La dittatura dei liberali
di Julio Loredo
Si suol dire che la Rivoluzione, cioè il processo di decadenza o di scristianizzazione dell’Occidente, è libertaria, cerca cioè la libertà totale e totalizzante: niente regole, nemmeno quelle che la natura impone. Quando la Rivoluzione proclama la libertà assoluta come principio metafisico lo fa unicamente per giustificare il libero corso delle peggiori passioni e degli errori più funesti. Però, come scrive Plinio Corrêa de Oliveira, alla Rivoluzione “gli interessa solo la libertà per il male. Quando è al potere, toglie facilmente e perfino allegramente al bene la libertà, in tutta la misura possibile”. In altre parole, si comporta in modo dittatoriale.
Negli ultimi anni, la Rivoluzione ha mostrato sempre di più questo suo volto tirannico. Mentre negli anni Sessanta e Settanta, essa sorrideva col becero sorriso degli hippie, nel nostro secolo quel sorriso si è trasformato in un ringhio. Vediamo un recente esempio che ha dell’incredibile. Per quanto piccolo, è indicativo di una tendenza ormai consolidata.
Lauwarm è una band musicale giovanile svizzera. Lo scorso 18 luglio, stava suonando nella Brasserie Lorraine, di Berna. Tra il pubblico, c’erano persone di diverse etnie, come ormai è normale dappertutto. Ebbene, qualcosa non è andato giù ai clienti di colore: alcuni musicisti della band sfoggiavano cappelli rasta, cioè attorcigliati in trecce strette o boccoli che scendono su tutti i lati. Il problema? Erano tutti bianchi…
La situazione è precipitata quando hanno cominciato a suonare reggae, cioè musica giamaicana solitamente associata alla corrente rastafariana. Le proteste sono diventate così violente che il gestore della Brasserie ha dovuto cancellare il concerto. Qual era il problema? “Loro non hanno diritto a usare quei cappelli – ha dichiarato un cliente di colore – non hanno diritto a suonare quella musica. Ciò ci provoca molto disaggio”. “Solo i giamaicani dovrebbero suonare musica reggae e avere i dreadlocks – ha urlato un altro – se i bianchi fanno una di queste cose è razzismo e non dovrebbe essere permesso. Gli innocenti frequentatori di concerti devono essere protetti da questo”. “Questo è appropriazione culturale”, ha sentenziato un terzo.
Cedendo alla pressione, il gestore della Brasserie ha emesso un comunicato: “Ci scusiamo con tutte le persone a cui il concerto ha provocato disagio. Siamo noi i responsabili, non siamo riusciti ad affrontare il problema abbastanza in anticipo e a proteggervi. Non tolleriamo un millimetro di spazio per il razzismo e altre discriminazioni”.
Al di là dei giudizi estetici (o igienici...) su una tale capigliatura, questo vuol dire che i bianchi non hanno diritto a pettinarsi come vogliono.
Fonte: Neue Zürcher Zeitung, 25-07-2022; Mumsnet, 26-07-2022
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