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Comunismo cubano e “diritti” lgbt, le questioni profonde

 

 

di Julio Loredo

Invitata da realtà della sinistra politica e da associazioni lgbt, Mariela Castro Espín è arrivata in Italia un paio di giorni fa per un tour di conferenze che toccherà diverse città, a cominciare da Milano e Genova. Castro Espín parlerà dei diritti umani a Cuba. La sua presenza tra noi ha sollevato un’ondata di critiche, anche a Montecitorio. Introduciamo dunque il personaggio.

Mariela Castro Espín è figlia di Raúl Castro, quindi nipote di Fidel Castro e membro di spicco del clan che da oltre mezzo secolo opprime brutalmente Cuba. Suo fratello, Alejandro Castro, è il capo del Consejo de Defensa y de Seguridad Nacional, che il sito del ministero della Difesa di Cuba definisce così: “L’azione coordinata di tutte le forze e risorse della società e dello Stato, svolta sotto la direzione del Partito Comunista di Cuba, per affrontare l’aggressione militare esterna e per scongiurare la sovversione interna[1]. In altre parole, l’organo di repressione totale del comunismo cubano, la versione tropicale del KGB.

Mariela, invece, rappresenta una versione molto particolare del castrismo. Oltre a essere membro dell’Assemblea nazionale del potere popolare (il Parlamento cubano, dominato dal Partito Comunista), è presidente del Centro Nazionale di Educazione Sessuale, presidente della Commissione Nazionale per l’Attenzione Integrale alle Persone Transessuali, e direttrice della rivista Sexología y Sociedad, dedicata alla liberazione sessuale. Castro Espín è una paladina dei “diritti” lgbt, simbolo della lotta alla discriminazione di genere e alla “omolesbotransfobia”.

La visita di Castro Espín in Italia ha naturalmente suscitato molte critiche, in particolare da parte dei media conservatori. Con ragione, osservano che parlare di diritti umani a Cuba è un ossimoro, una contraddizione in termini. È come invitare Messina Denaro a parlare di legalità. Il regime cubano, infatti, ha uno dei peggiori record di diritti umani al mondo, paragonabile solo alla Corea del Nord e ad alcuni paesi musulmani radicali. Si contano 1057 prigionieri politici a Cuba, anche se il numero effettivo può essere molto più alto.

I critici osservano che il tour di Castro Espín servirà come strumento di propaganda per il comunismo cubano. E rilevano anche una flagrante contraddizione. Cuba è nota per la sua persecuzione all’omosessualità e altre deviazioni morali tipiche della “decadenza occidentale”. Fino a non molto tempo fa, gli omosessuali cubani erano mandati nei campi di concentramento, insieme a qualsiasi “cabelludo”. All’epoca del Che Guevara si finiva in un campo di concentramento solo per il fatto di ascoltare rock, di indossare jeans o di utilizzare vocaboli anglosassoni. Ancor oggi l’attivismo lgbt è a malapena tollerato, quando non braccato. Come può Castro Espín venire da noi a pontificare sui diritti umani e sulla liberazione sessuale a Cuba?

Evidenziando questa contraddizione, i critici parlano d’inganno, di sfacciate manovre politiche e persino di disonestà.

È ovvio che ci siano inganno e manovre politiche della sinistra nel tour di Castro Espín. Tuttavia, il problema è più profondo e ha a che fare con la dialettica interna al comunismo.

Il comunismo è una tappa – la terza, secondo la nota classifica di Plinio Corrêa de Oliveira – della Rivoluzione, cioè di quel processo di decadenza che, dalla caduta del Medioevo, sta spingendo il mondo in una direzione contraria alla civiltà cristiana. Due nozioni esprimono lo spirito della Rivoluzione: uguaglianza assoluta, libertà completa. Entrambe le nozioni sembrano in qualche modo contraddittorie e, in effetti, lo sono da alcuni punti di vista, ma si riconciliano nell’utopia comunista di un paradiso anarchico, il risultato finale del processo rivoluzionario. Secondo la visione di Plinio Corrêa de Oliveira, questa sarebbe una quarta Rivoluzione, tesa a “liberare” non già i proletari, ma gli istinti dell’uomo.

A un certo punto la Rivoluzione ha dovuto sacrificare la libertà per imporre l’uguaglianza. E qui abbiamo, per esempio, l’Unione Sovietica e il suo massiccio Stato repressivo. Tuttavia, secondo gli stessi teorici comunisti, di “liberazione” in “liberazione” il processo dialettico storico continua, avanzando inesorabilmente verso l’utopia finale di una società allo stesso tempo totalmente libera e totalmente uguale. Il preambolo della Costituzione sovietica affermava: “L’obiettivo supremo dello Stato sovietico è la costruzione di una società comunista senza classi in cui si svilupperà l’autogestione sociale comunista”[2]. F.V. Konstantinov, dell’Accademia sovietica delle scienze, spiega che ciò implica “l’estinzione dello Stato”, cioè la scomparsa dell’apparato repressivo che caratterizzava il periodo sovietico, e l’inizio di una nuova era di totale libertà e totale uguaglianza, appunto l’utopia comunista[3].

Per tutto il XX secolo, il passaggio dal socialismo di Stato all’utopia libertaria comunista è stato uno dei principali argomenti di discussione tra gli intellettuali comunisti e socialisti. Nessuno di loro difendeva la permanenza dello status quo sovietico. La loro è una visione evoluzionista che concepisce la storia come un continuo divenire. Furono fatti diversi tentativi per attuare il passaggio alla fase successiva: Gramscismo, Scuola di Francoforte, Marxismo freudiano, Umanesimo marxista, Rivoluzione culturale, Socialismo autogestionario e via dicendo.

Questa tensione interna alla Rivoluzione è arrivata fino ai nostri giorni. E così torniamo a Mariela Castro Espín.

Tutto a Cuba è controllato capillarmente. Qualsiasi attività non gradita al Governo può portare in carcere o, peggio, al paredón. È inconcepibile che Castro Espín, che è un membro di alto rango della Nomenklatura cubana, possa fare qualsiasi cosa che non sia esplicitamente consentita, anzi, promossa dal Partito Comunista. In altre parole, il suo attivismo di alto profilo per i “diritti” lgbt a Cuba e all’estero fa parte di una strategia comunista, che rappresenta il prossimo passo del processo, la quarta Rivoluzione, che dovrà germogliare dall’interno della terza, forse anche scontrandosi con essa a un certo punto, secondo la dialettica storica, ma sempre avanzando verso l’utopia anarchica.

Non è un caso che, pur mantenendo la repressione di Stato di tipo sovietico, Cuba abbia progredito verso il libertarismo morale. Ad esempio, dal 2008 la chirurgia per cambiare sesso è legale; nel 2014 la discriminazione di genere è stata bandita; nel 2018 un referendum ha approvato il nuovo “Codice della famiglia”, che include il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, la maternità surrogata e così via. In altre parole, nel campo dei “diritti” lgbt, Cuba è alla pari con i paesi più liberali del mondo. Per non parlare dell’aborto, legalizzato nel 1965.

Reagendo alla visita di Mariela Castro Espín, diverse figure anticastriste in Italia hanno chiesto la messa al bando del comunismo, così come esiste la messa al bando del fascismo. Non potrei trovarmi più d’accordo. Tuttavia, non perdiamo di vista che il problema è più profondo. Oggi non possiamo essere veri anticomunisti senza opporci anche agli sviluppi più recenti del processo rivoluzionario: aborto, omosessualità, agenda lgbt e, in generale, alla decadenza morale.

Attribuzione immagine: By Northside - Own work, CC BY-SA 3.0, Wikimedia.

 

Note

[1] https://www.minfar.gob.cu/defensa-nacional

[2] Constitución — Ley Fundamental de la Unión de Repúblicas Socialistas Sovieticas, Editorial Progreso, Mosca, 1980, p. 5.

[3] Accademia di scienze della URSS — Istituto di Filosofia, Fundamentos de la Filosofia Marxista, Redazione generale di F. V. KONSTANTINOV, Editorial Grijalbo, Messico, 2a. ed., 1965, nn. 538-539.

 

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