società organica

  • Cosa succede quando il mondo del consumo immediato si rompe?

     

     

    di John Horvat

    I consumatori sono abituati da tempo a ottenere ciò che vogliono quando lo vogliono. La frenetica intemperanza di avere tutto istantaneamente e senza sforzo definisce la società dei consumi. I produttori soddisfano le aspettative immediate organizzando linee di fornitura, senza soluzione di continuità, a livello mondiale, che portano tutto a destinazione in tempi rapidissimi.

    Questo mondo di gratificazione istantanea sta crollando. Improvvisamente i consumatori affrontano l'inimmaginabile prospettiva di sentirsi dire che un prodotto non è disponibile perché non c’è stoccaggio. E nessuno sa quando o se arriverà.

    Il colpevole è un minuscolo virus. La crisi del COVID sta rimescolando le vaste reti globali interdipendenti del mondo nel campo delle comunicazioni, dei trasporti, delle spedizioni, della finanza e in molti altri campi. Queste reti consentono a quantità prodigiose di merci di inondare i mercati mondiali. Tuttavia, questi stessi sistemi sono ora fonte di enorme fragilità. E il mondo non sa come affrontarla.

     

    Un'enorme fragilità e un difetto morale

    Questo crollo non è un problema logistico ma morale che riflette un sistema squilibrato. Nella ricerca dell'accessibilità istantanea al prodotto, il mondo ha costruito un Frankenstein che può voltarsi contro il suo padrone. L'intemperanza di un mondo che vuole tutto e subito mette a nudo l'imprudenza di un sistema di produzione senza restrizioni morali andato fuori strada.

    La situazione è aggravata poi da consumatori non abituati a sentirsi dire di no. La domanda è forte ma la voglia di sacrificio è debole. Ci sono poche alternative locali per sostituire fornitori lontani. La nuova normalità non è più "vedere e comprare" ma "aspettare e vedere".

     

    Un sistema interconnesso con poco margine di errore

    Le reti globali colpite dal COVID ora soffrono di tre problemi principali che minacciano di far crollare il sistema. Il primo problema è un ordine mondiale diventato così interconnesso, che opera così strettamente sincronizzato e muove le cose così rapidamente, che finisce per lasciare poco margine di errore. Il minimo scoordinamento, disastro naturale o errore umano ha effetti disastrosi sull'insieme. Un mondo vulnerabile con punti di cortocircuito nevralgici, dagli stretti geografici alle catene di approvvigionamento alle reti elettriche, può far sì che si perda l'equilibrio in un istante.

    In effetti, il mondo ora è fuori sincrono. Ogni nuova ondata di COVID fa singhiozzare il sistema. La delicata ragnatela che portava ogni cosa laddove era richiesta è ormai sconnessa. L'inventario e i processi di produzione veloci che governano l’industria manifatturiera stanno crollando perché nessuno possiede gli “stock” di riserva. La carenza di chip per computer, ad esempio, sta chiudendo le linee di assemblaggio di automobili. I programmi di produzione funzionano male, mettendo in crisi fabbriche, moli, magazzini, camion e navi per portare le merci a destinazione quando diventano disponibili.

    Le grandi catene di approvvigionamento, specialmente quelle della Cina comunista, sono sopraffatte da questi problemi. Il trasporto merci internazionale a basso costo è un pilastro da cui dipende così tanto il commercio. Il prezzo delle spedizioni via Oceano Pacifico è aumentato di dieci volte mentre le aziende faticano a trovare spazio per container nei porti. L'imprevedibilità delle forniture sta mettendo in discussione un modello distorto a lungo in vigore.

     

    Complessità del prodotto

    Anche la complessità dei prodotti sta mettendo a dura prova l'economia COVID. I produttori non utilizzano più componenti e materie prime locali per realizzare i loro prodotti, ma preferiscono esternalizzare i loro processi produttivi, creando così dipendenze pericolose.

    Il Wall Street Journal ha recentemente riportato il caso della Bullfrog Spasa Herriman, nello stato dello Utah, che produce la vasca idromassaggio modello M9. Nonostante la grande richiesta del prodotto, la complessità dei suoi processi produttivi ha reso difficile raggiungere gli obiettivi di produzione. Una vasca che richiedeva alcune settimane per essere completata ora può richiedere sei mesi.

    Ogni vasca idromassaggio si compone di 1.850 parti provenienti da sette nazioni e 14 stati americani. I pezzi che provengono da più lontano sono quelli dei fornitori cinesi. Tutte queste parti devono percorrere una distanza cumulativa di 887.776 miglia su reti globali intassate.

    Per soddisfare la domanda, in tutto il mondo le fabbriche riferiscono di essere alla ricerca di parti metalliche, plastica e altre materie prime distribuite in tutto il mondo. I prodotti disponibili spesso portano cartellini dei prezzi più alti, alimentando i timori di inflazione.

     

    Conseguenze indesiderate

    L'ultimo problema con le reti globali è il pericolo di conseguenze indesiderate. Infatti, più complessi sono i sistemi produttivi, più imprevedibile diventa la vita. Il numero delle possibili conseguenze indesiderate si moltiplica e nemmeno la tecnologia avanzata può affrontarle. Eventi minori possono avere conseguenze catastrofiche; il minimo rischio può portare a decidere di interrompere tutte le operazioni.

    Ad esempio, un piccolo problema di navigazione di un'enorme nave portacontainer nel Canale di Suez ha bloccato per una settimana la rotta al 12% all’incirca del commercio mondiale. L'impatto dell'incidente è durato mesi.

    Per alcuni giorni ad agosto, dopo che un dipendente è risultato positivo al COVID, la Cina ha chiuso il suo porto per container di Ningbo, il terzo più grande al mondo. A causa di un precedente focolaio a maggio è stato chiuso il porto di Shenzhen per diverse settimane. In un mondo di vaste interconnessioni, le autorità non sono più disposte a correre rischi; chiudono tutto solo per essere sicuri. Nessun uso di analisi dei sistemi può prevedere tutti i possibili risultati.

     

    I limiti del commercio internazionale

    La crisi COVID sottolinea i limiti del commercio internazionale, che deve esistere e prosperare. Dovrebbe essere sia ampio che comune, soprattutto quando si fa per soddisfare i bisogni primari. Tuttavia, il commercio internazionale non dovrebbe dominare o distruggere le culture e le produzioni locali. Non dovrebbe usare mezzi illeciti per dominare. Non dovrebbe impegnarsi in una concorrenza sleale o in pratiche di lavoro brutali che opprimono i lavoratori.

    L'economia “just-in-time” di oggi è diventata una macchina artificiale e squilibrata nella frenetica intemperanza di liberarsi di ogni restrizione al fine di produrre tutto e all'istante. I suoi operatori spesso abbandonano gli standard morali che dovrebbero seguire nella produzione e nel commercio e si lanciano in strategie spietate che possono diventare caratteristiche di queste massicce e vulnerabili economie di scala.

    I giganteschi movimenti di delocalizzazione sfruttano la manodopera a basso costo (e persino schiava) nei paesi comunisti. Queste nazioni inoltre ignorano regolarmente gli standard di sicurezza o ambientali che mettono ulteriormente in pericolo i lavoratori per ridurre i costi operativi. Tali pratiche favoriscono i regimi totalitari che rubano diritti di proprietà intellettuale e non vogliono aprire i loro mercati all'Occidente.

    Infine, le caratteristiche gigantesche delle reti globali le rendono fredde e impersonali, veloci e frenetiche, meccaniche e inflessibili. Così, molte persone trovano facile nascondere la responsabilità morale delle loro azioni, giacché sembrano non avere nessuna conseguenza nell’anonimato di una vasta rete.

     

    I pericoli dell'intemperanza frenetica

    Tutti questi fattori allontanano l'economia moderna dalle economie più flessibili e meno vulnerabili che dovrebbero guidare i mercati. Queste economie più autentiche sono più adatte ad affrontare le crisi poiché operano all'interno di un clima di virtù e di responsabilità personale. Consentono inoltre espressioni di cultura e sviluppo locale che le rendono più autentiche e umane.

    In effetti, non c'è niente che possa sostituirsi alla virtù e ai sani principi economici basati sulla parsimonia morale. I sistemi basati sulla virtù hanno i meccanismi interni per superare tempeste e crisi e le persone virtuose hanno gli elementi per improvvisare e osare di fronte al pericolo.

    Tuttavia, la crisi del COVID ha rivelato che il mondo non ha più quei meccanismi in atto. Quando è apparso il COVID, i sistemi si sono impantanati e ora lottano persino per sopravvivere. La nuova normalità è che il mondo è e continuerà ad essere a corto di tutto nel prossimo futuro. Così, si entra in una nuova fase di vulnerabilità e pericolo in cui le reti globali falliscono e si rivoltano contro il sistema.

    Oggi il mondo giace prostrato per l'azione di un minuscolo virus. Domani, basterà appena un attacco di un gruppo terroristico, un atto irresponsabile di legislazione socialista o un rischio sottovalutato da parte di un broker canaglia per fermare queste grandi reti globali.

    Ciò che sembrava così potente si rivela improvvisamente alla mercé di pochi.

     

    Fonte: tfp.org, 10 Settembre 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà - Italia

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  • Le contraddizioni dei “climatisti”*,
    una eco-setta che vuole cambiare il mondo

     

     

    di John Horvat II

    Uno stile di vita dietetico che va per la maggiore è in parte dieta, in parte eco-attivismo e in parte religione. Si tratta di qualcosa che va oltre il semplice conteggio di calorie o della mania delle solo frutti e noci o del paleo-paradigma dietetico di cacciatori/raccoglitori ecologici del passato. I suoi seguaci mostrano una devozione quasi religiosa per la terra e fanno della loro visione una missione per la salvaguardia dell'eco-futuro, astenendosi dal mangiare nulla che non superi rigidi protocolli sulla presenza di emissioni di carbonio.

    La loro dieta non ha nome, ciò che la definisce è una preoccupazione per il clima. Spinta dal panico climatico, la persona stessa diventa dieta , da qui l’suo dell’appellativo “climatista” (climatarian).

    In cosa credono i “climatisti”

    Per il “climatatista”, tutto riguarda un'alimentazione e una vita sostenibili. Non basta che tutte le cose siano organiche o sane. Quindi, non tutte le noci, la frutta o le carni sono uguali. I “climatisti” insistono sul fatto che siano di provenienza locale per evitare l'uso di mezzi di trasporto ad alto contenuto di emissioni di carbonio. E neppure tutti i prodotti locali sono uguali, dovendo esaminarsi ogni cosa per accertarsi che aderisca a pratiche eco-compatibili. Cibi sani come le mandorle locali sono tabù perché usano troppa acqua. La distanza dalla fattoria al piatto deve essere ridotta al minimo, talché solo gli avocado locali sono accettabili.

    Il primo comandamento del “climatismo” è, costi quel che costi, mai mangiare nulla senza previa considerazione dei livelli di emissione e delle impronte di carbonio. Il secondo comandamento è un po' più flessibile. Acquistare qualsiasi cosa certificata dall'establishment ambientalista come climate-friendly (favorevole al clima), indipendentemente dalle contraddizioni che si trovino.

    “Climatisti” e mercato

    Le contraddizioni provengono dalle forze di mercato che cercano ad ogni modo di accreditarsi come climate-friendly, senza tuttavia smettere di realizzare un buon profitto. Il trucco è dare l'impressione di offrire prodotti rigorosomente sostenibili, organici e rispettosi del clima, che possono essere rapidamente ordinati con un semplice clic da un mouse inorganico.

    In effetti, quando i climatisti sono apparsi per la prima volta intorno al 2015, non ci è voluto molto perché il Big Business li notasse. Presto apparvero sul mercato tutti i tipi di opzioni climate-friendly. Ristoranti come Chipotlee Just Salad hanno inserito prodotti climate-friendly nei loro menù. Le aziende alimentari offrono queste opzioni online e le inviano ovunque con spedizioni “a emissioni zero" gratuite. Poi, quasi tutto può essere reso neutrale dal punto di vista del carbonio acquistando compensazioni (offsets) di carbonio in una lontana giungla amazzonica. Le compensazioni coprono una moltitudine di eco-peccati.

    Quindi, l’incongruenza dell'opzione climatista è che funziona all'interno del mondo high-tech globalizzato, usando il commercio globale, l'energia, le reti elettroniche informatiche che tendono a distruggere quella cultura locale e territoriale che i climatisti affermano di sostenere. Il mondo climatista postmoderno è fatto di immagini, simulacri e fluidità, sostenuti da una moderna infrastruttura che garantisce il potere di mantenere in vita l'eco-show.

    Le contraddizioni spirituali dei “climatisti”

    Questa contraddizione nei confronti delle infrastrutture fisiche si riscontra anche da una prospettiva spirituale. L'opzione climatista è adeguata per proiettare l'immagine di un cibo prodotto biologicamente da comunità rispettose della terra. Fa immaginare una produzione a bassa tecnologia, piena di colore e creatività locali. Pertanto, questa opzione richiede un tipo umano con il carattere e le qualità spirituali che consentono tale produzione.

    Tuttavia, i climatisti non sono disposti ad adottare gli stili di vita che rendono possibile questo mondo immaginario. I climatisti archetipici non appartengono a comunità locali stabili e determinate poiché non hanno radici permanenti né identità sicure. Sono persone super-individualiste che non accettano restrizioni morali poiché le regole vieterebbero loro quella gratificazione istantanea che gli permette di essere e fare ciò che vogliono.

    La società organica presuppone invece un'infrastruttura morale, che la maggior parte dei climatisti non accetterebbe. Presuppone comunità radicate che distillino tradizioni di generazione in generazione e per ciò stesso sanno prendersi cura della terra. La produzione di tali prodotti locali e biologici ha bisogno di famiglie vivaci, con forti tradizioni, per dare stabilità e dinamismo alla produzione. Soprattutto, la più autentica società organica è stata frutto della civiltà cristiana che ha insegnato alle persone a vivere insieme in virtù e in armonia con la natura, compresa la natura umana. Una visione cristiana fornisce le condizioni per il pieno sviluppo di una cultura e di un'economia che contempla la creazione come un dono di Dio per riflettere la Sua maggiore gloria.

    Immersi nelle contraddizioni

    Pertanto, lo stile di vita climatista non ha nulla del carattere organico che produce i cibi cui ambisce, anzi è pieno di quella frenetica intemperanza che ha dato origine al mondo industrializzato di produzione di massa che, paradossalmente, i climatisti affermano di odiare. Essi abbracciano un'esistenza primitiva tribale nel contesto modaiolo di tutte le cose “liberal”.

    I climatisti postmoderni accettano e persino celebrano queste contraddizioni come parte dei loro mondi caotici. I loro stili di vita immorali distruggono la società mentre il loro eco-attivismo pretende di salvare la terra. Le loro abitudini sono destrutturate all'interno di infrastrutture super organizzate e cercano esperienze mistiche all'interno di un secolarismo brutale.

    I “climatisti” nascono dalla percezione dello squilibrio con cui la società si relaziona con la natura e vedono la frenetica intemperanza di un mondo che porta al caos e al disordine. Osservano sì problemi molto reali che vanno affrontati. Tuttavia, non osano sfidare la società immorale tanto responsabile di questo disordine. Infatti, cambiano la loro dieta ma non adottano la prospettiva morale necessaria per tornare all'ordine.

    *In inglese “climatarian”, i “climatisti” sono i seguaci di una nuova moda dietetica che pretendono di ridurre le emissioni di gas serra associate alla raccolta, al trasporto e allo smaltimento degli alimenti, nella convinzione che le loro scelte dietetiche aiuteranno a invertire il riscaldamento globale.


    Fonte: Return to Order, Agosto 2021. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà - Italia.

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