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Patriottismo, combattività e appetenza di soprannaturale

La sofferenza fa il popolo americano ritornare ai valori da tempo dimenticati

 

Intervista a Paul Weyrich

 

 

Con la sola, cospicua, eccezione del periodo bellico e post-bellico (1940-1950), durante il quale per motivi strategici l’URSS dovette recitare il ruolo di alleata degli Stati Uniti, la propaganda comunista non risparmiò sforzi per creare in Occidente un clima visceralmente antiamericano. Questa propaganda mirava non soltanto a screditare un paese che, oggettivamente, si opponeva all’espansionismo sovietico, ma anche a trascinare nel fango il sistema socio-economico che esso rappresentava, e cioè il capitalismo, fondato sulla proprietà privata e la libera iniziativa. Ne usciva chiaramente vincitore il socialismo. 

L’URSS è crollata, ma gli effetti di questa propaganda sussistono ancora nella mentalità di milioni di persone, fisiologicamente diffidenti nei confronti della politica USA. Facendo leva su questi sentimenti, alla propaganda sovietica è oggi subentrata quella “no global”, magari più sofisticata ma non meno martellante, alla quale si aggiunge - ahimè - la mano sempre complice d’un certo catto-comunismo. Questa propaganda spesso ci impedisce di considerare col dovuto distacco la complessa realtà americana. 

Allo scopo di contribuire ad una valutazione equilibrata di questa realtà, offriamo ai nostri lettori una intervista esclusiva con una delle figure chiavi di Washington D.C., Paul Weyrich.

Paul M. Weyrich, uno dei principali strateghi del movimento conservatore americano, è stato tra i fondatori della New Right (Nuova Destra) negli anni ‘70. Dopo decenni di dominio del centro-sinistra, il movimento conservatore riuscì a galvanizzare la “maggioranza silenziosa” del paese, modificando in profondità il clima politico e creando le condizioni per l’elezione dei presidenti Ronald Reagan nel 1980, George H. Bush nel 1988, e George W. Bush nel 2000. 

Come presidente della Free Congress Foundation, Paul Weyrich è una figura chiave a Washington D.C., dove esercita grande influenza politica. Cattolico praticante, amico personale del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, egli è stato intervistato per la rivista Tradizione Famiglia Proprietà dal direttore di relazioni pubbliche della TFP Americana, Preston Noell.

 

TFP - Secondo Lei, prima dell’11 settembre, negli Stati Uniti c’erano segni di vulnerabilità agli attacchi terroristici?

Paul Weyrich - C’erano tanti. Dalla fine degli anni ‘80 i gruppi mediorientali legati al terrorismo avevano già elaborato un piano d’azione che esponeva a chiare luci i loro obiettivi, compreso l’attacco al World Trade Center. Secondo me, è successo esattamente come cinquanta anni prima quando Hitler pubblicò un libro delineando le sue intenzioni. Spesso quando questi fanatici vengono allo scoperto noi diciamo: “Bah, questo è una sfida alla realtà. Non possiamo crederci. Questo non accadrà mai. Sono pazzi!”. E così noi scegliamo di ignorarli. Noi non avremmo dovuto sottovalutare le minacce terroristiche, come l’Europa non avrebbe dovuto sottovalutare Mein Kampf. Questa mancanza di prevenzione è costata molto cara all’Europa. Il fatto è che Hitler aveva rivelato le sue intenzioni, e gli europei hanno scelto di ignorarlo. Dunque, in risposta alla sua domanda io dico sì, c’erano segni di vulnerabilità, e tanti!

 

TFP - Com’era l’opinione pubblica americana prima dell’11 settembre? Qualcosa è cambiata dopo?

Paul Weyrich - Credo che il principale cambiamento riguardi il patriottismo. Prima degli attacchi terroristici sventolare una bandiera o manifestarsi in qualche modo in favore del paese non era visto con buoni occhi. Adesso è praticamente il contrario: chi non dimostra sentimenti patriottici è considerato fuori dal coro. C’è stato un enorme cambiamento quale non avevo visto in vita mia. Io sono nato poco dopo l’attacco a Pearl Harbour [1940]. Io ricordo un paese ancora patriottico. Si celebravano le nostre vittorie, si parlava spesso dei fatti bellici, e via dicendo. Poi è venuta la guerra di Corea [1951-1953], e questo sentimento si è un po’ affievolito poiché non abbiamo vinto. Nonostante ciò, la gente era ancora assai patriottica. Ma ormai la tendenza era al ribasso. Quando poi abbiamo perso la guerra del Vietnam contro un paese del Terzo Mondo [1972], il patriottismo ha toccato fondo, è diventato quasi un reato. Chi dimostrava sentimenti patriottici era schernito come antiquato: “Quella è politica di ieri! Ma sei proprio fuori, non capisci che i tempi sono altri?” E roba del genere. Questo è cambiato dalla notte al giorno dopo l’11 settembre. Tanto che i negozi ora non riescono a mantenere il ritmo della domanda di bandiere americane. Ironicamente, sono i cinesi che hanno salvato la situazione, fornendoci milioni di bandiere in poco tempo...

C’è stata pure una grande trasformazione in ciò che riguarda la religiosità. Fino a non molto tempo fa stava diventando quasi un reato parlare di Dio in pubblico. Menzionare Dio era considerato quasi un attentato alla “religione civile” dello Stato americano. Anche brave persone avevano dovuto adeguarci ai tempi. Ricordo, per esempio, il Cardinale O’Connor [di New York]. Già cappellano militare, negli ultimi tempi egli era stato costretto ad attenuare il tono dei suoi interventi. Dopo l’11 settembre questo è cambiato. La gente ha cominciato a cantare inni religiosi e a pregare in pubblico. Sono rimasto molto impressionato, per esempio, quando il Governatore Rick Perry, del Texas, ha fatto una preghiera durante una partita di football, molto ben accolta dai tifosi. E’ chiaro che l’American Civil Liberties Union [sinistra laicista, N. del T.] ed altri gruppi hanno subito gridato allo scandalo, affermando che egli non aveva il diritto di fare questo. Interpellato in merito, il Governatore Perry ha riposto: “OK, allora processatemi! Ma io credo che la preghiera dovrebbe diventare un aspetto importante della nostra vita”. Questo non sarebbe mai accaduto prima dell’11 settembre. Chi era cristiano praticante, come il Governatore del Arkansas, era consigliato di smussare i toni subito dopo le elezioni.

In conclusione, posso dire che il rispuntare del patriottismo e la rinnovata religiosità sono i due principali cambiamenti che io noto nell’opinione pubblica americana.

 

TFP - Le notizie sembrano indicare che il popolo americano sia di più in più bellicista. Era già bellicista prima dell’attacco? Oppure lo è diventato dopo? Lei crede che questo sentimento si manterrà?

Paul Weyrich - Bisogna capire una cosa. Prima dell’11 settembre quando si parlava di attacchi terroristici ci si riferiva a casi come lo speronamento dell’U.S.S. Cole [2000] o il precedente attentato dinamitardo al World Trade Center [1993]. In primo luogo, le vittime non erano tante. Ma, soprattutto, erano sentiti dalla gente come fatti lontani. Quando si domandava dunque alle persone si erano in favore della guerra, molte rispondevano “no”, perché si trattava di fatti che non le riguardavano da vicino. Erano problemi altrui. Per esempio, ci fu molta discussione in merito all’invio di soldati in Israele. E la reazione del pubblico fu chiaramene negativa. Dopo l’11 settembre, invece, stiamo parlando di noi. C’è molta differenza fra aiutare altri a diffendersi e diffenderci noi stessi. Discutere si dobbiamo o meno intervenire in un posto lontano, come Bosnia, è fondamentalmente diverso di discutere si dobbiamo lasciarci pestare dai terroristi oppure dobbiamo reagire e castigarli per il male che ci hanno inflitto. Ma si la cosa si protrae, molto probabilmente questo sentimento tenderà ad affievolirsi, giacché non credo che il pubblico regga una guerra lunga. Mi auguro che la Casa Bianca possa offrire qualche vittoria. Se ci riesce, riuscirà anche a mantenere alto l’animo.

In altre parole, si otteniamo una vittoria fra qualche mese, e poi un altra e così successivamente, credo che l’opinione pubblica reggerà. Ma se non possiamo esibire nessun risultato positivo, e l’unica cosa che riusciamo a fare è sganciare bombe -- con tutti quei morti, quei ruderi e scene del genere -- allora possiamo temere un affievolimento poiché, purtroppo, gli americani non capiscono i tempi della storia, né quindi il bisogno di mantenersi tenaci per un lungo periodo. La differenza fra questo atteggiamento e quello dei cinesi, per esempio, è molto significativa. I cinesi non si preoccupano minimamente per i risultati a breve scadenza. Essi guardano ai risultati finali, anche se dovessero arrivare in un futuro assai lontano, e se ne compiacciono. Purtroppo noi non siamo fatti così. Anche si il presidente Bush, il vicepresidente Cheney ed altri ribadiscono ripetutamente che questa guerra sarà lunga, che non dobbiamo cercare risultati immediati, che non dobbiamo lasciarci prendere dall’ansia per le notizie spettacolari, che questa guerra sarà diversa, e via dicendo,  il fatto è che il nostro temperamento è questo e dobbiamo imparare a farne i conti.

 

TFP - Lei pensa che gli americani accetteranno una ritirata dopo queste prime vittorie nella lotta contro il terrorismo? In altre parole, si sentiranno soddisfatti con lo smantellamento del governo talebano in Afghanistan, anche se la rete terroristica continua attiva in altre parti del mondo?

Paul Weyrich - Il presidente Bush ha ribadito diverse volte di voler distruggere la rete terroristica e processare Bin Laden. Si non riesce a raggiungere questi due obiettivi ci saranno per lui seri guai politici. Lui non può fare la guerra a metà e poi dare l’impressione di aver fatto sul serio. I media se ne accorgeranno subito. Si se diffonde l’impressione che questa è appena una guerra di facciata e che noi non abbiamo un vero piano per dare la caccia ai leader del terrorismo, allora Bush sarà perduto. Egli deve trovare Bin Laden vivo o morto (e sono in molti a preferirlo morto). Si lo trova vivo, deve processarlo subito. E, soprattutto, deve proseguire la guerra. Esibire Bin Laden in una bara sarebbe una buona cosa. Ma dietro di lui c’è tutta una rete che bisogna smantellare. Bush non può eliminare Bin Laden e poi dire che è tutto finito. L’opinione pubblica americana non lo tollererebbe.

 

TFP - Qual’è la differenza fra l’attuale opinione pubblica americana e quella ai tempi della guerra del Golfo, nel 1991? L’indignazione contro il terrorismo è diversa da quella contra l’Irak?

Paul Weyrich - All’epoca della guerra del Golfo si sapeva molto poco sul terrorismo internazionale. Ricordiamo che quella guerra fu provocata dall’invasione di Kuwait da parte di Irak. Il nostro obiettivo era semplicemente cacciar via gli iracheni, liberare il popolo kuwaitiano e restituire loro il paese. Noi non attaccammo Irak come un paese terrorista, anche se questo aspetto facesse parte del quadro. Oggi è diverso. Gli americani capiscono che c’è una rete internazionale, forse capitanata dall’Irak, ma che comprende anche Iran, Sudan ed altri paesi, che utilizzano l’Afghanistan come bbase. Il popolo americano adesso capisce questo. In questa situazione credo che, o Bush riesce a esibire qualche risultato concreto, o sarà politicamente annientato.

 

TFP - Perché hanno cambiato il nome dell’operazione anti-terrorista da “Giustizia infinita” a “Libertà duratura”? C’è un legame fra questo cambio e le susseguenti dichiarazioni di Bush nel senso che questa guerra non era una crociata contro l’Islam?

Paul Weyrich - Qualcuno avvertì Bush che quel nome rischiava di offendere gli arabi moderati, e che la sua manutenzione potrebbe dunque crearci difficoltà non indiferenti. Secondo me, Bush fu imbrogliato. Può darsi che egli abbia creduto all’imbroglio, o allora che abbia agito così per motivi politici ma senza crederci. Francamente, dire che ci sono musulmani amanti della pace e che l’Islam è una religione di pace mi sembra fuorviante. Guardiamo alla loro storia: durante secoli l’Islam si è diffuso con la forza delle armi, battendo perfino alle porte della Cristianità, per esempio in Austria e Boemia. E’ chiaro che ci sono musulmani che non seguono Bin Laden e gli altri, ma si tratta di musulmani laicisti. Non sono musulmani che credono nel Dio del potere e della giustizia, come è mostrato Allah nel Corano. Quanto più un musulmano è fedele al Corano, tanto più egli sarà militante.

Analizzando il mondo, i musulmani si sono resi conto che l’Occidente non crede più alla Cristianità. Lo vediamo, per esempio, nel rifiuto di ubbidire il precetto divino “crescete e multiplicatevi”. La tassa di nascite in Europa è incredibilmente bassa. Mentre i musulmani fanno tanti figli, Europa sta scomparendo. Le proiezioni mostrano che fra qualche decennio Francia sarà un paese musulmano. Stessa situazione in Germania. Potrei citare tanti esempi. Il vero credente musulmano non è un amante della pace. Loro ci considerano “miscredenti” e si ritengono inviati da Allah per distruggerci. Il rischio è che la retorica di Bush, affermando che questa guerra non è contro l’Islam ma appena contro i terroristi, incoraggi non pochi musulmani. Io sarei molto più tranquillo se gli imam di tutte le moschee del mondo avessero rivolto un serio appello alla pace ed alla concordia. Qualcuno lo ha pure fatto. Probabilmente sono brava gente. Ma il fatto è che il tipico imam non è un tizio che tu inviti a cena per discutere un piano di pace...

 

TFP - Lei pensa che gli Stati Uniti e loro alleati riusciranno a smantellare la rete terroristica, non solo in Afghanistan ma in tutto il mondo?

Paul Weyrich - Riguardo alla nostra capacità di farlo, la risposta è sì. Riguardo alla decisione politica di farlo, purtroppo nutro qualche dubbio. Mi rincresce dover dirlo, ma io devo giudicare in base a ciò che vedo. E, cui a Washington, trovo troppe persone inerti, persone che non possiedono quel animo politico forte che mi permetterebbe di rispondere in modo pienamente affermativo alla sua domanda.