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III. Il nocciolo dottrinario del Progetto socialista: laicità – “liberté, egalité, fraternité”

 

1. I diritti dell'Uomo nella società autogestionaria: informarsi, dialogare e votare

Abbiamo già visto che il PS si dispone a educare il cittadino dalla nascita alla morte modellandogli l'anima quando lavora e quando è libero, nella cultura e nell'arte, ed influen­zando persino l'arredamento della sua dimora. Che riflesso ha questa inclinazione sulla libertà dell'individuo?

Si conferma a questo punto ciò che si è detto all'inizio sulle relazioni fra libertà ed ugua­glianza nella trilogia della Rivoluzione Fran­cese. Infatti, se libertà significa non aver niente e nessuno su di sé, e di conseguenza fare tutto ciò che uno vuole — che questo è il senso radicale ed anarchico del termine — il cittadino autogestionario è libero solo apparentemente. Effettivamente non lo sarà mai in vita sua.

Il cittadino autogestionario troverà che della sfera delle sue scelte puramente indivi­duali, in cui può manifestare il carattere unico ed inconfondibile della sua personalità, le sue restrizioni saranno sempre maggiori. Sul lavoro e nel suo tempo di svago avrà la libertà di essere informato, di dialogare e di votare. Ma le decisioni saranno normalmente prese dalla comunità. La sua libertà sarà limitata a dire ciò che intende nei dibattiti pubblici ed a votare come desidera. Come elettore, è libero di scegliere nomi e lo è pure nel votare nelle assemblee deliberative. Come individuo, è spinto dal Progetto fino ai limiti estremi del non-essere. (35) Ciò non è fatto direttamente in favore del Potere pubblico, ma di un tessuto o meccanismo sociale composto da gruppi auto­gestionari dentro e fuori dal mondo dell'im­presa.

 

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35. "Uno dei fondamenti della società socialista autogestionaria è il riconoscimento di piccoli gruppi sociali e, di conseguenza, di interessi collettivi molto vicini all'individuo e facili ad apprendere (famiglia, atelier, classe scolastica, associazione, vicinato, ecc.). Delle decisioni debbono essere prese anche qui; l'esistenza dell'interesse collettivo deve essere tradotta decisamente in un procedimento. Questo è il motivo per cui i socialisti . . . affermano che, in ultima analisi, la legit­timità solo può essere derivata, domani come oggi, dal suffragio universale. Il bene comune e la democrazia non sono in guerra tra di loro. Semplicemente il bene comune non può essere definito se non mediante la democrazia" (Progetto, p. 131).

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Il vero grafico del Potere della società autogestionaria si mette in moto a partire dalle assemblee, va attraverso i comitati ed altri organi sociali e termina nello Stato. Beninteso, fino a quando l'autogestione non prende la rotta della dissoluzione finale dello Stato e la divisione dei suoi poteri in piccole comunità autocefale. (36) Il lavoratore potrebbe immaginarsi questo grafico a forma di rombo. Ad una estremità c'è la sua impresa, quella in cui lui è una molecola che parla e vota. All'estremità opposta c'è lo Stato.

 

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36. Tanto quanto i socialisti francesi, i comunisti si prefiggono come obiettivo finale l'autogestione della società. Nel preambolo della Costituzione Russa si legge: "L'obiet­tivo supremo dello Stato sovietico è la costruzione di una società comunista senza clase in cui si svilupperà l'autogestione sociale comunista" (Constitución — Ley Fundamental de la Unión de Repúblicas  Socialistas Sovieticas, del 7 ottobre 1977, Editorial Progreso, Mosca, 1980, p. 5).

Quindi, su questo punto, non esiste alcuna divergenza dottrinaria tra i comunisti e i socialisti. La divergenza appare solo nella loro concezione della scomparsa dello Stato.

L'Istituto di Filosofia dell'Accademia di Scienze della Russia Sovietica definisce il ruolo dello Stato nel periodo di transizione verso la società autogestionaria nel modo seguente:

"Lo sviluppo della democrazia socialista rafforza il potere dello Stato ed allo stesso tempo prepara il terreno per la sua estinzione, insieme all'impianto di un regime sociale in cui la società può essere diretta senza la necessità di un apparato politico o di coerci­zione statale. ...

"Ora, l'invocare una più rapida scom­parsa dello Stato con il pretesto di combattere il burocratismo e il proclamare, allo stesso tempo, la necessità di rinunciare al potere statale, equivale, nelle condizioni [attuali] del socialismo, mentre il mondo capitalista esiste ancora (e ciò che è perfino più grave, durante il periodo di transizione al socialismo), al disarmo dei lavoratori al cospetto del loro nemico di classe.

"Il processo dell'estinzione dello Stato non può essere accelerato da qualsiasi tipo di provvedimenti artificiali. Lo Stato non sarà abolito da nessuno, esso invece si dileguerà gradatamente quando il potere politico cesserà di essere necessario. Ciò sarà possibile quando lo Stato socialista adempierà la propria mis­sione storica, ma ciò richiede, a sua volta, il rafforzamento del potere politico. Perciò non si può opporre la preoccupazione di potenziare lo Stato socialista alla prospettiva della sua estinzione; ambedue sono facce della stessa medaglia.

"Dal punto di vista della dialettica, il problema dell'estinzione dello Stato è il pro­blema della trasformazione dello Stato socialista, nell'autogestione comunista della società. Alcune funzioni sociali ana­loghe a quelle attualmente adempiute dallo Stato sussisteranno sotto il comunismo. Però il loro carattere e le forme della loro applica­zione non saranno gli stessi di quelli che essi sono nell'attuale stadio di sviluppo.

"L'estinzione dello Stato significa: 1) la scomparsa della necessità della coercizione di Stato e degli organi che la impiegano; 2) la trasformazione delle funzioni organizzative, economiche ed educative e culturali ora adem­piute dallo Stato in funzioni sociali; 3) l'inte­grazione di tutti i cittadini nella direzione degli affari pubblici e la scomparsa della necessità di organi di potere politico.

"Quando saranno state cancellate tutte le tracce della divisione della società in classi, quando il comunismo avrà definitivamente trionfato, e quando le forze del vecchio mondo opposte al comunismo avranno lasciato la scena, scomparirà anche la necessità dello Stato. La società non avrà più bisogno di speciali contingenti di uomini armati per garantire l'ordine e la disciplina sociali. Allora, come ha affermato Engels, il mac­chinario dello Stato potrà essere messo in un museo di antichità insieme con la rocca da filare e l'ascia di bronzo" (ACCADEMIA DI SCIENCE DELLA URSS — ISTITUTO DI FILO­SOFIA, Fundamentos de la Filosofia Marxista, Redazione generale di F. V. KONSTAN­TINOV; Editorial Grijalbo, Messico, 2a. ed., 1965, nn. 538-539).

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Ma codesto si troverebbe sulla cima del rombo, e sul fondo vi starebbe l'assemblea dei lavoratori. Non che l'autogestione, una volta impiantata, sia una mera facciata dietro alla quale lo Stato manipoli tutto. Questo può succedere. Ma qui non stiamo considerando le deformazioni che una società autogestita potrebbe soffrire nella pratica. Stiamo solo avendo in mira quale sarebbe il genuino miraggio socialista se applicato nella sua completezza.

Così, in coerenza con il Progetto si può mettere in risalto che:

a) Una volta impiantata la società auto­gestionaria, i poteri dello Stato avvizziranno "gradualisticamente";

b) Però, nell'atto di impiantarla tramite la legge, lo Stato è onnipotente. E fintanto che la legge serve come fondamento e regola di quella società, vivrà in virtù dell'onnipotenza di quell'atto che l'ha organizzata e stabilita. Ed almeno fintanto che lo Stato esiste, sarà permesso al Potere Pubblico in qualsiasi momento abrogare o espandere questo atto come voglia;

c) Nelle società dell'Occidente, lo Stato non esercita dei poteri così ampi. I paesi hanno adottato in tesi il principio della sovranità del suffragio universale sia in Oriente che in Occidente. Ma in Occidente questa sovranità è autocontenuta dal riconoscimento di libertà individuali più ampie, o meno. Mentre nell'O­riente questo principio non ha valore pratico, ed è chiaro che non l'avrà per niente nella società autogestionaria, in cui la libertà dell'individuo consiste solo nell'uso della parola e del voto nelle assemblee.

In questo modo, è lo Stato che dispone tutto nella società autogestionaria. Annichilisce la famiglia, e la sostituisce. Concede alle mole­cole autogestionarie i brandelli di diritti che resteranno loro nella società. Ha potere illimi­tato di legiferare sull'autogestione dell'impresa, della docenza, o di qualunque altro tipo. Esso insegna. Forma. Livella. Riempie il tempo libero. In somma, si installa nella mente dell'individuo. A questi resta solo la sua condizione di robot, i cui segni di vita propria sono soltanto l'informarsi, dialogare e votare. Questa trilogia sarebbe l'adempimento concreto dell'altra: "libertà, uguaglianza, fra­ternità".

In una parola, la società autogestionaria ha una moralità ed una filosofia proprie, (37) che il lavoratore robotizzato inalerà persino nell'a­ria che respira.

 

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37. "Non si aderisce al socialismo senza una certa visione dell'uomo, di ciò che egli vuole, di ciò che è in grado di fare, di ciò che deve fare, dei suoi diritti e delle sue necessità" (Progetto, p. 10).

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2. La Religione e le religioni nel Progetto

La società autogestionaria non si limita a eliminare o a restringere le libertà dell'indivi­duo, ma, come abbiamo visto, cerca perfino di formare la sua coscienza.

Queste considerazioni conducono naturalmente ad analizzare fino a che punto il Progetto mutili i diritti della Religione.

a) Si può dire che ogni parola, ogni lettera del Progetto sia laica. Non vi è il minimo pensiero di Dio. Per esso la fonte di tutti i diritti non è Dio, ma l'uomo, la società. Il Progetto ignora completamente la Vita futura, la Rivelazione, e la Chiesa come Corpo Mistico di Cristo. (38)

 

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38. "Il Partito Socialista non mira all'autosoddisfazione o a fare testimonianza dell'aldilà, ma alla trasformazione delle strut­ture della società" (Progetto, p. 33).

"La spiegazione della società … è una cosa, il destino finale dell'uomo è un'altra cosa", afferma il Progetto. Come se si potesse spiegare qualsiasi cosa facendo astrazione del suo fine.

E, a guisa di consolazione, aggiunge destramente il Progetto: "Nel grado in cui è cancellato il clericalismo, l'anticlericalismo perde la propria giustificazione. Questo è un arricchimento della laicità ed una acquisi­zione preziosa della lotta socialista negli ultimi anni" (Progetto, p. 29). In realtà, più del clericalismo, sono il Clero e la Chiesa che vengono così "cancellati", nel Progetto.

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b) La Religione, o, per il Progetto, le reli­gioni — poiché codesto non riconosce il carat­tere soprannaturale di nessuna — sono appena delle realtà sociali che sono sempre esistite e che esistono ancora. Sono dei fatti estrinsechi alla società autogestionaria, e che discordano frontalmente con la sua laicità.

Ciò induce a prevedere che la società auto­gestionaria, che tende a distruggere tutto quel che le è estrinseco e contraddittorio, si met­terà al lavoro per distruggere "gradualistica­mente" le religioni.

È ben vero che il Progetto garantisce la libertà di culto. Ma questa è ristretta ad un limite veramente minimo, poiché tutto l'or­dine temporale sarà concepito in senso opposto a quello della Chiesa: l'economia, l'organizzazione sociale, il totalitarismo poli­tico, la perpetuazione della specie umana, la famiglia e persino l'uomo. (39)

 

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39. I cattolici sono frequentemente più sensibili alle trasgressioni della Legge di Dio relative all'istituto della famiglia che a quelle relative all'istituto della proprietà privata. È così possibile che qualche lettore cattolico più o meno condiscendente con l'impresa auto­gestionaria, cerchi di immaginare un'applica­zione del Progetto rigidamente limitata al campo dell'impresa senza toccare l'individuo, la famiglia o l'educazione. Ma questa sarebbe un'illusione perché la correlazione naturale tra la famiglia e la proprietà rende impossibile una tale separazione. La mera lettura di questo Messaggio rende chiaro che l’auto­gestione dell'impresa così come è descritta nel Progetto è inseparabile dalle sue fondamenta filosofiche e morali. Una volta accettate, queste concezioni influenzano di necessità tutti gli aspetti della vita umana.

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Il Progetto implica una visione talmente globale della società, che presuppone di neces­sità — sebbene in modo implicito — anche una visione globale dell'Universo. Perché que­st'ultimo è, in un certo modo, il contesto della società. Una società globale, laica ed autosuffi­ciente corrisponde ad un universo ugualmente globale, laico ed autosufficiente.

A sua volta, una visione dell'Universo implica l'affermazione o la negazione di Dio. Quindi, una negazione perfettamente auten­tica anche se espressa in silenzio. (40) Il Progetto è quindi “a-teo”, senza Dio: ateo.

 

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40. La Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, del Secondo Concilio Vaticano, con­tiene una descrizione assai sintetica e sfumata dell'ateismo moderno. A questo titolo, è utile citarla: "La parola ateismo è usata per deno­tare fenomeni che differiscono consi­derevolmente gli uni dagli altri. Mentre Dio è espressamente negato da alcuni, altri sosten­gono che l'uomo non può fare una qualsiasi asserzione in Suo riguardo. Certuni sottomet­tono a un tale metodo l'analisi del problema di Dio, che Egli sembra carente di significato. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o sostengono che qual­siasi cosa possa essere spiegata solo mediante questo processo scientifico o, al contrario, ritengono che la verità assoluta non esista in nessun modo. Alcuni innalzano l'uomo a un tal punto che fanno languire la loro fede; essi sembrano maggiormente inclini all'afferma­zione dell'uomo che al diniego di Dio. ...  Esistono anche coloro che nemmeno abbordano il problema di Dio; non sembrano sentire qualche inquietudine religiosa né scorgere il perché essi dovrebbero preoccuparsi di essa" (n. 19).

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Il silenzio del Progetto a proposito di Dio non sarà una mera tappa "gradualista" che porti a qualche tipo di panteismo plausibilmente evo­luzionista?

Questo riferimento ad un possibile pan­teismo viene fatto perché il Progetto attri­buisce una forma di funzione redentrice alla collettività. In essa l'individuo è salvato dal naufragio in cui è posto dalla sua propria condizione individuale. È la via verso la soluzione di tutti i problemi. (41)

 

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41. "Noi riteniamo che collettivo è sinonimo di grandiosità, bellezza, profondità e gioia di vivere" (Progetto, p. 153). Il che vuol dire che grandiosità, bellezza, profondità e gioia di vivere sono sinonimi di collettivo.

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A sua volta il riferimento all'evoluzionismo si collega con il carattere arbitrario, antina­turale ed artificiale del riformismo socialista. E questo è ancora più strettamente in rap­porto con il relativismo fondamentale che professa. (42) Partendo da concetti filosofici molto oscuri ma la cui influenza si fa sentire dappertutto, il Progetto nega i principi più fondamentali dell'ordine naturale (la distin­zione fra la missione degli uomini e delle donne, la famiglia, l'autorità maritale, l'autorità paterna, come pure il principio di autorità a tutti i livelli ed in tutti i campi, la proprietà privata e la successione ereditaria). Il Progetto, lottando contro l'opera del Creatore, mira a ricostruire una società umana a rovescio della natura che Dio ha creato per l'uomo.

 

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42. "Tutto il movimento della scienza ... è compreso da una permanente messa in questione dei postulati della fase precedente" (Progetto, p. 135).

"A nostro parere non può esistere alcun sapere costituito una volta per tutte. Dal momento che esso implica la rettificazione e perfino la ricostruzione continua della realtà come noi la vediamo, non si può mai affermare che il sapere sia stato conseguito ed esso deve essere sempre messo in questione" (Progetto, pp. 136-137).

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Tutto ciò presuppone che l'ordine naturale, che il PS ritiene essere indefinitivamente malleabile, possa essere modellato dall'uomo come questi voglia. Il che fa pensare all'evolu­zionismo.

 

3. L'Episcopato francese di fronte al PS

In vista di queste considerazioni, noi in quanto cattolici non possiamo passare sotto silenzio il nostro stupore — uno stupore che tutte le nazioni del mondo condivideranno fino alla fine dei tempi quando la confusione presente nelle mentì della gente si sarà dissipata — vedendo che la Conferenza Epis­copale Francese non ha espresso nemmeno una parola di avvertenza sul peri­colo del paese di fronte a delle elezioni capaci di portare i mentori ed i capi del PS al potere, mettendo in pericolo anche la Chiesa e ciò che di vivo ancora resta del Cristianesimo. Al contrario, in due dichiarazioni che ha divulgato (10 febbraio e 1° giugno 1981), il Consiglio Permanente dell'Episcopato fran­cese ha manifestato la sua neutralità verso tutti i candidati, affermando di non "volere influenzare le decisioni personali" dei catto­lici francesi, e facendo un appello affinché la campagna elettorale avesse luogo in un clima di "rispetto per uomini e gruppi, avversari compresi" (Dichiarazione del 10 febbraio 1981). (43)

 

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43. Questa posizione di schiva neutra­lità dinanzi alle elezioni fu riaffermata enfati­camente da Mons. Jean-Marie Lustiger, il nuovo Arcivescovo di Parigi, a proposito di una lettera aperta della "Gioventù Studen­tesca Cattolica" a lui indirizzata. In questa lettera, pubblicata in "Le Monde" (10 e 11/5/81), codesta organizzazione di Azione Catto­lica gli chiese di confermare o negare voci in base alle quali si sosteneva che egli avesse assunto una posizione personale in favore del presidente uscente. Nella sua dichiarazione, l'Arcivescovo manifesta grande sorpresa per la notizia, da lui negata formalmente, e solidarizza con la posizione collettiva dell'E­piscopato (vedi "La Croix", 12/5/81).

Nel contesto di queste dichiarazioni, suonano alquanto insufficienti alcune vaghe promesse di azione combattiva fatte da Mons. Jean Honoré, Vescovo di Evreux e Presidente della Commissione Episcopale del Mondo Educativo. Egli asserì che la scuola cattolica non costituisce per la Chiesa "la precedenza delle precedenze". I Vescovi desiderano riservare la loro parola "per il giorno in cui la scuola cattolica sarà in pericolo" ("Informa­tions Catholiques Internationales", n. 563, giugno 1981).

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Nella dichiarazione del 1° giugno "in occa­sione delle elezioni legislative", i Vescovi fanno notare che "è proprio di una società democratica" scegliere fra progetti e pro­grammi "che si manifestano e si oppongono tra loro". Cosicché la Chiesa Cattolica, presen­tando "la sua riflessione sul futuro prossimo della nostra società", lo faceva "non per sostenere un gruppo od opporsi a chiunque, ma per attirare l'attenzione ai valori essenziali della vita personale e comunitaria degli uomini". Facendo questo, i Vescovi volevano contribuire "alla dignità ed alla generosità del dibattito" . (44)

 

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44. Nell'interesse della brevità, il testo completo delle dichiarazioni dell'Episcopato francese in merito alle recenti elezioni presi­denziali e legislative non è qui riprodotto [cfr. "Documentation Catholique", n. 1803, 1/3/81, e da "Le Monde", 3/6/81].

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Questo atteggiamento dei Vescovi è coerente con il documento Pour une pratique chrétienne de la politique (Per una pratica cristiana della politica) che fu approvato quasi unanimamente dai Vescovi a Lourdes nel 1972 (cfr. "Politique, Eglise et Foi”, in Le Centu­rion, Lourdes, 1972, pp. 75-110). In questo documento i Prelati constatano che "i cattolici francesi coprono oggigiorno tutto il ventaglio della scacchiera [sic] politica" (op. cit., p. 80). Vale a dire, anche nel PS e nel PC. Di fronte a questo fatto monumentale, i Vescovi affer­mano semplicemente la legittimità del plura­lismo e riconoscono con ovvia simpatia l'arruolamento di "numerosi cristiani" nel "movimento collettivo di liberazione" animato dalla lotta di classe di ispirazione marxista, che essi non condannano in termini definiti. (45)

 

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45. In questo documento, i Vescovi francesi dichiarano: "Il nostro ministero pa­storale ci rende testimoni dell'imperativo evangelico che anima numerosi cristiani in tutti gli ambienti sociali, e della speranza che li conduce, mentre partecipano a questo movimento collettivo di liberazione, insieme a coloro con i quali essi sono o si riconoscono solidali nella propria vita quotidiana. I Ve­scovi della Commissione del Mondo dei Lavoratori, tra gli altri, l'hanno espresso nel documento di lavoro in cui ci informano sulla prima fase delle loro conversazioni con quei lavoratori che hanno optato per il socialismo" (op. cit., p. 88).

"Oggi, un fatto nuovo sfonda nell'attuali­tà. Cristiani di diversi ambienti — operai, lavoratori agricoli, intellettuali — esprimono ciò che vivono con un vocabolario di `lotta di classe'. ...

"Ovviamente, questa analisi in termini di 'lotta di classe' ha aiutato molti militanti a scorgere con maggior precisione i mec­canismi strutturali delle ingiustizie e delle ineguaglianze. Bisogna notare pure che, facendo questo, essi prendono come punti di riferimento, in grado maggiore o minore, gli elementi dell'analisi marxista della lotta di classe. ...

"Uno sforzo di lucidità e discernimento si impone affinché la loro ambizione di realiz­zare una società più giusta e fraterna non si degradi lungo il cammino e perché essa usu­fruisca sempre degli impulsi positivi derivanti dalla comprensione evangelica del­l'uomo" (op, cit., p. 89).

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Considerando questi precedenti, già non causa speciale stranezza il fatto — stupefa­cente in sé stesso — che per dieci anni ormai la dottrina socialista stia penetrando impune­mente nel gregge che lo Spirito Santo ha affidato allo zelo ed alla vigilanza dei Pastori francesi. Di modo che i voti dei cattolici deviati verso le schiere dell'elettorato socialista hanno contribuito considerevolmente alla vit­toria dell'autogestione nelle ultime elezioni. (46)

 

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46. La ben nota rivista "cattolico pro­gressista" "Informations Catholiques Internationales" (n. 563, giugno 1981) afferma: "Tutti sono d'accordo: un quarto delle persone considerate cattoliche praticanti sono in favore di Mitterrand, e tre quarti sono per Giscard. ...  Il fatto che uno su quattro di questi cattolici abbia votato per Mitterrand è di importanza politica decisiva: è molto di più di un milione di voti che sono venuti a ingrossare il campo della sinistra. Ora, ... se solo metà di questi cattolici avesse votato per il Presidente uscente, ciò sarebbe stato suffi­ciente a rieleggerlo. François Mitterrand deve il proprio successo, tra altre cause, al movimento che ha trascinato verso la sini­stra una parte dei cattolici".

Notare che la rivista mette in risalto solo i "cattolici praticanti". Ci si dovrebbe chiedere quante persone battezzate ma non praticanti che si considerano cattoliche avrebbero potuto essere influenzate da una parola decisa e di schiarimento da parte dell'Episcopato, rifiutando in questo modo di votare per il candidato socialista.

Nel far rilevare i motivi della vittoria di Mitterrand, organi insospettati e di prestigio della stampa, commentano che il progresso più significativo della sinistra ebbe luogo nelle province cattoliche della Francia Occidentale, Orientale e Centrale (vedi "La Croix", organo semi-ufficiale dell'Arcidiocesi di Parigi, 12/5/81; "L'Express", 5-11/5/81 e 12-15/5/81; ed anche "l'Humanité", organo ufficiale del Par­tito Comunista, 15/5/81).

Inoltre, come fa notare gioiosamente il Progetto, i cattolici non solo votano per il PS ma ne diventano anche membri, a quanto pare senza alcun problema importante di coscienza: "Il Partito Socialista ha sempre mirato ad adunare, senza distinzione di credenza filoso­fica o religiosa, tutti i lavoratori che trovano nel socialismo il proprio ideale e i propri principi. Dunque esiste un sempre maggior numero di cristiani che non solo rag­giungono il Partito ma che adottano gli stessi [metodi di analisi] socialisti non solo senza rinunciare in tal modo alla propria fede ma anzi, molto al contrario" (Progetto, p. 29).

Il che è, a proposito, pubblico e notorio in Francia.

Ma, per evitare che esista alcun dubbio circa il significato del verbo "raggiungono" sopracitato, Mitterrand chiarisce nelle sue Conversations avec Guy Claisse:

"Nel Partito Socialista i cattolici mili­tanti non ci servono da alibi. Essi si trovano a proprio agio. Ve ne sono moltissimi nel Partito. ...

— Tra i militanti di base?

— Si. Ma si trovano anche nei primi ranghi nazionali e nei consigli di amministrazione esecutivi locali" (FRANÇOIS MITTERRAND, Ici et Maintenant — Conversations avec Guy Claisse, Fayard, Parigi, 1980, p. 12).

Perciò, il mancato schiarimento di questi cattolici da parte dell'Episcopato è interamente inesplicabile.

Finalmente, dobbiamo notare che questa permeabilità di elementi cattolici riguardo al socialismo non è qualcosa di nuovo ma risale alla metà del secolo scorso, come lo stesso Mitterrand si compiace di sottolineare nel suo libro summenzionato:

"Dal principio, i miei sforzi hanno mirato a indurre i cristiani, fedeli alla propria fede, a riconoscere sé stessi nel nostro Partito, e che le molteplici fonti del socialismo fluiscano verso lo stesso fiume. A metà del diciannovesimo secolo, ad eccezione dell'avanguardia di gente come Lamennais, Ozanam, Lacor­daire, Arnaud, i cattolici francesi appar­tenevano al campo conservatore. La Chiesa, scossa dalla prima Rivoluzione Francese, preoccupata per il progresso dello spirito Vol­teriano, aveva serrato i ranghi al fianco del potere della borghesia, il potere dei gretti di mente appartenenti ad una classe sociale egoistica e, quando necessario, feroce. ...

"Con Cristo oscurato, la Chiesa come com­plice, non vi era altra via di uscita oltre che sostenere una lotta virile per la conquista, qui ed ora, di uno Stato che liberasse dalla schiavitù, dalla povertà e dall'umiliazione. Grazie ad una inclinazione naturale, una maggioranza dei socialisti ha adottato teorie che respingono la spiegazione cristiana. ...

Il razionalismo sempre più radicato e l'espansione del Marxismo accentuarono nel proletariato il rifiuto della Chiesa e del suo insegnamento. Il Socialismo, che fu creato senza di essa, cominciò ad essere formato contro di essa. Ma anche, che silenzio della Cristianità! Che lungo silenzio! . ... Ciò nonostante, alla fine del secolo, Leone XIII a Roma e il Sillon tra di noi dettero inizio alla svolta. La Prima Guerra Mondiale accelerò l'evoluzione. I cameratismi del fronte, la morte dappertutto e per tutti, la patria in pericolo, insegnarono a ognuno di riconoscere nell'altro i valori che codesto ammetteva, anche se la loro versione laicista o religiosa rimaneva diversa se non antagonistica. L'appello iniziale si levò di nuovo dal fondo della Chiesa e del mondo cristiano. Il personalismo di Emmanuel Mounier finì con il conferire al socialismo cristiano il suo titolo di nobiltà (op. cit., pp. 14-15).

Di fronte a questo panorama storico tanto dipinto secondo il gusto e lo stile socialista, ma purtroppo non privo di molti elementi di verità, ci si aspetterebbe che l'Episcopato francese imitasse la tempra ed il coraggio di San Pio X, il quale, nella Lettera Apostolica Notre Charge Apostolique del 25 agosto 1910, condannò con veemenza il movimento del Sillon (vedi nota 4) rievocato con tanta reverenza da Mitterrand.

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Prendendo in considerazione questi fatti — e tanti altri ve ne sono nel mondo di oggi — si capisce meglio come sia vero che la Santa Chiesa si trovi, come ha constatato Paolo VI, in un misterioso processo di "autodemolizione" (allocuzione del 7/12/68) e che vi abbia penetrato il "fumo di Satana" (allocuzione del 29/6/72).