Putin

  • Cattolici e conservatori non siano più zaristi dello zar

     

     

    di don Angelo Citati

    La recente omelia in cui il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, ha lasciato trapelare in filigrana una sua «benedizione» alla guerra mossa da Putin all’Ucraina, alla quale ha attribuito addirittura un «significato metafisico», ha rimesso sul tappeto una questione che viene spesso agitata quando a contrapporsi in un conflitto armato non sono soltanto due nazioni, ma due culture diverse: questa guerra è anche, e magari soprattutto, una guerra di religione e uno scontro tra civiltà? E, se lo è, da quale parte dovrebbe schierarsi una persona legata ai valori tradizionali della Chiesa?

    Nella Chiesa, non è un mistero e non è una novità, esistono due sensibilità diverse, che con un linguaggio tolto alla politica – e con un’etichettatura non molto corretta, ma di innegabile praticità – sono generalmente qualificate l’una come conservatrice, come progressista l’altra. Se l’area progressista, in questo caso, ha reagito in modo piuttosto unanime – condanna senza riserve dell’attacco russo e pieno appoggio alla linea dell’asse atlantico, guidato, del resto, in questo momento proprio da un cattolico progressista, Joe Biden –, il fronte tradizionalista appare meno compatto. A sinistra, certo, non mancano quelli che nel loro sostegno incondizionato a Zelensky finiscono con l’essere più papisti del papa – che alcuni hanno criticato, ad esempio, per la scelta, dal sapore molto tradizionale per il richiamo alla mariofania di Fatima, di consacrare la Russia e l’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, nonché per aver sì condannato con fermezza la guerra, ma senza schierarsi esplicitamente contro la Russia, conformemente alla saggia tradizione diplomatica del Vaticano; ma a destra oggi la tentazione sembra invece essere quella, per una malintesa fedeltà ai valori tradizionali, di diventare più zaristi dello zar.

    Ciò che può sedurre maggiormente coloro che si sentono vicini ai valori tradizionali della Chiesa è proprio il fatto che, mentre l’Occidente si trova rappresentato oggi da un presidente degli Stati Uniti democratico, Joe Biden, e da un papa riformista e innovatore, Francesco, e mentre il capo dello stesso governo ucraino è un progressista, la Russia sembra invece presentarsi come il baluardo di quel sistema di valori – famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, difesa della sovranità popolare e dei confini, difesa delle tradizioni della propria terra – tipico delle società tradizionali. Lo scontro in atto, secondo questa prospettiva, andrebbe ben al di là delle rivendicazioni degli ucraini russofoni del Donbass e della difesa della propria sovranità territoriale da parte del governo ucraino; si tratterebbe di un vero e proprio scontro di civiltà: da una parte l’Occidente corrotto e decaduto delle «parate gay» e della schiavitù finanziaria, dall’altra i sani princìpi che furono un tempo dell’Occidente e che oggi sopravvivrebbero in Russia, unico fronte di resistenza al «nuovo ordine mondiale». Se accetta acriticamente questa narrativa, il theoconservative, che è sempre stato schierato, quasi costituzionalmente, sul fronte atlantico, si sentirà inevitabilmente attratto da Putin e – abbagliato dal fascino degli alti princìpi di cui è presentato come il difensore – anche dalla tentazione di difendere, di conseguenza, la politica estera del «nuovo zar».

    Quest’approccio è errato, per due ordini di motivi. Il primo è di natura etica: può mai essere moralmente accettabile, di fronte ad una guerra che miete vittime innocenti, decidere il proprio posizionamento su basi ideologiche? Si può mai appoggiare l’illegittima invasione di uno stato sovrano solo perché – anche se fosse realmente così – l’invasore ha in altri campi idee che approviamo, mentre il governo del paese invaso e quelli dei suoi alleati sono schierati politicamente dalla parte opposta alla nostra? Ma c’è di più. La vera domanda da porsi è la seguente: è davvero questa la linea dello «zar»? Oppure è solo una rappresentazione geopolitica degli zaristi, di cui lo «zar» si serve artatamente per i suoi scopi? 

    La chiave di lettura che proietta sul conflitto russo-ucraino uno scontro di civiltà, lo scontro (finale?) tra la Tradizione e il Nuovo Ordine Mondiale, è in realtà prigioniera di sovrastrutture ideologiche che, se forse costituiscono lo sfondo remoto su cui si muovono gli attori di questa vicenda, certamente non ne rappresentano il movente. Uno sfondo, peraltro, dai confini molto più sfumati di quanto i putiniani occidentali non siano disposti a vedere: basti pensare che tra i paesi che militano più attivamente sul fronte filo-ucraino figura anche la cattolicissima Polonia (che certamente non riterrà di star così difendendo le parate gay), e che contro la Russia si è schierato anche il paese che finora era, tra quelli europei, il più vicino a Putin, l’Ungheria di Viktor Orbán, oltretutto ancorato – molto di più e molto più sinceramente di Putin – proprio alla ‘visione tradizionale’ della società caratteristica dei conservatori (e da molti di loro, infatti, preso spesso come punto di riferimento). Mentre invece gli unici che si sono apertamente schierati in favore di Putin, votando contro la risoluzione ONU di condanna dell’attacco all’Ucraina, sono stati (oltre alla più ambigua Cina, che si è invece astenuta) Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea e Siria: piuttosto imbarazzante come fronte di resistenza al «nuovo ordine mondiale» e baluardo dei valori cristiani…

    Riferimento principale di chi vede in Putin il salvatore dei valori tradizionali è, invece, un filosofo russo le cui citazioni stanno circolando molto in Europa occidentale in questo periodo: Aleksandr Dugin. Proprio a questo controverso intellettuale, studioso di Julius Evola e padre della cosiddetta «quarta teoria politica» (secondo cui, dopo la fine del liberalismo, del nazifascismo e del comunismo, l’ideologia dominante del XXI secolo è destinata ad essere un neocomunitarismo patriottico e gerarchico, che passa – naturalmente – per Mosca e per la sua estensione «eurasiatica»), si deve in buona parte la proiezione sul conflitto russo-ucraino delle sovrastrutture ideologiche della guerra di civiltà. E, poiché Dugin viene spesso presentato come l’ideologo della politica di Putin, se ne trae la conseguenza che la Russia di Putin sia appunto il baluardo di questo grande progetto di civiltà. In realtà, Dugin è un filosofo non particolarmente noto in Russia e molto sopravvalutato in Occidente; queste sue proiezioni ideologiche fanno molta più presa in ambienti europei, generalmente di estrema destra, che non nella sua madrepatria. E lo stesso si può dire del patriarca Kirill: i suoi inviti alla «crociata metafisica» solleticano le simpatie dei tradizionalisti occidentali, ma ben poco quelle del popolo russo. 

    Né Dugin né Kirill sono gli ideologi di Putin, e in nessun modo la sua politica estera si può inquadrare in questo fantomatico «progetto di civiltà» dal significato metafisico. Di questa sua politica forse è più realistico (e certamente più prudente) ripetere, mutatis mutandis, quello che della Russia disse un politico – una figura che, questa sì, dovrebbe essere cara ai conservatori – che la politica estera la conosceva molto bene, Winston Churchill: «Non posso prevedere le mosse della Russia. È un rebus avvolto in un mistero dentro un enigma. Ma forse una chiave c’è: è l’interesse nazionale russo». E, non a caso, chi è che invece si compiace nel vedere in Putin non un freddo calcolatore che pur di fare gli interessi della sua nazione non esita a calpestare i diritti delle altre, ma bensì «lo zar», l’uomo cioè del ritorno allo zarismo dopo la parentesi sovietica? Sono proprio quelli che leggono l’attuale conflitto con il filtro delle sovrastrutture ideologiche della battaglia di civiltà: da una parte l’intellighenzia liberal, dall’altra i conservatori sedotti da Putin. In questo, gli acerrimi nemici si incontrano.

    Ma se a muovere Putin non sono ideologie particolari né battaglie metafisiche, come si spiega lo spazio che trovano – come si è detto, molto più in Occidente che in Russia – queste teorie? La risposta è che «se le autorità governative russe (dalla presidenza sino ai singoli ministeri o enti pubblici) nel corso degli anni hanno supportato la promozione di queste teorie, ciò non è certo accaduto perché in esse si trovino i reali princìpi della politica estera di Mosca, bensì perché la loro diffusione risulta utile a stimolare un sentimento filorusso in alcuni ambienti politici europei e a coltivare schiere di “utili idioti” convinti che, servendo acriticamente la causa della Russia, stiano servendo le proprie idee e la propria patria». 

    Questa lettura ideologica è, d’altronde, esattamente speculare – e quindi funzionale – a quella liberal che in questo conflitto vede, di nuovo, non un conflitto tra due paesi ma una battaglia di civiltà, nella quale stavolta però i buoni starebbero a sinistra, in difesa dei «valori» dell’Occidente di oggi: le teorie gender, i diritti LGBT, la cancel culture, il multiculti. Nella prospettiva liberal, insomma, supportare l’Ucraina nella sua difesa dall’attacco russo non significa semplicemente soccorrere un paese che è stato ingiustamente invaso da un altro, ma significa difendere quel sistema di valori contro quelli «tradizionalisti» di Putin: proprio come pensano anche, ma sul fronte specularmente opposto, i putiniani d’Occidente. Senza rendersene conto, quindi, chi appoggia, o comunque manifesta una certa ambiguità nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina in nome di presunti valori conservatori incarnati dalla Russia di Putin, porta detrimento proprio a questi valori, perché avalla così una lettura ideologica condivisa dai progressisti: questa reazione, cioè, li radica ulteriormente nella convinzione di trovarsi ingaggiati in una lotta che trascende la geopolitica e avrebbe invece – proprio come sostiene il loro «nemico» Kirill – un significato metafisico. 

    Certamente, non si può negare che molte prese di posizione di parte conservatrice verrebbero, in Russia, percepite come molto meno «politicamente scorrette» di quanto non avvenga oggi nella maggior parte dei paesi occidentali – caratteristica che la Russia condivide, peraltro, con molti dei paesi ex sovietici. Indagare sulle ragioni antropologiche, storiche, economiche e culturali che hanno contribuito a questa diversificazione tra Europa occidentale ed orientale sarebbe senz’altro un terreno di ricerca molto interessante; quel ch’è certo è che trarne la conseguenza che si tratti di posizioni assunte scientemente e ideologicamente nel quadro di uno scontro di civiltà sarebbe una lettura estremamente fuorviante. 

    Per fare un esempio: anche in Italia alla metà del secolo scorso si potevano leggere manifesti del PCI che recitavano (con foto di famiglia tradizionale in bella posa): «Il Partito Comunista difende la famiglia!». Tuttavia, nessuno ne trarrebbe la conclusione che il comunismo sia una corrente di pensiero ideologicamente schierata in difesa della famiglia naturale. Era, semplicemente, la realtà sociale e culturale dell’Italia (di tutta l’Italia) del Dopoguerra. La società russa contemporanea, questo forse lo si può affermare, somiglia di più all’Europa occidentale di allora che a quella di oggi. Da sinistra lo si deplorerà («sono rimasti indietro»), da destra se ne tesserà l’elogio («sono rimasti ancorati ai princìpi del diritto naturale»), ma comunque la si veda è semplicemente la realtà delle cose e non un’ideologia. Fare per questo della Russia il baluardo dei valori tradizionali e, quel ch’è peggio, appoggiare in nome di questo una politica estera guerrafondaia è una tentazione alla quale i cattolici e i conservatori non possono assolutamente permettersi di cedere.   

    E in fondo, se tornano alle loro radici e ai loro (veri) riferimenti culturali, si accorgeranno che non solo non se lo possono permettere, ma che in realtà neppure ne hanno bisogno: non hanno bisogno di cercare in nuove ideologie ciò che la nostra tradizione ci insegna già. La vera «battaglia metafisica» dell’Occidente cristiano l’ha ricordata, ad esempio, con la sua consueta finezza e profondità di teologo, Joseph Ratzinger nella storica omelia del 18 aprile 2005 – la vigilia della sua elezione al soglio pontificio – in occasione della Missa pro eligendo Romano Pontifice, divenuta poi una sorta di programma del suo pontificato:

    «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cfr. Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fededobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità si realizza nella carità».  

    In questo delicato frangente storico, cattolici e conservatori hanno quindi il dovere di non proiettare su questo conflitto categorie ideologiche inappropriate e di guardarlo per quello che è realmente, senza attribuirgli una portata metafisica che non ha – anche perché la situazione è già sufficientemente grave da non averne davvero bisogno. Certo, alcuni punti fermi l’etica cristiana li impone. Il primo è la chiara condanna, senza ambiguità, dell’invasione russa, perché nessuna guerra offensiva e di espansione può mai essere moralmente lecita. Il secondo è il sostegno ai civili vittime della guerra e l’accoglienza dei rifugiati (azione umanitaria, quest’ultima, che sta vedendo in prima linea proprio i paesi che, come la Polonia, fino a poco tempo fa i vertici europei accusavano di ostilità verso gli immigrati). Il terzo punto fermo è evitare e condannare ogni sentimento anti-russo che possa sorgere dalla pur doverosa condanna dell’attacco di Putin: stigmatizzare in nome di questo la cultura russa nel suo insieme è, infatti, un atteggiamento profondamente sbagliato, che rischia solo di fomentare altro odio. Quarto punto fermo: l’uso delle armi per difendersi in guerra (e quindi anche fornirle a chi si sta difendendo) è moralmente legittimo, come insegna chiaramente il Catechismo della Chiesa Cattolica e come ha ribadito recentemente anche il cardinale Parolin. 

    Su tutto il resto – se l’invio di armi agli ucraini sia, oltre che legittimo, anche opportuno; quante e quali siano le responsabilità dei paesi di area atlantica in questo conflitto; se la strategia difensiva scelta dal presidente Zelensky sia la migliore; se l’Italia avrebbe dovuto giocare un ruolo più da mediatore che da parte in causa; se tutte le sanzioni economiche irrogate alla Russia siano realmente lo strumento più efficace; se l’informazione dei media occidentali si stia rivelando all’altezza della situazione – la coscienza cristiana può scegliere liberamente, secondo le proprie personali opinioni e propensioni: in dubiis libertas. Ma non sbagli, almeno, da che parte della storia stare: stare da quella di chi proprio questa libertas non la garantisce al suo popolo sarebbe un errore madornale e controproducente.Certo, che quell’Occidente che, per dirla con Croce, «non può non dirsi cristiano», si presenti a questo appuntamento con la storia disarmato proprio di quei valori, tra i quali quelli cristiani, che più di tutti lo avrebbero reso credibile e coeso nella sfida ai sistemi autoritari, resta una realtà triste e deplorevole. Ma questo non autorizza i cattolici a cadere nel tranello di schierarsi dall’altra parte, e all’interno di questa giocare il ruolo di «utili idioti» più zaristi dello zar. Pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, la sfera atlantica resta oggettivamente, per cattolici e conservatori, l’unica alternativa credibile e possibile (il che non significa approvare tutte le scelte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea). Pertanto, allo sguaiato interventismo o all’incomprensibile ‘putinismo’ di certi imprudenti prelati, tutti coloro che, credenti o no, si sentono legati ai valori tradizionali della Chiesa non smettano di preferire la linea diplomatica della Santa Sede; alle seduzioni dei filosofemi evoliani di Dugin, la grande tradizione filosofica dell’Occidente cristiano, dalla Scolastica medievale fino ai maggiori filosofi cattolici del Novecento, come Jacques Maritain, Etienne Gilson e Augusto Del Noce; alla tentazione di vedere in Putin un difensore dei valori cristiani antepongano i veri statisti cristiani a cui dovrebbero ispirarsi i politici contemporanei, come don Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer; all’ambigua e strumentalizzata «battaglia dal significato metafisico» del patriarca ortodosso Kirill preferiscano la grande, la vera battaglia metafisica del cristiano, ricordata con pregnanza e finezza da Joseph Ratzinger, cioè quella contro il relativismo e i «venti di dottrina»: siano, questi venti, quelli di decadenza dell’Occidente o quelli dell’imperialismo di Putin.

     

    Attribuzione immagine: By Antonio Cruz/Agência Brasil, CC BY 3.0 br, via Wikimedia.

    Fonte: Nazione Futura, 22 Marzo 2022.

  • Come mai tutte le ‘persone sbagliate’ stanno sostenendo l'Ucraina?

     

     

    di John Horvat

    In un paese polarizzato, quando una parte sostiene con entusiasmo una questione, la regola generale è che l'altra prenda la posizione opposta. Tuttavia, quando due nemici si ritrovano improvvisamente dallo stesso lato sorge naturalmente la domanda: c'è qualcosa che non va?

    È proprio il caso dell'Ucraina. I conservatori che sostengono con tutto il cuore il paese invaso si ritrovano improvvisamente con strani compagni di stanza. I “liberals”, comportandosi al contrario dei loro modi tipici, si schierano in questa crisi dalla parte corretta, quella della nazione ucraina ingiustamente attaccata.

    Infatti, le stesse grandi aziende "woke" che illuminano gli edifici con i colori arcobaleno e deprecano il "nazionalismo" americano, ora dispiegano i colori nazionali dell'Ucraina. Gli attivisti pacifisti delGreen New Deal chiedono l'invio in massa di munizioni ad alto contenuto di carbonio in Ucraina. I fanatici dei vaccini accolgono milioni di rifugiati non vaccinati in Europa (e 100.000 solo negli Stati Uniti). Persino i fanatici della Teoria Critica della Razza(Critical Race Theory),che definivano tutto in base alla razza, ora si ritrovano difensori di europei biondi dagli occhi azzurri, una volta disprezzati come "bianchi privilegiati". Famosi esponenti liberal come il miliardario George Soros, l’attore Sean Penn e la cantante Lady Gaga assieme alla congressista Nancy Pelosi, sono tutti schierati a favore dell'Ucraina.

    Così, i liberali, che automaticamente sono in disaccordo su tutto con i conservatori, si uniscono a quest’ultimi per questa causa giusta. Non c'è da stupirsi che molti conservatori si chiedano: "Come mai tutte le 'persone sbagliate' sostengono l'Ucraina?".

    Un'unità illusoria

    Naturalmente, le persone dovrebbero simpatizzare con l'Ucraina e aiutarla in ogni misura possibile, dato che è una nazione che subisce un attacco ingiusto. Infatti, gli americani, compresa la maggior parte dei liberal, vedono che si tratta di un paese brutalmente invaso. La crudeltà viene trasmessa in ogni casa tramite Internet. Il lato umanitario della tragedia fa appello al generoso desiderio dell'America di alleviare le sofferenze. Difficile trovare "persone sbagliate" che non condividano questa compassione.

    Tuttavia, molti liberali sono entusiasti sostenitori dell'Ucraina non solo per l'attacco ma anche per l'inquadramento ideologico del dibattito. Usano purtroppo la crisi ucraina per sostenere la loro narrazione e costruire una contro-narrazione pseudo-conservatrice. Cioè, le "persone sbagliate" sostengono la causa giusta per la ragione sbagliata. E così il conflitto ucraino diventa un altro modo di combattere tutto ciò che è conservatore.

    Democrazia liberale contro regime autocratico

    Eppure, questa falsa alternativa, grossolanamente semplificata, viene in aiuto alla narrativa liberale. Da un lato, l'Ucraina è rappresentata come portabandiera dei valori liberali (anche se l'Ucraina, come tutte le nazioni slave, conserva molti costumi conservatori e religiosi, forse anche più della Russia). I media liberali evidenziano un fatto indiscutibile: il presidente liberale ucraino Zelensky ha delle opinioni riguardo all'aborto procurato e al peccato omosessuale che giustamente ripugnano i conservatori. Tuttavia, come succede con il presidente Biden in America, le sue opinioni personali non riflettono quelle degli ucraini nel loro insieme.

    Rappresentare l'Ucraina come una causa liberale serve a rafforzare i fatiscenti bastioni del liberalismo ovunque. Diventa un punto di raccolta in cui i coraggiosi liberali possono versare vaste risorse e imporre massicce sanzioni, mentre cercano di evitare una guerra a tutti i costi. Resta da vedere se lo zelo liberale continuerà quando la situazione si aggraverà.

    Una narrativa pseudo-conservatrice

    Il conflitto fornisce anche l'opportunità di associare i valori conservatori al rigido e autocratico governo di Putin (sebbene l'associazione sia gratuita). I valori tradizionali rimanenti in Russia vengono ovunque e per tutti trasformati in un altoparlante di questi costumi. Così, gli autentici conservatori si trovano classificati insieme a Putin, che non li rappresenta affatto. Alla ricerca di una maggiore credibilità, i media fanno ogni sforzo per mettere in rilievo ed esaltare la manciata di figure conservatrici che mostrano simpatia per Vladimir Putin, benché egli abbia posizioni dichiaratamente pro-aborto e pro-socialiste.

    Tale associazione con la Russia di Putin si adatta bene alle accuse secondo cui i conservatori americani stanno mettendo in pericolo la democrazia con la loro opposizione all'agenda liberal. Associando la causa conservatrice alla tirannia, i liberali non vogliono altro che costringerli a difendere posizioni che in fondo non hanno. Questo riflettore potrebbe essere facilmente spostato su tutti i conservatori, ovunque essi siano.

    Per i liberal, si tratta di una situazione di “win-win”, “io vinco comunque”. Sostenendo la giusta causa degli ucraini, sono dalla parte vincente dell'opinione pubblica e dalla parte giusta della loro narrativa. D'altro lato, etichettando tutti i conservatori come fan del totalitarismo di Putin, i liberaldividono la destra in fazioni dove nessun conservatore è a suo agio, mettendo tutti sulla difensiva.

    Rifiutare la falsa alternativa

    La soluzione corretta è rifiutare con sdegno questo falso dilemma così impostato dalla sinistra. Né gli ucraini né gli americani dovrebbero essere costretti a difendere la democrazia liberale o l'autocrazia. Questa è una falsa scelta che non corrisponde alla realtà di una nazione e di una Chiesa sotto assedio. La sinistra spesso presenta al pubblico false alternative per evitare le vere questioni, di solito quelle morali. I liberali evitano le questioni morali perché sanno di non poter argomentare su di esse.

    Perciò, l'attuale guerra deve essere considerata indipendentemente dalla narrazione della sinistra. L'Ucraina è una nazione ingiustamente invasa da un'altra. Punto. E poi, 1) se il dispotico Putin dovesse prevalere, sconvolgerà l'intero ordine del secondo dopoguerra; 2) difendere l'Ucraina non significa avallare l'agenda liberalné condannare una prospettiva falsamente etichettata come conservatrice pro-Putin.

    L'Ucraina non deve diventare uno strumento manipolabile dalla sinistra o dalla destra. L'Ucraina non è una pedina da giocare nelle fantasie immaginarie dei teorici della cospirazione o nelle inquadrature machiavelliche dei commentatori dei media liberal. Il povero e sofferente popolo dell'Ucraina merita di essere giudicato nel merito del suo diritto naturale all'autodifesa e del suo legittimo desiderio di rimanere una nazione libera con una Chiesa cattolica libera.

     

    Fonte: Return to Order, aprile 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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  • Il prezzo della cecità

     

     

    di Julio Loredo

    Essere cieco può costare molto. Non mi riferisco, ovviamente, alla cecità fisica, della quale la persona non ha nessuna colpa e che, vissuta con rassegnazione ed elevatezza di animo, può trasformarsi in uno strumento di sviluppo umano e perfino di santificazione. Mi riferisco alla cecità intellettuale e morale, consapevole e volontaria, che porta le persone e le società a fare delle scelte sbagliate che, alla fine, presentano il conto. Proprio in questi mesi una delle più grandi cecità dell’Europa sta passando un conto salatissimo.

    “Ricatto di Putin. Gas alle stelle”, titola il Corriere della Sera, “l’economia italiana crollerà”. “Gli italiani soffriranno col gas”, informa a sua volta La Stampa, citando la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova. “Il caro energia affossa l’Italia”, intitola Il Tempo, di Roma. “Una grande tempesta globale”, avverte il quotidiano Libero.

    Tutti i mezzi di comunicazione stanno dedicando ampio spazio all’incombente crisi energetica – e quindi economica – innescata dallo stop ai rifornimenti di gas e di petrolio in ritorsione per le sanzioni con le quali è stata colpita la Federazione Russa dopo l’invasione dell’Ucraina. Piaccia o no, l’Europa oggi dipende dalla Russia per il 61% del gas e per il 27,5% del petrolio. Se Mosca chiude il rubinetto, l’Europa resta al gelo, letteralmente.

    Qualche giorno fa, in un’intervista a Radio 24, il presidente di Confindustria Lombardia, Francesco Buzzella, ha reso noto che il 70% delle aziende italiane sono a rischio chiusura dovuto al caro energia. Gli imprenditori, infatti, non riescono a caricare tutto l’aumento del costo di produzione sui clienti. Quel poco che è stato fatto ha già spinto l’inflazione all’8,4% su base annua, incidendo quindi su tutto il paniere dei consumi.

    Un servizio della Fox News, intitolato Back to the Dark Ages (Ritorno ai secoli bui), informa che in Gran Bretagna oltre il 70% dei restauranti cammina verso il fallimento, mentre la Francia ha annunciato forti razionamenti all’energia, come nei tempi di guerra, e in Polonia le famiglie stanno stoccando carbone per affrontare l’inverno. “Siamo tornati ai tempi della seconda guerra”, si lamentava un anziano contadino.

    La subitaneità e l’enormità della crisi è sconcertante, e fa pensare che sotto ci sia qualcosa di più profondo. Come è possibile, per esempio, che due mesi fa la Francia fosse una grande esportatrice di energia, e oggi invece si prepari a un’economia di guerra? Come è possibile che, fino a poche settimane fa, gli Stati Uniti fossero autosufficienti in petrolio, e oggi invece debbano supplicare il Venezuela? Come è possibile che la Germania, che pure ha una vasta rete di impianti a carbone solo di recente chiusi, ne abbia riattivato appena uno?

    È difficile sfuggire all’impressione che, al meno in alcuni aspetti sostanziali, questa crisi abbia alcuni connotati dell’artificialità. Come se a qualcuno facesse comodo spingere la nostra società verso i “secoli bui”, o almeno far balenare questa possibilità.

    Chi conosce, per esempio, i meccanismi che muovono l’ormai famigerata Borsa del Gas di Amsterdam, la Dutch Title Transfer Facility, che decide sul prezzo del gas in Europa? Chi può veramente spiegare perché l’Italia non attiva i suoi numerosi pozzi di gas, per esempio nel Mar Adriatico? In Italia ci sono 1.298 pozzi produttivi di gas naturale. Tra questi, soltanto 514 sono “eroganti”, il resto, cioè il 66%, sono “attivi ma non eroganti”. L’Italia potrebbe triplicare la sua produzione di gas naturale in pochi mesi. Perché non si è attuato un piano in quel senso?

    Trent’anni fa in Italia erano estratti fino a 20 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno, ma per molteplici ragioni questa cifra si è ridotta a circa un sesto. A fermare lo sviluppo e la produzione nazionale c’è soprattutto il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee), il programma varato dal primo governo Conte come strategia alternativa alle trivelle per l’esplorazione e produzione di metano.

    Simili considerazioni si potrebbero fare riguardo altri Paesi europei.

    Ciò che ci preme rilevare, però, è il fattore principale che ci ha portato a questa situazione, e che abbiamo menzionato all’inizio: la cecità colpevole dei nostri governanti. Questa crisi era perfettamente prevedibile e, quindi, evitabile.

    Già nel lontano 1972, diverse voci autorevoli, tra cui quella di Plinio Corrêa de Oliveira, avvertivano che l’Europa stava imboccando la strada del suicidio energetico, e quindi politico, mettendosi nelle mani dell’URSS per i rifornimenti di petrolio e di gas. “L’Europa è un Achille che di calcagni vulnerabili ne ha non uno bensì due”, scriveva il pensatore cattolico brasiliano nel luglio 1972. E proseguiva: “Un calcagno è il petrolio e il gas di provenienza sovietica nonché dei paesi arabi più o meno comandati da Mosca. Se, da un momento all’altro, la Russia tagliasse il rifornimento di gas e di petrolio, potrebbe paralizzare buona parte dell’industria e dei trasporti in Europa”.

    Plinio Corrêa de Oliveira stava commentando un editoriale del New York Times, scritto da C.L. Sulzberger, nel quale il noto giornalista ammoniva: “È innegabile che l’Europa occidentale sta diventando, in modo sempre più irreversibile, dipendente dalla buona volontà di Mosca per la sua sicurezza e per il suo progresso economico”. Tutto era iniziato nel 1964, col gasdotto Druzhba che, partendo dalla Siberia, riforniva alcuni paesi dell’Europa dell’Est, ma anche Germania e Austria. Nel 1972 era già operativo il sistema di trasferimenti di gas Siberia Occidentale – Europa Occidentale.

    Questa situazione era il risultato della politica di détente nei confronti dell’URSS che, parafrasando Churchill, consisteva nell’alimentare l’orso sperando di essere mangiato per ultimo. Politica rispecchiata poi, in campo ecclesiastico, dalla famigerata ostpolitik. Si cominciava a prospettare il rischio che l’Europa fosse “finlandizzata”, un’espressione del gergo politico di allora per descrivere un paese in una situazione simile a quella della Finlandia, cioè sovrana sulla carta ma del tutto dipendente dall’Unione Sovietica. Mentre i più lungimiranti proponevano un atteggiamento più fermo per proteggere l’Europa, i fautori della détente e dell’ostpolitik consigliavano invece di raddoppiare la razione all’orso...

    Questa dipendenza si aggravò ulteriormente nel 1982 con la costruzione del gasdotto di Yamal, un mega progetto da 45 miliardi di dollari per esportare gas siberiano in Europa occidentale. Plinio Corrêa de Oliveira definì questo gasdotto “un’immensa corda di acciaio con la quale Mosca potrebbe strozzare sia l’Europa occidentale che quella orientale, visto che tutte e due diverranno largamente dipendenti dal gas sovietico per affrontare i rigori dell’inverno”.

    Dagli Stati Uniti, durante varie amministrazioni, sia repubblicane che democratiche, piovvero critiche a questi progetti. Con ragione, gli americani erano preoccupati che la stretta dei legami energetici tra la Russia e l’Europa prefigurasse una crescente dipendenza dell’Unione Europea dal gas russo, e di conseguenza un indebolimento geopolitico del Vecchio Continente a favore di Mosca. Inutile! Per motivi che soltanto gli abitanti del Walhalla politico riescono a capire, i vertici europei scelsero di mettersi al collo la corda di acciaio.

    Via di questo passo, nell’ottobre del 2000 l’Unione Europea siglò una collaborazione energetica col presidente russo Putin per costruire il North European Gas Pipeline, noto anche come North Stream, costato la bellezza di 6,5 miliardi di euro, ovviamente finanziati dall’UE. Con questo, l’Europa nel suo complesso divenne ancor più direttamente dipendente dalle buone relazioni con la Russia per un sicuro approvvigionamento energetico. Non bastassero queste due corde di acciaio attorno al nostro collo, adesso abbiamo anche il North Stream 2.

    Ed eccoci ad affrontare la crisi ucraina all’inizio dell’inverno e, quindi, in una situazione di estrema debolezza, direi quasi di sudditanza.

     

    Attribuzione immagine: ©Lenny K Photography/pxhere, CC BY 2.0.

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  • L’attacco di Putin all’Ucraina

     

     

    Dr. John Lamont*

    Anche se le guerre sono un fenomeno temporale, spesso hanno ripercussioni religiose o suscitano passioni e dispute religiose. L'attacco russo all'Ucraina non fa eccezione. Uno dei suoi effetti religiosi è stato quello di provocare divisioni tra i cattolici. La maggior parte di essi ha sostenuto gli ucraini nella loro autodifesa contro l'invasione.

    Alcuni tradizionalisti cattolici hanno comunque preso le parti dei russi in misura maggiore o minore – di certo fino al punto di sostenere che gli ucraini non dovrebbero ricevere assistenza da altri paesi nella loro lotta contro i russi, un passo che li condannerebbe alla sconfitta. Questo argomento non si inquadra in termini puramente politici.

    La parte filorussa vede gli ucraini come allineati con l'ordine anticristiano che domina l'Occidente, e i russi come difensori del cristianesimo e dei valori tradizionali.

    Ciò rende importante arrivare alla verità della natura di questo conflitto, nei suoi aspetti temporali così come nelle sue inevitabili dimensioni religiose. È quanto cercherà di fare il presente studio.

    Prima dell'attacco russo all'Ucraina, avevo una certa simpatia per la posizione russa su quel paese, per le seguenti ragioni. L'insistenza russa sul fatto che l'Ucraina non entrasse nella NATO sembrava ragionevole.

    La NATO è un'alleanza militare che esiste per opporsi alla Russia. L'adesione ucraina alla NATO porterebbe un'alleanza militare straniera a poche centinaia di chilometri dal Volga.

    Qualsiasi governo russo avrebbe ragione di considerare questo come una minaccia esistenziale, e si opporrebbe con ogni mezzo possibile. Le lamentele russe sull'interferenza straniera illecita nella politica ucraina hanno una base di verità.

    Nel 2014, Viktor Yanukovych, il presidente filorusso dell'Ucraina, fu deposto da una rivolta. Nonostante Yanukovych fosse grottescamente corrotto, era stato legittimamente eletto da una maggioranza sostanziale.

    I dimostranti che lo rovesciarono ebbero un deciso sostegno dagli Stati Uniti, e alcuni dei gruppi più coinvolti nei violenti scontri che portarono alla sua caduta erano neonazisti.

    Quando Putin stava negoziando con il presidente francese Emmanuel Macron sull'Ucraina immediatamente prima della guerra, queste ragioni sembravano indicare che non aveva torto e che le sue richieste dovevano essere accolte. In molti l'hanno detto all'epoca.

    L'attacco russo all'Ucraina ha dimostrato però che Putin aveva giocato una commedia con Macron, e che i suoi simpatizzanti, me compreso, erano stati tutti ingannati. Lo dimostra la strategia dell'attacco russo.

    I russi hanno scelto il piano più ambizioso a loro disposizione; un attacco su più fronti: da nord, est e sud. L'obiettivo di questo attacco era quello di decapitare il governo ucraino, circondare completamente e distruggere le forze armate ucraine, e conquistare l'intero paese tranne la sua regione occidentale.

    Il suo obiettivo non è la neutralizzazione dell'Ucraina, ma la sua conquista.

    Questo si armonizza con la visione russa - espressa chiaramente da Putin, e della maggior parte dei russi - che gli ucraini sono una varietà di russi piuttosto che una nazionalità separata, che l'Ucraina non è uno stato legittimo indipendente dalla Russia, e che l'unione storica di russi e ucraini in un unico stato dovrebbe essere ripristinata.

    La regione occidentale sarebbe stata probabilmente lasciata da parte perché la maggior parte delle risorse del paese sono al di fuori di essa, perché il suo territorio è adatto all'insurrezione, e perché Putin sa che essa mantenne una forte e determinata resistenza armata a Stalin dal 1945 al 1951.

    Una tale unione di Russia e Ucraina, naturalmente, aumenterebbe notevolmente il potere della Russia.

    Le ragionevoli richieste fatte da Putin prima della guerra erano un'abile copertura, progettata per mascherare e facilitare questa guerra di conquista. Il suo obiettivo era quello di usare queste richieste per dividere e confondere le opinioni al di fuori dell'Ucraina e quindi facilitare il suo attacco.

    Una volta raggiunti i suoi obiettivi militari, intende fare il pollice verso all'Occidente e incorporare la maggior parte dell'Ucraina alla Russia. Questo rimane il suo obiettivo.

    L'obiettivo dell'attacco russo, per non parlare dei suoi metodi, mostra che il diritto è dalla parte dell'Ucraina in questa guerra.

    Gli ucraini non vogliono essere governati dai russi. I russi sono nel torto nel cercare di sottometterli e conquistarli con la forza, e gli ucraini, nel resistere, stanno difendendo i loro giusti diritti.

    Gli ucraini non stanno combattendo per George Soros e il Nuovo Ordine Mondiale, come alcuni conservatori assurdamente sostengono. Stanno combattendo per le loro case, le loro famiglie e il loro paese.

    C'è anche da considerare che uno degli obiettivi della guerra russa è la distruzione della Chiesa cattolica ucraina. I russi vedono i cattolici ucraini, con qualche ragione, come un bastione del nazionalismo ucraino, e li descrivono costantemente come fascisti.

    La Chiesa ortodossa russa aiutò Stalin a sopprimere la Chiesa cattolica ucraina nel 1946, un processo che comportò la morte della maggior parte dei vescovi, dei preti e dei religiosi di quella chiesa, davanti al plotone d'esecuzione, o nei Gulag, dopo averli torturati.

    Gli ortodossi russi non hanno mai rinnegato il loro coinvolgimento in questa soppressione né hanno espresso rammarico o pentimento, e aspirano a ripetere l'incorporazione forzata dei cattolici ucraini in una Chiesa ortodossa controllata dai russi; un'iniziativa che concorda con gli obiettivi del governo russo, ed è effettivamente necessaria per la loro realizzazione.

    Se conquistano l'Ucraina, i russi sopprimeranno i cattolici ucraini. Dopo aver conquistato la Crimea nel 2014, hanno represso i cattolici locali. Se i russi prendono Kiev, il patriarca cattolico ucraino Sviatoslav Shevchuk sarà fucilato.

    In senso stretto, la questione della legittimità della guerra non è quindi in dubbio. Gli ucraini hanno ragione e i russi hanno torto. Questa questione non esaurisce però il significato morale, religioso e politico della guerra, che richiede un ulteriore esame.

    Un importante punto di partenza per questo esame è fornito dall'eccellente libro di Dominic Lieven, The End of Tsarist Russia (2015). In esso, Lieven descrive il ruolo dell'Ucraina nella genesi della Prima Guerra mondiale.

    Quelli di noi che associano quella guerra alle battaglie della Somme e Passchendaele si sorprendono quando scoprono che i grandi massacri sul fronte occidentale a cui parteciparono i nostri antenati dipendevano dalle lotte politiche per l'Ucraina.

    All'inizio del XX secolo, lo status della Russia imperiale come grande potenza dipendeva dal suo possesso della ricchezza, delle risorse, dell'industria e della popolazione dell'Ucraina. Il dominio dei Romanov sull'Ucraina era minacciato dal nazionalismo, il cui epicentro sin trovava nella parte occidentale del Paese governato dall'Impero austro-ungarico.

    Il nazionalismo ucraino e la cultura ucraina erano intimamente legati alla Chiesa cattolica ucraina, che era stata completamente soppressa dall'impero russo ma sopravvisse nell'Ucraina governata dall'Austria.

    La minaccia all'Impero posta dal nazionalismo ucraino rese l'elemento conservatore e slavofilo in Russia ostile agli austriaci e pronto ad entrare in guerra contro di loro.

    L'ostilità russa verso l'Austria era controbilanciata dalla paura tedesca causata dalla crescente forza economica russa. Infatti, la crescita della popolazione, della ricchezza, dell'industria e delle conquiste scientifiche russe prima della Prima Guerra Mondiale minacciavano di eclissare l'egemonia tedesca in Europa e di mettere la Germania in una posizione di inferiorità permanente rispetto alla Russia.

    La Germania era quindi pronta ad entrare in guerra contro la Russia mentre l'equilibrio di potere era ancora a suo favore. Da un punto di vista puramente militare, questo era un calcolo sensato. Lieven mostra che le autorità militari russe riferirono all'imperatore nel 1914 che il paese non era pronto per la guerra con la Germania, e che sarebbe stato sconfitto.

    A Nicola II fu detto che il paese non sarebbe stato pronto per la guerra fino al 1917. Tuttavia, non ascoltò questo consiglio, e ciò portò alla sconfitta e alla Rivoluzione russa.

    Il Valdai Club di Putin ha premiato Lieven per il suo lavoro nel 2018, il che indica che Putin è interessato alle sue opinioni sull'Ucraina.

    Il tradizionale interesse russo per il possesso dell'Ucraina è quindi un elemento essenziale in questa guerra.

    E le differenze politiche tra Russia e Ucraina?

    Putin sostiene di cercare la de-nazificazione dell'Ucraina e di condurre la guerra a questo scopo.

    Eventuali elementi fascisti in Ucraina non significano che l'Ucraina sia uno stato fascista o neo-nazista. Il fatto che il presidente ucraino Zelensky sia ebreo lo dimostra, ma non è la considerazione fondamentale. Gli stati fascisti e nazisti hanno una struttura politica distinta.

    Questo include la brutale soppressione di tutta l'opposizione politica e la repressione del dissenso politico; la propaganda e l'indottrinamento sistematici, onnipresenti e disonesti; la glorificazione del capo; l'esaltazione della forza bruta e della potenza militare; il rifiuto di tutti i principi morali, legali o religiosi assoluti in conflitto con il potere, con il controllo dello stato e con le azioni del capo.

    L'Ucraina non ha una tale struttura politica. In Ucraina c'è una vera critica pubblica al governante e una vera competizione per il potere politico, e il popolo ha davvero voce in capitolo su chi lo governa. Ma anche se avesse una tale struttura, ciò non giustificherebbe il tentativo di Putin di invaderla e conquistarla.

    Il proclamato obiettivo di "de-nazificazione" è ancora più infondato e assurdo se si considerano le connessioni russe al neonazismo e al fascismo. Un aspetto di queste connessioni è l'affiliazione neonazista di unità militari collegate alla Russia.

    Infatti, i separatisti filorussi nella regione del Donbass hanno un certo numero di unità neonaziste; "La svastica rotonda a otto punte - "kolovrat" (una svastica neopagana) appariva sui distintivi delle unità di sabotaggio-ricognizione neonaziste "Rusich" e "Ratibor" all'interno del gruppo di risposta rapida "Batman", e del battaglione "Svarozhichi" all'interno della brigata "Oplot"".

    Come il Battaglione Azov (ndt, pro Ucraina), queste unità neonaziste hanno spesso affiliazioni religiose pagane. Yan Petrovsky, un alto ufficiale di Rusich, è un noto neonazista russo. Detta unità russa ha commesso numerose atrocità mentre combatteva in Ucraina.

    La compagnia mercenaria russa "Wagner" è uno strumento centrale dello Stato russo. Viene utilizzata per operazioni militari russe quando un coinvolgimento diretto dell'esercito russo sarebbe politicamente indesiderabile. Il gruppo Wagner ha condotto importanti operazioni in Medio Oriente e in Africa.

    I suoi leader sono noti per le loro simpatie naziste. In accordo con l'ideologia nazista, essi rifiutano in gran parte il cristianesimo a favore del paganesimo, sposando una rinata religione pagana nota come Rodnovery.

    Il nome del gruppo è stato dato dal suo fondatore, Dmitri Utkin, per esprimere la sua ammirazione per Richard Wagner e il Terzo Reich. Utkin si è fatto tatuare sul corpo le insegne delle SS.

    Comunque, la principale connessione tra la Russia e il fascismo è la struttura del sistema politico russo. A differenza dei precedenti governanti russi – per esempio Caterina la Grande o Nicola I - Putin cerca e riceve il sostegno popolare per il suo governo. Ma la forma di sostegno popolare che riceve è quella ricercata dai governanti fascisti.

    Sia Hitler che Mussolini hanno goduto del sostegno popolare per la maggior parte della loro carriera. Putin ha ottenuto il sostegno popolare con tecniche simili a quelle del dittatore tedesco e di quello italiano (i cui metodi ha probabilmente studiato attentamente).

    Queste tecniche avevano quattro componenti: consegna di benefici reali alla massa della popolazione, propaganda onnipresente e indottrinamento a favore del governante e del suo regime, soppressione delle critiche al governante, e soppressione con la forza o la frode di qualsiasi reale opposizione politica. Ed è proprio così che Putin rimane al potere.

    Questa caratteristica del governo di Putin dovrebbe essere tenuta presente dai cattolici e dai conservatori che lo vedono in qualche modo come un difensore dei valori tradizionali o cristiani.

    L'opposizione di Putin all'ideologia gender e LGBT etc. è senza dubbio genuina. Senz’altro ciò non costituisce un segno di impegno cristiano, dato che anche Hitler, Stalin e Mao Tse-tung si sono opposti a queste cose o si sarebbero opposti se le avessero conosciute.

    Bisogna capire però la natura e il significato dell'opposizione di Putin a questa ideologia. È l'opposizione di un male a un altro male che si trova all'estremo opposto. L'ideologia gender nega completamente la virilità. Le azioni e l'ideologia di Putin scaturiscono invece da una mascolinità distorta in una forma malvagia che prende le caratteristiche maschili dell’aggressività e dell’affermazione per pervertirle in un estremo di brutalità e spietata crudeltà.

    La somiglianza tra Putin e il cattivo di un film di James Bond è stata spesso sottolineata. Il paragone si basa sul fatto che Putin era un agente del KGB negli anni '70 e '80, per il quale il cattivo sarebbe stato James Bond piuttosto che i suoi avversari.

    Non si riconosce mai abbastanza lo squallore e la mancanza di valore che caratterizza la maggior parte dei crimini di Putin. Le operazioni militari che ha iniziato si servono sistematicamente di attacchi contro obiettivi civili per produrre terrore e spezzare la volontà della popolazione che sta attaccando.

    L'analista militare austriaco Tom Cooper osserva: "In Siria, la VKS (forza aerea russa) ha colpito oltre 100 strutture mediche, la maggior parte di queste 3-4 volte, per un totale di 492 attacchi aerei registrati su strutture mediche.... Nella Siria del settembre 2015, gli insorti hanno segnalato degli ospedali nelle aree da loro tenute, fornendo coordinate precise, aspettandosi che i VKS le evitassero. I russi hanno bombardato ogni singolo ospedale in questione, e poi hanno lanciato una campagna diffamatoria contro i Caschi Bianchi, bollandoli come "jihadisti". Quando gli insorti hanno cominciato a nascondere i loro ospedali, i russi in qualche modo hanno ottenuto le coordinate di questi (probabilmente corrompendo qualcuno all'ONU), e hanno bombardato anche questi. Senza eccezioni".

    Gli aerei russi in Siria spesso bombardavano un obiettivo civile, poi tornavano a bombardare i civili e i soccorritori che venivano in aiuto delle vittime del primo bombardamento.

    Cooper osserva: "In Ucraina finora, [l'aviazione russa] ha colpito 18 strutture mediche. Perché questo è il modo russo di combattere le guerre. Fa parte della strategia che mira a diffondere il terrore, spezzare il morale e spingere i civili a fuggire".

    L'incompatibilità tra la tecnica di guerra di Putin e i valori cristiani non ha bisogno di essere sottolineata. Si tratta di un ritorno a standard pagani di crudeltà e disumanità che prende la sua forma più aperta nell'impiego da parte dei russi di soldati neonazisti e pagani, ma che pervade tutte le azioni militari di Putin.

    Putin si comporta in modo irrazionale?

    Alcuni commentatori, come Timothy Snyder, hanno affermato che Putin ha tralasciato la razionalità nel suo attacco all'Ucraina. Ma questa non è un'affermazione plausibile, e sembra nascere da una sorta di wishful thinking (ndt, desiderio scambiato per la realtà), cioè, l'idea che una persona razionale non pianifichi l'invasione di una nazione che non l’ha provocata e il massacro o l'esilio di gran parte dei suoi abitanti.

    La storia, purtroppo, mostra la falsità di questa idea. La valutazione che fa Putin del valore e dell'importanza strategica dell'Ucraina corrisponde a quella della Russia imperiale nel 1914, ed è basata sui fatti.

    C'è una consistente popolazione russofona in Ucraina, che (prima dell'invasione) guardava con favore a legami più stretti con la Russia ed era ostile al nazionalismo ucraino.

    Il governo ucraino era corrotto e inefficace, e il PIL pro capite del Paese molto inferiore a quello della Russia. Se l'Ucraina è stata incorporata in uno stato russo per la maggior parte della sua storia, perché non dovrebbe essere di nuovo possibile?

    Se il piano militare di Putin avesse funzionato, rovesciando il governo ucraino e neutralizzando l'esercito ucraino in pochi giorni senza grande spargimento di sangue o rovina (che era senza dubbio l'obiettivo del piano), è abbastanza possibile che sarebbe riuscito ad assorbire la maggior parte dell'Ucraina.

    Questa sarebbe stata una grande vittoria per la Russia, e avrebbe cambiato in modo decisivo l'equilibrio di potere in Europa a suo favore.

    In retrospettiva, l'errore fondamentale di Putin è stata la sua guerra nel Donbass dal marzo 2014 in poi. Questa guerra ha creato una situazione per cui il suo piano per l'Ucraina non poteva avere successo.

    Nel febbraio 2014, i russi conquistarono la Crimea con un colpo di stato spettacolare e quasi incruento. L'esercito ucraino non oppose alcuna resistenza efficace, e un gran numero di ufficiali ucraini disertò in favore della Russia.

    I russi in seguito hanno fomentato attacchi armati nella regione del Donbass nell'est dell'Ucraina. Gruppi militari filorussi composti da locali e soldati russi hanno occupato parte del Donbass e hanno portato avanti una guerra con l'esercito ucraino. Di conseguenza, quasi 400.000 ucraini hanno finito per arruolarsi al fine di combattere i russi nel Donbass.

    Questo ha fornito agli ucraini sia l'esperienza militare nel combattere i russi che un esercito solidamente impegnato a resistere ai loro attacchi. I paesi occidentali hanno fornito finanziamenti per costruire l'esercito ucraino, e il maggior contributo in questo senso è stato dato da Donald Trump. Obama aveva rifiutato di inviare armamenti letali all'Ucraina, ma Trump ha invertito questa politica.

    Ciò ha aumentato notevolmente l'efficacia dell'esercito ucraino, che poteva contare su circa 140.000 soldati prima dell'attacco russo del 2022. Il gran numero di veterani ucraini del conflitto del Donbass rende disponibile una riserva addestrata di centinaia di migliaia di uomini. Tutti questi fattori messi insieme hanno fatto sì che l'attacco iniziale russo all'Ucraina non sia stato in grado di raggiungere i suoi obiettivi.

    Gli ucraini hanno richiamato le loro riserve e il loro esercito è ora stimato in circa 300.000 uomini. L'Occidente sta fornendo loro armi e munizioni sofisticate e continueranno a riceverle finché resteranno sul campo. L'Occidente fornisce loro anche informazioni militari sulle forze russe.

    Di conseguenza Putin non può vincere la guerra con le truppe che ha impegnato nell'invasione. Per sconfiggere l'esercito ucraino e occupare il paese, dovrebbe mobilitare e impegnare la maggior parte della forza dell'esercito russo nella guerra in Ucraina.

    Il costo politico della mobilitazione di massa e le perdite derivanti dalla guerra e dall'occupazione sarebbero più di quanto egli possa permettersi. Anche il costo economico sarebbe insostenibile. Combattimenti selvaggi come quelli di Stalingrado sono già in corso a Mariupol. [Nota: questo pezzo è stato scritto circa una settimana fa; la città è caduta in mano ai russi].

    Il progetto di attaccare Kiev nel modo in cui i tedeschi attaccarono Stalingrado, e di subire l'enorme tributo di morte che ne deriverebbe, è un progetto che molti, se non la maggior parte dei russi, considereranno folle.

    L'handicap fondamentale di Putin come governante è che le sue capacità intellettuali e la sua razionalità, pur essendo eccezionali sotto alcuni aspetti, sono limitate. È bravo nel freddo calcolo delle probabilità, nell'aggirare, corrompere, capovolgendo o distorcendo i fattori conosciuti. Ma la guerra va oltre il regno dei fattori conosciuti, perché provoca spostamenti sismici, cambiamenti imprevedibili che alterano il paesaggio oltre l’immaginabile e oltre le conoscenze riconosciute.

    La guerra è il caos.

    Le abilità che Putin possiede non servono molto in tali circostanze. L'unica cosa che serve come guida in guerra è una profonda conoscenza della storia. Il passato sovietico di Putin però gli impedisce di avere questa conoscenza. In linea con la visione sovietica, egli vede la storia come qualcosa da modellare e utilizzare per i propri scopi.

    Ma per chi vuole dirigere efficacemente uno Stato, la storia è un padrone, non un servo. Putin non accetta questo padrone. Questo non vuol dire che molte delle lezioni che la storia insegna sull'attacco di Putin all'Ucraina non siano evidenti, ma ora per Putin è troppo tardi per trarne vantaggio.

    Prima dell'invasione tedesca del 1941, Stalin aveva preso la precauzione di uccidere più dei suoi stessi cittadini di quanto Hitler avrebbe mai fatto, riducendo la popolazione dell'URSS a uno stato di terrorizzante e folle asservimento.

    Questo gli lasciò un comodo margine di manovra per quanto riguardava il sostegno popolare al suo regime, permettendogli di cavarsela con la perdita di quasi tutto l'esercito prebellico di 4 milioni di uomini in sei mesi e di mantenere comunque il potere.

    Il sostegno popolare a Putin, anche se solido, non è di questo calibro. Fondamentalmente, esso si basa su effettivi benefici per la popolazione russa, ma non è chiaro come possa sopravvivere al collasso economico e al sanguinoso stallo della guerra.

    Stalin beneficiò anche del sostegno economico degli Stati Uniti, senza il quale sarebbe stato certamente sconfitto. Putin si trova nella posizione opposta; gli americani stanno sostenendo i suoi avversari, fornendo loro armi moderne che sono più letali e molto più costose delle armi dei tempi di Stalin.

    La capacità della Russia di tenere il passo con questa fornitura di armi è discutibile. Per molti versi la situazione di Putin è analoga a quella di Nicola II, che combatteva per l'Ucraina con una base economica insufficiente e un sostegno popolare vulnerabile; un parallelo che molti commentatori hanno tracciato. Anche la dichiarazione di guerra della Russia imperiale alla Germania nel 1914 fu accolta con un sostegno popolare maggioritario in Russia.

    La storia mostra anche che l'Ucraina non è un paese su cui è conveniente usare i metodi militari russi. Ben 4,5 milioni di ucraini furono fatti morire di fame volutamente da Stalin nei primi anni '30. E durante la Seconda Guerra Mondiale gli ucraini hanno avuto più morti dei russi.

    Anche se l'Ucraina fu interamente occupata dai tedeschi, i soldati ucraini diedero comunque un contributo enorme e decisivo alla vittoria sovietica dell'Armata Rossa.

    Le tecniche di terrore attraverso l'omicidio di massa dei civili furono usate dai tedeschi sugli ucraini in misura molto maggiore di quanto Putin abbia fatto o potrà fare.

    Molte delle battaglie più brutali della guerra furono combattute in Ucraina. Ci furono quattro grandi battaglie di Kharkov nella Seconda Guerra Mondiale, che ora è (con il suo nome ucraino di Kharkhiv) la scena di una quinta.

    Gli ucraini sanno cosa sta facendo Putin, hanno già visto il film. Anche gli ucraini di lingua russa che prima erano favorevoli alla Russia si sono dimostrati leali all'Ucraina, come risultato dell'esperienza già vissuta con l’approccio bellico della Wehrmacht – attacco con colonne di carri armati e bombardamento indiscriminato delle città – questa volta per le mani dell'esercito russo.

    Gli ucraini sanno quanto costerà resistere con successo a Putin, e sono disposti a pagare quel costo; non vorranno neppure avvicinarsi a quello che hanno dovuto subire in passato.

    La nostra analisi ha dimostrato che l'attacco russo all'Ucraina nasce dalle dinamiche della storia russa. C'è un'ultima lezione da trarre da questa storia. Per Nicola II, il possesso dell'Ucraina era essenziale per la Russia se voleva essere una grande potenza. Questo perché i limiti della tecnologia, dell'industria e soprattutto dei metodi di produzione alimentare prima della Prima Guerra Mondiale rendevano impossibile per la Russia competere con le altre potenze mondiali senza l'Ucraina.

    Oggi non è più così. La Russia senza l'Ucraina rimane di gran lunga il paese più grande del mondo, e di conseguenza è molto più ricco di risorse naturali di qualsiasi altro paese. Ha una popolazione ben istruita e di talento.

    I limiti alla crescita della ricchezza e della popolazione imposti dalla tecnologia e dai metodi di produzione alimentare nel 1914 non esistono più.

    Il principale limite alla crescita e alla potenza russa è il suo assetto politico e culturale, dove un governante dispotico siede a capo di un sistema economico e politico quasi inimmaginabilmente corrotto, e usa il conflitto con i nemici esterni per solidificare il suo controllo e ottenere sacrifici e fedeltà dalla popolazione.

    Lo spreco, il saccheggio, l'inefficienza e lo scoraggiamento risultanti da questo sistema sono sbalorditivi e impediscono alla Russia di mettere in atto il suo potenziale.

    Fino ad ora, Putin si è mantenuto a capo di questo secolare sistema politico con destrezza e abilità. La sua invasione dell'Ucraina aveva lo scopo di ripristinare nel modo tradizionale il potere e l'influenza russe, preservando e rafforzando il suo classico sistema politico.

    Il fallimento dell’invasione è stato per lui, personalmente, un passo falso fatale. Se contribuirà a provocare una rinascita spirituale e morale in Russia, potrebbe rivelarsi fatale anche per il sistema classico russo.

    C'è da sperare che l'imminente consacrazione della Russia e dell'Ucraina al Cuore Immacolato di Maria porti ad una tale rinascita. [Nota: Questo saggio è stato scritto prima della Consacrazione eseguita il 25 marzo a Roma e in tutto il mondo]. 

    *Il dott. John Lamont è ricercatore dell’Università Cattolica di Australia nella Facoltà di Teologia e Filosofia. È autore di diversi libri e saggi, fra i quali Defending the Faith against Present Heresies (Ontario 2021), Divine Faith (Londra, Ashgate 2004), The Existence of God, Maryvale Institute, Birmingham 2005).

     

    Fonte: Rorate Caeli, 22 Marzo 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

    © La produzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte.  

  • Nota dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira sull’invasione dell’Ucraina

     

     

    L'Istituto Plinio Corrêa de Oliveira (IPCO) esprime la sua indignazione per la grave e ingiusta aggressione della Russia contro la nobile nazione ucraina, che coraggiosamente è riuscita a liberarsi dal giogo sovietico, ispirata dalle figure eroiche dell'Esarca Leonid Feodorov, del Metropolita Andrej Sheptytsky e del Cardinale Josyf Slipyi.

    L'IPCO invita i cattolici del Brasile a pregare la Madonna affinché protegga il popolo ucraino e specialmente la numerosa, eroica e crescente comunità cattolica. In particolare affinché Ella compia quanto annunciato nelle sue apparizioni al villaggio di Hrushev nel 1914 e nel 1987, cioè che l'Ucraina avrebbe sofferto terribilmente come nazione, ma che alla fine sarebbe diventata "uno stato indipendente".

    Questa nuova aggressione contro una nazione indipendente, violando tutti i trattati internazionali firmati dal Cremlino, che mette in serio pericolo la pace in Europa e nel resto del mondo, dimostra che la Russia è ancora lontana dall'essersi convertita dai suoi errori. Questa constatazione rende indispensabile che la richiesta fatta dalla Madonna a Suor Lucia sia finalmente realizzata. Cioè, che il Papa e i vescovi di tutto il mondo consacrino la Russia al Cuore Immacolato di Maria, perché solo una tale consacrazione renderà possibile la conversione della Russia e, di conseguenza, il ritorno della pace nel mondo.

    Altrimenti, i castighi annunciati dalla Madonna a Fatima - e in particolare il flagello di guerre ancora più devastanti - saranno prolungati indefinitamente dalla nostra negligenza nell'ascoltare le sue richieste di conversione e penitenza.

     

    San Paolo, 24 febbraio 2022.

    Istituto Plinio Corrêa de Oliveira

     

    Fonte:Agência Boa Imprensa, 25 Febbraio 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia

    © La riproduzione è autorizzata a condizione che venga citata la fonte. 

  • Russia, isola della salvezza?

     

     

    di Samuele Maniscalco

    Le molte crisi che scuotono il mondo odierno costituiscono soltanto molteplici aspetti di un'unica crisi fondamentale che ha come specifico campo d'azione l'uomo stesso. In altri termini, “queste crisi hanno la loro radice nei problemi più profondi dell'anima, e da qui si estendono a tutti gli aspetti della personalità dell'uomo contemporaneo e a tutte le sue attività”[1].

    Se non si parte da questa chiave di lettura, qualsiasi analisi dei fatti odierni tenderà a trasformarsi in uno scontro tra tifoserie disposte a chiudere gli occhi sui difetti dei propri beniamini ma a vederne di ogni sorta in chi viene percepito come avversario.

    Questa crisi tocca, sì, principalmente l'uomo occidentale e cristiano, ma anche gli altri popoli, “nella misura in cui il mondo occidentale si estende a essi e in essi ha affondato le sue radici. Presso questi popoli tale crisi si aggrava sommandosi ai problemi propri delle rispettive culture e civiltà e si complica per l'urto tra queste e gli elementi positivi e negativi della cultura e della civiltà occidentali”[2].

    Detta in soldoni, niente e nessuno sfugge alla furia distruttrice di questa crisi plurisecolare. Non esistono isole felici. Al massimo, possono esistere paesi/popoli fermi a una tappa antecedente di tale processo ma comunque in cammino verso la sua piena realizzazione.

    Per quanto profondi siano i fattori di diversificazione di questa crisi nei vari paesi del mondo odierno, essa conserva, sempre, cinque caratteri essenziali:

    1. È universale. Oggi non vi è popolo che non ne sia colpito, in misura maggiore o minore.

    2. È una. Non si tratta cioè di un insieme di crisi che si sviluppano in modo parallelo e autonomo in ogni paese.

    3. È totale. Considerata in un dato paese, essa si estende a tutti i domini dell'azione dell'uomo.

    4. È dominante. È come una regina a cui tutte le forze del caos servono come strumenti efficaci e docili.

    5. È un processo. Non è un fatto straordinario e isolato. Costituisce, anzi, un lungo sistema di cause ed effetti che vanno producendo successive convulsioni.

    Influenzata e condizionata in sensi diversi, da fattori esterni di ogni tipo e seguendo a volte vie molto sinuose, essa tuttavia continua a procedere incessantemente verso il suo tragico fine[3].

     

    Perché questa premessa?

    Se tutto quello che abbiamo scritto sinora ha un qualche senso per il lettore, allora questo stesso converrà che, così come l’Europa – o gli Stati Uniti se preferisce – anche la Russia è stata investita e tutt’ora lo è da questa crisi globale di valori.

    “Il fenomeno della secolarizzazione in Russia ha delle peculiarità che lo differenziano da quello occidentale”, scrive mons. Paolo Pezzi, arcivescovo dell’Arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, nel libro La piccola Chiesa nella Grande Russia(Edizioni Ares). “A cominciare dalla tendenza a mettere in risalto l’apparenza rispetto alla sostanza, con il rischio di nascondere i problemi che nascono. Nella società secolarizzata russa l’elemento religioso mantiene una certa forza e attrazione, ma è molto distaccato dalla vita. Non è necessariamente combattuto. Si tende piuttosto a considerarlo inutile, ininfluente, o perlomeno a ridurne il più possibile l’influenza sull’esistenza quotidiana”[4].

    Partire da questa consapevolezza è fondamentale. Oggi si sentono infatti molti voci interne al mondo cattolico che dipingono la Russia come una roccaforte dei valori cristiani, o che almeno lo stia diventando sempre di più sotto una leadership che governa con fermezza da oltre due decadi.

    Ma quali valori, di preciso? Intervistata a tal proposito[5], la dott.ssa Marta Carletti dell’Asta[6] ha parlato di una concezione “paganeggiante” della religione da parte del potere politico:

    "Facciamo un esempio recente, il 4 febbraio si è concluso l’iter di un decreto presidenziale, che attende ancora la firma definitiva, sui “valori tradizionali a fondamento dello Stato russo”. Questo documento è molto indicativo. Elenca una serie di valori su cui si fonderebbe la Russia, come “patriottismo”, “lavoro costruttivo”, dando l’immagine di uno Stato etico, in cui è prescritto a norma di legge che il cittadino debba essere onesto, generoso e patriottico. In questo elenco figurano gli “alti valori spirituali” ma senza mai nominare Dio, né alcuna confessione religiosa. Si tratta dunque di un uso strumentale di questi valori, definiti “tradizionali” ma che non hanno più un legame specifico col cristianesimo. In questo modo la religione viene usata all’occorrenza, come mero braccio spirituale del potere politico".

    Del resto, tra i valori tradizionali della Federazione Russia potrebbero essere inseriti anche quelli afferenti il mondo della stregoneria per i quali, secondo dati del Ministero della Salute russo citati dal Moscow Times, più di 800.000 russi avrebbero fornito servizi come guaritori, medium, veggenti, tra le altre attività del genere, nel 2017[7].

    Un opinionista di sinistra come Antonio Polito ha colto a suo modo uno dei motivi per cui frange delle nostre società occidentali simpatizzano per l’attuale Russia: sono “stanche di sentirsi ingranaggi nel «meccanismo» della modernità (…) fatta di tecnica, scienza, finanza e democrazia; e hanno invece nostalgia di un mondo fondato sulla comunità, sulla sua unità spirituale e mistica”[8].

    C’è nostalgia, in fondo, della casa del Padre. Ma come nella parabola del figliol prodigo, le masse di oggi sono tutt’ora intente a cibarsi delle carrube dei porci non avendo il coraggio e l’umiltà di riconoscersi in errore e debitori di un Dio che li ha creati.

    Fintanto che l’uomo contemporaneo continuerà a contendersi il cibo con i maiali, sarà sempre attratto dalle sirene di false alternative.

    Se ai tempi dell’Unione Sovietica la Russia era dipinta dalla sinistra di tutto il mondo come il paradiso dei lavoratori, il famoso “socialismo reale”, cioè l’ideologia socialista realizzata concretamente e storicamente, oggi, una parte del mondo conservatore in Occidente, stanca della modernità secolarizzata, tende a vedere la “cristianità reale” - ossia la vita vissuta intorno ai valori della tradizione cristiana - in una Federazione Russa che invoca il suo passato religioso.

     

    Ma è così?

    A causa dell’elevato numeri di aborti, la Russia è oggi un paese in preda a un grave calo di popolazione. Nonostante il loro numero sia decresciuto nel tempo, anche per via del calo demografico della fascia in età fertile, le cifre sono rimaste alte: nel 1994 3 milioni, nel 2000 2,11 milioni, nel 2010 1,18 milioni e nel 2020 poco più di 553.000[9].

    In rapporto al numero della popolazione totale il trend attuale sembrerebbe più o meno lo stesso di quello dei paesi dell’Europa occidentale. Non è esattamente così, perché le cifre officiali non tengono conto degli aborti praticati nei centri privati o di quelli chimici ma, se anche lo fosse, allora dovremmo porci una prima questione: in tema di aborto, né a livello delle leggi permissive né della pratica sociale, si vede una presunta superiorità morale della società russa.

    Di più. Putin governa praticamente da oltre un ventennio con poteri inesistenti nelle democrazie liberali. La statistica dice che non si è fatto granché in tutto questo lasso di tempo per debellare questo mostruoso male che colpisce, certo, non solo la Russia, ma tutto il mondo secolarizzato.

    Ma c’è di più. In realtà, a differenza di quanto per esempio vige in Polonia da qualche anno e più recentemente in alcuni stati americani, dove l’aborto è chiaramente ostacolato, la Russia ha ulteriormente regolamentato la pratica, confermandola nei fatti.

    Il 1 novembre del 2011, il Parlamento russo, controllato dal partito del presidente, Russia Unita, che nelle elezioni del 2008 aveva conseguito il 71,25% dei voti, approvò la cosiddetta Legge Federale del 21 novembre del 2011 N 323-FZ “Sui fondamenti della protezione della salute dei cittadini nella Federazione Russa”[10].

    Questa legge non parla mai di "aborto" ma di "interruzione artificiale della gravidanza", un crudo eufemismo in linea con la lobby abortista del mondo occidentale, che così cerca di mascherare questo crimine. L'articolo 56 recita al punto 1: “Ogni donna decide autonomamente sulla questione della maternità. L'interruzione artificiale della gravidanza viene eseguita su richiesta della donna con il consenso informato volontario”.

    Il punto 2 del sopramenzionato articolo stabilisce il termine generale per uccidere legalmente il nascituro: "L'interruzione artificiale della gravidanza su richiesta della donna si realizza ad un'età gestazionale fino a dodici settimane».

    Ma c'è un trucco: il punto 4 di quest’articolo introduce una scappatoia legale che consente l'aborto fino a 22 settimane o anche fino alla fine della gravidanza: «L'interruzione artificiale della gravidanza per motivi sociali si compie a un'età gestazionale fino alle ventidue settimane, e in presenza di indicazioni mediche, indipendentemente dall'età gestazionale”.

    In altre parole, basta che una madre affermi qualcosa di vago come presunte "ragioni sociali" per poter abortire fino al 5° mese di gravidanza, e se un medico lo consente, anche fino al momento prima del parto.

    Qualsiasi partito abortista della più liberale delle democrazie sottoscriverebbe una simile legge senza battere ciglio. Basterebbe questo a dimostrare che non esiste in Russia un serio sforzo politico per eliminare questa piaga.

    Andiamo comunque avanti parlando di un'altra mostruosità di cui in questi giorni si è giustamente detto come l’Ucraina ne sia una delle fucine: la pratica dell’utero in affitto.

    In Russia, la materia venne regolamentata ancora prima che in Ucraina (1° gennaio 2013) da una legge entrata in vigore il 1° gennaio 2012, cioè quando Presidente della Federazione era Medvedev, mentre Putin rivestiva la carica di Premier. Ma a nessuno sfugge che, nei fatti, il mandato del primo era ampiamente condizionato dal secondo, vero uomo forte del Paese. 

    Sotto il titolo «Basi della protezione della salute dei cittadini della Federazione Russa», la legge al punto 10, articolo 55, spiega che «madre surrogata può essere una donna dai 20 ai 35 anni che abbia almeno un figlio sano proprio, che dimostri con una documentazione medica il buono stato della sua salute. Una donna sposata può essere madre surrogata solo col consenso scritto del marito».

    La legge federale stabilisce che a servirsi di madri in affitto possono essere coppie sposate, madri sole e anche uomini soli che possono "affittare" il grembo di una donna, mentre vige formalmente il divieto per le coppie omosessuali[11].

    A questo punto, qualcuno potrebbe dire: “almeno loro vietano alle coppie omosessuali di servirsi di questa pratica ignominiosa!”. Vero – almeno sulla carta – ma questo singolo punto non può certo bastare ad innalzare un governo a difensore della Cristianità, altrimenti oggi dovremmo pensare lo stesso dell’hitlerismo e dello stalinismo per avere varato misure contro l’aborto…

     

    Dugin: “la Russia non è l’isola della salvezza”

    Chi legge l’attuale momento storico come uno scontro tra Liberalismo e Tradizione, difficilmente potrà negare le parole di uno degli intellettuali russi più citati in Italia – molto più qui che in Russia, per la verità – e ritenuto uno degli ideologi di riferimento di Putin.

    Parliamo di Aleksandr Dugin, secondo cui “non si può sostenere che la Russia moderna di Putin sia rappresentante di una tradizione. No, ahimè, non lo è”[12].

    Lo stesso, in una lunga intervista ad ampio spettro, ha del resto descritto molto bene la decadenza morale del suo Paese:

    “[…] dal punto di vista occidentale, può sembrare che Putin sia un conservatore integrale e che la Russia sia conservatrice, ma se si guarda la cosa più da vicino vediamo che non è certamente così. La nostra élite intellettuale va verso i valori occidentali: la teoria gender, il femminismo, l’influenza nel cinema, nel teatro, etc. […] i valori occidentali liberali purtroppo prevalgono tra i giovani. […] È uno dei problemi più grandi della Russia di oggi: siamo poco lontani dagli esempi più disgustosi della cultura occidentale, cioè di quello che è diventata”.

    Parole inconfutabili alle quali si aggiungono quelle sulla situazione dell’educazione scolastica. Sembra di leggere di qualche paese dell’Unione Europea:

    “[…] la maggior parte degli insegnanti ha avuto una formazione sovietica e dunque anche se non sono più marxisti, sono comunque dei materialisti che non hanno mai dato molto peso ai valori spirituali. Questo materialismo che già dava troppa poca importanza ai valori spirituali, è stato poi peggiorato molto dal liberalismo degli anni ‘90 che ha annientato qualsiasi valore spirituale residuo: quasi tutti i nostri professori e insegnanti è come se fossero diventati dei mostri. […] Proprio per questo, Putin non ha nemmeno toccato il campo dell’educazione: perché queste sono le posizioni di quasi tutti i professori. […] Inoltre, nel nostro sistema educativo è arrivato il pensiero occidentale LGBTQI+, di genere, Transgender etc”.

    Si potrebbe arguire che Putin non sia responsabile della situazione della pedagogia in Russia ereditata dal passato. Il fatto è che, pur essendo un uomo potentissimo che ha operato con estrema energia in Cecenia, in Georgia, in Siria e ora in Ucraina, non si capisce perché “non ha nemmeno toccato il campo dell’educazione”, che porta gli studenti russi a quei tanto denunciati modelli decadenti e che mette a rischio molto di più il futuro del Paese che una qualsiasi potenza straniera.

    Dunque, secondo Dugin, i giovani sono purtroppo allo sfascio. Forse si salvano gli adulti:

    “[…] Quando i giovani di oggi guardano i loro genitori vedono spesso dei manager o dei banditi, e tanti divorziati: valori in decomposizione. Persone depravate, degenerate, corrotte e pervertite. E loro non possono essere un esempio positivo per i giovani. Per questo, la nostra società attraversa così tanti problemi. Mancano figure che possano essere d’esempio, sia nella vita privata che in quella pubblica, così come nella cultura.  

    […] i giovani tendono ad abbandonare la loro individualità per divenire parte di una rete neurale globale basata sulla tecnologia. Si omologano alla tecnologia, perdendo così la loro capacità di essere individui. […] Ecco che scompare l’idea della crescita personale positiva: tutti rimangono dei banditi e dei depravati e si preparano a far parte di una società post umanistica e virtuale.

    […] In Russia abbiamo ancora dei valori, ma non è l’isola della salvezza. Non siamo ancora al nulla dell’Europa e degli Stati Uniti ma ci stiamo muovendo in questa direzione. Non siamo su una strada diversa dall’Occidente, è soltanto una questione di velocità: noi andiamo più lenti. Nessuno si occupa dei nostri giovani. Nemmeno Putin, che è l’unico ad avere l’ultima parola”[13].

    Come si vede, Dugin responsabilizza personalmente Putin, l’uomo che ha “l’ultima parola”, di non preoccuparsi di questi malanni così seri che colpiscono una società russa che egli governa senza reale opposizione. Orbene, insistiamo, non sarebbe il caso di rivolgere l’attenzione a queste problematiche anziché di muovere guerre contro i vicini?  

    Insomma, come abbiamo cercato di dire sin dall’inizio dell’articolo, e lo stesso Dugin lo conferma, la Russia non è su una strada diversa dall’Occidente, si tratta appena di una questione di diverse velocità nello stesso percorso di secolarizzazione rivoluzionaria. Allo stato attuale, non ha senso proporla come alternativa valida all’auto-cancellazione dell’Occidente.

    E poi c’è un problema non da poco: da parte di questa grande nazione, a livello ufficiale, non sono state riconosciute le conseguenze disastrose di sette decadi di bolscevismo, sia sul piano nazionale che mondiale. Un giudizio approfondito di quel periodo estremamente cupo della propria storia continua a latitare, anzi, è ostacolato e addirittura proibito, come ha recentemente dimostrato la chiusura definitiva dell’associazione Memorial Internazionale da parte della Corte Suprema russa il 28 febbraio scorso, pochi giorni dopo l’inizio della guerra.  

     

    Note

    [1] Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Parte I, Capitolo I.

    [2] Idem ibidem, Parte I, Capitolo II.

    [3] Cfr. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Parte I, Capitolo III.

    [4] Matteo Matzuzzi, La piccola Chiesa di Russia, Il Foglio – 9 aprile 2022

    [5] Intervista a cura di Stefano Magni, Ecco perché Putin vuole conquistare l'Ucraina. E la religione è un pretesto, La Nuova Bussola Quotidiana, 24 febbraio 2022.

    [6] Ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana e specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico e direttore responsabile della rivista La Nuova Europa.

    [7] Vedi CNN News – Brasil, 10 febbraio 2019.

    [8] Antonio Polito, Le idee Contro, Corriere della Sera – 18 marzo 2022.

    [9] Vedi Number of abortions in Russia from 2000 to 2020.

    [10] Vedi Федеральный закон от 21 ноября 2011 г. N 323-ФЗ "Об основах охраны здоровья граждан в Российской Федерации".

    [11] Cfr. Giovanni Bensi, IL MERCATO DEI FIGLI. Utero in affitto il traffico russo, Avvenire 7 agosto 2013.

    [12] Intervista a cura di Francesco Borgonovo, «È una guerra alle oligarchie mondiali», La Verità – 21 Marzo 2022.

    [13] Intervista a cura di Jacopo Brogi e Alessandro Fanetti, ALEKSANDR DUGIN: “IL GRANDE RESET È FALLITO. È L’ORA DEL GRANDE RISVEGLIO”, Come Don Chisciotte – 27 gennaio 2022.

     

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