalla brutta e vecchia corruzione.

    Se il Medio Oriente ci insegna qualcosa, la religione islamica rende quasi impossibile avere un governo in stile occidentale. Le politiche statunitensi in Afghanistan contrarie all'Islam sono servite solo a rafforzare la posizione dei talebani. Sebbene ufficialmente illegale, la politica dell'esercito americano era di chiudere un occhio sulla pratica perversa del "Bacha bazi" (in cui uomini adulti abusano sessualmente di ragazzini) e sull'omosessualità in generale. I comandanti militari hanno persino punito alcuni soldati americani per aver picchiato afghani che hanno cercato di sedurli. Il "Bacha bazi" è rifiutato da molti musulmani come non islamico. L'opposizione dei talebani ad esso fu uno dei fattori nella loro ascesa al potere negli anni '90. Questi problemi hanno solo legittimato la pretesa dei talebani a essere i difensori dell'Islam. Cercare poi di imporre il femminismo e il consumismo in stile occidentale ha solo peggiorato le cose.

    Quei leader che hanno ignorato questi ostacoli e hanno scambiato gli obiettivi della guerra con la costruzione di una “democrazia” afghana – vale a dire le amministrazioni Bush e Obama – sono i veri colpevoli della sconfitta. La concezione wilsoniana di rendere il “mondo sicuro attraverso la democrazia" è profondamente radicata nella psiche americana. Il progetto del governo degli Stati Uniti di combattere il terrorismo trasformando l'Afghanistan in una democrazia modello era destinato al fallimento non meno del tentativo di Woodrow Wilson di evitare il ripetersi della Prima Guerra Mondiale smembrando e democratizzando l'Europa. Ancora più ironico è stato il fatto che il governo USA di solito si è rifiutato di ammettere che il nemico fosse un Islam radicalizzato, preferendo il termine "Guerra al terrore".

    Nessuna soluzione priva di legittimità ha alcuna possibilità di successo nel duro Afghanistan. Le amministrazioni statunitensi avrebbero dovuto aiutare a ripristinare la monarchia costituzionale che governò l'Afghanistan dal 1926 al 1973 e rafforzare le leadership dei clan patriarcali. Il leale appoggio americano a queste leadership indigene le avrebbe aiutate a diventare filo-americane e filo-occidentali.

    Nonostante gli errori commessi dal 2001, il fallimento del governo americano non era inevitabile. Come ha sottolineato il senatore James Inhofe (R-OK) sul Wall Street Journal, al popolo americano è stato presentato un falso dilemma tra ritiro totale e "guerra senza fine". Nessuno voleva che gli Stati Uniti restassero in Afghanistan per sempre. Ma solo la presenza di un piccolo numero di truppe in un ruolo non combattente sarebbe stata sufficiente a scoraggiare i talebani1. Quando il presidente Obama rimosse le forze statunitensi dall'Iraq nel 2011, il conseguente vuoto di potere contribuì all'ascesa dello Stato islamico. Il mese scorso, il presidente Biden ha annunciato che le 2.500 truppe statunitensi di stanza in Iraq concluderanno la loro "missione di combattimento" entro la fine del 2021, ma in realtà rimarranno nel Paese con un ruolo solo consultivo. Con un costo minimo, avrebbe potuto fare lo stesso per l'Afghanistan. Forse sarebbe stata la ripetizione del successo della strategia americana in Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale e in Corea del Sud.

    Inoltre, il termine "guerra senza fine" è gravemente impreciso. Gli Stati Uniti avevano cessato di svolgere qualsiasi ruolo di combattimento da quasi due anni. L'ultima morte di un militare in combattimento risale al febbraio 2020, diciotto mesi fa. L'anno scorso sono morti per incidenti più soldati negli Stati Uniti che per combattimenti in Afghanistan.

    Il modo in cui l'amministrazione Biden si è ritirata è vergognoso. A quanto pare, l'amministrazione Biden non solo ha voltato le spalle al governo afghano, ma lo ha pure minato. Il governo degli Stati Uniti si è ritirato dalle basi senza nemmeno dirlo all'esercito afghano, ha fornito poco o nessun supporto aereo e ha fatto dichiarazioni pubbliche pessimistiche e ostili che hanno ucciso il morale afghano. Anche quando era chiaro che l'Afghanistan stava per sperimentare un collasso simile al Vietnam, Biden ha cinicamente insistito nel lasciare il Paese. Se un singolo uomo è responsabile del fallimento in Afghanistan, questo è il presidente.

    Molti americani sperano che, anche se brutta, almeno la caduta dell'Afghanistan sotto i talebani porterà la pace. Una tale posizione è ingenua. La reputazione dell'America subirà conseguenze di lunga durata, forse permanenti, in tutto il mondo. Il ritiro dall’Afghanistan manda il messaggio che non ci si può fidare che il governo degli Stati Uniti mantenga le sue promesse. Gli Stati Uniti verranno davvero in aiuto dell'Estonia, della Corea del Sud o di Taiwan se attaccati?

    I nostri nemici come Cina, Iran e Russia esultano nel vedere il fallimento degli Stati Uniti. Questi Paesi sono sempre più propensi ad agire in base alle minacce che rivolgono ai loro vicini. Non è improbabile che stabiliscano un punto d'appoggio economico e politico nel nuovo Afghanistan. I talebani torneranno ad essere un rifugio per i gruppi terroristici. Insomma, la caduta dell'Afghanistan porterà più guerra, terrorismo e morti americane.

    È anche un duro colpo per l'immagine che hanno di sé gli americani. Gli americani si sono sempre considerati persone ottimiste, capaci di fare le cose nel modo giusto. In Afghanistan, gli Stati Uniti hanno trascorso 20 anni e speso 2 trilioni di dollari, il che equivale a più di 250 milioni di dollari al giorno. L'Afghanistan potrebbe diventare il fallimento più costoso della storia mondiale. Per il solo governo afghano, gli Stati Uniti hanno speso oltre 83 miliardi di dollari in armamenti e attrezzature. Gran parte di quelle armi, compresi droni e veicoli sofisticati, sono state catturate dai talebani. Inoltre, il tanto decantato esercito afghano - che sulla carta era ben più numeroso dei talebani - si è semplicemente sciolto a causa del morale basso e della mancanza di sostegno. Un fallimento umiliante dal quale ci vorranno molti anni per riprendersi.

    Ben peggiori delle perdite materiali sono quelle umane. Le vittime della coalizione sono state 3.562 e 22.773 i feriti. Inoltre, quasi 50.000 civili afghani sono stati uccisi nella guerra. Sebbene piccolo rispetto ad altri conflitti, è comunque un numero consistente. Molti degli 800.000 soldati americani che hanno prestato servizio in Afghanistan provano angoscia, rabbia e risentimento verso una leadership politica e militare che, come in Vietnam, non è riuscita a concludere la guerra in modo onorevole. Amici e familiari di coloro che hanno perso la vita si chiedono se i loro sacrifici siano stati vani.

    La sinistra globale esulta vedendo gli Stati Uniti umiliati ancora una volta. Hanno sempre simpatizzato con il terrorismo islamico e vedono gli Stati Uniti come il più grande male del mondo. La destra in America, da sempre favorevole a una forte difesa nazionale e a guerre giuste contro i nemici dell'America, è demoralizzata, incerta o addirittura indifferente allo sfascio in corso. Molti preferirebbero non pensare affatto all'Afghanistan, sperando che il ritiro faccia sparire tutto. Alcuni nella destra isolazionista sono persino contenti del risultato, vedendo il fallimento americano in Afghanistan come una rivendicazione di una politica nazionalista "America First".

    In definitiva, la conseguenza più profonda del fallimento in Afghanistan è la discussione sullo stesso modello democratico americano. Il crollo della fiducia nelle istituzioni, l'aumento della violenza politica e della frode, il crescente totalitarismo di un governo apparentemente "democratico" e la polarizzazione estrema hanno eroso la fiducia un tempo intoccabile dell'America nel suo modello. Lo sbalorditivo crollo della democrazia rappresentativa in Afghanistan è, secondo molti, solo una conferma che la democrazia già non funzioni. Così vengono proposti nuovi modelli, sia a destra che a sinistra. La sinistra ammira la Cina comunista, così come, erroneamente, anche alcuni a destra. Molti altri a destra guardano altrettanto erroneamente a Vladimir Putin come esempio per l'Occidente da imitare. La maggior parte di questi nuovi modelli elimina le tradizionali libertà costituzionali e ripone a torto la speranza in un leader politico che risolverà da solo la crisi della civiltà occidentale.

    La soluzione a questa crisi, di cui la caduta dell'Afghanistan è solo un sintomo, è un ritorno alla società cristiana organica come descritto nel libro Return to Order di John Horvat. Questo ritorno richiede un serio esame di coscienza e il riconoscimento che, come il figliol prodigo, abbiamo peccato e dobbiamo tornare alla casa del Padre. La democrazia liberale ci ha condotto sulla via dell’abisso. Solo tornando alla Chiesa cattolica in campo religioso e alla società cristiana organica in campo socio-politico si può sperare di evitare il baratro che si sta chiaramente avvicinando.

     

    Nota

    1. https://www.wsj.com/articles/an-alternative-to-the-afghan-pullout-11623615905

     

    Fonte: Returnto Order, Agosto 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà - Italia

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  • Otto fatti riguardanti la Russia e la guerra in Ucraina

     

     

    di John Horvat

    Indipendentemente da come si guardi alla guerra in Ucraina, alcuni fatti contraddicono l'attuale narrazione mediatica di una lotta tra il globalismo liberale e un regime teocratico. Alcuni di questi fatti sono emersi in modo evidente nel discorso del Presidente Putin all'Assemblea della Federazione Russa per il primo anniversario della guerra e sul futuro della nazione. Altri possono essere dedotti dalle notizie.

    Questi fatti sono:

    1. Il piano di Putin segue la "quarta teoria politica" di Alexander Dugin contro il globalismo. Secondo questa teoria, i diversi popoli creano civiltà, formando grandi spazi e blocchi di civiltà. L'ideologo russo ritiene che gli Stati nazionali più piccoli godano di una parvenza di sovranità sotto l'ombrello di "centri di civiltà politicamente organizzati e militarmente capaci che rappresentano i poli di un mondo multipolare" [il che si traduce, nel caso specifico, così: L’Ucraina non ha il diritto di essere una nazione libera, indipendente e sovrana].
    1. La guerra in Ucraina cerca di costringere la riluttante nazione ucraina sotto questo ombrello. Il conflitto ha innescato rotture politiche ed economiche irrevocabili con il mondo globalizzato che facilitano la formazione di un mondo multipolare.
    1. Fino al 2022, la Russia faceva parte a pieno titolo della società globalista che ora dice di odiare. La sua economia era completamente integrata nella rete globale. I suoi prodotti, in particolare il petrolio, il gas naturale e il grano, venivano venduti in dollari sui mercati mondiali delle materie prime. Prima del brusco cambiamento degli eventi, le sue città accoglievano i rivenditori delle multinazionali che giravano tutto il suo vasto territorio. Un'ondata di sanzioni dopo l'altra testimonia l'enorme portata di questa integrazione e la difficoltà di farne a meno.
    1. Purtroppo, anche la Russia partecipa alla decadenza morale del mondo moderno e il suo stato di decadenza è paragonabile a quello dei Paesi occidentali. La nazione soffre del più alto tasso di aborto al mondo, di un basso tasso di natalità, di una scarsa frequentazione delle chiese e di un declino del matrimonio. Contrariamente a quanto riportato dai media, che parlano di teocrazia in Russia, il Presidente Putin non ha alcuna obiezione alla presenza di persone LGBTQ+ (tranne che fra i bambini). Nel suo discorso del 21 febbraio, ha detto specificamente: "Le persone adulte possono fare ciò che vogliono. Noi in Russia l'abbiamo sempre vista così e sempre la vedremo: nessuno si intromette nella vita privata degli altri e nemmeno noi lo faremo".
    1. Sia la Russia che l'Occidente sono il frutto della Modernità rivoluzionaria. I due sistemi condividono radici filosofiche che risalgono alla Rivoluzione francese. Nel processo di decadenza, l'Occidente ha adottato il modello liberale morbido. La Russia, invece, segue ora il modello nazionalista nietzschiano, fortemente influenzato da pensatori tedeschi come Martin Heidegger. Entrambe le parti sono anche influenzate dagli effetti nocivi dei pensatori esistenzialisti e postmoderni.
    1. Entrambi i sistemi ripongono grande fiducia nel potere dello Stato. Gli establishment politici occidentali promuovono da molto tempo programmi, regolamenti e reti di controllo di massa. Il discorso di Putin ha delineato in primo luogo una montagna di programmi e iniziative governative che costano trilioni di rubli per rispondere alle esigenze dei cittadini in una società guidata e controllata dallo Stato.
    1. Fedeli alle loro origini moderne, entrambi i sistemi si esprimono in modo secolarista. Il liberalismo, per sua natura, ha sempre sostenuto (falsamente) di essere neutrale in materia di religione. Tuttavia, il discorso principale di quasi quaranta pagine di Putin sorprendentemente non menziona il Dio cristiano e non affronta alcun tema religioso, come ci si potrebbe aspettare in questi tempi di prova.

    I sette fatti illustrano che la rappresentazione dei media è distorta. La vera lotta non è tra un mondo globalizzato decadente e ultraliberale e un Oriente teocratico e autocratico. Il conflitto coinvolge un intero mondo che è moralmente marcio, filosoficamente difettoso, finanziariamente compromesso e politicamente disordinato. Entrambi i sistemi rappresentano due facce della stessa svalutata moneta della modernità.

    Da una parte ci sono coloro che difendono l'ordine del dopoguerra (con tutti i suoi errori). Dall'altra parte c'è l'asse Russia-Cina-Iran che vuole rompere quell'ordine e stabilire il suo enigmatico mondo multipolare antioccidentale.

    L'Ucraina è il palcoscenico involontario di questo dramma per distruggere l'ordinamento postbellico e innescare la fase successiva e peggiore di un processo rivoluzionario votato alla distruzione di ciò che resta dell'Occidente cristiano. Bisogna aggiungere che l'invasione ucraina non è andata secondo i piani del governo moscovita e che l'inaspettata difesa ucraina della propria sovranità ha sconvolto la narrazione.

    Ciò dà origine a un ottavo fatto, che deve essere attentamente considerato per valutare le due cause.

    1. L'umanità non ha ascoltato il Messaggio di Fatima. Nel 1917, a Fatima, in Portogallo, la Madonna avvertì il mondo della necessità della preghiera, in particolare del rosario, della penitenza e della modifica della vita per sfuggire al castigo divino. Se la Russia fosse stata consacrata a Lei, la Madonna promise che si sarebbe convertita alla fede.

    Pertanto, chi cerca soluzioni politiche all'interno dei due quadri della modernità secolarizzata potrà rimanere molto deluso. La riforma fondamentale necessaria è quella morale e la soluzione definitiva sarà quella soprannaturale. Tuttavia, la stragrande maggioranza della gente si rifiuta di considerare il soprannaturale o la morale.

    Invece, la soluzione ai problemi del mondo deve passare attraverso le richieste della Madonna a Fatima. Mentre l'Occidente ha ignorato l'appello perseverando nella sua decadenza, esistono ancora piccole sacche di cattolici devoti in Occidente e in Ucraina che prendono sul serio Fatima. Tuttavia, la Russia (e i suoi alleati Cina e Iran) negano Fatima, il rosario e persino la necessità di questa conversione.

    A questo punto, il risultato della guerra non è chiaro. Molto potrà accadere se le sofferenze che produce cambieranno il cuore degli individui portandoli verso Dio. Il piano della Madonna è superiore a quello degli uomini. La vittoria arriverà a coloro che obbediranno alla sua richiesta celeste, non ai disegni imperfetti degli uomini.

    Attribuzione immagine: By Kremlin.ru, CC BY 4.0, Wikimedia.

     

    Fonte: Tfp.org, 13 Marzo 2023. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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  • Per quanto tempo ancora ignoreremo la minaccia più grande?

     

    di Edwin Benson

    Nel febbraio 1972, il presidente americano Richard Nixon visitò la Cina. Milioni di persone rimasero affascinate mentre la televisione trasmetteva le notizie del suo viaggio in tutte le case. Da allora, la politica estera americana si alterna fra la gioia e l’accecamento per il bagliore di quei sette giorni.

    È ora di togliere i paraocchi. La Cina non è mai stata all'altezza dell'ottimismo ingiustificato dell'Occidente. Il popolo cinese non è mai stato libero. Da quando i comunisti hanno preso il potere, hanno perseguito il loro programma di dominio del mondo.

    Trasformano in basi militari isole che non possiedono. Traggono profitto dal lavoro quasi schiavo. Investono miliardi di dollari in terreni agricoli americani e fanno "regali" sontuosi alle università. I loro vicini, compresi i più importanti alleati asiatici dell'Occidente, li temono.

    Allo stesso tempo, la Cina è una delle principali fonti di molti prodotti vitali. In effetti, il suo dominio nella produzione di semiconduttori potrebbe potenzialmente paralizzare gli Stati Uniti. Se la Cina dovesse invadere Taiwan, come ha minacciato di fare, la situazione potrebbe peggiorare a dismisura. La Cina sta espandendo la sua rete di influenza in tutto il mondo.

    Eppure, gli "esperti" del Dipartimento di Stato continuano a mettere la testa sotto la sabbia. Perché? Mi vengono in mente tre motivi.

    La forza dell'abitudine

    La politica dei governi occidentali ha costantemente favorito la Cina dal 1972. Qualsiasi cambiamento improvviso rappresenterebbe una significativa rottura dell'ordine liberale del dopoguerra.

    Dopo la visita del Presidente Nixon, Jimmy Carter ritirò il riconoscimento diplomatico statunitense a Taiwan e lo assegnò alla Cina. Le Nazioni Unite seguirono l'esempio. George Bush senior ricoprì il ruolo di incaricato d’affari con la Cina nel 1974 e nel 1975. I presidenti successivi hanno favorito tutti una continua espansione del commercio con la Cina, nella vana speranza che il miglioramento delle relazioni con l'Occidente avrebbe reso la Cina più aperta.

    Si pensava che il commercio con la Cina avrebbe promosso la pace nel mondo. Gli uomini d'affari speravano di vedere il vasto mercato da un miliardo di persone aprirsi ai prodotti occidentali.

    Dottrina di sinistra filocomunista

    Quando si aprirono le porte del commercio cinese, l'ideologia comunista cinese entrò anche in Occidente. Durante i giorni di Mao, le sinistre edulcorarono i risultati del comunismo e idealizzato persino la sua Rivoluzione culturale, accettando la dialettica marxista della lotta di classe e la sua applicazione da parte della Cina.

    Per questo motivo, c'è chi ha simpatizzato ideologicamente con la Cina, nonostante la sua orribile situazione dei diritti umani e le decine di milioni di persone uccise sotto il regime.

    L'apertura della Cina all'Occidente ha rappresentato una variante del comunismo che ha mantenuto le sue dottrine egualitarie, pur accettando alcune riforme di mercato. L'Occidente è venuto in soccorso dell’impoverito gigante comunista e gli ha fornito capitali, tecnologia e know-how. La sinistra occidentale sperava che questa nuova formula avrebbe fatto accettare le sue idee.

    Dopo aver atteso per decenni che la Cina adottasse il libero mercato e le libertà fondamentali, molti sono ora delusi e si rendono conto che la dipendenza occidentale dalla Cina ha raggiunto livelli pericolosi.

    Una Cina sempre più aggressiva sta distruggendo i sogni di pace. L'America "woke" sta adottando molte idee tipo della “rivoluzione culturale” cinese cancellando intellettuali e proibendo certi discorsi. Le università "woke" emulano la Cina censurando le opinioni sgradite.

    Avidità aziendale

    I cinesi controllano ora la produzione che un tempo forniva posti di lavoro agli statunitensi. Ciò è spesso dovuto agli stipendi incredibilmente bassi del Paese che favorisce la delocalizzazione della produzione per ridurre i costi.

    Il produttore di scarpe sportive Nike è un caso tipico. Questo gigante delle calzature non possiede fabbriche e appalta circa il trenta per cento della sua produzione alla Cina. Un altro trenta per cento viene fabbricato nel Vietnam, anch’esso a guida comunista.

    Il massiccio trasferimento della produzione in Cina rende praticamente impossibile non utilizzare i prodotti manufatti lì. La Cina è anche il terzo mercato di esportazione per l’America, con una vendita di prodotti per 151 miliardi di dollari nel 2021, rispetto ai meno 4 miliardi del 1985 e ai 16 miliardi del 2000.

    Pertanto, le grandi aziende hanno molto da guadagnare con le attuali politiche. Ad esempio, il canale di notizie economiche e finanziarie CNBC, afferma che "circa l'80% delle vendite globali delle macchine Buick [nel 2018] sono state realizzate in Cina". La mentalità aziendale ritiene che la Cina sia un mercato troppo grande per essere scartato a causa di controversie su questioni non commerciali. Questo comportamento non è limitato alla General Motors (che produce le Buick). Un recente articolo della rivista Forbes ha menzionato che la Disney e la National Basketball Association (NBA) hanno una storia di cedevolezza di fronte alla riprovevole situazione dei diritti umani in Cina.

    Sta suonando l’allarme?

    L'America si sta finalmente svegliando vedendo la piena portata della minaccia cinese? Purtroppo la risposta è no.

    Alcuni americani però si rendono conto del pericolo e prendono provvedimenti: per esempio, rifiutando i prodotti "Made in China" ogni volta che è possibile. Altri sostengono che il Congresso dovrebbe indagare sulla portata del ruolo della Cina nella crisi di Covid. I genitori più saggi si rifiutano di permettere ai propri figli di utilizzare il social network TikTok, legato alla Cina a doppio filo. Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'Australia hanno in gran parte impedito al gigante tecnologico cinese Huawei di fare breccia nei loro sistemi di comunicazione.

    Tuttavia, molti membri del governo e del management aziendale statunitensi sembrano troppo avidi, ideologicamente solidali o compiacenti, per interrompere le relazioni con la Cina. La situazione cambierà se la Cina invaderà Taiwan? E se bombardasse il Giappone o l'Australia? Si dovrebbe tracciare da qualche parte una linea sulla sabbia o un punto di non ritorno.

     

    Fonte: Tfp.org, 26 settembre 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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  • Perché la Russia ha invaso l'Ucraina

     

     

    di John Horvat

    Proprio quando tutto sembrava tornare alla nuova normalità, l'anormalità ha colpito ancora. La guerra in Ucraina infuria e sta cambiando il volto del mondo globalizzato.

    La situazione è confusa mentre la gente lotta per capire le ragioni dietro all'invasione. Le teorie del complotto abbondano da entrambe le parti. Come le scene di battaglia in Ucraina, il caos regna nella mente di molti. Sembra che non ci sia una logica o una ragione negli attacchi.

    Tuttavia, quattro punti possono aiutare le persone a capire meglio ciò che sta accadendo. C'è del metodo nella follia.

     

    La Russia era già parte dell'ordine mondiale

    Il primo punto è che le sanzioni provano che la Russia era ben integrata nel mondo globalizzato. Vasti settori dell'economia russa erano intrecciati alle reti mondiali e ai mercati delle materie prime. Non era facile sganciarsi da essi.

    Questa conclusione contraddice la tesi di coloro che affermano che la Russia è una potenza che si oppone all'attuale ordine mondiale. Questo non è vero.

    Il denaro e gli investimenti occidentali hanno aiutato a ricostruire il paese nei decenni successivi la guerra fredda. La maggior parte delle grandi compagnie petrolifere, per esempio, erano coinvolte nell'estrazione del petrolio in Russia. Le multinazionali erano ovunque. Le banche e le società di contabilità occidentali hanno aiutato a integrare la Russia nel sistema finanziario. Persino il franchising McDonald's operava in centinaia di sedi russe. Le sanzioni hanno dimostrato tutta l'estensione della partecipazione russa all'economia mondiale.

    Purtroppo, la Russia ha assorbito completamente la decadente cultura globalizzata contenuta nei film, nei concerti e nelle cattive mode. Tutte queste cose hanno danneggiato la nazione (così come l’Occidente). Anche sotto questo aspetto, le sanzioni dimostrano che, prima della guerra, la Russia era pienamente integrata nell'ordine mondiale.

     

    Da un momento all’altro, la Russia decide di sganciarsi da questo ordine mondiale

    Il secondo punto è che la Russia sta perseguendo un rapido disimpegno dal suo importante ma secondario posto nell'attuale ordine mondiale. Il presidente Putin ha usato l'unica cosa che avrebbe potuto motivare rapidamente le sanzioni economiche occidentali: una guerra ingiusta che, per la sua brutalità, avrebbe galvanizzato l'opinione pubblica mondiale.

    Egli sa bene che l'Occidente è terrorizzato dalla prospettiva della guerra e che userà ogni sanzione economica possibile per evitare il conflitto. Così, mentre la guerra diventa sempre più intensa, le sanzioni economiche imposte contro la Russia crescono di portata. Il presidente russo facilita le sanzioni economiche immediate e permette che l'Occidente le implementi.

    In poche settimane, è riuscito a distruggere un lavoro di decenni. Per lui, le sanzioni hanno il vantaggio che le imprese occidentali saranno costrette a lasciare la Russia di propria iniziativa con l'approvazione e la pressione dei propri governi. Si lasciano alle spalle beni invenduti o a prezzi stracciati. Tutto cadrà nelle mani dei russi o rischierà la nazionalizzazione.

     

    Un riallineamento geopolitico voluto e forzato

    In terzo luogo, la Russia non ha nascosto il suo allineamento con la Cina nel periodo precedente la guerra. Alle Olimpiadi invernali, il presidente Putin e il leader cinese Xi Jinping hanno firmato una dichiarazione congiunta che segnala il loro desiderio di costruire un nuovo ordine mondiale "multipolare". Hanno concordato di cooperare "senza limiti" per raggiungere l’obiettivo di inaugurare "relazioni internazionali di un nuovo tipo". Il presidente russo ha a lungo idealizzato un'unione eurasiatica per formare un unico blocco commerciale e culturale indipendente dall'Occidente.

    La guerra in Ucraina mette in atto questo piano che non è segreto e che costringe la Russia a unirsi alla Cina, unica potenza abbastanza grande da resistere alla pressione delle sanzioni occidentali. L'aver bruciato i ponti economici con l'Occidente rende la Cina l'unica nazione che può assorbire le massicce quantità di materie prime e cereali che la Russia produce. I due paesi insieme possono stravolgere l'ordine economico e politico post guerra fredda e creare nuove tensioni e carenze. Alcuni ipotizzano che il matrimonio forzato tra Cina e Russia porterà a un sistema finanziario parallelo con lo yuan come valuta di riserva.

    Questo auspicato riallineamento metterà l'Occidente decadente contro l'Oriente post-comunista. Si stanno formando due blocchi politici distinti, che presenteranno al mondo due false alternative: una democrazia liberale fatiscente o un socialismo nazionale autocratico.

     

    L'obiettivo è un Occidente vulnerabile

    Infine, questa mossa arriva in un momento di estrema vulnerabilità dell'Occidente. Due anni di pandemia hanno già disfatto molte relazioni complesse e catene di rifornimento che tenevano insieme il mondo. Restrizioni e ordini brutali hanno polarizzato le popolazioni e ostacolato le capacità dei governi di unire gli sforzi e affrontare i problemi. Decisioni governative irresponsabili e problemi di lavoro e di approvvigionamento stanno alimentando alti livelli di inflazione.

    La guerra porterà scompiglio in Occidente, strapazzando ulteriormente i sistemi produttivi ormai sotto stress. I milioni di rifugiati che si stanno riversando in Europa aumenteranno gli oneri già sostenuti dai paesi ospitanti, assorbendo risorse che potrebbero essere utilizzate per rafforzare le capacità di difesa in Occidente.

    In questo scenario, l'Oriente ha dei vantaggi. L'Est e l'Ovest sono così integrati che non sarà facile per l'Occidente diventare rapidamente libero dai prodotti orientali (soprattutto quelli cinesi). Le merci cinesi dominano talmente il mercato che ci sono poche alternative. I gasdotti sono come un cappio al collo dei paesi occidentali troppo dipendenti dal combustibile russo. La guerra in Ucraina e le sanzioni economiche mettono l'Occidente in una posizione precaria.

    I regimi autocratici (leggi totalitari) dell'Est soffrono molto meno di questi problemi rispetto alle frammentate società occidentali. L'Oriente ha molto da guadagnare e l'Occidente molto da perdere da questa scissione.

    C'è un metodo in questa follia. Un risultato finale della guerra in Ucraina sarà questa divisione permanente tra Est e Ovest, che segnerà il fallimento dell'esperimento post guerra fredda, il quale, si supponeva, avrebbe dovuto determinate la fine della storia. Ci sarà un grande riallineamento geopolitico che potrebbe avere conseguenze drammatiche e portare alla guerra mondiale.

     

    Fonte: American Thinker, 16 Marzo 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

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  • Russia: crocevia fra Oriente e Occidente

     

     

    di Plinio Corrêa de Oliveira

    Nelle cose russe sono presenti elementi orientali e occidentali. Se mettiamo a confronto certi aspetti orientali – per esempio l’abito tradizionale dei cosacchi – con gli aspetti occidentali, vediamo che i primi danno un po’ l’impressione di qualcosa di barbaro. D’altra parte, però, mostrano una tale densità di misticismo, una tale densità di immaginazione, una tale capacità di creare mondi meravigliosi e trascendenti, che non possiamo non ammirare la superiorità dell’Oriente sull’Occidente in questo campo.

    Questo lo osserviamo, per esempio, nel paesaggio della foto, che mostra la chiesa del Sangue Versato, a San Pietroburgo. Vi sono bei palazzi in stile francese, ben costruiti, logici, ragionevoli, ordinati. All’improvviso, però, sorge una chiesa che rammenta piuttosto Mosca. Questa chiesa dice delle cose che i palazzi francesi sono incapaci di esprimere. È tutta circondata da un’atmosfera da favola, che si impone sulla piattezza occidentale. Questo aspetto fastoso dell’Oriente supera di gran lunga l’Occidente.

     

    Attribuzione foto: MassimilianogalardiCC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons.

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  • Ucraina: guerra oltre le linee, oltre ogni limite

     

     

    di Renato Cristin

    Che in Ucraina si trattasse di guerra vera, lo avevamo capito dagli oltre centomila soldati russi schierati e dal dispiegamento di mezzi, e che fosse unilaterale lo si vedeva dal pretesto addotto (la Russia ha attaccato l’Ucraina perché si sentiva minacciata nella sua esistenza: tesi tanto assurda da sconfinare nel grottesco); che fosse una guerra di invasione, lo si è intuito dopo un paio di giorni dallo scoppio con l’attacco da tutti i lati (tranne ovviamente quello occidentale), e che fosse di conquista era implicito nelle premesse politiche; che fosse una guerra sporca lo abbiamo visto solo da poco, da quando cioè abbiamo saputo che numerosi agenti russi si erano infiltrati da tempo in tutte le zone nevralgiche del Paese, facendo da punto di riferimento per le azioni e per i bombardamenti; ma che fosse tanto sporca da essere paragonabile a quella nella ex-Jugoslavia o in Libano, lo abbiamo visto solo quando un soldato russo ha potuto farsi largo tra la folla ucraina stringendo due granate nelle mani e minacciando di farle esplodere. Ecco, ora all’azione militare può affiancarsi quella terroristica.

    Questa, infatti, è una guerra senza fronti o dalle linee molto sfrangiate, in cui i soldati invasori si mischiano alla popolazione civile, dietro le linee; e che sta diventando senza quartiere e senza regole, come mostra il bombardamento della centrale nucleare di Zaporizhzhya, che è un fatto di gravità assoluta e prelude ad altri eventi che – meno gravi sul piano della distruzione di massa ma non meno funesti sul piano delle atrocità – in questa situazione di caos possono facilmente accadere, come devastazioni e violenze personali su civili inermi: oltre ogni linea, oltre ogni limite. E poiché gli ultimi proclami di Vladimir Putin vanno in questa direzione, parlando di distruzione del presunto nemico “nazi-occidentale” (falsa immagine contraddetta non solo dalla realtà occidentale, Ucraina inclusa, ma anche dal bombardamento russo del Memoriale di Babyn Yar), è possibile che la guerra sporca si trasformi in guerra di annientamento, che unisca la conquista del territorio con lo sterminio di chi vi si oppone, militari o civili che siano.

    Tutto ciò potrebbe culminare in una distruzione generalizzata (Kiev come Varsavia nel 1939 e nel 1944), oppure rimanere sul piano di distruzione localizzata sulle infrastrutture militari, oppure arrestarsi in qualsiasi momento e trasformarsi in una tregua che porti alla pace. Pregare e operare per quest’ultimo esito è ciò che tutta l’Europa sta facendo, ma al tempo stesso è necessario essere preparati anche ad altre ipotesi. Tregua e pace, dunque, ma sapendo che pace non è pacificazione. Le tossine che una certa Russia nostalgica dell’Unione Sovietica ha così pesantemente e diffusamente sparso, ben oltre i confini ucraini, non potranno essere smaltite così facilmente; e il risentimento che i governanti russi provano e mostrano verso l’Occidente non potrà essere rapidamente cancellato. Nelle province separatiste ci sono state azioni di gruppi paramilitari ucraini anche nei confronti dei civili filorussi, che vanno condannate come esecrabili, ma ciò che qui balza agli occhi è la sproporzione della risposta russa: non si può replicare con un intervento su larga scala e con mezzi da guerra globale ad attacchi localizzati e oltretutto non estendibili perché erano causati da una spinta secessionistica filorussa non presente in altre zone dell’Ucraina.

    La sproporzione bellica, in questo caso, è il segno di una volontà di potenza che precede qualsiasi atteggiamento o atto militare dell’Occidente e dell’Ucraina verso la Russia, e in ogni caso a un atteggiamento ostile non si può rispondere mettendo a ferro e fuoco le città, uccidendo civili, disarticolando il tessuto sociale e familiare di un intero popolo che, oltretutto, gli aggressori definiscono come popolo fratello (il massimo della contraddizione e del cinismo). La Russia ha oltrepassato un limite; sarebbe sacrosanto tornare indietro, ma il rischio è che proceda oltre. E poiché questo oltre è l’Occidente stesso, è al proprio interno che l’Occidente deve non solo pensare a come organizzarsi per agire, ma anche a come recuperare la propria identità.

    Quest’ultima esigenza sembra pura astrazione, staccata dalla realtà operativa che la guerra impone, e invece è la massima concretezza, perché riguarda i fondamenti su cui qualsiasi azione deve basarsi, che precedono la strategia militare o economica, perché riguardano l’identità stessa di chi agisce, senza la quale ogni atto diventa casuale, occasionale, incoerente, isolato dal contesto spirituale e morale, e in questo senso può essere anche un atto arbitrario. Se, dunque, questo fondamento è assente o molto labile, ogni interlocutore si sente in grado di sfidarci o, nel caso di un nemico, di aggredirci. Il medesimo schema che più volte abbiamo evidenziato nello scontro con il radicalismo islamico vale oggi anche nel confronto con la Russia, o in altri termini, per fortuna, con la Cina: senza identità precisa, forte ed esplicita, non si va da nessuna parte e tanto meno si vincono le sfide con gli avversari.

    La Russia aggredisce l’Occidente per due cause, una efficiente e una finale: perché le istituzioni occidentali hanno mostrato tutta la debolezza che deriva dall’aver smarrito i propri valori fondanti (e ciò permette l’attacco), e perché essa sostiene di sentirsi minacciata e, soprattutto – ecco la finalità – perché con il pretesto del Lebensraum cerca di rafforzarsi su tutti gli scenari possibili, dal Medio Oriente all’America Latina e, oggi, all’Europa. L’erosione dei valori e la loro trasfigurazione nei simulacri valoriali propagandati dal politicamente corretto forniscono indirettamente agli avversari, nel caso odierno alla Russia, strumenti per aggredirci, ora in forma bellica, ieri in quella teorica o politica. Il nihilismo dell’Occidente attuale conduce a una doppia perdita: di identità e di potenza, di spirito e di spazio. E a entrambe queste sottrazioni si accompagna una perdita di libertà, come possiamo intravedere dagli sviluppi del confronto militare con la Russia e come abbiamo già amaramente constatato con la illiberale gestione politico-sanitaria della pandemia in molti Paesi occidentali, Italia in testa (orribile primato la cui gravità non potrà essere cancellata come se nulla fosse accaduto).

    Non bastano le armi, siano pure testate nucleari, per vincere una guerra e, da quanto si è visto, nemmeno più per evitarla; occorrono motivazioni autentiche e soprattutto un’identità forte. Anche la Russia non è in buona salute da questo punto di vista, perché la struttura economico-finanziaria su cui si regge non solo il gruppo degli oligarchi ma l’intero sistema sociale è l’antitesi della spiritualità che contraddistingue la tradizione russa più nobile e genuina. Il nihilismo post-sovietico è diverso da quello dell’Occidente odierno, ma produce una medesima debolezza dello spirito, che permette in entrambe le parti l’ascesa di gruppi di dominio che, per entrambe le parti, sono dannosi come il veleno e da rifuggire come la peste. Gruppi animati non solo dalla brama di profitto (cosa in sé assolutamente lecita e, anzi, produttiva se rispettosa della persona, della sua dignità e della sua vita), ma dalla volontà positivistica di controllo e di limitazione della libertà personale, da un positivismo burocratico che in Russia si presenta come frutto ideologico dell’eredità sovietica e che in Occidente assume le sembianze del funzionalismo totalitario di cui la sciagura pandemica ha svelato motivazioni e scopi. È questo nihilismo la peste dell’Occidente e dell’Oriente, e chi riuscirà a sconfiggerlo sarà in grado di imporre la pace o, nel non auspicabile caso peggiore, di vincere lo scontro. Noi ovviamente facciamo il possibile affinché sia l’Occidente a debellare per primo il virus nihilistico.

     

    Fonte: L’opinione degli Altri, 5 Marzo 2022.

  • Una guerra culturale globale che l'Occidente deve vincere

     

     

    di John Horvat

    Falso e vero Occidente

    La guerra in Ucraina è più di un'ingiusta guerra di aggressione da parte della Russia. Ha come obiettivo anche l'Occidente come concetto e come blocco geopolitico. Una guerra culturale globale si profila all'orizzonte, minacciando di distruggere ogni cosa.

    Due nozioni di ciò che si intende per "Occidente", una vera e l'altra falsa, sono al centro di questa battaglia culturale. Questi due modelli uniscono i liberale mettono i conservatori l'uno contro l'altro. L'opinione pubblica si trova confusa, incapace di determinare quale versione debba essere difesa o quale contrastata.

    La nozione di Cristianità

    L’autentica nozione potrebbe essere chiamata Occidente "veramente cristiano" e corrisponde a quel blocco di nazioni che hanno guidato il mondo grazie al loro legame con il passato europeo e in modo particolare, con la sua ricca cultura cristiana. Quell’Occidente coincide con la Cristianità e si applica a tutte quelle aree – anche nel Nuovo Mondo - che hanno condiviso una visione metafisica e religiosa della vita.

    Questo Occidente ha sviluppato sistemi di legge, educazione, di logica e di morale che favoriscono il progresso e la prosperità umana. La sua metafisica si basa sulla natura delle cose e su una verità oggettiva conoscibile. Il centro di questa civiltà è Dio, la sua legge e la Chiesa.

    La società moderna beneficia dei resti sopravvissuti di questa Cristianità, anche se ripudia le sue lontane radici. Se oggi c'è un resto di ordine nella società occidentale è perché le tracce di essa si trovano ancora nelle sue strutture, leggi e istituzioni.

    Ma la società secolare postmoderna di oggi rifiuta questo modello. Anzi, l'establishment "occidentale" e la sua corrispondente cultura scristianizzata e decadente, lo disprezzano.

    L'Occidente guidato da Davos

    Il secondo concetto di "Occidente" è qualcosa di completamente diverso dal concetto di Cristianità. Sia la sinistra che la destra usano questa definizione per attaccare il vero Occidente cristiano. Questo "Occidente" è associato a quelle stesse nazioni legate in un modo o nell’altro all'Europa, e si esprime in vaste reti economiche e politiche che incarnano un ordine basato su regole che sostengono il liberalismo come sistema politico della modernità. Tale “Occidente” potrebbe essere definito come l'Occidente guidato da Davos.

    Questo "Occidente" prende in prestito enormemente dal capitale sociale e dall'infrastruttura razionale dell'Occidente cristiano, anche se mai riconosce questo debito. Esso è vittima della paradossale tenebrosità dei pensatori cosiddetti illuministi che hanno rotto l'unità sociale e morale del vero Occidente cristiano promuovendo un mondo individualista e materialista. Tuttavia, questo “Occidente” diffonde anche la propria decadenza secolare accelerando la sua caduta.

    Se il vero Occidente cristiano è il bambino, la versione guidata da Davos è l'acqua della vasca1. La seconda viene usata contro la prima. I liberal odiano i valori del vero Occidente cristiano, pur godendo di tutte le comodità e i progressi che ne derivano. I conservatori ripudiano l'Occidente guidato da Davos mentre devono lottare per sopravvivere in mezzo alla sua depravazione morale e al suo secolarismo senza Dio.

    Questo Occidente guidato da Davos sembrava aver trionfato ovunque nel periodo successivo alla Guerra Fredda. Tutto pareva andare diritto verso un unico villaggio globale che inseguiva piaceri e passioni in un festival di frenetica sregolatezza, senza alcun riconoscimento di Dio. La sua tecnologia avanzata ha permesso poi di unire tutte le cose in modo istantaneo e senza sforzo.

    La frantumazione dell’Occidente guidato da Davos

    Questo trionfo è parso sicuro fino a quando il COVID e poi l'Ucraina hanno destabilizzato ulteriormente le cose. Il conflitto in Ucraina prende di mira l'Occidente guidato da Davos e le sue vaste reti. Le reti globali che mantenevano l'egemonia occidentale sono ora lacerate. In pochi mesi, la guerra in Ucraina ha spazzato via il lavoro di globalizzazione di una intera generazione.

    Entrambe le parti sono impegnate in un lavoro di disaccoppiamento. Ogni nuova sanzione imposta alla Russia rende più difficile la ricostituzione di un mondo globalizzato. Ogni nuovo passo della Russia dentro il territorio dell'Ucraina rappresenta la frantumazione del mondo in nuove egemonie, blocchi commerciali, correnti ideologiche e partnership scomode. Il risultato finale sarà l'irreparabile separazione dell'Est dall'Ovest.

    Questo Occidente come unità geopolitica si sta frantumando, aprendo la strada a un mondo multipolare sconosciuto. Molti a destra accolgono questo sviluppo come una liberazione da quella 'acqua sporca’ che occupa la vasca culturale. Allo stesso tempo, gli esponenti della sinistra celebrano la scomparsa dell'influenza del ‘bambino’, cioè di quell’Occidente cristiano che ancora mantiene un certo ordine morale nella società.

    L'annientamento del vero Occidente cristiano

    Tuttavia, l'obiettivo più importante della guerra in Ucraina è il vero Occidente cristiano. La Russia non si è mai del tutto unita a questo vero Occidente cristiano. È una nazione dell'Europa orientale che l'Ortodossia di stampo orientale ha dominato per quasi un millennio. Partendo da questo passato, il movimento eurasiatico di Vladimir Putin cerca di creare una rete anti-occidentale di Paesi orientati da strane ideologie e rigide autocrazie. La Russia, la Cina e i loro Stati clienti cercano di soppiantare il vero Occidente cristiano con un quadro che ricicla vecchi errori (molti dei quali paradossalmente occidentali) basati su un misto di nazionalismo, marxismo, gnosticismo e persino elementi mistici. In effetti, ciò che unisce l'euroasiatismo pan-slavo della Russia odierna (e di Alexander Dugin) con la "nuova era del socialismo con caratteristiche cinesi" di Xi Jinping è il loro comune carattere militante anti-occidentale e filo-marxista.

    Gli ideologi russi euroasiatisti odiano le tracce del vero Occidente cristiano che ancora sopravvivono nelle istituzioni, nelle regole e nei sistemi di oggi. Da molto, prendono di mira soprattutto la Chiesa cattolica e le sue dottrine che mettono in crisi la stagnante ortodossia. Questi pensatori rifiutano l'ordine razionale dell'Occidente e immaginano una Russia primitiva, mistica, comunitaria e tribale.

    Molti filosofi occidentali, alcuni dei quali si auto-definiscono pagani o occultisti, si uniscono alla loro controparte euroasiatica nell'ammirare questo ideale russo primitivo. L'autore Matthew Rose nel suo libro del 2022, Un mondo dopo il liberalismo: Filosofi della Destra Radicale2[qui una recensione], esplora il pensiero di cinque figure chiave che hanno influenzato l'attuale dibattito contro l'Occidente: Oswald Spengler, Julius Evola, Alain de Benoist, Francis Parker Yockey e Samuel Francis. La loro posizione filorussa include critiche severe al cristianesimo occidentale che, secondo loro, devitalizza gli impulsi naturali e deforma le relazioni sociali.

    E poi c’è la sinistra mondiale che odia tutte le manifestazioni del vero Occidente cristiano perché insinua una forma di superiorità in un mondo che deve essere egualitario. L'odio è così intenso che l'establishment woke3 ora è impegnato in quella che si potrebbe definire una "guerra civile contro tutto e tutti", nel tentativo di annientare qualsiasi valore cristiano nella società occidentale.

    Il bersaglio è sempre l'Occidente

    La Russia odierna rifiuta quindi entrambi gli Occidenti, quello vero e quello falso. Cerca di distruggere le vaste reti del falso Occidente guidato da Davos, credendo erroneamente che, togliendogli la prosperità, anche il vero Occidente verrà rovinato. Russia e Cina sfidano le reti di Davos contrapponendole un Oriente anti-Davos, che creerà il caos economico e distruggerà la preminenza americana. Inoltre, la Russia odierna propone false ideologie che sostituirebbero ogni traccia di civiltà cristiana occidentale.

    D’altra parte, la guerra sta spezzando l'unità delle vaste reti e catene di approvvigionamento, già compromesse da decenni di fiducia dagli accordi commerciali con i comunisti.

    Più tragico ancora, le nazioni occidentali se la prendono in ogni modo contro la loro origine cristiana. La guerra culturale all'interno del vero Occidente cristiano sta trascinando quest’ultimo verso un mondo simile a quello pagano, panteista e selvaggio, che distruggerà la civiltà moderna, buttando sia il bambino che l'acqua sporca.

    È quindi iniziata una guerra culturale globale e la posta in gioco è il futuro dell'Occidente.

    Per combattere in questa guerra, l'Occidente non deve rifiutare l'ordine razionale, lo Stato di diritto e la metafisica oggettiva che gli conferiscono struttura e ordine. Deve resistere alla distruzione postmoderna della logica e alle narrazioni strambe. Soprattutto, l'Occidente deve tornare alle sue origini che si trovano in Dio, nella sua legge e nella sua santa Chiesa.

    Queste soluzioni ricordano quei messaggi inascoltati che furono rivelati dalla Madonna a Fatima nel 1917, quando il pericolo russo esplose sulla scena mondiale, validi oggi come allora.

     

    Note

    1. L’immagine impiegata si riferisce al detto popolare “non buttare il bambino con l’acqua sporca”.
    2. A World After Liberalism: Philosophers of the Radical Right.
    3. Denominazione che viene data alla nuova sinistra occidentale decostruzionista.

     

    Fonte: Tfp.org, 20 giugno 2022.  Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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