proprietà privata

  • Ci faranno tornare alle capanne?

     

     

    C’è il serio pericolo che ci esproprino la casa. Sì, proprio così. Infatti, nel Parlamento europeo si sta per discutere la direttiva sull’efficientamento energetico degli edifici. Il testo, presentato dalla Commissione europea, dovrebbe essere votato dalla Commissione Industria, Ricerca ed Energia il prossimo 9 febbraio e poi iniziare il suo iter nell’Europarlamento. Ma in che cosa consiste questa direttiva europea?

    Bisogna premettere che la ragione che muove questo genere di provvedimenti è la cosiddetta transizione verde. Per non inquinare, quindi, dovremmo dissanguarci.

    Perché in pratica – come scrive il Corriere della sera dell’8 gennaio - la Ue vuole che “entro il 2030 tutti gli immobili residenziali debbano essere in classe energetica E (in genere ne fanno parte le case costruite in Italia tra gli anni 80-90)”. La direttiva inoltre – stando al testo attuale, che auspicabilmente potrebbe essere modificato – punterebbe a un altro obiettivo entro il 2033, vale a dire far passare tutte le case alla classe D, fino a raggiungere, tra il 2040 e il 2050, quota zero emissioni.

    Ora, poiché “il 60% degli edifici in Italia si colloca oggi tra la classe F e G”, questo significa che nel giro di pochi anni la maggior parte di noi dovrà ristrutturare la propria abitazione, spesso acquistata con grandi sacrifici, con interventi mirati a ridurre ed eliminare il consumo energetico: cappotto termico interno o esterno, sostituzione degli infissi, nuova caldaia a condensazione.

    Tutto ciò ha ovviamente un costo. E non indifferente. Soprattutto per l’Italia, che ha un patrimonio immobiliare storico che non è minimamente paragonabile a nessun altro Paese dell’Unione europea.

    E chi pagherebbe? Noi cittadini, ovviamente. La ricaduta economica per gli italiani sarebbe devastante.

    Il nostro Paese, infatti, conta circa 12,5 milioni di edifici residenziali. Tra questi, sono ben 11.230.000 le strutture che hanno più di trent’anni e che nella stragrande maggioranza non rispondono ai canoni di risparmio energetico perseguito dalla direttiva europea.

    Inoltre, stando ai dati diffusi dall’Associazione nazionale dei costruttori edili, su 12, 2 milioni sono oltre 9 milioni (cioè il 74%) gli edifici – includendo anche i non residenziali - che non rientrano nelle performance energetiche indicate dalla direttiva.

    Considerando poi che gli italiani sono per lo più proprietari di immobili (a differenza di altri Stati dove invece è più comune pagare l’affitto), se il provvedimento venisse approvato così com’è ci troveremmo di fatto di fronte ad una patrimoniale camuffata, una “eco-patrimoniale”, che lede i nostri diritti di proprietà.

    E che guarda caso riguardano proprio i diritti sulla casa, il simbolo del nostro radicamento, della nostra identità e della nostra appartenenza ad una famiglia.

    Senza parlare poi dei danni complessivi che si arrecherebbe al mercato immobiliare. Per ristrutturare gli edifici secondo le nuove norme secondo alcune stime (ottimiste!) ci vorrebbero risorse pari al valore di un anno di Pil italiano.

    Inoltre, “moltissimi proprietari non sarebbero in grado di pagare i costi e le case con classificazione energetica cattiva si venderebbero con molta difficoltà e con forte ribasso, sempre che si possano ancora vendere e a Bruxelles non pensino di introdurre, come ventilato nel 2021, il divieto di passaggio di proprietà e di locazione per gli immobili energivori” (Corriere della sera, 13 gennaio).

    Insomma, questo è il momento di difendere i nostri diritti, prima che sia troppo tardi. Prima che ci riducano a vivere… nelle capanne, le uniche vere e assolute case ecologiche!

    Non possiamo accettare che i costi della cosiddetta transizione energetica vengano scaricati soprattutto sulle spalle di noi italiani.

    La casa è il bene primario per eccellenza e per questo è sacra e non si deve toccare!

     

    Fonte: Pro Italia Cristiana, 16 gennaio 2023. 

  • Contro il Grande reset, in difesa della proprietà privata

     

     

    di Stefano Fontana

    Esce il Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo: puntuale, come ogni novembre, ormai da 14 anni. Quest’anno il Rapporto è dedicato a “Proprietà e libertà. Contro lo sharing globalista” (Cantagalli 2022, pp. 252, euro 16) e fa emergere tutti i pericoli della sostituzione della proprietà con l’accesso, del possesso con la condivisione e il leasing. Nessuno sarà più proprietario di nulla?, tutti affitteremo e condivideremo i beni?, saremo più liberi e felici? … Il 14° Rapporto del Van Thuân non la pensa così e per questo ha convocato 17 studiosi ad affrontare a viso aperto la sfida per la difesa della proprietà privata come diritto naturale.

    Il volume è curato da Riccardo Cascioli, Giampaolo Crepaldi e Stefano Fontana ed è diviso in due parti: una serie di studi per approfondire il tema e poi delle cronache dai cinque continenti, perché c’è bisogno anche di uno sguardo ad ampio raggio. L’attentato alla proprietà privata e quindi alla vera libertà avviene in Italia ma anche in Sud Africa, negli Stati Uniti, in Cile o in Perù, e non ne è esente l’Unione europea.

    Tra gli autori dei saggi di approfondimento spicca il magistrale intervento del cardinale Gerhard Müller, che apre da par suo le danze degli altri autori che esaminano le logiche economiche che stanno alla base del Grande Reset (Battisti), spiegano le nuove caratteristiche postmoderne delle minacce alla proprietà (Horvat), espongono i principi della proprietà e del lavoro nella Dottrina sociale della Chiesa (Ferraresi), si chiedono se la Chiesa possa barattare i propri insegnamenti sulla proprietà con i benefici pastorali dei regimi comunisti, un tema di grande attualità negli attuali rapporti con la Cina (Ureta), illustrano il pericolo che si prenda a prestito artificiali crisi ambientali per condizionare, limitare e perfino annullare la proprietà delle cose e la responsabilità personale sul loro uso (Cascioli), analizzano a fondo il significato indisponibile del diritto di proprietà (Cristin), espongono la sua articolazione giuridica corretta (Onori, Salvi e Veneruso) e infine svolgono una critica teologica al “pauperismo” cristiano che sostiene l’appoggio di ampie fette della Chiesa alle proposte di “decrescita felice”, di “ritorno alla natura” e di condivisione dei beni controllata però da un centro onnipotente.  

    Le cronache dai cinque continenti spiegano in quali termini il World Economic Forum di Davos ha proposto nei suoi Obiettivi per il 2030 la costituzione di una società non più di possidenti ma di noleggiatori e perché economisti e intellettuali dicano che in quella situazione saremo più felici (Magni), illustrano come un rilevante attacco alla proprietà derivi oggi dalla finanza (Milano), secondo quali criteri la Commissione europea sta implementando principi decisamente comunisti con interventi clamorosi di limitazione dell’uso dei beni da parte dei cittadini dell’Unione (Volonté), descrivono l’evoluzione negli Stati Uniti della Sharing Economy nel progetto del Great Reset (Trevisan),  fanno il ritratto della penosa situazione dell’Argentina (Passaniti), del Perù (Loredo), del Cile (Montes Varas), nazioni nelle quali si è consolidato un nuovo comunismo, ed infine si mostra l’evoluzione di un singolare progetto politico in Sudafrica: confiscare le terre senza indennizzo (Tuffin).

    Il lettore di questo 14° Rapporto avrà la possibilità di accedere ad un quadro internazionale completo, di avere notizie di prima mano dato che gli Autori conoscono direttamente le problematiche degli Stati di cui riferiscono perché ci vivono e operano, di conoscere il livello di implementazione di un grande progetto teso a sradicare la persona dalle proprie radici e farne un anonimo soggetto completamente globalizzato. La proprietà, infatti, lega la persona alla famiglia, al lavoro, ad un contesto territoriale e sociale, ad una storia e a una tradizione di senso,  e quindi si oppone alla artificializzazione della vita da parte di attori globali con l’intento di controllare un mondo appiattito. Il Rapporto mette bene in luce lo stretto rapporto che esiste tra l’obiettivo della sostituzione della proprietà con la condivisione da una parte e il controllo politico ed economico sui cittadini.

    Eliminata la libertà privata, costoro saranno costretti ad attenersi nei loro comportamenti alle volontà del Leviatano, il quale saprà tutto di loro e controllerà tutti i loro movimenti. Non potremo possedere una abitazione o un’auto se non sarà secondo le norme volute dal potere, non potremo adoperare il contante e dovremo stare dentro una sempre più pervasiva tracciabilità, la tassazione già ora preleva oltre il 60 per cento dei frutti del nostro lavoro e l’assistenzialismo sociale sul tipo del reddito universale o di cittadinanza corrode e inibisce la proprietà privata, la concentrazione produttiva riduce lo spazio dell’impresa familiare, eventuali emergenze sanitarie o ambientali, anche e soprattutto se artificiali, potranno essere usate per interventi diretti del potere nel nostro spazio di proprietà, ove coltiviamo non solo il rapporto con i beni ma anche quello delle relazioni umane.

    [Leggi QUI la Scheda del Libro – Acquista QUI:  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

    – Paga QUI (euro 16,00, no spese postali)]

     

    Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 15 Dicembre 2022. 

  • Sintesi introduttiva al XIV Rapporto di Dottrina Sociale dell Chiesa nel Mondo, Osservatorio Internazionale Vard. Van Thuàn

    Controllo sociale e trasformazione postmoderna della proprietà

     

     

    di Riccardo Cascioli e Stefano Fontana*

    Questo nostro XIV Rapporto andrebbe letto in continuità con il precedente1. Esponendo le caratteristiche del “modello cinese”, che era appunto il tema del 13mo Rapporto, e soprattutto evidenziando come esso venga importato in Occidente, avevamo segnalato l’avanzata di un nuovo sistema di controllo sociale, che possiamo definire “consensuale”, nel senso che è nella sostanza una forma di dittatura ma non necessariamente e sempre imposta con la forza, bensì secondo modalità più sofisticate, tecnologiche, insinuantisi nei meccanismi psicologici2. In altre parole, i cittadini sono indotti a chiedere essi stessi un controllo sociale molto stretto da parte del potere politico. Una sorveglianza liberamente voluta, una dittatura non imposta. Ora, il Rapporto di quest’anno si propone di considerare le sorti della proprietà privata in questo nuovo contesto tipico del “modello cinese” e delle sue varianti di importazione nell’Occidente liberale. Si potrà così constatare che l’odio ideologico verso questo principio di diritto naturale non ha perso né di intensità né di efficacia rispetto al passato, ha piuttosto cambiato forma di espressione.

    Durante la cosiddetta pandemia da Covid-19 del biennio scorso, erano gli stessi cittadini a sollecitare la verifica del green-pass per l’accesso ai diversi ambiti ove questo era richiesto, contenti di subire un sopruso. Certamente ci sono state anche numerose rimostranze e contestazioni, ma in generale una evidente imposizione priva di veri fondamenti, che si reggeva su una narrazione3 parziale e distorta imposta dal potere, e che contraddiceva a fondo l’esaltazione della libertà nelle democrazie occidentali, fu non solo accettata come doverosa protezione da parte delle autorità politiche, ma addirittura richiesta e auspicata. La ragazza cinese che accetta contenta la scansione del proprio volto davanti ad un totem di distribuzione automatica di bevande per poter usufruire del servizio, non si sente vittima di un sopruso o di una imposizione finalizzata al controllo dei comportamenti sociali dei cittadini4. Volontariamente e di buon grado le persone si denudano in internet senza nessuna pressione esteriore per farlo, pur sapendo che la loro identità viene così messa a disposizione di nuovi centri di potere globale che alla fine stanziano in grande prevalenza in un solo Paese, gli Stati Uniti. Ogni angolo di strada, ogni accesso a negozi e servizi è monitorato da telecamere in un sistema di controllo capillare, e la massa accetta di buon grado di essere controllata in ragione di un supposto interesse pubblico. L’aspetto sociologicamente interessante di queste nuove forme di controllo “alla cinese” impiegate ormai dappertutto, è la loro leggerezza, in evidente contrasto con la durezza delle imposizioni dittatoriali della modernità. Il controllo e la dittatura si fanno “sostenibili”, interne più che esterne, psicologiche più che fisiche, indirette più che dirette. Il fenomeno desta grande interesse perché sembra in grado di combinare comunismo e liberalismo e permette un liberal-socialismo o un social-capitalismo.

    Non si tratta di novità assolute e improvvise. Tanti autori avevano anticipato questi esiti. A titolo di esempio possiamo rileggere questo passaggio da un famoso testo di Augusto Del Noce: «Non bisogna associare, come consuetamente si fa, il totalitarismo all’idea di campi di sterminio ecc..., anche se a questa associazione si è portati facilmente dal ricordo di Hitler e di Stalin, esso può realizzarsi mantenendo formalmente gli istituti democratici e il vero punto su cui non può essere intransigente è l’etica. Il che comporta: a) l’impedimento all’individuo della libertà di dissentire, impedimento che evidentemente può essere ottenuto anche in forma non esplicitamente violenta; b) la persecuzione, che può benissimo essere incruenta»5. In tempi più recenti, anche Charles Taylor ha parlato del “dispotismo morbido”: «Non sarà una tirannia del terrore e dell’oppressione, come nel tempo andato. Il governo sarà mite e paternalistico. Potrà persino conservare le forme democratiche, con elezioni periodiche. Ma di fatto ogni cosa sarà governata da un potere immenso e tutelare»6. La letteratura non è stata da meno nell’anticipare questi esiti paternalisticamente dittatoriali, basti ricordare che di tale carattere era il potere mondiale conseguito da Giuliano Felsenburgh, il protagonista negativo de II padrone del mondo di Robert Hugh Benson.

    Questo mix impalpabile e sincretista di controllo sociale e politico da un lato e adesione libera e convinta dei cittadini al sistema di dominio dall’altro riguarda anche la proprietà privata ed è espressione della fase postmoderna che stiamo vivendo. La post-modernità non va vista come un superamento della modernità, ma come la sua realizzazione7. Le minacce alla proprietà proprie della modernità avevano un carattere “forte”. Esse nascevano da narrazioni, come il comunismo e l’anarchismo, che la condannavano in assoluto e assegnavano alla sua abolizione una funzione palingenetica, collegata alla trasformazione radicale della società, ad un cambiamento/ miglioramento di vita decisivo e salvifico. Questi aspetti messianici erano propri della fase dell’ateismo sostitutivo della modernità, quando a Dio le ideologie intendevano sostituire nuovi assoluti storici e mondani. Ciò avveniva mediante la secolarizzazione del cristianesimo, al peccato si dava un significato politico, superabile quindi dalla prassi politica e dalla rivoluzione che sostituivano la Grazia divina. Allo stato attuale, forme di opposizione forte ce ne sono ancora. Questo Rapporto espone la situazione in Perù, in Cile e in Sud Africa, dove sono al potere sistemi anche molto accentuati di comunismo e di socialismo, con le conseguenti prassi di restrizione o abolizione della proprietà privata. Mentre si preparava la redazione di questo Rapporto, il comunismo tornava al potere anche in Bolivia e il Nicaragua intensificava la repressione. Si deve dire, quindi, che la negazione forte, propria di una religione secolare, della proprietà privata non si è estinta.

    Nel frattempo, però, ne sono nate altre apparentemente più moderate, come quelle conseguenti all’ideologia che possiamo chiamare, in senso generale, socialdemocratica. Tassazioni molto alte, imposte patrimoniali, espansione dei sistemi di welfare statali, aumento di burocrazie costose, deresponsabilizzazione dei cittadini nella gestione della proprietà, sussidi statali disincentivanti come le varie forme di “reddito di cittadinanza” o reddito universale, oppure incentivanti comportamenti innaturali, la limitazione e il controllo dell’uso del contante motivato dalla improbabile necessità di lottare contro l’evasione fiscale... tutto questo, se non costituisce l’abolizione formale della proprietà privata, certamente segna un suo indebolimento significativo. Un aspetto di questo sistema noto (e inviso) a tutti perché da tutti direttamente sperimentato è la iper-tassazione dell’abitazione privata. Tra le due forme di attacco alla proprietà privata, quella forte della modernità ideologica, e quella più debole della modernità post-ideologica, il cui obiettivo, secondo John Horvat, «non è di sopprimere la proprietà, ma di privarla della sua ragion d’essere»8, c’è una relazione molto stretta, sicché è possibile che dalla debole si ritorni alla forte, in caso di situazioni emergenziali. Può essere spiegato in questo modo il cosiddetto “ritorno del comunismo” in occidente di cui parlavamo sopra.

    Si arriva così alla odierna terza fase dell’attacco alla proprietà privata. Essa avviene nelle società ormai pienamente entrate nella postmodernità e si attua anche nella forma della “società palliativa”9. Se la socialdemocrazia assegnava allo Stato il compito di pensare a tutti i bisogni dei cittadini “dalla culla alla bara”, la nuova società palliativa estende questo ruolo fino ad assegnare al potere politico il compito di programmare una società in cui il cittadino non provi più il dolore, il pericolo, il fallimento, la delusione, l’angoscia. La società palliativa considera a priori tutti i cittadini come malati o comunque vulnerabili, e cessa di intervenire ex post rispetto ai ‘‘dolori’’” come faceva lo Stato assistenziale, per intervenire ex ante, inducendo comportamenti e programmando la soddisfazione di bisogni prima che questi nascano. Davanti ad una epidemia non è sufficiente operare con la vaccinazione di massa imposta dal governo sanitario - forma ancora tipica dell’intervento forte - ma con la persuasione psicologica che vaccinarsi è un atto di amore e di sensibilità sociale, fino ad arrivare, in un secondo momento, ad impiantare un chip elettronico sottocutaneo per controllare per motivi sanitari i movimenti, finendo per riprogrammare il DNA dei nuovi nati in modo che non abbiano nemmeno più il bisogno del vaccino.

    Come si vede, la “proprietà” del nostro corpo e la nostra stessa identità sono messe in discussione, da parte della società palliativa, paternalista e umanitaria.

    La corrosione del diritto alla proprietà privata si collega così con la necessità di intervenire davanti a emergenze, che devono essere rese permanenti, o meglio a prevenirle facendo leva sulla paura10. È questa la nuova manipolazione delle masse11. La paura viene resa costante, perché le emergenze sono rese permanenti, sicché si tratta di una paura “trascendentale” nel senso moderno del termine, non motivata da questo o quello, ma presupposta dal potere, il quale poi crea questa o quella motivazione specifica. L’emergenza sanitaria e l’emergenza ambientale motivano interventi di manipolazione del diritto alla proprietà privata, come mostrano in questo Rapporto Riccardo Cascioli e Luca Volonté. L’emergenza ambientale richiede un Great Reset dei consumi di energia? Allora il potere impone comportamenti di risparmio energetico sugli immobili di proprietà o sulle auto che non possono essere venduti o comperati se non sono tarati secondo certi standard. La “transizione ecologica”, con i suoi ingenti costi, produrrà certamente povertà e ingiustizie sociali e minaccerà la proprietà privata tramite l’aumento dell’indigenza, la concentrazione economica in poche mani, le nuove forme di socialismo di Stato.

    Non vanno dimenticate le motivazioni economiche del nuovo odio alla proprietà privata su cui nel Rapporto si diffonde con grande precisione documentaria e profondità di analisi il prof. Gianfranco Battisti. Ridisegnare l’economia mondiale ha senz’altro forti impatti nei confronti della proprietà, soprattutto della piccola proprietà in tutte le sue forme. Esiste un progetto, di cui le attività del World Economie Forum di Davos sono un tassello importante anche se non principale, di ripianificazione delle zone di influenza economiche, di tentativi di superamento delle crisi sistemiche determinate dalla tendenza a produrre profitti per via finanziaria piuttosto che tramite l’economia reale, di imposizione culturale di un nuovo globalismo dalle drammatiche conseguenze antropologiche e religiose. Le emergenze prodotte ad arte sono indirizzate a far accettare tale nuovo globalismo, ad imporlo come necessario ed utile dagli stessi cittadini. Anche le guerre, che fossero necessarie per realizzare il Reset, vengono propagandate come giuste e da sostenere da parte di tutti, anche con forti limitazioni alla proprietà privata.

    Si diceva sopra che la post-modernità, anziché attaccare direttamente la proprietà privata come avveniva nella modernità, cerca di privarla della sua ragione d’essere. E qual è questa sua ragion d’essere? La proprietà privata, come scrive il cardinale Muller in questo Rapporto, recinge il nostro spazio vitale, traccia attorno a noi e alla nostra famiglia un confine che ci radica in un contesto che possiamo dire “nostro”. La proprietà privata permette i legami di senso, conserva le nostre radici, ci chiama al suo uso responsabile e nella attività della sua gestione ci collega agli altri, anche nella forma della carità. L’uomo privato della proprietà è sradicato e diventa l’uomo-massa. Il World Economie Forum di Davos propone per il 2030 l’obiettivo di passare tutti dalla proprietà al leasing, dall’avere al noleggiare, dal possedere all’accedere, dall’avere qualcosa di proprio al condividere qualcosa che, comunque, in mano di qualcuno deve rimanere. Indipendentemente dalla fattibilità di questo progetto - come osserva Stefano Magni in questo Rapporto - la proposta acquista un valore simbolico della meta verso cui ci vorrebbero guidare gli apprendisti stregoni del nuovo globalismo massonico.

    È bene non separare o contrapporre tra loro la versione forte di attacco alla proprietà propria dei vari Proudhon, quella più debole dello Stato assistenziale nella formula delle socialdemocrazie e quello odierno e postmoderno, fondato sulla necessità delle emergenze per far accettare in modo convinto e senza oppressione comportamenti lesivi della proprietà. Il processo è unico, con fasi di ritorno man mano che la iper-modernizzazione incontra le proprie difficoltà. Il fenomeno, di portata globale, è molto interessante (e per lo stesso motivo inquietante) dato che dimostra la convergenza - oltre ogni immaginazione - di liberalismo e comunismo. Una convergenza che si nota oggi, ma che era presente anche alle origini, nonostante tutto e sebbene allo stato embrionale.

    Il liberalismo è il progetto di riplasmare l’esistente in base da una auto-determinazione individuale, il marxismo è il progetto di farlo mediante una autodeterminazione collettiva12. Se si dovesse stabilire quale dei due venga prima, storicamente e teoreticamente, bisognerebbe rispondere che il liberalismo è l’inizio e il comunismo è la fine. Storicamente questo fa anche capire, però, che ci può essere alternanza tra i due in una specie di andirivieni nella storia, e soprattutto, che i due possono anche saldarsi in una stretta collaborazione e fondersi. Ambedue questi fenomeni stanno avvenendo nel nostro tempo e quello della proprietà privata è il terreno del loro esercizio.

     

    *Riccardo Cascioli è direttore de «La Nuova Bussola Quotidiana» [www. lanuovabq.it], Monza (Italia).

    Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Cardinale van Thuàn sulla Dottrina sociale della Chiesa, Trieste (Italia).

    Sottoscrivono la Sintesi introduttiva: Fernando Fuentes Alcantara, direttore della Fundación Pablo VI, Madrid; Alfredo Mantovano, vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino, Roma; Daniel Passaniti, direttore esecutivo CIES-Fundación Aletheia, Buenos Aires; Grzegorz Sokolowski, presidente della Fondazione Osservatorio Sociale (Fundacja Obserwatorium Spoleczne), Wroclaw (Polonia); Manuel Ugarte Comejo, direttore del Centro de Pensamiento Social Católico della Universidad San Pablo di Arequipa, Perù.

     

    Note

    1.OSSERVATORIO INTERNAZIONALE CARD. VAN THUÀN, Il modello cinese: capital-socialismo del controllo sociale, 13 Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, Cantagalli, Siena 2021.

    2. Cfr. BYUNG-CHUL HAN, Psicopolitica, Nottetempo, Milano 2016; M. DESMET, Psicologia del totalitarismo, La Linea, Bologna 2022.

    3. Cfr. «Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa», XVII (2021), 1: Covid-19: la Chiesa nella tempesta perfetta.

    4. Riprendiamo questo esempio da: O. DE CACQUERAY, Quelques application du contrôle social, in «L’homme nouveau», n. 1761, 4 giugno 2022, pp. 20-21.

    5. A. DEL NOCE, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1964, p. 163.

    6. Cfr. CH. TAYLOR, Il disagio della modernità, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 15.

    7. Cfr. B. DUNONT, La postmodemité politique et son dépassement, Bref état del la question, in «Catholica», n. 155, été 2022, pp. 4-17.

    8. Si veda il saggio di John Horvat in questo Rapporto.

    9. Cfr. BYUNG-CHUL HAN, La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, Einaudi, Torino 2021.

    10. Cfr. B. DUMONT, Le temp de la peur, in «Catholica», n. 151, printemps 2021, pp. 4-11.

    11. Cfr. ID., Sur la manipolation des masses, in «Catholica», n. 147, printemps 2020, pp. 4-17.

    12. Sul rapporto tra pensiero liberale e comunismo è utile la lettura di D. CASTELLANO, Introduzione alla filosofia della politica. Breve manuale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2020, specialmente le pp. 133-156 e 181-192.

     

    Fonte: OSSERVATORIO INTERNAZIONALE CARD. VAN THUÀN, Proprietà privata e libertà: contro lo sharing globalista, 14° Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, Cantagalli, Siena 2022.

  • La Chiesa può barattare gli insegnamenti sulla proprietà privata con i benefici pastorali dei regimi comunisti?

     

     

    di José Antonio Ureta[1]

    L'arresto e l'incriminazione del cardinale Joseph Zen hanno evidenziato ancora una volta quanto si stia rivelando dannoso per la Chiesa cattolica l'accordo segreto provvisorio tra il Vaticano e il governo di Pechino sulla nomina dei vescovi. L'accordo mette tutti i cattolici all'interno di una gabbia predisposta dal Partito Comunista Cinese (PCC), senza alcun vantaggio concreto per pastori e fedeli. Il ritorno a un sistema di "patronato regio", da cui la Chiesa era riuscita a malapena a districarsi dopo diversi secoli di braccio di ferro con i vari poteri temporali[2], comporta gravi limitazioni alla libertà religiosa. Infatti, con il pretesto della "sinizzazione", il PCC ha imposto nuovi "Regolamenti sugli affari religiosi" e nuove "Misure amministrative per i gruppi religiosi", che stabiliscono rigorosi criteri per la registrazione e l'attività delle organizzazioni religiose e dei loro leader. Un esempio su tutti: «Le organizzazioni religiose devono sostenere la leadership del Partito Comunista Cinese» e «incarnare i valori fondamentali del socialismo»[3].

    A suscitare la reazione dei cattolici è stato soprattutto il fatto che l'ottenimento della registrazione come ente religioso richiede esplicitamente l'adesione al principio dell'indipendenza, dell'autonomia e dell'autoamministrazione della rispettiva entità religiosa. Ciò non è altro che una riproposizione della dottrina delle Tre Autonomie, condannata da Pio XII nel 1954, la cui accettazione da parte della Chiesa patriottica cinese ha poi portato alla sua classificazione come Chiesa scismatica. Nonostante ciò, nel giugno 2019, il Vaticano ha consigliato a vescovi e sacerdoti cinesi di registrarsi presso lo Stato[4].

    Tre mesi prima, nella prefazione a un volume a cura di padre Antonio Spadaro per i tipi della Civiltà Cattolica, intitolato La Chiesa in Cina - Un futuro da scrivere, il cardinale Pietro Parolin tendeva a giustificare in anticipo il grave cedimento in preparazione, dichiarando: «Le finalità proprie dell’azione della Santa Sede, anche nello specifico contesto cinese, rimangono quelle di sempre: la Salus animarum e la Libertas Ecclesiae. Per la Chiesa in Cina, ciò significa la possibilità di annunciare con maggiore libertà il Vangelo di Cristo e di farlo in una cornice sociale, culturale e politica di maggiore fiducia»[5].

    Lasciamo ad altri il compito di analizzare dal punto di vista della teologia e del diritto canonico la gravità di tale incitamento ad aderire allo scisma “patriottico”. In questo articolo vogliamo affrontare un aspetto dell'azione della Santa Sede in Cina che riguarda la Dottrina sociale della Chiesa. Si tratta dell'obbligo imposto alle comunità religiose riconosciute di sostenere "il sistema socialista" e "la via del socialismo con caratteristiche cinesi" e, inoltre, di "incarnare i valori fondamentali del socialismo".

    Il problema che si pone è il seguente: supponendo che la registrazione presso il Dipartimento per gli Affari Religiosi non richieda l'adesione al principio scismatico delle tre autonomie, la Chiesa cattolica potrebbe accettare una clausola che la obblighi a difendere il sistema socialista o, almeno, a tacere i suoi insegnamenti sulla proprietà privata? In altre parole, quanto è importante la proprietà privata nella Dottrina sociale complessiva della Chiesa e fino a che punto la sua predicazione può essere sacrificata in nome della salus animarum e della libertas Ecclesiae invocate dal cardinale Parolin? La predicazione del Vangelo in un Paese di missione come la Cina e l'amministrazione dei sacramenti alla minoranza cattolica giustificherebbero il silenzio dell'abbondante magistero ecclesiastico in difesa della proprietà privata?

    Questo problema teorico - con importanti ripercussioni pratiche - in realtà non è nuovo. È stato sollevato durante la prima sessione del Concilio Vaticano II nel 1962, in relazione al disgelo tra il regime comunista polacco e la Chiesa cattolica.

    Come è noto, le manifestazioni operaie in Polonia dell'ottobre 1956 portarono alla salita al governo di Władysław Gomułka, che liberò dal carcere il cardinale Stefan Wyszyński e accolse la sua richiesta di piena libertà di culto e di possibilità di catechizzare i bambini. D'altra parte, nelle elezioni parlamentari del gennaio 1957, la gerarchia cattolica chiese ai fedeli di sostenere i candidati della lista unica presentata dal Partito Comunista per evitare un'invasione russa come quella avvenuta pochi mesi prima in Ungheria. Un disgelo simile si stava profilando in Jugoslavia e nella stessa Russia di Nikita Krusciov. Dietro la Cortina di ferro, la Chiesa cattolica si trovò di fronte all'alternativa tra rimanere nella clandestinità o abbandonare la sua esistenza catacombale e accettare un modus vivendi, con grande vantaggio della propaganda comunista in Occidente.

    Le relazioni tra i regimi comunisti e la Chiesa Cattolica furono uno dei temi caldi delle conversazioni nei corridoi vaticani all'inizio dell'assemblea conciliare, nonostante l'accordo concluso a Metz tra il cardinale Tisserant e il metropolita Nicodemo, in base al quale le autorità del Cremlino avrebbero accettato la presenza di osservatori della Chiesa Ortodossa russa al Concilio a condizione che l'assemblea si astenesse dal condannare il comunismo. Il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira e i rappresentanti della Società brasiliana per la difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), che assistevano i vescovi Mons. Geraldo de Proença Sigaud e Mons. Antonio de Castro Mayer durante la prima sessione del Concilio Vaticano II, non mancarono di sollevare questo problema. Dal resoconto quotidiano[6] dei contatti avuti a Roma da tale delegazione tra l'ottobre e il dicembre 1962, risulta evidente la grande disparità di opinioni tra i prelati e gli esperti dell'ala conservatrice circa la legalità e l'opportunità di un accordo pratico con i regimi comunisti.

    Alcuni prelati la consideravano perniciosa per ragioni strategiche, ma senza affrontare il problema morale di un modus vivendi che sacrificasse la predicazione circa la proprietà privata: «La distensione russa è tattica. La Russia non ha rinunciato né al dominio del mondo né alla lotta contro la Chiesa» (Cardinale Agagianian[7]); «In Polonia non c'è alcuna distensione; lo Stato sta stringendo sempre di più la sua morsa. Wyszynski e un'intera corrente in Vaticano pensano che se i cattolici non attaccano il comunismo, questi non attaccherà nemmeno noi. Bisogna avere poca dimestichezza con il comunismo per pensarla così» (Arcivescovo Buchko[8]); «Non ci può essere coesistenza; è come una persona seduta di fronte a un leone che può divorarla in qualsiasi momento» (Arcivescovo Silva Santiago[9]); «I comunisti disprezzano chi fa concessioni e rispettano gli intransigenti» (Arcivescovo Carboni[10]).

    Più numerosi erano coloro che, pur riconoscendo i limiti imposti all'evangelizzazione, ritenevano moralmente lecito e pastoralmente opportuno trovare un accordo con il regime comunista, anche se il prezzo da pagare era il silenzio sulla proprietà privata: «In Russia è possibile insegnare la dottrina, i dogmi, amministrare i sacramenti, da un punto di vista positivo, cioè senza dire che l'avversario ha torto o combattere contro qualsiasi errore, tanto meno contro il regime governativo. Non si può insegnare che la dottrina della Chiesa difende la proprietà privata e tanto meno che il comunismo è un male. I genitori stessi non possono insegnare queste cose ai loro figli. Ma il buon esempio dei genitori è del tutto sufficiente a formare dei figli che percepiscano, attraverso tale esempio, che tutto il resto è sbagliato. Insomma, ci sono circostanze francamente praticabili per la salvezza delle anime e l'espansione della Chiesa in Russia» (Vescovo Katkoff[11]); «La Chiesa deve accettare questa situazione; la Russia si sta evolvendo perché la mitigazione del comunismo è evidente. Dobbiamo fare come nel primo Medioevo, quando la Chiesa convertì i barbari. Krusciov potrebbe diventare il capo dell'Occidente, incoronato dal Papa. Questo sarebbe conforme alla rivelazione di Fatima circa la conversione della Russia, qualora fosse autentica» (Arcivescovo Ronca[12]); «In Polonia si predica tutta la dottrina cattolica, senza restrizioni; sulla proprietà si predica sottovoce e questo non è male perché il popolo ha un grande senso della proprietà privata. Un'azione [sulla liceità di un accordo] non dovrebbe insistere tanto sulla proprietà privata, perché potrebbe sembrare favorevole a mantenere gli interessi del capitalismo. E non dovrebbe nemmeno parlare tanto contro la Russia, quanto contro il materialismo dialettico dell'Est, e anche contro il materialismo pratico dell'Ovest. E bisogna dire che i comunisti fanno qualcosa per i poveri» (Arcivescovo Gawlina[13]); «Si capisce la posizione di Wyszynski e dei polacchi perché, dopo tutto, qualcosa deve essere salvato; non avevano alternative. Il comunismo, se non fosse ateo, non sarebbe così cattivo; c'è in esso qualcosa di buono. Non credo che il socialismo sia la stessa cosa del comunismo. Non sappiamo come finirà questo stato di cose nei Paesi dominati dal regime comunista: o il regime crolla, il che sarebbe meglio, ma molto difficile, o si raggiunge un equilibrio, come è successo dopo la Rivoluzione francese, che difendeva gli stessi principi. Per la lotta religiosa, l'importante è l'educazione e l'illuminazione, ma non dobbiamo soffermarci sugli aspetti negativi» (Vescovo Adam[14]); «La posizione di Wyszynski è difendibile poiché non ha le stesse possibilità di difesa [che ha la Chiesa in Occidente]; per conservare la sua libertà, la Chiesa potrebbe rinunciare alla predicazione di alcuni dogmi (come nel caso del diritto di proprietà), per predicare solo quelli strettamente necessari alla salvezza delle anime» (padre Dulac[15]).

    I membri della TFP che accompagnavano i suddetti vescovi brasiliani non ebbero praticamente alcun contatto con i padri progressisti del Concilio o con la vasta maggioranza centrista. Ma se le citazioni sopra riportate corrispondono alla posizione maggioritaria nell'ala conservatrice, non è irragionevole immaginare che tra i centristi una proposta di modus vivendi che includesse l'omissione della critica al collettivismo comunista e il silenzio sulla proprietà privata sarebbe stata ampiamente accettata. E ancor di più lo sarebbe stata tra la minoranza progressista, che non faceva mistero delle sue simpatie per il socialismo.

    Molto preoccupato dei vantaggi che il comunismo internazionale avrebbe potuto ottenere, non solo dietro la Cortina di ferro ma soprattutto in Occidente, da un graduale silenzio sugli insegnamenti del magistero riguardanti la proprietà privata, il che avrebbe favorito l'infiltrazione di idee socialiste e l'approvazione di riforme strutturali collettiviste (come le riforme agrarie, principale bandiera di lotta della sinistra in America Latina), Plinio Corrêa de Oliveira decise di scrivere un breve saggio per dimostrare l'illegalità di un accordo che avrebbe imposto tale silenzio. La sua preoccupazione era così forte che lo scrisse in poche notti, durante il suo soggiorno a Roma, e nonostante il turbinio di visite e incontri allo scopo di discuterne con gli stessi prelati dell'ala conservatrice, alcuni dei quali sarebbero poi diventati membri del Coetus Internationalis Patrum.

    Ne nacque un opuscolo intitolato "La libertà della Chiesa nello Stato comunista". Lanciato originariamente come inserzione a pagamento sul quotidiano romano Il Tempo durante la seconda sessione del Concilio Vaticano II, ne venne distribuita una copia a tutti i Padri conciliari che partecipavano alla grande assise, nonché, in una versione ampliata, a tutti i partecipanti alla terza sessione. Tradotto in otto lingue (italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, ungherese, polacco e ucraino), lo studio ebbe 33 edizioni per un totale di 160 mila copie e fu riprodotto integralmente in più di trenta giornali e riviste in undici Paesi diversi.

    Recensioni dello studio furono pubblicate in numerose riviste, tra cui "Divus Thomas" [16], "Informations catholiques internationales" ed "Esprit". Tuttavia, nessuna recensione fu più arrabbiata della "Lettera aperta al Prof. Plinio Corrêa de Oliveira", pubblicata sul settimanale “Kierunki”[17]  e sul mensile “Zycie i Mysl”[18] dal giornalista polacco Zbigniew Czajkowski, membro del Consiglio consultivo del Presidente del Consiglio di Stato in rappresentanza dell'Associazione "Pax", di cui fu per molti anni vicepresidente.

    Lo studio esordisce sottolineando che, a fronte del cambiamento di atteggiamento di alcuni governi comunisti, «le opinioni dei circoli religiosi si stanno dividendo sulla direzione da prendere e con ciò si sta rompendo la diga di una solida e inflessibile opposizione al comunismo». E deplora che tra i cattolici «si stia facendo strada l'idea di stabilire ovunque, su scala quasi mondiale, un modus vivendi tra la Chiesa e il comunismo - a immagine di quanto accaduto in Polonia -, accettato come un male, ma un male minore», che a sua volta potrebbe portare «intere nazioni a una catastrofica capitolazione davanti alle potenze comuniste». Questa eventualità rende necessario «studiare, al più presto e nei suoi vari aspetti, i problemi morali inerenti al bivio in cui il comportamento relativamente tollerante di alcuni governi comunisti pone oggi la coscienza di milioni e milioni di persone».

    Il problema di coscienza sollevato dallo studio di Plinio Corrêa de Oliveira potrebbe essere formulato come segue: può la Chiesa accettare una libertà d'azione limitata per amministrare ai fedeli i sacramenti e il pane della Parola di Dio, a condizione che l'insegnamento e la predicazione cattolica facciano tacere i fedeli sulla sua dottrina della proprietà privata o, in ogni caso, affermare che la proprietà privata è un ideale desiderabile in teoria, ma irrealizzabile in pratica, in virtù del regime comunista?

    Alla maniera tomistica, l'autore solleva l'obiezione iniziale con tutta la nettezza e acutezza del caso: «A prima vista, si direbbe che la missione della Chiesa consista essenzialmente nel promuovere la conoscenza e l'amore di Dio, piuttosto che nel sostenere o mantenere un regime politico, sociale o economico. E che le anime possono conoscere e amare Dio senza bisogno di essere istruite sul principio della proprietà privata. La Chiesa potrebbe quindi accettare come male minore l’impegno a tacere sul diritto di proprietà, per ricevere in cambio la libertà di istruire e santificare le anime, parlando loro di Dio e del destino eterno dell'uomo e amministrando i Sacramenti».

    La risposta proposta è solidamente fondata su principi teologici e osservazioni sociologiche, la prima delle quali è che «l'ordine temporale esercita una profonda azione formativa o deformante sull'anima dei popoli e degli individui», per cui «vivere in un ordine di cose [comunista] coerente nell'errore e nel male è di per sé un tremendo invito all'apostasia». Per questo motivo, «non c'è modo di evitare questa influenza se non istruendo i fedeli su ciò che in essa c'è di male».

    Per venire al punto, lo studio sottolinea subito che «la missione magisteriale della Chiesa mira a insegnare una dottrina che è un tutto indivisibile», per cui «la Chiesa non può accettare nella sua funzione di insegnamento un mezzo silenzio, una mezza oppressione, per ottenere una mezza libertà. Sarebbe un completo tradimento della sua missione». D'altra parte, la Chiesa deve educare le volontà umane all'acquisizione della santità, ma la formazione genuinamente cristiana delle anime è seriamente ostacolata se i fedeli non hanno una chiara conoscenza del principio della proprietà privata e non lo vedono rispettato nella pratica.

    Per dimostrare quest'ultima tesi, Plinio Corrêa de Oliveira adduce tre argomenti, dal punto di vista della missione di insegnamento e da quello della missione santificatrice della Chiesa. Vale la pena studiarli in dettaglio, perché sono il nucleo centrale del suo studio:

    a)   La conoscenza e l'amore della Legge sono inseparabili dalla conoscenza e dall'amore di Dio, perché la Legge è in qualche modo lo specchio della santità divina. E questo, che si può dire di ciascuno dei suoi comandamenti, è vero soprattutto se si considera tali precetti nel loro insieme. Astenersi dall'insegnare i due precetti del Decalogo (settimo e decimo comandamento: “Non rubare” e “Non desiderare la roba d'altri”) che sono alla base della proprietà privata significherebbe presentare un'immagine distorta di quell'insieme, e quindi di Dio stesso. Ora, se le anime hanno un'idea distorta di Dio, si formano secondo un modello errato, che è incompatibile con la vera santificazione. 

    b) L'intera nozione di giustizia si basa sul principio che ogni uomo, il suo prossimo e la società umana sono rispettivamente titolari di diritti, ai quali corrispondono ovviamente dei doveri. In altre parole, la nozione di "io" e "tu" è la base più elementare del concetto di giustizia. Ora, proprio questa nozione di "io" e "tu" nelle questioni economiche porta direttamente e inevitabilmente al principio della proprietà privata. Quindi, senza la giusta conoscenza della legittimità e dell'estensione - nonché della limitazione - della proprietà privata, non c'è una giusta conoscenza della virtù cardinale della giustizia. E senza questa conoscenza non è possibile né il vero amore né la vera pratica della giustizia [che è una delle virtù cardinali]; in breve, non è possibile la santificazione.

    c) Tutto ciò che nuoce alla giusta formazione dell'intelletto e della volontà, sotto vari aspetti, è incompatibile con la santificazione. Ora, poiché dirigere il proprio destino e provvedere alla propria sussistenza sono oggetti immediati, necessari e costanti dell'esercizio dell'intelligenza e della volontà, e la proprietà è un mezzo normale perché l'uomo sia e si senta sicuro del proprio futuro e padrone di se stesso, ne consegue che abolire la proprietà privata, e di conseguenza consegnare l'individuo, come una formica indifesa, alla direzione dello Stato, significa privare la sua mente di alcune delle condizioni fondamentali del suo normale funzionamento. Senza accettare gli ideali utopici di una società in cui ogni individuo, senza eccezioni, sia proprietario, o in cui non esistano proprietà disuguali, grandi, medie e piccole, bisogna affermare che la più ampia diffusione possibile della proprietà favorisce il bene spirituale, e ovviamente anche il bene culturale, sia degli individui, sia delle famiglie, sia della società.

    Al contrario, sostiene Plinio Corrêa de Oliveira, «il socialismo e il comunismo affermano che l'individuo esiste innanzitutto per la società e deve produrre direttamente, non per il proprio bene, ma per il bene dell'intero corpo sociale». In questo modo, lo stimolo migliore al lavoro cessa, la produzione diminuisce necessariamente, l'indolenza e la miseria si generalizzano in tutta la società. E l'unico mezzo - ovviamente insufficiente - che il Potere Pubblico può utilizzare come stimolo alla produzione è la frusta...».

    Dunque, l'autore conclude che «è vano tacere sull'immoralità dell'intera comunione dei beni, al fine di ottenere la santificazione delle anime attraverso la libertà di culto e la relativa libertà di predicazione».

    Va notato che lo studio su "La libertà della Chiesa nello Stato comunista" fu successivamente elogiato dall'allora Sacra Congregazione per i Seminari e le Università, ad opera del suo prefetto, il cardinale Giuseppe Pizzardo, e del suo segretario, il vescovo Dino Staffa, che lo qualificarono come «un'eco fedelissima dei documenti del supremo magistero della Chiesa» e considerando il suo autore «meritatamente famoso per la sua scienza filosofica, storica e sociologica».

    Il saggio di Plinio Corrêa de Oliveira non impedì tuttavia alla Santa Sede di firmare con l'Ungheria, nel 1964, il primo di una serie di accordi con i regimi comunisti dell'Europa orientale, estendendo quella che sarebbe stata chiamata la Ostpolitik vaticana promossa da mons. Agostino Casaroli, più tardi creato cardinale. Il prezzo pagato è stato quello di mettere a tacere non solo la condanna del regime socio-economico comunista, ma persino qualsiasi denuncia delle persecuzioni subite dalla Chiesa del Silenzio, al punto di sacrificare figure eroiche come i cardinali Mindszenty, Stepinac, Slipyj e Beran. L'unico risultato palpabile fu quello di indebolire le Chiese locali e di ritardare il crollo dell'impero sovietico.

    La caduta del Muro di Berlino screditò retrospettivamente la politica di riavvicinamento al comunismo, ma l'Ostpolitik continuò ad essere stimata dai diplomatici vaticani ed è stata ripresa, in relazione alla Cina, dal cardinale Pietro Parolin, discepolo del cardinale Casaroli. Il nuovo clima ha permesso l'accordo bilaterale tra la Santa Sede e la Cina e anche dichiarazioni scandalose, come quelle di monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che ha osato affermare, pochi giorni prima della firma dell'accordo, che «in questo momento, coloro che meglio mettono in pratica la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi», perché «cercano il bene comune, subordinano le cose al bene generale». In Occidente, invece, «il pensiero liberale ha liquidato il concetto di bene comune, non vuole nemmeno prenderlo in considerazione, dice che è un'idea vuota, senza alcun interesse. I cinesi, invece, non lo fanno, propongono il lavoro e il bene comune»[19].

    Non sorprende che l'Associazione della Chiesa Patriottica Cinese e la Conferenza Episcopale Cinese – entrambe entità non riconosciute dal Vaticano, ma i cui vescovi sono stati reintegrati nella piena comunione dopo l'accordo del 2018 – si siano sentite libere di emanare un "Piano quinquennale per promuovere l'adesione della Chiesa alle linee guida della sinizzazione", il cui obiettivo principale è quello di «promuovere il reciproco adattamento tra la Chiesa cattolica e la società socialista». A tal fine, «il clero e i cattolici dovrebbero essere guidati ad attuare i valori fondamentali del socialismo», il che comporta «l'accettazione della leadership del Partito Comunista Cinese»[20].

    I vescovi cinesi riconciliati con Papa Francesco sono riusciti a realizzare ciò che l'arcivescovo Helder Câmara aveva già sognato 65 anni fa, nel momento in cui il "disgelo" di Gomulka cominciava a ottenere il silenzio magisteriale sulla necessità della proprietà privata: «Per noi cristiani, il passo successivo è quello di proclamare pubblicamente che non è il socialismo ma il capitalismo ad essere “intrinsecamente malvagio”, e che il socialismo è da condannare solo nelle sue perversioni»[21].

     

    Note

    [1] Cileno di origine, vive e lavora a Parigi. È socio fondatore della Fundación Roma, una tra le più influenti pro-life e pro-family organizzazioni cilene, dove è assistant of strategic and planning per il progetto Credo Chile. È anche impegnato come ricercatore nella Société Française pour la Défense de la Tradition, Famille et Propriété, Avenir de la CultureFédération Pro Europa Christiana. Ha tenuto la Relazione principale alla IV Giornata nazionale della Dottrina sociale della Chiesa, organizzata dal nostro Osservatorio l’1 ottobre 2022.

    [2] Il Concilio Vaticano II nel suo decreto Christus Dominus sul ministero pastorale dei vescovi, esprime al n. 20 l’auspicio «che, per l'avvenire, alle autorità civili non siano più concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all'ufficio episcopale» e nel caso di accordi già esistenti, «rivolge viva preghiera, affinché (le autorità civili), ad essi vogliano spontaneamente rinunziare». Questo orientamento fu poi accolto nell’attuale Codice di Diritto Canonico, che nel canone 377 § 5 stabilisce: «Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi».

    [3]https://www.churchinchains.ie/topics/chinas-new-regulations-for-religious-affairs/

    [4]https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/06/28/0554/01160.html

    [5]https://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/parolin/2019/documents/rc_seg-st_20190318_parolin-cina_it.html

    [6] Murilho Maranhão Galliez, “Atividades, Impressões e Notícias Colhidas pelo Grupo da TFP em Roma durante a realização do Concílio Ecumênico Vaticano II”, manoscritto inedito. Le citazioni si riferiscono al giorno dell’appuntamento con la persona menzionata.

    [7] Udienza del 18 ottobre 1962 con Mons. de Proença Sigaud e Mons. de Castro Mayer. Gregorio-Pietro XV Agagianian (1895-1971), Patriarca di Cilicia degli Armeni, Prefetto della Sacra Congregazione di Propaganda Fide. Ricevette un grande numero di voti, avvicinandosi alla maggioranza richiesta, nel conclave del 1958 che elesse Giovanni XXIII e fu uno dei quattro moderatori delle assemblee generali del Concilio Vaticano II.

    [8] Udienza del 10 novembre 1962 con Plinio Corrêa de Oliveira. Ivan Buchko (1891-1974), vescovo titolare di Cadi e poi arcivescovo titolare di Leucas, vescovo ausiliare dell'eparchia ucraino-cattolica di Leopoli durante la Seconda Guerra Mondiale e poi visitatore apostolico degli ucraini dell'Europa occidentale.

    [9] Incontro del 19 novembre 1962 tra Mons. de Proença Sigaud, Mons. de Castro Mayer e il Prof. Fernando Furquim de Almeida presso l'Ambasciata del Cile. Alfredo Silva Santiago (1894-1975), vescovo di Temuco e poi primo arcivescovo di Concepción, rettore della Pontificia Università Cattolica di Santiago (Cile), carica dalla quale dovette dimettersi dopo l'invasione della sede centrale da parte di una minoranza di studenti nell'agosto 1967, evento che preannunciò il maggio francese del 1968.

    [10] Udienza del 26 ottobre 1962 con Plinio Corrêa de Oliveira. Romolo Carboni (1911-1999), arcivescovo titolare di Sidonia, delegato apostolico in Australia, Nuova Zelanda e Oceania, nunzio apostolico in Perù (durante il Concilio) e, dal 1967, nunzio apostolico in Italia.

    [11] Udienza del 1° novembre 1962 con Plinio Corrêa de Oliveira. Andrei Katkoff M.C.I. (1916-1995), nato a Irkutsk e battezzato nella Chiesa ortodossa russa, la sua famiglia emigrò in Cina, dove studiò presso i marianisti, si convertì al cattolicesimo e fece la professione religiosa. Visse al Russicum di Roma e svolse il suo ministero tra i rifugiati russi in Inghilterra e in Australia. Consacrato vescovo nel 1958, nel 1960 fu nominato visitatore apostolico dei cattolici russi della diaspora.

    [12] Udienza del 16 ottobre 1962 con Mons. Antonio de Castro Mayer e Plinio Corrêa de Oliveira. Roberto Ronca (1901-1977), fondatore del movimento laico cattolico anticomunista Civiltà Italica, arcivescovo titolare di Lepanto e prelato nullius del santuario di Pompei, poi canonico della Basilica di San Pietro. Fondatore degli Oblati e delle Oblate della Madonna del Rosario. Cappellano del carcere di Regina Coeli e Ispettore dei cappellani presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Vicino al cardinale Alfredo Ottaviani, durante il Concilio partecipò attivamente al Piccolo Comitato e al Coetus Internationalis Patrum.

    [13] Udienza del 6 dicembre 1962 con Plinio Corrêa de Oliveira. Józef Feliks Gawlina (1892-1964), vescovo militare dell'Ordinariato militare di Polonia. Membro del Primo Consiglio Nazionale della Repubblica di Polonia in esilio. Durante la Seconda Guerra Mondiale, accompagnò le truppe polacche degli eserciti alleati in Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Kazakistan e fuggì dall'Unione Sovietica sull'ultimo trasporto per l'Iran. Nel 1942, Pio XII lo nominò vescovo ordinario per i rifugiati polacchi in Oriente. Partecipò come cappellano alla campagna d'Italia e fu decorato per le sue virtù militari. Dopo lo scioglimento dell'esercito polacco in Occidente, fu nominato custode spirituale dei polacchi in esilio e parroco della Chiesa di San Stanislao a Roma. Nel 1962 fu elevato ad arcivescovo titolare di Madito e Giovanni XXIII lo nominò membro della commissione preparatoria del Concilio Vaticano II.

    [14] Udienza del 13 novembre con João Sampaio Neto e Murilho M. Galliez. François-Nestor Adam c.r.b. (1903-1990), nato in Valle d'Aosta, è stato prevosto dei canonici del Gran San Bernardo e, dal 1952, vescovo di Sion. Fu chiamato a collaborare alla commissione preparatoria del Concilio Vaticano II, ma fu deluso dai suoi sviluppi e lasciò una sessione. Amico personale dell'arcivescovo Marcel Lefebvre, lo autorizzò ad aprire un propedeutico nella sua diocesi e, in seguito, solo a voce, ad aprire il suo seminario a Ecône (cosa che poi smentì, dicendo di essere stato ingannato). 

    [15] Incontro del 29 ottobre con Plinio Corrêa de Oliveira. Raymond Dulac (1903-1987), sacerdote della diocesi di Versailles, formatosi nel Seminario francese di Roma, laureato in Diritto canonico e dottore in Teologia presso i seminari pontifici, successivamente collaboratore della Revue internationale des société secrètes, de La Pensée catholique e del Courrier de Rome. Si recò a Roma durante la prima sessione del Concilio con l'intenzione di "coordinare i vescovi integristi, ingenui e poco preparati" (Murilho M. Galliez). Pioniere nella critica al capitolo della Lumen Gentium sulla collegialità episcopale (critica che ha raccolto nel 1979 in La Collegialité épiscopale au deuxième concile du Vatican), è stato uno dei primi intellettuali a denunciare il Novus Ordo della Messa promulgato da Paolo VI.

    [16] Articolo del suo direttore, padre Giuseppe Perini, nel numero di aprile-settembre 1964.

    [17] N. 8 del 01-03-64.

    [18] N. 1-2 del 1964.

    [19] https://www.lastampa.it/vatican-insider/es/2018/02/02/news/chinos-quienes-mejor-realizan-la-doctrina-social-de-la-iglesia-1.33975278

    [20] https://www.ucanews.com/news/sinicization-of-china-church-the-plan-in-full/82931

    [21] Roger Garaudy, Parole d’Homme, Robert Laffont, Paris 1975, p. 118.

     

    Attribuzione immagine: Michael Mooney, Our Lady of Lourdes Catholic church on Shamian Island in Guangzhou. The church sits on the French part of Shamian Island, FlickrCC BY 2.0

     

    Fonte: OSSERVATORIO INTERNAZIONALE CARD. VAN THUÀN, Proprietà privata e libertà: contro lo sharing globalista, 14° Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, Cantagalli, Siena 2022.

  • La proprietà privata è diritto naturale primario, non secondario

     

     

    di Ettore Gotti Tedeschi

    Caro dottor Tosatti, le allego un articolo, pubblicato sulla prestigiosa ed influente rivista americana di economia Forbes, scritto da un mio amico argentino Alejandro Chafuen, cattolico ed economista, direttore internazionale dell’Acton Institute.

    L’Acton Institute (il nome è riferito allo storico e politico inglese Lord John Acton) è il maggior think-tank americano, fondato da father Robert Sirico, la cui missione è quella di promuovere una società libera e virtuosa fondata sulla libertà individuale e ispirata a principi cattolici.

    In questo articolo Chafuen spiega il pensiero di un grande gesuita di fine ‘800, padre Matteo Liberatore SJ, il quale contribuì alla stesura dell’Enciclica Rerum Novarum del grande Papa Leone XIII (1891).

    In questo articolo Chafuen spiega la irrinunciabile priorità della proprietà privata, per il bene comune, come diritto secondo natura e perciò primario, non secondario e derogabile. Come invece viene insegnato nell’Enciclica Fratelli Tutti, negando il pensiero persino di San Tommaso d’Aquino.

    Ricorda Chafuen che padre Liberatore fu anche un fondatore della Civiltà Cattolica nel 1850. Nel suo libro “Principi di politica economica” (1891) scrive che <proprietà significa esclusivo possesso di un bene con il potere di disporne secondo sua volontà>. Evidentemente lo scrisse quale sfida alle teorie socialiste dell’epoca che lui considerava, stretto senso, <contronatura>.

    Padre Liberatore considerava la proprietà privata necessaria per assicurare la pace, il benessere proprio e quello futuro dei figli. Disporne significa poter realizzare la vera solidarietà personale e fraterna verso il prossimo bisognoso, solidarietà che è anzitutto privata, altrimenti non è solidarietà cristiana.

    Aggiunge che ciò che giustifica la volontà di cancellare la proprietà privata è la volontà di rendere l’uomo debole, indifeso e vulnerabile.

    Non solo, io aggiungo la volontà di rendere sterile il suo lavoro, e inutile per esercitare vera carità cristiana nei fatti.

    Per p. Liberatore il maggior problema socioeconomico è piuttosto dare troppo potere allo Stato.

    Chafuen pertanto critica l’Enciclica Fratelli Tutti dove è scritto che la proprietà privata può solo esser considerata un diritto naturale secondario che deriva dalla destinazione naturale dei beni creati.

    Questa differente visione del tema proprietà privata, secondo Chafuen, sta nel fatto che p. Liberatore, a differenza dall’attuale pontefice, conosceva bene l’economia e i pericoli del socialismo.

    Considerare la proprietà privata secondaria è errato e pericoloso, essendo la conseguenza naturale del lavoro dell’uomo.

    Amen.

     

    Fonte: Stilvm Curiae – Marco Tosatti, 11 Dicembre 2021.

  • Proprietà privata diritto secondario: un assist ai regimi

     

    diegoesquivel 1595097472541 cathopic

     

    di Stefano Fontana

     

    Papa Francesco afferma spesso che quello alla proprietà privata non è un diritto assoluto e che può essere limitato. Di recente è tornato sull’argomento con il videomessaggio alla Conferenza internazionale sul lavoro dell’ONU del 17 giugno scorso con queste parole: «A volte quando si parla di proprietà privata, dimentichiamo che è un diritto secondario, che dipende da questo diritto primario, che è la destinazione universale dei beni». Anche stavolta, le sue affermazioni si sono accompagnate ad altre sulla società “dello scarto” e sulla necessità di ripensare completamente questa economia “che uccide”. Chi ascolta i discorsi del papa è spinto a collegare il richiamo alla proprietà privata come diritto “secondario”, e quindi che si può manomettere in virtù di quello primario, e la necessità di opporsi all’economia “che uccide” perché non accetterebbe manomissioni alla proprietà privata.

  • Verità Dimenticate

    Se lo stato a sé attribuisce e ordina le iniziative private, la famiglia corre pericolo

     

     

    PIO XII, Lettera Enciclica SUMMI PONTIFICATUS (20-10-1939):

    È (…) nobile prerogativa e missione dello stato il controllare, aiutare e ordinare le attività private e individuali della vita nazionale, per farle convergere armonicamente al bene comune, il quale non può essere determinato da concezioni arbitrarie, né ricevere la sua norma primariamente dalla prosperità materiale della società, ma piuttosto dallo sviluppo armonico e dalla perfezione naturale dell'uomo al quale la società è destinata, quale mezzo, dal Creatore.

    Considerare lo stato come fine, al quale ogni cosa dovrebbe essere subordinata e indirizzata, non potrebbe che nuocere alla vera e durevole prosperità delle nazioni. E ciò avviene, sia che tale dominio illimitato venga attribuito allo stato, quale mandatario della nazione, del popolo, o anche di una classe sociale, sia che venga preteso dallo stato, quale padrone assoluto, indipendente da qualsiasi mandato.

    Se lo stato infatti a sé attribuisce e ordina le iniziative private, queste, governate come sono da delicate e complesse norme interne, che garantiscono e assicurano il conseguimento dello scopo ad esse proprio, possono essere danneggiate, con svantaggio del pubblico bene, venendo avulse dall'ambiente loro naturale, cioè dalla responsabile attività privata.

    Anche la prima ed essenziale cellula della società, la famiglia, come il suo benessere e il suo accrescimento, correrebbe allora il pericolo di venir considerata esclusivamente sotto l'angolo della potenza nazionale e si dimenticherebbe che l'uomo e la famiglia sono per natura anteriori allo stato, e che il Creatore diede ad entrambi forze e diritti e assegnò una missione, rispondente a indubbie esigenze naturali.